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Le relazioni tra gli scriptoria verginiani: la diffusione dell’immagine di S Guglielmo.

Nel documento Montevergine: immagini su pergamena (pagine 93-106)

I manoscritti: analisi, ipotesi e problemi.

3.1 I manoscritti e i frammenti conservati nella Biblioteca di Montevergine e nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

3.1.1 Le relazioni tra gli scriptoria verginiani: la diffusione dell’immagine di S Guglielmo.

Un’ulteriore conferma dell’appartenenza all’ambiente goletano del manoscritto in beneventana, è la diffusione dell’immagine di S. Guglielmo. Il santo appare ben tre volte nel manoscritto composito che narra della sua vita e dei miracoli: a f. 1r del manoscritto in scrittura beneventana e ai ff. 66r e 66v in quello in gotica44. In tutti e tre i casi, è rappresentato scalzo con tonaca rossa, scapolare e cappuccio a punta verde mentre si appoggia al bordone con la sinistra. Dunque, è riproposta nel manoscritto beneventano la stessa tipologia presente nel manoscritto in caratteri gotici, di sicura assegnazione goletana. A Montevergine, inoltre, la presenza, anzi l’assenza del santo fondatore, una

41 F. Panarelli, Scrittura agiografica cit., p. XI. Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento

nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 60v.

42 Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 59r. 43 Ivi, f. 64r: «Dum sancti viri corporis dissolucionem imminere, eo predicente, Christi virgines accipiunt,

intimo cordis dolore persulse, uberioribus lacrimis miserabiliter pudibunda ora perfundunt. v) Paterne pietatis visceribus earum nequiens audire lamenta, valefaciens ab eis discessit. Uberioribus»

44 Per la descrizione completa delle immagini e per le riproduzioni si veda la scheda 1 nella seconda parte

92 volta lasciato il Partenio per dirigersi verso altri luoghi, non garantisce il consolidarsi di un’immagine specifica.

Ma quale era l’abito indossato dalla primitiva comunità monastica? Purtroppo non è rimasta alcuna testimonianza testuale45 e solo un’antica e costante tradizione46 ha specificato che si trattava di un abito bianco, come bianco era anche l’abito indossato da S. Giovanni da Matera47. Gli unici elementi attraverso i quali è possibile ricostruire

l’iconografia del santo sono le rare testimonianze figurative.

Il particolare abbigliamento è stato per la prima volta interpretato da padre Tropeano come la manifestazione del suo status di penitente pubblico, confermato sia dal bastone ricurvo48 sia dalla croce rossa segnata sulla veste49.

Padre Mongelli ha spiegato la scelta di questi colori dal punto di vista meramente funzionale. Egli crede che l’uso del rosso e del verde sia un modo per fissare il contrasto

45 Sull’importanza dell’abito monastico si veda G. Constable, The reformation of the twelfth century,

Cambridge, University press 1996, in particolare pp. 188-196.

46 Si veda, ad esempio, quanto detto dal Giordano: «detto habito (in riferimento al passo della Legenda della

presa da parte di Guglielmo del sacro abito) consisteva, come anco si vede al presente, non solo in una tonica, ma nel cappuccio, e scapolare particolarmente, introdotto e usato secondo l’antica tradizione di quei Religiosi, e Monaci antichi in disprezzo di loro medesimi, e del mondo per imitare Christo, che disprezzato da Herode fu vestito di una veste bianca…Aggiungo che non si legge, né v’è traditione alcuna, che il Santo havesse mai pigliato, o mutato habito, forma, o colore di quello che pigliò; e si vestì, quando partì da casa sua giovinetto, e sotto il medesimo di poi fondò la sua Religione, monastico e bianco» cfr. G. G. Giordano,

Croniche di Montevergine: nelle quali si tratta delle cose più notabili occorse in detto Monte ... e della vita e miracoli del padre san Guglielmo da Vercelli ... e di tutti gl'altri santi e abbati suoi successori fin'a questi nostri tempi ..., Napoli, per Camillo Cavallo 1649, p. 275. L’abate, a conferma di quanto detto,

menziona come sicura testimonianza la presenza di S. Guglielmo ai piedi della tavola raffigurante la Vergine che da lui prende il nome.

