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Fuori e dentro l’abbazia: il Cod VIII C 5 della Biblioteca Nazionale di Napoli.

Nel documento Montevergine: immagini su pergamena (pagine 106-122)

I manoscritti: analisi, ipotesi e problemi.

3.2 Fuori e dentro l’abbazia: il Cod VIII C 5 della Biblioteca Nazionale di Napoli.

La Biblioteca Nazionale di Napoli custodisce il manoscritto VIII C. 592. Si tratta di un codice contenente il martirologio di Usuardo anche se, in molti casi, segue più quello di Adone, scritto in beneventana di tipo cassinese e proveniente dalla chiesa di S. Maria de Plesco93, oggi nel comune di Casamarciano in provincia di Napoli.

90 Regula sanctissimi patris nostri Benedicti cit., p. 121.

91 S. Maruli, Historia sagra intitolata Mare Oceano di tutte le religioni del mondo, Messina, nella stamperia

di Pietro Brea 1613, II, pp. 365-399. Vicino alla descrizione del Maruli è anche quella del Gucci il quale aggiunge solo il dettaglio dell’uso di un cappello foderato di tela nera quando camminano per le città, cfr. G. Giucci, Iconografia storica degli ordini religiosi e cavallereschi, Roma, s.n. 1836-47, IX, p. 17 e tav. 393.

92 Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. VIII C. 5. Codice membranaceo redatto in scrittura beneventana, di

dimensioni 290x205 composto da cc. IV+128+III in 18 fascicoli. Il testo è disposto a piena pagina con un numero variabile di righi che oscilla tra i 17 e i 21, mentre nella parte in gotica tra i 27 e i 28. In realtà, il nucleo originale è formato dai ff. 5-128 in scrittura beneventana ai quali fu aggiunto una parte iniziale in gotica per colmarne le lacune. Le carte iniziali furono aggiunte successivamente, mentre la carta terza segnata con il numero romano I e la quarta numerata 2bis sono del tempo del Caracciolo, dunque risalgono al XVII secolo. Sulla descrizione completa del codice cfr. M. Giordano, Il martirologio della Biblioteca

Nazionale di Napoli, Cod. VIII. C. 5. Tesi di laurea Magistrale in Archeologia e Storia dell’arte, Seconda

Università degli Studi di Napoli, relatore F. Mottola – A. Perriccioli Saggese, a.a. 2013-2014, in particolare pp. 50-72, che ringrazio per avermi segnalato il manoscritto.

93 Il nome dell’insediamento nel tempo ha subito varie trasformazioni. Nel 1367 risulta intitolata a S. Maria

Annunziata del Plesco, mentre nel 1541 si specifica di Casamarciano. Dal 1611 acquisì il titolo di abbazia per volontà di papa Paolo V esercitando poteri giurisdizionali su tutto il territorio di Casamarciano. Dal 1657 al 1708 fu sede prediletta del noviziato di Montevergine per poi seguire il destino della maggior parte delle case religiose con l’avvento napoleonico. Fu dunque soppresso il 13 febbraio 1807 e le strutture destinate ad ospitare una Scuola di Arti e Mestieri. Il destino poi del complesso badiale e della chiesa subirono un destino diverso: la chiesa fu trasformata da don Ottavio de Stefano nella Congregazione della SS. Annunziata; il complesso, invece, fu comprato dal marchese Mastrilli e trasformato in residenza gentilizia acquistato poi dalla famiglia Mercogliano e pochi anni fa donato al comune di Casamarciano. Cfr. A. De Stefano, La badia verginiana e la parrocchia di Casamarciano. Ricerche storiche, Marigliano,

