• Non ci sono risultati.

CAPITOLO SECONDO

II.2. La spettacolarità nel museo: la configurazione dell’evento

II.2.4. Gli oggett

Dobbiamo adesso aggiungere gli oggetti contenuti all’interno di un museo. Tali oggetti non sono oggetti qualsiasi, sono anzitutto ‚oggetti esposti‛, ossia dei semiofori, così come li definisce K. Pomian (1978, 1997). I semiofori sono oggetti che non hanno utilità pratica ma che operano, piuttosto, un lavoro di intermediazione simbolica – e quindi agiscono – tra ‚il

57

visibile e l’invisibile‛: “*…+ Todo objeto se vuelve un semióforo como consecuencia de la

descontextualización y la exposición. Y lo sigue siendo mientras esté expuesto. Esto es así porque colocar un objeto, sea cual sea, en una vitrina, en un álbum, en un herbario, en un pedestal, colgarlo en un muro o en el techo, separarlo con una cerca, una barrera, un cordón, *…+ todo eso equivale a imponerle a las personas que se encuentran alrededor la actitud de espectadores, a incitarlas a voltear hacia ese objeto para observarlo”. (Pomian,

1997: 22, cors. mio).

Questa lunga citazione mi è utile per porre in rilievo l’importanza di tutti quei supporti solitamente presenti nel museo come cornici, piedistalli, vetrine, album, pareti, soffitti, recinti o anche semplici linee tracciate, necessari a definire un semioforo. Difatti ciò che determina l’attitudine alla spettatorialit| non è l’oggetto in sé, ma l’insieme di tutti questi ‚indicatori deittici‛ di cui il museo non è altro che una macrocornice. “La

descontextualización y la exposición convierten al objeto con gran facilidad, distinguen al objeto, son excepcionales, contundentes, extraordinarias, sorprendentes, y, por esa razón, contribuyen a separarlo de los otros. Los semióforos que pertenecen a esta categoría serán designados con el nombre de expuestos. La transfiguración de la que provienen se realiza, en nuestra sociedad, sobre todo en las colecciones y en los museos. En otras épocas, esto pasaba en las tumbas, los santuarios, los tesoros y los palacios.” (Ivi:

23

Dunque una caratteristica dei semiofori è quella di creare lo spettatore, a imporre l’attitudine all’osservazione, pertanto possono essere considerati in virtù dell’esposizione (exhibition) che è allo stesso tempo sintassi e morfologia: in questo senso parliamo di testo- spettacolo, come struttura narrativa dello spettacolo: un soggetto e un oggetto in relazione. Tenuta ferma l’ipotesi di considerare gli artefatti esposti come semiofori, ritorniamo alla nostra ipotesi, ossia al fatto che tale originaria relazione si trasforma nel principio etico di educare il pubblico alla cultura nel momento in cui il museo si qualifica come istituzione pubblica e moderna.

Secondo Simmel le esposizione d’arte rappresentavano il simbolo del cambiamento dell’arte moderna: “Le esposizioni d’arte sono conseguenza e complemento necessari della

moderna specializzazione dell’arte. All’unilateralit| dell’uomo moderno in quanto creatore, supplisce il suo essere poliedrico quando percepisce‛. (Simmel 2006: 61, cors. mio).

Simmel in questo passo sta stabilendo un’opposizione, a prima vista, incongrua in quanto oppone l’artista (creatore) al soggetto percipiente (il pubblico). L’opposizione però riguarda due distinzioni e due periodizzazioni concettuali dell’arte che corrispondono a ai tre generi proposti da N. Heinich (2007) arte classica – moderna e contemporanea secondo una suddivisione non storica, ma di genere.

In particolare per arte contemporanea non si deve intendere il contemporaneo cronologicamente, come sinonimo di attuale, ma il ‚genere arte contemporanea‛ basata sulla sperimentazione, sulla trasgressione. La Heinich aggiunge che “l’arte oggi viene

concepita in tre modi differenti … in base al grado di acculturazione degli spettatori” e

continu… il valore artistico … non sta più nell’oggetto proposto ma nell’insieme delle

mediazioni possibili tra l’artista e lo spettatore”. (2007: 65).

Dunque profeticamente Simmel, che scrive all’inizio del XX secolo, prevede il valore espositivo nello spostamento del significato dell’opera d’arte all’atto comunicativo verso lo spettatore.