47 L. Mattei-Cerasoli, La Congregazione Benedettina degli eremiti pulsanesi, Bagnacavallo, Società

Tipografica editrice 1938, p. 14.

48 Le altre insegna del viaggio sono il bastone e la bisaccia come si può dedurre dal Liber (I, XVII) in cui è

esplicitamente affermato che: «Accipe hunc baculum sustentacionem itineris ac laboris ad viam

peregrinacionis tue ut devincere valeas omnes caternas inmici e pervenire securus ad limina sancti Iacobi», Il Codice callistino: prima edizione italiana cit., p. 219. Cfr. anche E. R. Labande, Pèlerinage et pèlrins dans l’Europe des XIe et XIIe siècles, p. 15. Cfr. anche J. M. Lacarra, Espiritualidad del culto y de la peregrinacion a Santiago antes de la primiera Cruzada, in Pellegrinaggi e culto dei santi in Europa fino alla prima Crociata. Atti del IV convegno del centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi, 8-11 ottobre

1961, a cura di A. M. Nada Patrone, Todi, Accademia Tudertina 1963, pp. 115-144.

93 tra la tonaca e lo scapolare, pur essendo consapevole che bisogna avanzare con cautela nell’interpretazione dei colori «nelle antiche raffigurazioni artistiche, specialmente quando ragioni di arte potevano suggerire delle soluzioni che oggi difficilmente potremmo approvare senza riserve»50. Tuttavia, egli ipotizza che siccome tra il Goleto e l’incoronata di Foggia vi furono legami molto stretti e che quest’ultima verso il 1225 passò ai cistercensi51, probabilmente si è voluto lasciare una traccia di questi nel codice, traducendo il nero dello scapolare e del cappuccio con il color verde e contrapponendovi il rosso; ipotesi su cui comunque non insiste e che lascia aperta a discussione52.

Quello che si apprende dal testo della Legenda è che Guglielmo, giunto all’età di quattordici anni, habitum sacre religionis assumpsit53, evento che nella tradizione storiografica è stato interpretato come la prova dell’appartenenza del santo all’ordo

monasticum fin dal principio54. Solo l’analisi attenta di Andenna ha fatto luce sul vero

significato del termine religio, grazie alle considerazioni del Meersseman, segnalandone l’uso anche per definire esperienze spirituali di tipo penitenziale55. Continuando la lettura

della vita si viene a conoscenza che, abbandonata la città di Vercelli, una contentus

clamide, nudis etiam pedibus56 si recò in pellegrinaggio a san Giacomo di Compostella57, spinto dal desiderio ardente di visitare le reliquie di coloro ad perpetue felicitatis gloriam

50 G. Mongelli, La baronia di Mercogliano cit., p. 16.

51 M. Di Gioia, Foggia IV: Monastères et convents, in Dictionnaire d'histoire et de géographie

ecclésiastiques, Paris, Letouzey et Ané 1971, XVII, coll. 701-713: 712.

52 Ivi, p. 33, nota 53.

53 Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 4r. 54 Sulla questione già si è parlato nel 2 capitolo.

55 Cfr. G. Andenna, Guglielmo da Vercelli cit. e G. G. Meersseman, I penitenti nei secoli XI e XII cit. Sul

termine religiosus si veda anche R. Grégoire, Religiosus. Etude sur le vocabulaire de la vie religieuse, in “Studi Medievali”, X/2 1969, pp. 415-430.

56 Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 4r. 57 Sul pellegrinaggio a Compostela si veda: Las peregrinaciones a Santiago de Compostela, por L. Vàzquez

De Praga, J. M. Lacarra, J. Urìa Riu, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas 1948-1949, voll. 3.

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perfuendam58. Ospitato presso la casa di un fabbro59, si nutrì di solo pane ed acqua, dormì sulla nuda terra mantenendo, ut monachus, il silenzio durante le ore notturne60. Prima di riprendere il viaggio, si fa cingere, infine, con due cerchi di ferro l’addome e il ventre61.