105 La chiesa di S. Maria, secondo quanto riportato da Giordano94 e dagli studiosi verginiani fino a tutto l’Ottocento, fu costruita su un territorio donato all’abbazia di Montevergine nel 1134 da Aimone de Argenzia, feudatario di Castelcicala, per intervento dello stesso Guglielmo. De Stefano, sacerdote e studioso nolano, invece, sulla fondazione di S. Maria scrisse che «nell’anno 1114 S. Guglielmo da Vercelli, ad istanza del barone normanno Aimo o Aimone de Argenzia…fondò presso Casamarciano un monastero e una chiesa, che dedicò alla santissima Madre di Dio»95 sottolineando, però, come tale documento fosse andato distrutto e solo leggibile nei registri di padre Iannuzzi che nell’XVIII secolo si occupò del riordino dell’archivio96. Dalle parole di De Stefano si

percepisce la volontà del sacerdote di collocare la fondazione della congregazione di Montevergine in prossimità di Nola e non sulle cime del Partenio dove solo successivamente fu spostata. Si deve, solo negli anni Settanta del XX secolo, a Tropeano e alla compilazione del Codice Diplomatico, un chiarimento sulla vicenda. La fondazione è, infatti, da collocare negli anni trenta del XII secolo e non prima come attesterebbe la

cartula offertionis che riporta la donazione del signor di Castelcicala alla badia97.

In realtà, il primo documento in cui viene menzionata la chiesa è datato 1158, in occasione della donazione alla dipendenza di S. Maria del Plesco di un terreno da parte

Tip. S. Vito 1914-1925, pp. 8-12; G. Mongelli, I monasteri e le chiese della congregazione virginiana, in “Revue bénédictine”, LXXXII 1972, pp.128-163; C. Salvati, Insediamenti verginiani nel napoletano, in La

società meridionale nelle pergamene di Montevergine cit., pp. 151-191:154-155 e P. D’Arcangelo, Ecclesia Sancte Marie cit., pp. 28-29.

94 G. G. Giordano, Vita beatissimi Patris Guilielmi cit., p. 458. 95 A. De Stefano, La badia verginiana cit., p. 8.

96 Si riferisce all’opera G. Iannuzzi, Registrum et epitome scripturarum que in pervetusto ac insigni archivio

sacri ac regalia archicenobi Montis Virginis asservantur, I-II, 1714-16, ms. inedito dell’AMV.

97 Codice Diplomatico verginiano cit., III, pp. 124-126, n. 227, marzo 1136. Nonostante la notizia riportata

dal Giordano fosse datata al 1134, Tropeano posticipò la data dell’atto perché Aimo compare solo nei documenti di poco anteriori o posteriori a questa data e dichiarò false le affermazioni del Giordano circa la fondazione del priorato.

106 di Roberto di Casamarciano98. In questa confusione, Tropeano chiarisce che la donazione del 1136 non fu effettuata nelle mani dello stesso Guglielmo, in quanto egli aveva già abbandonato il Partenio anni prima e che, dunque, la pergamena risulterebbe essere solo la prima testimonianza degli interessi fondiari di Montevergine presso Castelcicala. La formazione del priorato, quindi, è da ricondurre solo agli anni cinquanta del XII secolo, periodo in cui le donazioni si incrementarono99 fino a divenire il monastero più importante dopo Montevergine per tutta l’epoca sveva. Quello che emerge dalla lettura dei documenti, infatti, ha portato D’Arcangelo a definirla come una ‘piccola Montevergine’ dotata di un’articolata gerarchia interna, di un gran numero di religiosi e di un patrimonio diversificato ampliatosi nel corso del tempo grazie sia alle donazioni e alle vendite terriere, sia attraverso le rendite e i servigi offerti alla dipendenza da famiglie del luogo100.

Del manoscritto Neapol. VIII C 5 si ha memoria già nel XVII secolo. Nelle

Cronache, Giordano ricorda che anche «in un altro martirologio parimenti scritto in carta

pergamena di caratteri longobardi, che è stato dell’antichissima Chiesa di S. Maria del Plesco in Puglia ed ora si conserva nella predetta libreria dei padri Teatini»101 è presente la festività di S. Giovanni da Matera. Annotazione che, nonostante la collocazione sbagliata della chiesa, testimonia l’avvenuto spostamento del manoscritto presso la

98 Codice Diplomatico verginiano cit., IV, pp. 280-282, n. 373. Anche questo documento generò dubbi

nel Tropeano a causa della discordanza tra il 1157 che compare sulla carta, l’indizione settima e la ripetizione del signum tabellionis che compare a inizio e fine atto.

