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La possibile contaminazione, da parte delle fumonisine, di alimenti di origine animale come latte, prodotti carnei e uova, non è da sottovalutare in virtù dell’ enorme diffusione e consumo di tali prodotti (Yiannikouris A. e Jouany J. P., 2002).

Per quanto riguarda la possibilità di carry-over nel LATTE, numerosi studi e ricerche sono stati condotti e in alcuni casi, pur se a livelli estremamente bassi, è stato possibile evidenziare dei residui di fumonisine.

Negli Stati Uniti, è stato condotto uno studio, aggiungendo mangime contenente fumonisine alla dieta somministrata per 14 giorni a due Jersey in lattazione, allo scopo di determinare se il contaminante venisse poi escreto con il latte. Il quantitativo di micotossine assunte quotidianamente con la dieta era circa 3 mg/kg b.w., ma, nonostante l’utilizzo di metodiche di laboratorio con sensibilità di 5 ppb, nessun campione di latte è risultato contaminato da fumonisine e gli animali non hanno manifestato particolari sintomi clinici (Richard J. L. et al., 1996).

In una ricerca condotta su 155 campioni di latte, Maragos C. M. e Richard J. L. (1994), hanno rilevato una concentrazione di FB1 > 5 ppb (ng/ml) solo in un caso.

Anche somministrando FB1 marcata in vacche da latte, attraverso la dieta (1 o 5 mg/kg

b.w.) e contemporaneamente per via endovenosa (0,05 o 0,2 mg/kg b.w.), i residui rilevati sono stati insignificanti (5-6 ng/ml) (EFSA, 2005).

Più recentemente, è stato studiato il carry-over nel latte bovino, iniettando 2 mg di fumonisina B1 in 3 quarti di mammella, per poi analizzare latte e siero a distanza di 150

minuti: il passaggio da sangue a latte è stato stimato nel range tra 0,001 e 0,004 % (Spotti M. et al., 2001).

I dati forniti dalle sperimentazioni effettuate sui bovini, vengono confermati da dati analoghi, ottenuti da ricerche svolte sui suini. Ad esempio, dopo 2 settimane di dieta contenente 100 mg FB1/kg, Becker B. e collaboratori non hanno rilevato la presenza di

fumonisina nel latte delle scrofe in concentrazioni superiori al limite di quantificazione della metodica impiegata che era di 30 ppb (Becker B. A. et al., 1995).

In uno studio più recente, effettuato in Ungheria, la tossina è stata invece rinvenuta nel latte di scrofe, a cui era stata somministrata quotidianamente una coltura fungina contenente dosi elevate di FB1 (100 mg/giorno per animale). La contaminazione del

latte in tale ricerca è risultata attorno ai 18,0-27,5 ng/g (ppb) (Fodor J. et al., 2006). Come già detto in precedenza, le fumonisine mostrano una certa sensibilità ai trattamenti termici effettuati sui cereali; allo scopo di valutare un’eventua le riduzione della contaminazione, a seguito di trattamenti termici del latte (pastorizzazione e sterilizzazione ), in uno studio sono stati confrontati i dati ottenuti, analizzando latte fortificato e conservato fino ad 11 giorni ad una temperatura di 4 °C e latte fortificato e riscaldato a 62 °C per 30 minuti, senza però rilevare nessuna variazione nel tenore di FB1 e FB2 (Maragos C. M. e Richard J. L., 1994).

Anche le ricerche più recenti, che sfruttano tecniche analitiche innovative e moderne, dalla elevata precisione e sensibilità, confermano che il latte bovino non sembra avere un ruolo rilevante come fonte di assunzione di fumonisine nell’uomo. È necessario tuttavia sottolineare che il latte costituisce un alimento di fondamentale importanza per i bambini, fascia di popolazione generalmente considerata più sensibile agli effetti tossici delle fumonisine. Inoltre, tutti gli studi di cui si è parlato sono stati condotti su animali con un buono stato di salute e una perfetta condizione fisiologica dell’organo emuntore mammario (Fink-Gremmels J., 2008). In condizioni di alterazione della barriera emato-

mammaria si assiste ad un’aumentata permeabilità e ad un maggior passaggio di tossine dal circolo sanguigno al secreto mammario. Non si può quindi escludere, che in particolari condizioni (somministrazione di alimenti zootecnici ad elevata contaminazione da fumonisine in concomitanza con un’alterazione dello stato di salute degli animali), si possano osservare nel latte, residui di fumonisina tali da poter costituire una fonte di rischio per l’uomo.

In un recente studio Coffey R. e collaboratori (2009) hanno utilizzato il metodo Monte Carlo, per trarre una stima della potenziale esposizione umana alle micotossine, a seguito del consumo di latte. Tale metodo statistico, tiene conto di svariate variabili (contaminazione degli alimenti zootecnici, esposizione dei bovini alle micotossine, entità del carry-over, consumo umano di latte) e delle probabilità connesse a tali variabili. Per quanto riguarda la fumonisina B1, l’utilizzo di tale metodo statistico ha

permesso di ottenere una stima della contaminazione media di tale micotossina nel latte e tale valore è di 0,36 µg/kg (Coffey R., 2009).