Il santo, quindi, è avvicinabile a quella catégorie spéciale parmi les pèlerinages62 che sono i pellegrini penitenti. Essi camminano senza vestiti e senza calzature (nudi homines,

nudis pedibus) con il torso, le braccia e le gambe incatenate tanto che l’espressione nudi homines cum ferro sembra divenire il termine tecnico per designare i pellegrini

58 Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 4r. Ancora

sull’ardente desiderio di volgersi alle cose celesti si legga quanto affermato a f. 3v: «assidue volvebat in

animo qualiter, patria suisque omnibus derelictis, ad Dei servitium liberius convolaret».

59 Era pratica diffusa accogliere il pellegrino nelle proprie abitazioni come un fratello gratuitamente, cfr. G.

Cherubini, Pellegrini, pellegrinaggi, giubileo nel Medioevo, Napoli, Liquori 2005, p.29.

60Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 4v. Cfr. E.

R. Labande, Pèlerinage et pèlrins dans l’Europe des XIe et XIIe siècles, in Pèlerins et chemins de Saint-

Jacques en France et en Europe du Xe siècle à nos jours, edit. par R. de La Coste-Messelière, Paris,

Archives nationales 1965, pp. 9-20:6. Per avvicinarsi ancor di più all’ideale di solitudine, rispettava il silenzio, ogni giorno secondo la compieta secondo l’uso claustrale anche se si trattava di secolari.

61 Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 7r: «Duos

ergo michi circulos ferreos ad hunc modum facias, ut eorum unus ventrem, pectus alter circundet, a quorum inferiori brachia duo ferrea porrigantu, unum a dextro latere alterum a sinistro. Que per humeros ad alteram inferioris circuli partem pervenientia, utrimque predictis circulis fortiter clavis colligentur».

62 C. Vogel, Le pèlerinage pénitentiel, in Pellegrinaggi e culto dei santi cit., pp. 37-94:39. Lo studioso fa

una lunga disamina sulla pellegrinazione penitenziale, le diverse forme in cui si presenta nel corso del medioevo divenendo a partire dal XII secolo un processo specifico sotto il nome di paenitentia publica non

solemnis. Cfr. anche G. Cherubini, Pellegrini, pellegrinaggi cit. Anche nella Legenda è detto «faceret iter

peregrinantium more», Montevergine, Biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Montevergine, ms. 1, f. 4r.

95 penitenti63. Proprio nel Liber Sancti Iacobi64, nel libro I, XVII si legge che: «Alii nudis pedibus, alii sine proprio, alii causa penitentiae liguati ferro»65.

Successivamente, giunto in Italia e ormai abbandonato il desiderio di attraversare il Mediterraneo per raggiungere la Terra Santa, prima di incamminarsi sul Partenio decide di recarsi a Salerno sperando di trovare, in sostituzione dei cerchi continuamente soggetti a lacerazione66, una corazza di ferro che non avrebbe mai più deposto. Quindi, come un

vero e proprio soldato del Signore, si fa cingere la testa con un elmo quod vulgo cophia

dicitur. Ulteriori riferimenti si incontrano nel capitolo XXI della Legenda, riportato solo

nell’unità codicologica in scrittura gotica, in cui è detto che exuens se, quo indutus erat,

scapularem, dedit eum uni discipulorum suorum67, unica descrizione che sembra riflettere un abbigliamento di tipo monastico.

63 Ivi, p. 62, note 49-50. In esse l’autore riporta esempi tratti dagli scritti di Gregorio di Tours e

dall’Admonitio generalis di Carlo Magno.

64 Santiago de Compostela, archivio della cattedrale, ms. 1. Il liber Sancti Jacobi, conosciuto anche come

Codex calixtinus per l’epistola attribuita a papa Callisto II che lo introduce, o come Códice compostelano

per essere l’esemplare più completo e più noto presente nell’archivio cattedralizio di Santiago, fu elaborato in un periodo compreso tra il 1139 e il 1173 ed è composto di 5 libri: una raccolta di testi liturgici di varia provenienza e il sermone attribuito a papa Callisto, noto come Veneranda dies, vera e propria esaltazione del pellegrinaggio compostellano; racconto di ventidue miracoli ottenuti per intercessione di san Giacomo; testi di varia provenienza con lo scopo di glorificare la chiesa compostellana tra cui la traslazione delle spoglie dell’apostolo in Galizia; la Historia Turpini (leggende carolingie connesse al culto attribuite a Turpinio arcivescovo di Reims); la Guida del pellegrino divisa in undici capitoli. La prima edizione del testo compostellano è curata da W. M. Whitehill, Liber Sancti Jacobi. Codex Calixtinus, Santiago de Compostella, Edicion preparada por El Seminario de Estudios Gallegos 1944, voll. 3. Per questo lavoro ho consultato Il Codice callistino: prima edizione italiana integrale del Liber Sancti Jacobi-Codex calixtinus