99 Codice Diplomatico verginiano cit., VII, pp. XXVIII-XXIX. In realtà, se il documento sopracitato si

ritiene un falso, la prima testimonianza in cui compare Santa Maria del Plesco risale al 1165 ed è solo nel 1176 che emerge il primo priore Perfetto, Ivi, V, p. 80, n. 451 e Ivi, VI, pp. 365-367, n. 598.

100 P. D’Arcangelo, Ecclesia Sancte Marie cit., p. 28. Proprio da S. Maria de Plesco proviene il decano che

firma lo statuto dell’abate Donato (vedi capitolo 4) e nei documenti è possibile scorgere l’articolazione delle cariche e i frequenti lasciati. Cfr. G. Mongelli, L’archivio storico dell’abbazia benedettina di

Montevergine. Inventario. II. cit., p. 74 e Idem, I monasteri e le chiese cit., pp. 140-141.

107 biblioteca dei padri Teatini in seguito all’acquisto da parte del liturgista Antonio Caracciolo102.

Nel Novecento, il primo ad interessarsi al manoscritto fu Quentin che lo definì come Martyrologium Beneventanum103, mentre era sfuggito a Loew che non lo inserì nella stesura del suo primo lavoro del 1914; solo successivamente fu descritto come martirologio di S. Maria del Plesco datato alla seconda metà del XII104. Dopo vari decenni

di silenzio, il codice è stato oggetto, alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, degli studi di Giobbe Ruocco. Interessato principalmente alla storia di Capri, egli riscontrò all’interno del codice la presenza del santo patrono dell’isola Costantino I, ricordato sia il 29 maggio che il 15 settembre. Il manoscritto diventa per lui testimonianza importante della grande diffusione del culto nella regione105. A tornare a riflettere sul manoscritto fu

Guerrieri che scrisse: «il primo (manoscritto VIII C. 5) è il martirologio di Santa Maria del Plesco, abbazia esistente fin dall’884 presso Nola, pertinente a Montevergine e

102 Il manoscritto, oggetto di studio da parte del Caracciolo, è menzionato nella prefazione dell’opera

postuma De Sanctis Regni Neapoletani, opusculum ex MM.SS. Martyrologiis Pulsanensis Ecclesiae et

Pleschiensis in regno Neapolitano litteris longobardicis exarati, conservato nell’archivio dei teatini e

Napoli e citato anche da F. D’Antonio Vezzosi, I Scrittori de’ chierici detti teatini, Roma, Nella stamperia

della sagra congregazione 1780, p. 174. Il padre teatino lasciò alcune annotazioni marginali lungo le carte

del manoscritto con indicazioni inerenti il luogo in cui sorgeva S. Maria del Plesco con chiari riferimenti all’area nolana, come ad esempio la presenza di santi locali. Elementi che trovano confronto anche con la lettura del Partium Summarie in cui è detto chiaramente: Venerabilis monasterii Sancte Marie de Plesco

civitatis nole. Magnifici nobilesque viri per parte del venerabile monasterio et monaci Santa Maria de Plesco de casa Marciano de Nola del ordine di Monte Vergine (Archivio di Stato di Napoli, vol. 573, f.

21), si veda G. Ruocco, S. Maria de Plesco nel Martirologio beneventano, in “Samnium”, II/III 1928, pp. 5-27:24.

103 H. Quentin, Les martyrologes historiques du Moyen Âge: etude sur la formation du martyrologe romain, Paris, Lecoffre 1908, p. 691.

104 Compare in E. A. Loew, A new list of beneventan manuscripts cit., p. 227 e quindi in Idem, The

Beneventan script cit., p. 104 e quindi citato anche in V. Brown, Flores Psalmorum and Orationes psalmodicae in Beneventan Script, in Terra sancti Benedicti cit., pp. 546-607, già in “Medieval Studies”,

LI 1989, pp. 424-466 e in Eadem, A New Beneventan Calendar from Naples: the Lost 'Kalendarium

Tutinianum' Rediscovered, in Terra sancti Benedicti cit., pp. 275-360 già in “Medieval Studies”, XLVI

1984, pp. 385-449 in cui è confermata la datazione alla seconda metà del XII secolo e l’ attribuzione all’area nolana.