La funzione educativa del museo farà leva grazie alle Esposizioni sul crescente ruolo del valore espositivo: ‚Il museo e le Esposizioni Universali‛ - scrive Benjamin – ‚condividono la stessa ideologia‛. È nel fenomeno delle Esposizioni che si origina il fenomeno della spettacolarità e che coinvolgerà il museo evolvendosi sino ad oggi. Sintomaticamente è proprio il valore espositivo ad aver contrassegnato il passaggio al museo ‚postmoderno‛ (Vattimo 1990), rappresentando il motivo principale che ha trasformato, nella società contemporanea, un’esperienza estetica, presumibilmente unitaria – degli amatori d’arte - in un’esperienza di tipo frammentario – del pubblico di massa –

Dato che abbiamo messo abbondantemente l’accento sullo spettacolo e sul museo in quanto ‚specificit| relazionale‛, è d’obbligo accennare al recente concetto di ‚museo relazionale‛, sviluppatosi negli ultimi decenni, che pone l’accento sulla dimensione comunicativa del museo a partire dall’attenzione critica verso il pubblico (Bodo 2000). Il concetto di museo relazionale si basa su una serie di analisi condotte nel campo del marketing e delle strategie

59

di impresa e di comunicazione, ponendo come tema centrale l’analisi delle esperienze da offrire al pubblico.

Tuttavia, in questa sede, intendo delimitare il discorso sulla relazionalità del museo a partire dagli accadimenti avvenuti nel capo delle pratiche artistiche.

In particolare è stato il ready-made duchampiano (divenuto decisamente routine artistica) ad aver posto l’accento non sull’intentio dell’artista, ma sulla relazione tra opera e spettatore.22 Il museo relazionale, per ciò che avviene nel campo dell’arte, si sviluppa a partire dallo spostamento operato da Duchamp a favore dello spettatore, essendo i ready-mades l’affermazione artistica in base alla quale qualsiasi oggetto può entrare nel frame del museo e diventare arte. La provocazione era eclatante per l’esplicito riferimento e coinvolgimento del fruitore, e, se da un lato, il gesto duchampiano precisava la funzione del museo come medium, senza il quale la desacralizzazione dell’oggetto estetico non sarebbe stata possibile, dall’altro esplicitava, criticamente, lo spazio del museo analizzabile come relazione.Nel 1957 è proprio Duchamp ad utilizzare e a dare importanza al termine spectateur conferendo così una centralit| nuova all’osservatore: “Somme toute, l’artiste n’est pas le seul | accomplir

l’acte de création car le spectateur établit le contact de l’oeuvre avec le monde extérieur en déchiffrant et en interprétant ses qualifications profondes et par là ajoute sa propre contribution au processus créatif”.23 Un’opera d’arte ha un 'coefficiente artistico', è composta di due parti, essendo la prima ciò che l'artista vuole esprimere e la seconda ciò che non intende affatto esprimere. Secondo Duchamp, è in questo secondo momento che risiede il coefficiente artistico di un oggetto, cioè nello spazio semantico che mette in relazione l’osservatore e l’oggetto. Di conseguenza, il museo, ovvero lo spazio in cui l’oggetto viene messo in mostra diventa il luogo dell’effettiva produzione dell'opera stessa,

22 Una lettura del ready-made come liturgia, e quindi nel suo significato di rappresentazione, è stata messa in

luce da Giorgio Agamben durante una presentazione orale nell’ambito del Seminario di Studi ‚Rappresentanza/Rappresentazione‛, Universit| di Palermo, 2009.

A tal proposito riporto anche un’osservazione acutamente sarcastica, qunto sintomatica, dell’artista spagnolo Eduardo Arroyo, avvenuta durante una personal communication, che definisce Duchamp come colui che ha rovinato le pratiche artistiche del XX secolo.

23 M. Duchamp, Le processus crèatif, 1957, Intervento alla Convention of the American Federation of Arts,

così come accade nel codice teatrale secondo cui sono sufficienti soltanto due persone (attore e spettatore) perché ci sia spettacolo.

Il recente concetto di museo relazionale fa propria questa concezione e, come afferma Speroni (2002) ‚la innesta sul terreno della comunicazione‛ (Speroni 2002: 148). Se riteniamo che lo spettacolo sia una relazione intersoggettiva, da questo punto di vista, possiamo proporre che Duchamp porta ad un livello estremo ed essenziale la struttura narrativa dello spettacolo. L’‚errore di sintassi‛ duchampiano ha comunque utilizzato la struttura narrativa dello spettacolo.

61