(sec. XII), trad. a cura di V. M. Berardi, Perugia, Edizioni Compostellane 2008. Sul codice cfr. anche: Guida del pellegrino di Santiago: libro quinto del Codex Calixtinus secolo XII, a cura di P. Caucci von Saucken,

Milano, Jaca Book 2010 e K. Herbers, Il Codex Calixtinus: Il libro della chiesa compostellana, in

Compostela e l’Europa. La storia di Diego Gelmírez. Catalogo della mostra organizzata dalla S. A. de

Xestión don Plan Xacobeo, Parigi, Cité de l’architecture et du patrimoine 16 marzo-16 maggio 2010, Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno 3 giugno-1 agosto 2010, Santiago de Compostela, Monastero di San Martiño Pinario 15 agosto-15 ottobre 2010, a cura di M. Castiñeiras, Milano, Skira 2010, pp. 122-141.

65 Il Codice callistino: prima edizione italiana cit., p. 215: «Si dirigono lì, inoltre, poveri, ricchi briganti,

nobili e plebei, governatori, ciechi, storpi, aristocratici, uomini noti e illustri, personaggi autorevoli, vescovi, abati, alcuni a piedi nudi, altri senza mezzi, altri ancora appesantiti dalle catene di ferro per scontare una penitenza».

66 Il Vogel afferma che «suivant la croyance des contemporains, les chaines se detachaient d’elle-memes

quand Dieu jugeait suffisant l’expiation». C. Vogel, Le pèlerinage pénitentiel cit., p. 63.

96 Se i codici accorpati nel ms. 1 furono eseguiti al S. Salvatore del Goleto, questa asserzione è ancor più rafforzata dalla lastra di marmo sepolcrale della metà del XIII secolo (Fig. 1), raffigurante il santo vercellese con cappuccio in testa, tonaca e scapolare che ripropone lo stesso schema iconografico delle miniature. La lastra, trafugata negli anni Novanta del secolo scorso, era precedentemente collocata sul lato destro dell’altare al di sotto dell’edicola che racchiudeva il sepolcro del santo68. Fu attribuita al maestro Urso69, che hoc opus eximium laboravit/ istud suis digitis artifex paravit70, come era possibile leggere nell’iscrizione andata perduta che si disponeva sulla tomba71 e in cui è

68 G. G. Giordano, Croniche di Montevergine cit., pp. 543-545: «Cappella...in forma di cupoletta à man

sinistra dell’altare maggiore co colonne di pietra lavorate, capitelli e statuette intagliate all’antica molto belle con la statua di S. Guglielmo sopra e quella di Agnese badessa che la fece fare, e sotto detta cupoletta fu fatto un altare tutto di pietra intagliato dentro il quale fu collocato il suo Sacratissimo corpo…si conferma ancora da quel che si vede fino al presente nella facciata della parte destra dell’altare…sta anco scolpita l’effigie di S. Guglielmo disteso morto con le mani piegate in croce avanti il petto…Et a man sinistra sta scolpito un vescovo in habito Pontificale in piedi col pastorale nella sua man sinistra, e con la destra alzata in atto di benedire, e intorno quattro altri vestiti pontificalmente, e con i pastorali in mano, e uno con il turibolo per incensare».