105 San Costantino era patriarca di Costantinopoli e morì in terra italica dove trovò rifugio durante le

persecuzioni bizantine. È presente nell’officiatura di Benevento, Montevergine, Capri e Massalubrense, cfr. G. Ruocco, S. Maria de Plesco cit., p. 12.

108 dipendente da Santa Sofia di Benevento. È un martirologio di Usuardo. Fu scritto nel 1197 o poco dopo. Fu comprato nel 1617 dal P. Antonio Caracciolo per 8 carlini e venne così salvato a propolae manibus qui iam dissuere et lacere coeperat. È ricchissimo di note e offre molte possibilità di studio»106, annotazioni in parte errate rimaste senza nessun seguito.

Dunque, se era finora quasi del tutto sfuggito all’attenzione degli studiosi, solo recentemente il codice è stato oggetto di un’analisi dettagliata da parte di Giordano107. Dopo aver delineato un quadro completo inerente le vicende storiche del monastero, la studiosa si concentra sulla descrizione codicologica e paleografica del manoscritto, riservando, invece, uno posto marginale all’analisi dell’apparato decorativo108.

Mutilo in principio e fine, il manoscritto fu in parte completato grazie all’aggiunta di quattro fogli in scrittura gotica, probabilmente inseriti quando era in possesso del Caracciolo109. A f. 2v, infatti, è possibile leggere Desunt duo paginae quas supplivimus ex martyrologio Beneventano prout sequitur, mentre al foglio successivo ex maryrologio Beneventano quod Chioccarellus habet (f. 4v), la prova probabilmente che

106 G. Guerrieri, La scrittura beneventana tra le scritture nazionali, Napoli, Archivio di Stato s.d., p. 25.

Alcune delle indicazioni riportare dalla Guerrieri sono state ricavate dalla studiosa dalle annotazioni che lo stesso Caracciolo fece a margine della c. 1r. Ad esempio, si può leggere: Emptum autem est a me Neapoli

octo carolenis, sive potius e propalae manibus qui jam dissueri et lacerari coeperat redemptus, anno domini 1617 che ricorda l’anno del suo acquisto, ma al contrario non tiene conto dell’annotazione del

Caracciolo riguardo l’anno di produzione. A tal proposito il teatino afferma: Scriptum est hoc martyrologio

ante annum Christi 1149 ut constat ex nota martyrologii ad IX Kal. Marci e Immo quoad scriptum illud de Obitu Rogerii Regis est longe recentius scriptura istius Martyrologii necessario dicendum est. Istud martyrologium est valde antiquum et ante annum 1000 fuisse exaratum quod universe docet Aug. Eugab. lib. I de charactere longobardico, che fanno riferimento all’annotazione presente all’VIII Kal. di marzo

aggiunta al codice in un momento successivo, creando anche qualche problema circa la datazione del manoscritto per i riferimenti storici che contiene, si veda M. Giordano, Il martirologio della Biblioteca

Nazionale di Napoli cit., p. 83.

107 M. Giordano, Il martirologio della Biblioteca Nazionale di Napoli cit. 108 A tal proposito, segnalo che è in corso uno studio della dott.ssa Giordano. 109 Ivi, in particolar modo pp. 65-72.

109 il Caracciolo possedesse un esemplare per il completamento del martirologio110. La storia, molto travagliata del manoscritto, è caratterizzata da numerose perdite, ma anche dalla presenza di più mani e di molteplici aggiunte, segno di un continuo utilizzo del manoscritto nel corso del tempo111. Sono proprio le aggiunte che hanno portato a considerare il manoscritto proveniente da S. Maria del Plesco e legato alla congregazione verginiana. A f. 77r, infatti, una mano, identificata da Giordano ‘A’, inserisce al giorno 23 luglio Eodem die dedicatio hujus Ecclesiae Sanctae Mariae de Plesco112. Alla stessa,

che si occupa anche della copia del corpo del testo, come è emerso dalla costatazione «dell’uso del medesimo inchiostro, dalla particolarità delle sillabe e delle parole simili al resto del manoscritto»113, si deve anche l’aggiunta in corrispondenza delle II Idus Mai, a f. 50v, di Beneventi Sancti Costantii episcopi, patriarca di Costantinopoli e patrono di Capri. La cosiddetta mano ‘L’, che scrive in una beneventana cassinese di modulo ridotto, inoltre, verga in inchiostro rosso a f. 113v la nota: «In monasterio montis virginis sancti modesti levite et martyris», prova dei contatti con la casa madre di cui è ricordata la

dedicatio, soprascritta a rasatura, al III idus di novembre a f. 128r114. Si tratta di una testimonianza importante dell’aggiornamento del codice al momento della consacrazione della rinnovata chiesa di Montevergine nel 1182115 e di un’ulteriore conferma della

