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di Massimo Clarke

la situazione è ben diversa nei due settori. Le modalità di impiego tipiche sono differenti, come pure lo spazio a disposizione dei vari organi meccanici. Tra l’altro nel caso delle moto non si deve dimenticare che esiste un forte legame tra i modelli da competizione e quelli sportivi destinati a normale impiego stradale.

La sovralimentazione consente di aumen-tare la potenza specifica dei motori senza dover incrementare il regime di rotazione. In passato, quando di compressori non se ne parlava neanche o le norme sportive non ne consentivano l’impiego (o non lo rendevano conveniente), per aumentare le prestazioni dei motori si ricorreva spesso a un maggior frazionamento.

Se si aumenta la velocità di rotazione di un motore le prestazioni che esso fornisce cre-scono ma parallelamente aumentano anche le sollecitazioni meccaniche. Fermi restan-do il rapporto corsa/alesaggio e la cilindrata totale, aumentando il numero dei cilindri si possono raggiungere regimi di rotazio-ne più alti senza causare un aumento delle sollecitazioni meccaniche. Inoltre cresce la superficie totale dei pistoni, parametro motoristico assai importante. La formula è chiara: la potenza è uguale al prodotto

del-la pressione media effettiva (PME) per del-la ci-lindrata (volume) per il regime di rotazione (frequenza, ossia t-1).

A sua volta, una frequenza per un volume è uguale a una velocità per una superficie.

Dunque il prodotto del regime di rotazione per la cilindrata è uguale al prodotto della velocità media del pistone (doppio della corsa per il regime di rotazione) per la su-perficie totale dei pistoni. Ciò significa che, ferme restando la PME e la velocità media del pistone (ovvero le sollecitazioni mecca-niche), la potenza del motore dipende solo da tale superficie. Che, mantenendo invaria-to il rapporinvaria-to corsa/alesaggio (C/D), aumen-ta al crescere del frazionamento, ossia del numero dei cilindri.

Se prendiamo ad esempio un monocilin-drico di 500 cm3 e un quadricilinmonocilin-drico della stessa cilindrata, entrambi con misure ca-ratteristiche perfettamente “quadre” (ossia, con l’alesaggio eguale alla corsa), potremo agevolmente constatare ciò. Nel caso spe-cifico, la superficie in questione nel motore quadricilindrico è pari a quella del monoci-lindrico moltiplicata per 1,587, ovvero per la radice cubica di quattro.

70 M O T O . I T M A G A Z I N E N . 4 5 3 M O T O . I T M A G A Z I N E N . 4 5 3 71

Se facciamo il confronto tra il monocilindri-co e un bicilindrimonocilindri-co di eguale cilindrata avre-mo che la superficie del priavre-mo va avre- moltiplica-ta per 1,26 per ottenere quella del secondo motore. E 1,26 è la radice cubica di 2. Si può procedere in maniera analoga anche per al-tri frazionamenti (basta avere una calcola-trice per verificare questo).

È così possibile constatare agevolmente che la superficie totale dei pistoni aumenta con la radice cubica del numero dei cilindri. E siccome la potenza è direttamente propor-zionale alla superficie dei pistoni, è così spiegato per quale ragione e in quale misura i motori più frazionati possono erogare po-tenze maggiori rispetto a quelli di eguale ci-lindrata che di cilindri ne hanno meno.

Insomma, se da un mono si passa a un bici-lindrico la potenza aumenta (teoricamente) del 26% e passando a un quadricilindrico cresce del 58,7%. Naturalmente, tali incre-menti prestazionali sono ottenuti a regimi di rotazione diversi; come premesso infatti la velocità media del pistone non varia. A pari rapporto C/D, aumentando il frazionamento la corsa diminuisce e quindi per raggiungere la stessa velocità media del pistone il moto-re gira più forte.

oiché con un frazionamento più spinto si possono ottenere prestazioni più elevate, in passato diversi costruttori hanno realizzato motori da competizione con un numero di cilindri molto elevato.

Negli anni Trenta le formidabili Auto Union da Gran Premio progettate da Ferdinand Porsche erano azionate da splendidi V16 montati posteriormente. Un eguale frazio-namento è stato adottato dalla BRM per una 1500 sovralimentata di Formula Uno, sporadicamente vista in pista (con pessimi risultati) nei primi anni Cinquanta. Un altro 16 cilindri è stato realizzato dalla Coventry Climax nel 1964 ma non è uscito dallo stadio di prototipo.

Ha invece corso il BRM 3000 con architettura ad H del 1966-67 che è poi stato accantona-to perché il V12 della stessa casa, più legge-ro, più compatto e meccanicamente meno complesso, andava meglio.

D’altro canto proprio le F1 di 3 litri hanno dimostrato come una monoposto dotata di un V8 dall’ingombro e dal peso minori possa assai spesso risultare vincente nei confronti di una con un V12, anche se quest’ultimo ha più cavalli. Nel nostro settore parlare di

mo-tori molto frazionati equivale a parlare della Guzzi a 8 cilindri da Gran Premio, una delle più importanti (e audaci) realizzazioni nella storia della tecnica motociclistica.

L’obiettivo era quello di ottenere una poten-za superiore a quella delle 500 quadricilin-driche Gilera e MV. Per raggiungerlo il genia-le progettista Giulio Cesare Carcano decise di realizzare un otto cilindri a V di 90°.

Lo schema avrebbe assicurato una eccellen-te equilibratura e una grande compateccellen-tezza ma avrebbe reso necessario il ricorso al raf-freddamento ad acqua. Vennero adottate canne cilindro umide, che venivano avvita-te nelle avvita-tesavvita-te, ciascuna delle quali incorpo-rava anche la parte superiore della relativa bancata di cilindri. Il motore, che aveva un alesaggio di 44 mm e una corsa di 41 mm, è arrivato ad erogare una potenza di oltre 75 cavalli a poco più di 12.000 giri/min prima che lo sviluppo venisse interrotto, al termine del 1957, a causa del ritiro della casa dalla attività agonistica.

Le teste erano fuse in lega Y (termoresisten-te, al rame) e le due valvole di ogni cilindro formavano tra loro un angolo di 58°. I pistoni erano a mantello intero con cielo notevol-mente bombato e la distribuzione bialbero

veniva comandata da ingranaggi collocati sul lato destro del motore.

Nella seconda metà degli anni Sessanta an-che la Benelli ha pensato a un V8 da compe-tizione, che in questo caso sarebbe stato di 250 cm3 e avrebbe avuto il raffreddamento ad aria. Sono state realizzate alcune fusioni del motore ma poi il progetto è stato abban-donato a causa dei limiti imposti dalla FIM in materia di frazionamento.

Non era invece destinata alle competizioni ma al gran turismo la moto a otto cilindri, sempre a V di 90°, costruita nei primi anni Novanta da Giancarlo Morbidelli in pochi esemplari soltanto.

Aveva una cilindrata di 850 cm3, ottenuta con un alesaggio di 55 mm e una corsa di 44,6 mm, ed erogava un centinaio di caval-li a un regime di 11.000 giri/min. L’obiettivo in questo caso era quello di ottenere una straordinaria fluidità di erogazione, abbina-ta a una potenza assai considerevole e a un sound assolutamente unico.

L’estetica però era quanto meno discutibile e il costo esorbitante…

74 M O T O . I T M A G A Z I N E N . 4 5 3 M O T O . I T M A G A Z I N E N . 4 5 3 75

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