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Il fronte interno e il ruolo delle donne durante la guerra

7. La figura femminile nell’opera di Giani Stuparich

7.1. Il fronte interno e il ruolo delle donne durante la guerra

Nonostante le due opere di Stuparich ruotino quasi esclusivamente attorno al tema della guerra, sfondo delle vicende dei personaggi e motivo centrale di entrambi i libri, anche la presenza della figura femminile ricorre costantemente nelle pagine di Guerra del ’15 e soprattutto di Ritorneranno, dove lo scrittore triestino meglio sviluppa il motivo della donna in tutte le sue sfaccettature: quella di madre, quella di moglie e quella di figlia. Nel romanzo del 1941, infatti, il tema della guerra si intreccia al motivo della famiglia, creando una bipartizione evidente nella struttura dell’opera, nella quale si alternano capitoli in cui si narra l’esperienza della guerra al fronte, vissuta dagli uomini Vidali, e capitoli centrati invece sulla condizione delle donne di questa famiglia, che vivono la guerra in città.

Attraverso le sue pagine Stuparich non mostra solamente l’immagine classica della guerra, fatta di assalti e bombardamenti in trincea, ma fornisce un quadro completo di ciò che la Grande Guerra ha rappresentato, testimoniando anche la sofferenza dei civili i quali, pur non occupando i luoghi deputati ai combattimenti, sono costretti a sacrifici enormi. Il fronte interno, composto prevalentemente da donne, anziani e bambini, viene coinvolto pesantemente nel conflitto, subendo un cambiamento delle proprie abitudini e stili di vita ed essendo privato delle sue libertà. Nell’intero Paese, infatti, vengono adottate delle azioni repressive nei confronti della popolazione: alcuni reati vengono giudicati dai tribunali militari, viene condannata qualsiasi forma di dissenso, il diritto di sciopero e di associazione vengono sospesi. Nelle città l’illuminazione viene ridotta e gli alimenti basilari cominciano a scarseggiare, si verifica una generale compressione dei consumi, accompagnata da un notevole peggioramento delle condizioni sanitarie e da un aumento della povertà. La mancanza di cibo e le sempre maggiori fatiche riducono la popolazione in uno stato di debolezza, che favorisce la diffusione di epidemie.296 L’aumento della produzione industriale comporta una maggiore richiesta di

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ANTONIO GIBELLI, La Grande Guerra degli italiani. 1915-1918, Milano, Sansoni, 1998, pp. 175- 78.

117 manodopera, favorendo l’ingresso nelle fabbriche di operai non specializzati, in gran parte costituiti da donne e ragazzi, quest’ultimi, spesso, particolarmente esposti ai maltrattamenti da parte dei superiori.

In particolare, nella città di Trieste, vicinissima al fronte dei combattimenti, la guerra ha delle conseguenze molto pesanti sulla popolazione, a volte costretta alla fuga, per la mancanza di generi alimentari, la disoccupazione, i rincari e le cruente occupazioni militari da parte degli eserciti stranieri. Quella che prima della guerra era un’importante città industriale, ora vede la sua economia paralizzata, perché la vicinanza al fronte costringe molte strutture cantieristiche e portuali a cessare la propria attività.297 Inoltre, mentre nelle altre città le donne vengono impiegate nell’industria, provocando un cambiamento nelle relazioni sociali e svolgendo un importante ruolo produttivo, questo a Trieste non accade. Le condizioni di vita della popolazione triestina peggiorano sensibilmente con il protrarsi del conflitto, e i sussidi di guerra, a causa dell’aumento dei prezzi, risultano insufficienti per coprire anche le spese dei generi alimentari più semplici, come pane, farina e burro, generando assalti ai forni e ai magazzini, a opera soprattutto delle donne.298 Il tasso di mortalità infantile e generale aumenta fortemente a causa delle carenze alimentari e del peggioramento delle condizioni igieniche.

Nel corso della prima guerra mondiale le donne assumono un ruolo da protagoniste, alla pari degli uomini in trincea, perché, in loro assenza, vengono impiegate in diversi ambiti lavorativi, abbandonando la loro routine tra le mura di casa, immerse nelle faccende domestiche e nell’accudimento dei figli, dando un notevole contributo all’intera società. Questo è un periodo della storia fondamentale per lo sviluppo dell’emancipazione delle donne, anche se in Italia bisognerà aspettare ancora molto, prima che vengano riconosciuti pari diritti al genere femminile, perché, terminato il conflitto, il fascismo tenterà di frenare questa spinta emancipatrice imponendo il modello della madre prolifica e patriottica.299

A causa dell’aumento della produzione bellica e della scarsità di manodopera maschile, molte donne vengono impiegate nelle fabbriche, dove svolgono delle mansioni tipicamente maschili, pesanti e pericolose, producendo bombe, proiettili e

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LUCIO FABI, Gente di trincea. La Grande Guerra sul Carso e sull’Isonzo, Milano, Mursia, 1994, p. 346.

298

Ivi, p. 345. 299

ALESSANDRO GUALTIERI, La Grande Guerra delle donne. Rose nella terra di nessuno, Fidenza (Parma), Mattioli, 2012, p. 10.

