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I termini in cui Frattini delineò la genesi del protocollo nippo-mancese, specificando come “agivano da entrambi le parti i giapponesi stessi” e come dunque i mancesi non avessero “libertà di far nulla”,

la dice lunga sulla visione del tutto realistica che il militare italiano aveva maturato relativamente le

effettive prospettive giapponesi sul continente asiatico, a dispetto cioè dei toni ufficiali dei comunicati

emessi nell’aprile di quell’anno dopo l’uscita dalla Società delle Nazioni, dove, paradossalmente,

dalle parole dell’Imperatore e del Generale Araki, sembrava che il ritiro dal consesso ginevrino

potesse permettere all’Impero di dedicarsi al mantenimento della pace. Il titolo del paragrafo

successivo Ordinamento attuale forniva una descrizione dettagliata delle truppe di stanza nei territori

conquistati in Cina:

“Nell’ordine di cose attuale, il comando supremo dell’esercito è devoluto al presidente dello Stato, dal quale dipendono il ministro della difesa nazionale, organo amministrativo, e il capo di stato maggiore, organo di studio. Attualmente l’esercito comprende circa 120.000 uomini, suddivisi in vari raggruppamenti provinciali, al comando dei quali in ciascuna provincia è assegnato un generale con uno stato maggiore. L’unità più elevata è la brigata, di fanteria, di cavalleria, o mista: in ciascuna provincia esiste un numero vario di brigate. Oltre queste truppe provinciali, si hanno poi reparti indipendenti nella capitale e nella zona montagnosa dell’Hingan; quest’ultima è divisa in tre distretti: orientale, settentrionale e meridionale. Le brigate comprendono un numero vario di battaglioni, non esistono i reggimenti; i battaglioni sono un numero vario di compagnie (3, 4,5). In questo ordinamento rimane in pieno l’organizzazione caotica delle truppe cinesi, costituite secondo il capriccio di ciascun comandante, e non secondo una norma unica. La stessa cosa avviene per l’armamento, per la cui trasformazione non si è ancora fatto nulla. Le armi di fanteria per ora sono del calibro inglese che avevano adottato i cinesi, e non di quello giapponese; per le riparazioni, il rinnovo e il munizionamento, provvede l’arsenale di Mukden, organizzato in passato su basi grandiose dal maresciallo Ciangsuehliang col concorso di maestranze di Spandau e rimesso parzialmente in funzione dai giapponesi.

Raggruppamento delle truppe nelle varie provincie e distretti.

La ripartizione delle truppe fra le varie provincie e distretti e al momento attuale la seguente: -nella capitale: 8.000 uomini circa

-organi centrali: ministero stato maggiore

casa militare del presidente dello Stato consiglieri giapponesi

-truppe:

140 Rapporto 1250 da Addetto militare Enrico Frattini a Ministero della Guerra, Roma, in data 8 dicembre 1933 ASMAE,

86 gendarmeria

brigata della guardia (circa 800 uomini) gruppo speciale (circa 4.000 uomini)

(Questo gruppo speciale è una unità di riserva alla quale si attinge in caso di bisogno per emergenze improvvise nella capitale o per rinforzare unità provinciali).

-nella provincia di Mukden: in totale 22.000 uomini circa -comando e un reparto speciale

-guardia di Mukden (con artiglieria), 2.800 uomini circa -scuola per gli ufficiali

-scuola tecnica per gli ufficiali -magazzino centrale

-arsenale militare

-corpo di cavalleria (circa 800 cavalli)

-corpo di Yalu; (ciascuno di questi corpi è costituito di una brigata mista su 3 battaglioni e 1 -corpo del Shinkai squadrone (circa 1.800 uomini senza artiglieria)

-corpo centrale

-corpo Mukden- Shanhaikuan -corpo del fiume Liao, costituito di

-1 brigata mista su tre battaglioni, due squadroni, una batteria (3.000 uomini circa)

- 1 brigata di fanteria (circa 1.600 uomini) - 2 brigata di fanteria (circa 1.600 uomini) - 3 brigata di cavalleria (circa 1.200 cavalli) - nella provincia di Kirin: in totale 43.000 uomini circa

-comando e un reparto speciale

-comando della guardia ferroviaria con:

- guardia ferroviaria (circa 3.000 uomini)

- 6 brigate di fanteria (circa 3.200 uomini ciascuna) - 2 brigate di cavalleria (circa 3.200 cavalli ciascuna) - raggruppamento per le operazioni contro i banditi con:

- 3 brigate miste (circa 2.300 uomini ciascuna) - tre distaccamenti di riserva (circa 2.000 uomini ciascuno)

- due gruppi di artiglieria (circa 800 uomini in totale) - un reparto radiotelegrafisti

- nella provincia dell’Heilungkiang: 25.000 uomini circa -comando e un reparto speciale

- 4 brigate miste (circa 3.200 uomini ciascuna) - 4 brigate di cavalleria (circa 2.500 cavalli ciscuna) - gruppo di artiglieria