69 Ad Urso sono attribuite anche altre opere: la fontana nel cortile del monastero di S. Scolastica di Bari

dove si legge URSUS LABORATOR HUIUS FONTIS, il portale della cattedrale di Melfi e il sarcofago di s. Erberto a Conza della Campania. Inoltre Gandolfo-Muollo ipotizzano un’origine pugliese dello scultore, precisamente di Canosa, se è lo stesso il cui nome compariva sul portale della chiesa di San Paolo a Gaudiano in Basilicata. Cfr. G. Mongelli, Storia del Goleto cit., p. 56, n. 36; F. Gandolfo-G. Muollo, Arte

Medievale in Irpinia cit., p. 135. Sulla disposizione nel complesso del Goleto del sarcofago e sulla

ricollocazione del corpo dopo il 1647 si veda F. Barra, L’abbazia del Goleto cit., p. 17, n. 17 e A. Colantuono, I resti della tomba di S. Guglielmo al Goleto (XII sec.), in “Civiltà Altirpinia” III 1992, pp. 5- 12.

70 L’iscrizione, composta di 16 versi leonini, è giunta solo attraverso le trascrizioni degli storici, per di più

con alcune varianti essendo il monumento andato perduto. Il testo recitava: «CLAUDITUR HOC OPERE HOMO SANCTITATIS/ PER QUEM CHRISTO REDOLENT FLORES HONESTATIS. /IS IN TERRIS EXTITIT CULTOR TRINITATIS. /ET AMICUS UNICAE VERAE DEITATIS. /COENOBITA REGULUS GUILIELMUS EST VOCATUS. /MODO QUI CUM SUPERIS GAUDET LAUREATUS. / CARNEM INOPS DOMUIT GRATIA DIDATUS. /NUNC AETERNIS EPULIS CONSTAT INVITATUS. /AUXIT HANC BASILICAM AGNES ABBATISSA. /HUIC SACRUM TUMULO CORPUS LOCATT IPSA. / HIC LAUDES, OFFICIA REDDUNTUR ET MISSA. /NOS DEUS AD PRAEMIA DUCAT REPROMISSA. /HOC OPUS EXIMIUM URSUS LABORAVIT. /ISTUD SUIS DIGITIS ARTIFEX PARAVIT. /HUIUS LOCI POPULUM ILLE QUI CREAVIT. /SUIS DUCAT MERITIS, EUM QUO LOCAVIT». Si veda G. Mongelli, S. Guglielmo da Vercelli fondatore della

Congregazione Verginiana e Patrono Primario dell’Irpinia, Montevergine, Edizioni del Santuario 1960,

in particolare pp. 290-291.

71 La lunga iscrizione fu smembrata già alla metà del Seicento quando furono eseguiti i lavori per la

sistemazione del nuovo sarcofago. Attualmente negli ambienti conventuali dell’abbazia goletana si conservano solo quattro conci due dei quali provvisti di iscrizioni che fanno luce sull’effettiva disposizione del testo che prevedeva la distribuzione su una doppia ghiera intervallata da un motivo a fuseruole. F. Gandolfo-G. Muollo, Arte Medievale in Irpinia cit., pp. 135-137. Già gli storici verginiani, riguardo alla collocazione, riferiscono che «in aedicula sibi dicata, cadaver honorifice in Ecclesia Sancti Salvatoris, cum

97 menzionata anche la badessa Agnese72, committente dell’opera e alla quale si deve l’ampliamento della chiesa.

Da dove deriva quindi l’uso dell’abito bianco? La tradizione è smentita dal manoscritto 1 che sembra quindi distaccarsi dall’ambiente verginiano. A Montevergine resta un’unica testimonianza che assicura l’adozione da parte della comunità dell’abito bianco. Mi riferisco alla figura, purtroppo fortemente danneggiata, che compare ai piedi della cosiddetta ‘Madonna di S. Guglielmo’ (Fig. 2). Attestato ormai che nella figura rappresentante il monaco committente non è possibile scorgere il fondatore dell’ordine, in quanto la tavola per ragioni compositive e stilistiche è da datare all’ultimo quarto del

Vita et obitu sancti confessoris cit., f. 10v; mentre il Giordano afferma che «seguente Epitaffio antichissimo

scolpito nelli due archi della sopra detta sua Cappella» cfr. G. G. Giordano, Croniche di Montevergine cit., p. 544.