110 Ivi, p. 52. Altre assenze sono i giorni V Kal. Sept. e XV Kal. Sept che furono colmati grazie alla

trascrizione dei santi da commemorare sul foglio precedente o successivo. Tra le annotazioni del Caracciolo è anche possibile leggere: Contuli cum Ms. Martyrologio Monialium S. Petri Beneventi et cum illo

concordat, cfr. G. Ruocco, S. Maria de Plesco cit., p. 20.

111 Le aggiunte possono ancora suddividersi in tre gruppi: un primo gruppo costituito dalle aggiunte dello

scriba originario del codice datate alla metà del XII secolo; un secondo gruppo formato da note lasciate da mani diverse e da un’annotazione in gotica databile dopo i primi decenni del Duecento; un terzo gruppo caratterizzato da tutte le tracce grafiche lasciate dal Caracciolo nel XVII secolo, cfr. M. Giordano, Il

martirologio della Biblioteca Nazionale di Napoli cit., pp. 81-90.

112 Giorno in cui è venerato S. Eustasio, venerato nell’area napoletana, ivi, p. 81. 113 Ivi, p. 82.

114 Ivi, p. 86.

115 La notizia della consacratio sanctissimi monasterii montis virginis, avvenuta l’11 novembre, in die

sancti Martini, del 1182, è ricavabile dalla trascrizione riportata attualmente sul f. 36 del ms. 20 contenente

un Rituale e datato tra XV e XVI secolo. Precedentemente, questo manoscritto, costituiva, insieme agli attuali mss. 18, 19 e 21: Martirologium secundum usum cenobii montisvirginis, Regula Sancti Benedicti,

110 collocazione cronologica del manoscritto, figurandosi come data ante quem per la sua realizzazione. Elementi concordanti siacon lo sviluppo della dipendenza verginiana di S. Maria del Plesco nella metà del secolo, sia con l’analisi delle caratteristiche morfologiche del tipo di beneventana utilizzata che, per il livello di canonizzazione raggiunto, porta a collocare il codice nella fase matura della scrittura, precisamente al XII secolo.

Il manoscritto è decorato con lettere iniziali ‘K’ che cadenzano il susseguirsi dei mesi in numero di dieci essendo il manoscritto mutilo in principio e fine (ff. 9v, 20r, 31v, 44r, 58r, 68v, 88v, 99r, 113r, 124v). Solo Ruocco accenna alla loro presenza, esprimendosi in questi termini: «porta ornate le lettere C delle singole calende mensili, che sono differenti l’una dall’altra. Non hanno esse però alcun valore artistico»116.

Necrologium verginianum, un unico volume successivamente separati e rilegati separatamente. Il

documento, pervenuto in una trascrizione informe, è una testimonianza importante in cui vengono menzionati tutti i partecipanti alla celebrazione solenne, arcivescovi, vescovi e abbati, oltre che a fornire una dettagliata descrizione dei quattro altari della nuova chiesa con le reliquie in essi contenute. Il testo non è stato mai trascritto integralmente ma variamente riportato dagli cronisti verginiani (F. Renda, Vita et obitu

sancti confessoris cit., ff. 11-13; M. De Masellis, Iconologia della madre di Dio cit., pp. 262-267; A.