- gruppo di gendarmeria

- nel distretto dell’Hingan orientale: 300 uomini circa - 1 distaccamento di cavalleria (circa 300 cavalli)

- nel distretto dell’Hingan settentrionale: 1.200 uomini circa - 1 battaglione di fanteria

- 2 reggimenti di cavalleria

- nel distretto dell’Hingan meridionale: 2.300 uomini circa - 3 reggimenti di cavalleria di 700 cavalli ciascuno - nella provincia di Jehol: 18.000 uomini circa - comando e un reparto speciale

87 - 4 distaccamenti di cavalleria (circa 3.000 cavalli ciascuno) - 1 brigata di cavalleria (circa 2.700 cavalli)

- 1 brigata di fanteria a Dolonnor (circa 2.500 uomni) - marinai: 450 uomini circa su 5 cannoniere

Difficoltà che si presentano per la riorganizzazione dell’esercito.

Ho detto prima che i giapponesi hanno ormai certamente preparato il programma di riorganizzazione dell’esercito, ma che per la sua applicazione si dovrà attendere ancora qualche anno; questo ritardo è dovuto essenzialmente a due motivi, prima di tutto al fatto che lo Stato non è ancora organizzato nella sua vita civile e in secondo luogo alle difficoltà di licenziare le truppe mercenarie. La mancanza di una organizzazione civile impedisce ai giapponesi di applicare la legge di reclutamento dell’Impero, sulla quale essi intendono basare la organizzazione militare del nuovo Stato. L’idea di abbandonare il sistema cinese dell’arruolamento mercenario, per adottare la coscrizione generale obbligatoria sulle linee della legge giapponese, è stata manifestata subito fin dal febbraio 1932, e allora è stato affermato che la coscrizione sarebbe stata applicata entro tre anni; […] ma al ministero della guerra, al quale ho chiesto informazioni sulla questione, mi è stato detto che […] e che la coscrizione è ancora un sogno lontano, perché il Manciukuò fino ad oggi non ha fatto nulla per la organizzazione del servizio dello stato civile e quindi mancano ancora le basi fondamentali per stabilire obblighi di qualunque genera per la popolazione, che per ora non è stata neppure censita, altro che su dati generici.

Il licenziamento delle truppe mercenarie è un’altra questione molto grave, che obbliga ad andare molto cauti sulla via delle riforme, perché il licenziamento non potrà essere effettuato se non quando si potrà trovare un impiego sicuro, ben remunerato e gradito, per la truppa che abbandona il servizio, altrimenti questi degni soldati, individui generalmente incapaci di qualunque lavoro, si trasformerebbero in altrettanti banditi. Per quanto fin dal primo momento si sia subito pensato alla necessità di sciogliere i reparti del maresciallo Cianghsuehliang per sostituire l’esercito su basi razionali e sicure, in realtà fino a poco tempo addietro si è dovuto procedere in senso opposto; la necessità di togliere dalla circolazione i banditi, e di offrire un altro sistema di vita a questi malviventi senza mestiere e senza volontà di lavorare, ha costretto ad accogliere nelle file dei reparti molte altre migliaia di individui, che sono venuti così ad aumentare il peso morto di cui l’esercito si deve ora liberare prima di riorganizzarsi. Appena il banditismo ha accennato a diminuire, questo sistema è stato senz’altro abbandonato; la prima vittima di questo mutato atteggiamento è stato il generale Tangyulin, ex governatore del Jehol, il quale, dopo aver consegnato col suo tradimento il Jehol ai giapponesi, ha dovuto andare a zonzo fra le zone di confine verso di Ciahar, perché i giapponesi non hanno voluto accogliere nel nuovo Stato, e quindi nell’esercito mancese, le sue bande di molte migliaia di malviventi in veste di soldati, forse quarantamila, che sarebbero venute ad accrescere ancora le forse di quell’esercito che si vuole invece eliminare.

Gli sforzi attuali per migliorare l’efficienza dei reparti esistenti.

Poiché la riforma radicale vagheggiata deve essere rinviata ad epoca indeterminata e forse ancora lontana, i giapponesi si stanno sforzando di migliorare l’efficienza dei reparti attuali […]. In questo ordine di idee, rinviando ad un secondo tempo la unificazione delle formazioni organiche e dell’armamento, si è incominciato coll’assegnare consiglieri a tutti gli organi di comando più elevati, e un certo numero di istruttori, per dare un indirizzo uniforme all’istruzione, nella speranza di poter inculcare in questa gente qualche senso di disciplina e un po’ di spirito. I consiglieri ed istruttori così inviati in Manciuria sarebbero attualmente poco più di un centinaio, ma dovrebbero gradualmente essere aumentati di molto, a mano a mano che le cose si sistemeranno, così mi viene dichiarato ufficialmente al ministero della guerra; tutto questo personale giapponese è diretto da un generale di brigata che risiede presso lo stato maggiore mancese a Hsinking. […] Non sembra che i risultati ottenuti finora siano molto incoraggianti; […] Presso i reparti, i giapponesi finora sono riusciti ad ottenere qualche cosa di buono nell’istruzione formale […] Un ufficiale giapponese di ritorno dalla Manciuria mi ha detto che personalmente ritiene possibile modificare lo spirito della truppa con una assistenza continua, ma anche questo ufficiale ottimista mi ha ammesso che per ora la vita degli istruttori è piuttosto malsicura in mezzo a soldati sempre pronti alla ribellione per darsi armi e bagaglio alla campagna. Gli altri ufficiali coi quali ho parlato su questo argomento mi hanno tutti espresso l’avviso che delle truppe attuali, provenienti dalle vecchie truppe cinesi o derivate dalle bande di malviventi sottomesse, non si può né si potrà fidarsi, e sono tutti del parere che l’obbiettivo, realmente arduo, di infondere uno spirito animatore in animi cinesi potrà essere

