DISPOSITIVI, SGUARDI, STRATEGIE
III. 3 “Il catalogo è il sogno di ogni collezione”
III.6. Relazioni visive
III.6.1. La frattura dal sacro
‚Questa casa ha uno strano effetto sulla gente, si comportano come se fossero in chiesa‛. Queste parole appartengono a Bernard Berenson e si riferiscono a I Tatti, la villa di sua propriet| che ospitava la grande collezione d’arte. L’unione tra la sfera del sacro e un luogo d’arte, evocata dalle parole di uno dei più noti connoisseur e collezionisti, è più di una metafora.
Thomas Struth San Zaccaria,
Venezia
L’interno di una chiesa (San Zaccaria a Venezia) e le due diverse tipologie di persone al suo interno, che il filosofo italiano Gianno Vattimo38 chiama ‚turisti culturali‛ e i ‚fedeli in preghiera‛39 mostrano che la tradizionale distinzione tra chiesa e museo, l’una come luogo di culto e di esperienza religiosa e l’altro come luogo dell’esperienza estetica è una distinzione che oggi tende a sfumare e a svanire.
38 ‚L’esperienza di Sant’Ivo alla Sapienza‛, in Vattimo 1984. 39 La stessa giustapposizione ho ritrovato in Luisetti 2006: 163-186.
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L’Estetica moderna prediligendo il costrutto dell’esperienza estetica a prescindere dai luoghi e dalle pratiche delle persone che li percorrono, ha occultato la relazione culturale tra chiesa e museo, la cui distinzione secondo l’analisi di Vattimo, viene introdotta soltanto dal pensiero moderno per far fronte alla secolarizzazione dell’arte.
La foto di Struth non mostra un’innocua distinzione di due esperienze differenti, ma un conflitto tra due spazi significanti, quello sacro dei fedeli e quello profano dei visitatori. Essa sembra mostrare due concetti legati al museo: il tesoro e il santuario.
Ricorrendo ancora al linguaggio figurativo di Ernst Gombrich egli indica nella concatenazione delle cosiddette ‚figure del museo‛: tesoro, santuario, deposito e esposizione didattica un percorso tematico che sussume in sé il concetto di museo (Gombrich 1986). Nessuna di queste figure si identifica totalmente con il museo, ma tutte concorrono a significarlo.
Nella procedura discorsiva di Gombrich, volta a classificare figurativamente un discorso storico sul museo, le figure del tesoro e del santuario sono in qualche maniera ideali e astratte che possono concretizzarsi solo in delle pratiche specifiche di cui una legata alla sfera del sacro; deposito ed esposizione sono specificatamente due figure spaziali e più vicine alla semantica moderna del museo.
Tesoro e santuario indicano rispettivamente il collezionismo e il pellegrinaggio ossia le ritualità legate alla sfera del sacro che costruiscono il senso di un luogo: il collezionismo e il pellegrinaggio sono due pratiche, individuale l’una e collettiva l’altra che, congiungendosi, hanno dato origine al concetto di museo e alla sua intrinseca ambiguità. Tesoro e santuario sono condizioni necessarie, ma non sufficienti per potervi riscontrare caratteristiche significative del muso moderno: è necessaria l’unione di ambedue ed è in questa intersezione semantica che sorge il soggetto visitante. I santuari erano chiaramente la meta dei pellegrini e in maniera acuta Gombrich accosta il monumentum al souvenir come due isotopie della commemorazione, facendo dell’antico pellegrino il prototipo del turista contemporaneo, lo stesso che possiamo guardare nell’immagine di Struth. E come la chiesa ‚non ridefinisce mai se stessa come semplice contenitore‛ (Lugli 2003: 61) anche il museo ha imposto la sua connotazione distintiva come luogo di culto (Benjamin 2000) trasformando il
contenuto in oggetti ‚assorbiti nella logica della credenza‛ (Ibid.) Ci riferiamo a musei come il Louvre, il British Museum, l’Altes Museum. Da qui le tradizionali concezioni del museo come tempio.
Poiché il museo appartiene ‚in primo luogo alla sfera del simbolico‛ (Damisch 1982) funziona come un dispositivo di memoria e di sacralizzazione.
Anche secondo Pomian il museo nasce come sostituto della chiesa, quindi come un luogo di culto. Ma c’è un doppio collegamento tra museo e chiesa, il primo museo nel senso congiunto di tesoro e santuario è stato paradossalmente il Museo del Vaticano. Non il Louvre, non il British Museum. L’elemento interessante è che il Vaticano non esponeva arte sacra, ma profana. In tal modo creava e legittimava il concetto di arte.