118 munizioni, ma anche tessuti per le divise dei soldati. Lasciato il focolare domestico, alcune di loro diventano tassiste, cancellieri di tribunale, tranviere, ferroviere, portalettere o telegrafiste e aumenta anche la percentuale di donne occupate nelle banche e nei servizi pubblici come le poste, l’insegnamento o l’attività assistenziale. Mentre nei bordelli di guerra alcune donne concedono qualche momento di piacere ai soldati, altre in trincea fotografano o scrivono o ancora curano i combattenti feriti. L’immaginario comune dell’uomo eroe che combatte al fronte, per difendere la patria e della donna, che rimane a casa accudendo i figli e custodendo il focolare, viene meno perché da una parte i soldati scoprono la vera tragedia che la guerra rappresenta, e dall’altra, le donne non si occupano più solo delle faccende domestiche, ma devono svolgere anche altri compiti.300

In questo modo si verifica una sorta di sovvertimento dell’ordine sociale, quasi una rivoluzione, perché le donne rimangono in città, lontano dalla propria famiglia, a contatto con altri uomini, a loro estranei, assumendo addirittura delle abitudini prettamente maschili come quelle di bere o fumare.301 Si crea infatti una frattura nell’ordine sociale e familiare testimoniata dalle donne stesse, le quali manifestano un senso di orgoglio rispetto al loro nuovo ruolo, riscontrabile anche nella fotografia dell’epoca, in netto contrasto con i sentimenti di sofferenza che accomunano gli uomini al fronte.302

Non bisogna cadere però in banali generalizzazioni, perché la condizione delle donne durante il conflitto non è unica, ma varia a seconda del ceto sociale, delle zone geografiche di appartenenza e dipende comunque sempre dalla singola esperienza. Perciò, è utile specificare che esistono delle differenze significative: le donne delle classe popolari sono estenuate dal lavoro, per sopravvivere alla penuria economica; si trovano in una condizione diversa, ma altrettanto ardua le donne operaie, che svolgono un mestiere prettamente maschile, perciò faticoso; un altro ruolo ancora spetta alle donne delle classi più agiate, le quali svolgono, invece, compiti socialmente utili e ancora diversa è l’esperienza delle donne vittime di violenze e soprusi da parte degli

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Ivi, p. 19. 301

CLAUDIA GALIMBERTI, Non si può pensare la guerra senza le donne in Donne nella Grande Guerra di M.BONESCHI, P.CIONI, C. GALIMBERTI, L.LEVI, M. S. PALIERI, C. DI SAN MARZANO, F. SANCIN, M. SERRI, F. TAGLIAVENTI, S. TAGLIAVENTI, con introduzione di DACIA MARAINI, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 21.

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119 eserciti occupanti, che si vedono private delle proprie libertà.303 Soprattutto nei territori irredenti, le donne vengono sospettate di tradimento e spesso internate, sospese dai loro incarichi o allontanate in luoghi dove non possono fare propaganda antiaustriaca. Le donne, quindi, non vivono la prima guerra mondiale allo stesso modo, però possiamo dire che per la maggior parte di esse, questo periodo segna un cambiamento, perché vengono spinte nel mondo del lavoro, acquistando delle libertà che prima non erano loro concesse, abbandonando la tradizionale immagine di mogli e madri.

Nell’opera di Stuparich, l’immagine femminile che prevale è quella della madre, che attende disperata i suoi figli partiti per il fronte. L’identificazione della donna come madre è un motivo tipico della letteratura di guerra, testimoniato dall’iconografia dell’epoca, che rappresenta la donna, prevalentemente, come infermiera o dama di carità, intenta in attività di tipo assistenziale. La figura dell’infermiera viene infatti associata all’immagine materna, perché si occupa della cura e della consolazione del soldato, come fosse un figlio.304 L’assistenzialismo quindi favorisce l’esaltazione del ruolo materno della donna, attraverso delle mansioni o dei mestieri esclusivamente femminili, come le crocerossine, le quali intrecciano le competenze mediche e il sostegno umano dei pazienti: in molti casi, infatti, i soldati necessitano un’assistenza di tipo morale, una rassicurazione che solo la donna è in grado di conferire.305 Questo ruolo materno della donna, si concretizza non solo attraverso l’assistenza medica, ma anche in altre forme di altruismo, come il confezionamento di abiti o la gestione della corrispondenza tra i pazienti e le famiglie, per mezzo delle quali le donne soddisfano il proprio desiderio di protagonismo. Se la donna ricopre la figura materna, quasi angelica, consolatrice del corpo e dell’animo del soldato, quest’ultimo assume le sembianze di un bambino, bisognoso delle cure della donna, subendo una sorta di infantilizzazione, provocata dall’esperienza terribile della guerra.306

303

A. GIBELLI, La Grande Guerra degli italiani 1915-1918, cit., p. 187. 304

A. GUALTIERI, La Grande Guerra delle donne. Rose nella terra di nessuno, cit., p. 83. 305

ELENA DONI, Il bianco esercito in Donne nella Grande Guerra, cit., p. 44. 306

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