88

raggiunto, ammesso che sia raggiungibile, soltanto dopo la trasformazione radicale dello Stato e quindi delle sue istituzioni militari. […] E’ quindi certo che l’Armata del Manciukuò per i prossimi anni rimarrà ancora una istituzione di valore molto dubbio, fino a che coi successivi congedi non si sarà eliminato tutto il personale vecchio, sostituendolo con giovani ai quali sia possibile applicare la coscrizione mentre cominceranno ad affluire alle unità le prime ondate di giovani ufficiali istruiti nelle scuole sotto la direzione dei giapponesi. Per il servizio interno l’Armata può servire a qualche cosa anche nelle sue condizioni attuali, agendo con le sue unità inquadrate fra le truppe giapponesi, ma per la difesa nazionale costituirebbe probabilmente per i giapponesi più un pericolo che un aiuto, perché in qualunque conflitto esterno non mancherebbero certamente ammutinamenti e ribellioni.”.

Le notizie sugli ammutinamenti di soldati giapponesi in Manciuria non erano rare nei rapporti di

Frattini, ma i motivi d’interesse di questo rapporto sono più d’uno. Innanzitutto è chiaro il criterio

secondo cui si doveva valutare l’effettivo potenziale militare giapponese di stanza nella Cina

nord-orientale sin dai fatti di Mukden del settembre 1931. E’ chiaro infatti che la facilità con cui più volte

l’Armata del Kwantung

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aveva avuto la meglio, doveva esser in larga parte ricollegata alla natura

delle truppe cinesi, arruolate dai locali signori della guerra cinesi; inoltre all’epoca in cui Frattini

aveva redatto il rapporto, alla fine del 1933, non si poteva registrare ancora alcun tangibile

miglioramento delle qualità dell’esercito del nuovo stato del Manciukuò, a causa di una ancora mal

radicata struttura amministrativa tramite la quale neppure un censimento ufficiale della popolazione

era stato portato a termine, quale che ne fosse la principale utilità, come nel caso della coscrizione

obbligatoria. In altre parole, il testo del militare italiano fa risaltare, per contrasto, la retorica contenuta

nei comunicati emessi dai vertici governativi giapponesi, come nel caso del Ministro della Guerra

Araki, relativamente l’alto proposito di mettere in atto in Estremo Oriente , un “nuovo ordine” garante

della pace e soprattutto della stabilità, anche militare, della regione. E’ sintomatico come nel passo

conclusivo del rapporto, Frattini sentisse di affermare senza remore come l’Armata del Kwantung

fosse del tutto inadeguata, se non un vero e proprio pericolo, quanto alla capacità di difesa nazionale.

D’altro canto, la prima parte del rapporto, evidenzia un altro aspetto assai interessante: le cifre e la

dislocazione dettagliata dell’esercito giapponese nel Manciukuò lasciano intendere la capacità di

Frattini se non di accedere a informazioni riservate, certamente di essersi guadagnato la fiducia delle

istituzioni giapponesi di riferimento in qualità di Addetto militare. Ancora, se nel documento sono

citati i suoi scambi con ufficiali giapponesi, anche di stanza in Manciuria, da altri suoi rapporti si

riesce a ricavare alcuni dei nomi dei suoi referenti al Ministero della Guerra. Si tratta di un aspetto

delle relazioni italo-giapponesi di allora, di cui si ha conferma indiretta anche da un documento

redatto dal nuovo ambasciatore Giacinto Auriti in data 18 agosto, secondo il quale il Ministero della

Guerra giapponese

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“ aveva mostrato chiari il desiderio di qualche intesa con noi, accompagnandolo talvolta con qualche esplicita allusione. Il Giappone si sentiva forse allora isolato, […] Qualche ufficiale di questo ministero della guerra parlando vari mesi sono con il Colonnello Frattini aveva accennato a invio di mano d’opera italiana in Manciuria, del che vedo chiaramente i pericoli e i danni.”142.

I nomi dei contatti dell’Addetto militare compaiono nel rapporto da lui redatto il 26 luglio intitolato