Ma non solo: come fa notare Strinati a proposito dei visitatori: “Si va ai Musei Vaticani per
vedere la Cappella Sistina, ma la Cappella Sistina non è un museo, è una cappella sul territorio ed è un museo solo perché per vederla bisogna passare per l’ingresso dei Musei; anche le Stanze di Raffaello sono territorio, non museo” (Strinati 2008: 11, corsivo
mio). L’esempio mostra in maniera molto chiara la difficolt| nel definire stabilmente il concetto di museo che nel caso specifico dei Musei Vaticani pone la questione se è il territorio ad essere musealizzato “in quanto i beni sul territorio vanno percepiti in
un’ottica museale o se è il museo in realt| una componente del territorio tout court”.
(Ibidem). Se poniamo la questione dal punto di vista della pratiche significanti dei visitatori non c’è dubbio: il museo è ciò che viene percepito tale, ossia un luogo significativamente simbolico e per questo degno di essere visitato.
Sono le relazioni intrinseche alla collezione che trasformano l’oggetto in semioforo (Pomian 1978), in qualcosa ‚degno di essere visto‛ e dunque meta di una forma secolarizzata di pellegrinaggio. Come dire che ciò che fa di un luogo un museo è la pratica degli individui nell’interazione con degli oggetti.
Il museo ha preso a prestito due volte i dispositivi di funzionamento di altre istituzioni: al momento della sua nascita dalla chiesa (Pomian 1978) e successivamente dalle esposizioni universali (Damisch 1990). Thomas Struth riesce a raccontare, con le sue fotografie, il turista contemporaneo. riesce a far emergere il nuovo soggetto collettivo di ‚musei/spettatori‛ e a
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rendere visibile il nuovo culto del soggetto postmoderno: la fruizione dell'opera d'arte in uno spazio museale (figg.)40 Struth sceglie i grandi musei, le grandi opere d’arte, come il Prado, il Louvre, Velázquez o Veronese, modelli di musealizzazione per antonomasia, mettendo in tal modo in risalto la presenza dei visitatori. Un’opera nell’opera, potremmo dire. gli oggetti d’arte raccontati da Struth hanno soltanto ‚una presenza da palcoscenico‛ che fa tutt’uno con lo spazio del museo. Non c’è spettacolo perché non c’è distinzione tra opera e museo. Guardare le immagini di Struth è come guardare lo spazio chiuso e delimitato del rito, non dello spettacolo.
Chiesa e museo sono in realt| due luoghi congeniti e l’opposizione simbolica della fotografia tra sacro e profano mostra chiaramente come la frontiera tra i due ambiti non è mai netta, ma porosa e giustapponibile (Lotman 1985).
È sempre importante tener presente la dimensione squisitamente occidentale dei musei (Malraux 1994) e la sua ‚notoria dimensione eurocentrica‛ (Zunzunegui 2003: 48). Come istituzione moderna il museo assume una funzione sacralizzante. Il senso comune, ancor oggi concepisce il museo come un ‚tempio sacro dell’arte‛ funzione che oggi sembra essersi spostata al valore architettonico dell’edificio.
III.7.Sguardi
Il museo, inteso nella sua accezione moderna di luogo pubblico ed istituzionale, derivante dalle realtà museali precedenti – gli studioli umanistici, le collezioni rinascimentali – e adibito alla raccolta e all’esposizione di beni considerati un patrimonio della società, sia esso storico, artistico, archeologico e così via, ha soltanto più di due secoli di vita, che corrispondono ad un periodo complesso per la storia occidentale, il XIX e il XX secolo. Il museo attraversa questo periodo riflettendo nella sua organizzazione i cambiamenti epistemologici nella storia della cultura, la crisi della modernit|, l’opposizione tra il moderno e il postmoderno, lo sviluppo dei media.
Ho scelto di dare una collocazione concettuale all’analisi di questo processo all’interno di una ‚problematica dello sguardo‛ intendendo, con ciò, delineare un’analisi essenziale delle modalità di esposizione e di presentazione attuate dal Museo in relazione alle culture visive di cui ha fatto e fa parte.41
Porre una ‚problematica dello sguardo‛ nell’ambito di un oggetto d’analisi come il museo, tradisce un’esigenza contemporanea perché la problematica di dipana dal prendere atto dell’importanza che oggi ha assunto la dimensione visiva nelle pratiche espositive ma anche del fatto che, nell’analisi del Museo, la dimensione visiva va considerata in tutta l’articolazione storica dell’istituzione, almeno dalla fine del XVIII secolo sino ad oggi. Tuttavia la ragione più importante che giustifica questa prospettiva d’analisi deriva dall’oggetto della ricerca: l’analisi del rapporto tra il museo e lo spettacolo.
Allo stesso tempo, porre una problematica dello sguardo, significa dare allo spettatore un ruolo performativo nella costruzione dei significati culturali e spostare l’asse alle pratiche spettatoriali piuttosto che all’oggetto. A mio avviso modello teatrale e concetto di opera d’arte sono legati nella misura in cui l’estetica della modernit| ha creato il concetto di opera d’arte; invece il museo è un dispositivo che funziona non come la rappresentazione scenica, è molto vicino piuttosto ai dispositivi delle vetrine dei negozi, ad una dimensione cosiddetta ‚bassa‛ della cultura.