72 L’abbaziato di Agnese è da collocarsi tra il 1197 e il 1200. Cfr. F. Scandone, L’Alta Valle dell’Ofanto.

1. Città di S. Angelo dei Lombardi dalle origini al secolo XIX, Avellino, Tip. Pergola 1957, docc. 14-16-

17 e G. Mongelli, Storia del Goleto cit., pp. 54-56. Fig. 1. Urso, lastra

sepolcrale di S. Guglielmo (dispersa).

Fig. 2. Museo dell’abbazia di Montevergine, Madonna di S. Guglielmo, particolare.

98 XIII secolo73 o, secondo quando afferma Muollo, alla prima metà dello stesso secolo74, è da considerarsi come un riflesso delle consuetudini del monastero. Ancora dall’ ambiente verginiano proviene lo Statuto dell’abate Donato, datato al 1216. I quattro monaci raffigurati, disegnati a penna e lasciati a risparmio, indossano il medesimo abito costituito da tonaca e scapolare con cappuccio. Nel Liber ad honorem Augusti75 il monachus vestito di bianco, che compare a f. 137r (Fig. 3), è stato interpretato dalla tradizione storiografica come appartenente alla congregazione verginiana anche se già padre Mongelli riservava dubbi al riguardo76.

È della metà del XIV secolo l’unica rappresentazione del santo a Montevergine. Essa è collocata in un medaglione posto su uno dei due lati minori del sarcofago di Bertrand de Lautrec conservato nel Museo dell’abbazia77. Su di un lato è raffigurato S.

Benedetto con cocolla e reggente un libro78, sull’altro è effigiato S. Guglielmo (Fig. 4) con tonaca, scapolare e cappuccio che con la sinistra sostiene un libro, segno evidente dell’inclusione dell’abbazia nell’orbita della sfera benedettina, mentre con la destra si poggia sul bordone secondo l’iconografia riproposta nella Legenda.

73 La tavola è stata oggetto di numerosi contributi, si riportano qui solo le più recenti pubblicazioni: M.

Becchis, Scheda 7. Madonna di San Guglielmo, in Capolavori della terra di mezzo cit., pp. 70-71 e G. Muollo, Scheda 20. Madonna allattante detta di San Guglielmo, in Il Museo abbaziale di Montevergine cit., pp. 78-81.

74 F. Gandolfo –G. Muollo, Arte Medievale in Irpinia cit. in particolare pp. 178-182.

75 S. Kraft, Ein Bilderbuch aus dem Königreich Sizilien: kunsthistorische Studien zum "Liber ad honorem

Augusti" des Petrus von Eboli (Codex 120 II der Burgerbibliothek Bern), Weimar-Jena, Hain-Verl 2006.

76 Cfr. G. Mongelli, La baronia di Mercogliano cit., pp.15-19 e nota 67 del 2 capitolo. 77 Ivi, pp. 236-244.

78Secondo Gandolfo-Muollo nessun elemento porta a definire con certezza che si tratti proprio di San

Benedetto. A differenza dell’effigie di Guglielmo che è collocata sotto l’iscrizione che ne ricorda il nome, in questo caso compaiono solo le lettere S.B.A. incise sul listello superiore per cui gli studiosi lasciano aperta la possibile identificazione del santo, cfr. Ivi, p. 241.

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Se il particolare tipo di abbigliamento, in realtà, non si allontana dalla tipologia dell’abito monastico, come spiegare l’uso del rosso e del verde per raffigurare il santo nelle miniature? Colori, inoltre, che nel sedicesimo capitolo del IV Concilio Lateranense (1215), indetto da papa Innocenzo III, sono vietati ai chierici così come guanti e scarpe troppo eleganti o a punta, freni, selle, fasce e sproni dorati o con altri ornamenti superflui79.

Al colore dell’abito, in particolare, si comincerà a prestare attenzione solo a partire dall’XII secolo, quando i dibattiti e gli scontri tra gli ordini monastici su quale sia il modo più giusto di seguire la regola benedettina, si giocheranno anche da un punto di vista cromatico sfociando in quel contrasto tra monachi nigri, tradizionalmente identificanti le comunità benedettine, e i nuovi monachi albi appartenenti alla nascente comunità

Nel documento Montevergine: immagini su pergamena (pagine 93-106)