Il possibile carry-over di fumonisine nel latte potrebbe rappresentare un problema anche per il settore zootecnico: la somministrazione di latte contaminato a vitelli, suinetti ed altri giovani animali può portare a perdite economiche, per scarso incremento ponderale e comparsa di altri effetti negativi (Voss K. A., 2007).

Numerose ricerche sono state svolte al fine di investigare e quantificare il fenomeno del

carry-over nei PRODOTTI CARNEI. In uno stud io condotto, somministrando a maiali in accrescimento 100 mg di FB1 al giorno per 5 e 10 giorni, sono stati riscontrati residui di

fumonisina in vari tessuti organici. Le maggiori concentrazioni di micotossina sono state rinvenute in fegato (231 ng/g), reni (833 ng/g), polmoni (170 ng/g) e milza (854 ng/g), mentre i tessuti muscolari (26 ng/g) e adiposi (2 ng/g) non hanno evidenziato rilevanti contaminazioni da FB1 (Meyer K. et al., 2003).

Risultati simili sono stati ottenuti anche in ricerche eseguite successivamente (Fodor J.

et al., 2006; Fodor J. et al., 2008a; Fodor J. et al., 2008b). Questi lavori hanno infatti

confermato l’accumulo di FB1 in fegato, reni, polmoni e milza e hanno anche

evidenziato l’accumulo di FB2 nel fegato e nel tessuto adiposo (Fodor J. et al., 2006),

nonché la presenza in tali tessuti, dei metaboliti aminopentolo e FB1 parzialmente

La presenza di fumonisina B1 e del suo metabolita aminopentolo, in fegato di maiali

alimentati per sei settimane, con un mangime contenente 30 mg/kg, è stata evidenziata anche da Pagliuca G. e collaboratori (2005).

È stata inoltre evidenziata una correlazione tra la concentrazione di fumonisina B1,

accumulatasi nei tessuti ed organi animali, e la concentrazione di tossina presente nella razione alimentare quotidiana. All’aumentare della dose assunta con la dieta, il contenuto di FB1 in alcuni organi, aumenta con andamento esponenziale (rene e

muscolo) o lineare (fegato) (Fodor J. et al., 2008b).

Nonostante la maggior parte delle ricerche, svolte per approfondire il fenomeno di

carry-over nei prodotti carnei, siano state condotte sulla specie suina, in letteratura è

possibile trovare anche qualche dato relativo alla specie bovina. Si è visto, ad esempio, che nei bovini da carne si riscontra l’accumulo di fumonisina B1 nei tessuti, solo dopo

una prolungata e massiccia esposizione degli animali, a concentrazioni estremamente alte di tossina. Vitelloni alimentati per 30 giorni, con una dieta contenente mais contaminato con ben 400 µg/g (ppm) di FB1, all’esame post mortem hanno mostrato

accumulo di tossina in fegato, reni e muscolo (Smith J. S. e Thakur R. A., 1996).

Prendendo in considerazione il valore medio di FB1, trovato nei tessuti muscolari da

Meyer K. et al. (26 ng/g), e considerando che una bistecca di media proporzione pesa 200 g circa, con il consumo di una porzione di carne, si potrebbe arrivare ad assumere 5,2 µg di fumonisina. Considerando che il TDI per le fumonisine è di 2 µg/kg b.w., una porzione di carne contenente 5,2 µg di FB1 per un uomo di 70 kg verrebbe a

rappresentare il 3,1 % del valore di fumonisine totali previsto dal TDI (140 µg). È necessario sottolineare tuttavia, che nell’esperimento condotto da Meyer et al., gli animali sono stati esposti a concentrazioni elevatissime di fumonisina che hanno perturbato il normale stato fisiologico dell’animale. Alcuni animali sono morti prima della fine dell’esperimento e in tutti i casi, sono state riscontrate severe lesioni patologiche a carico dei polmoni, che avrebbero determinato l’esclusione dal consumo umano in una normale ispezione post mortem al macello (Meyer et al., 2003). Per poter calcolare un valore realistico di esposizione alle fumonisine, derivante dalla carne, sarebbe quindi necessario condurre delle ricerche, somministrando dosi inferiori di fumonisina, al di sotto dei livelli tossici per l’animale.

Il carry-over delle fumonisine è stato studiato anche nelle specie avicole, al fine di valutare l’eventuale permanenza di residui nelle UOVA. A seguito della

somministrazione intravenosa (2 mg/kg b.w.) o orale (2 mg/kg b.w.) di 14C-FB1 in

galline ovaiole, la maggior parte della tossina è stata rinvenuta negli escreti degli animali, mentre nei tessuti, è stata riscontrata una quota di accumulo decisamente modesta (< 10-15 ng/g), ad eccezione del fegato (530 ng/g) e dei reni (210 ng/g). Tutte le uova, deposte dalle galline nel corso di tale ricerca, sono state raccolte per poter analizzare albumi, tuorli e gusci. I livelli residui di fumonisina B1, in tutte queste

porzioni sono tuttavia risultati molto bassi (< 10-15 ng/g) (EFSA, 2005).

Alla luce dei dati sopra riportati si comprende come, l’avere a disposizione metodi analitici sempre più selettivi, sensibili e ad ampio spettro, consenta in primis di approfond ire il fenomeno del carry-over e di riflesso, consentirebbe di monitorare i rischi derivanti dalla contaminazione da fumonisine, nei prodotti di origine animale (Sørensen L. K. e Elbæk T. H., 2005).