Mastrullo,Monte Vergine Sagro cit., pp. 16-18) e solo dal Mongelli in maniera più fedele, ma non integrale,

in nota nel primo volume del Regesto, cfr. G. Mongelli, Abbazia di Montevergine. Il regesto cit., I, p. 193 nota 1. È da sottolineare, però, che questo folio non appartiene al fascicolo precedente, ma è la prima carta del nuovo fascicolo e quindi la prima carta del Necrologium in quanto, inoltre, la forma absolutionis comincia a f. 36v ma continua a f. 1r del ms. 21. Per la descrizione del codice si veda G. Mongelli, I codici

dell’abbazia cit., pp. 49-53. Sull’abbaziato di Giovanni I (1172-1191), tempo in cui avvenne la

consacrazione, si veda G. Mongelli, Storia di Montevergine cit., I, pp. 108-116. Sulla struttura della chiesa alla fine del XII secolo restano ancora ipotesi e dubbi, probabilmente la pianta doveva configurarsi sviluppata in tre navate e costruita al di sopra della precedente chiesa consacrata al tempo di Guglielmo nel 1124 (nei documenti datati 1125 il monastero compare infatti già costruito e indicato con l’espressione

quod constructu est in monte quod virgine vocatur, mentre nel maggio 1126 è documentata l’esenzione

completa del monastero dal potere vescovile, con solo pochi obblighi, parte del vescovo di Avellino Giovanni, cfr. G. Mongelli, Abbazia di Montevergine. Il regesto cit., I, pp. 58-62) presentandosi così come una struttura su due livelli, cfr. Codice diplomatico verginiano cit., VIII, pp. XIX-XX. A questo periodo vengono anche datati i due capitelli a stampella attualmente conservati nel Museo abbaziale di Montevergine, unica testimonianza di un chiostro annesso alla chiesa, cfr. G. Muollo, Scheda 4. Capitelli

a stampella, in Capolavori della terra di mezzo cit., pp. 63-64; F. Gandolfo-G. Muollo, Arte Medievale in Irpinia cit., pp. 116-129 e G. Muollo, Scheda 5. Lapicidi campani, in Il Museo abbaziale di Montevergine

cit., pp. 41-43. Per una ricostruzione delle vicende architettoniche della struttura si veda anche E. Mollica,

La basilica antica dell’abbazia di Montevergine attraverso le testimonianze e le trasformazioni storiche,

in “Green Parco del Partenio”, I 2015, pp. 66-109 con la bibliografia completa.

111 Il repertorio ornamentale è ricco sia di vocaboli vegetali che zoomorfi. Nonostante la ripresa di elementi inaugurati nell’XI secolo, visibili ad esempio nel Vat. lat. 4958117, con cui condivide una comune strutturazione delle iniziali realizzate da racemi a terminazioni fogliacee, il manoscritto napoletano propone soluzioni che si avvicinano maggiormente ai risultati del secolo successivo. Di fine XI secolo è anche il manoscritto Vat. lat. 3340118. Attribuito all’area tirrenica, a Napoli o a Salerno119, il manoscritto è soprattutto noto per i numerosi disegni, di un secolo posteriori, che corrono lungo tutti i margini e che illustrano in maniera sempre innovativa scene di combattimento120. Il testo,

invece, è scandito da «large fine pen drawn capitals with foliate decoration and very large capitals decoreted with heavy interlance, dragon and other animal head and foliate elements»121, delineate ad inchiostro e solo alcune tinteggiate in rosso o rosa.

117 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 4958. Sul manoscritto si veda la scheda 11

della seconda parte di questo lavoro, in cui è riportata la bibliografia e alcune riproduzioni.

118 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3340.

119 C. Bertelli, L’illustrazione dei testi nell’area beneventano-cassinese, in La cultura antica nell’Occidente

latino dal VII al XI secolo. Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 18-

24 aprile 1974, Spoleto, CISAM 1975, pp. 899-926:920. Cavallo, invece, ritiene come area di produzione Benevento, mentre Pace lo attribuisce al Meridione genericamente, cfr. P. Piacentini, Orosio, Historiae

adversus paganos, in Vedere i classici. L'illustrazione libraria dei testi antichi dall'età romana al tardo medioevo. Catalogo della mostra. Salone Sistino - Musei Vaticani, 19 ottobre 1996 -19 aprile 1997, a cura

di M. Buonocore, Roma, Palombi – Rose 1996, pp. 210-214 con tutti i riferimenti bibliografici.

Nel documento Montevergine: immagini su pergamena (pagine 106-122)