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1. L’organizzazione aziendale è oggi al centro delle premure del legislatore prevenzionistico. Alla sua adeguatezza rispetto alle ragioni di un lavoro sicuro è infatti dedicato l’impianto della regolamentazione generale di settore (d.lgs. n. 81/2008). Non altrettanto può dirsi per quanto riguarda l’assetto complessivo della tutela penale. Prevalentemente concentrata, soprattutto nel dispiegarsi della sua prassi operativa, sulla valutazione di condotte singolarmente considerate, in modo avulso dalla dinamica organizzativa in cui sono tipicamente incluse nella loro specificità storica.

All’analisi di tale iato sono dedicate le osservazioni che seguono.

2. La centralità del momento organizzativo che oggi caratterizza la disciplina prevenzionistica si pone all’esito di un disteso processo di riforma. Dagli ‘antichi’ decreti, caratterizzati dalla totale assenza di riferimenti all’organizzazione del lavoro come condizione essenziale per la sua sicurezza, si è approdati, poi, alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 626/1994, caratterizzata da evidenti momenti di valorizzazione dell’aspetto organizzativo quale condizione essenziale per una effettiva salvaguardia della salute dei lavoratori. Un passo certamente significativo che, tuttavia, per le ‘timidezze’ che ne caratterizzavano l’approccio – bene esemplificate dalla coesistenza con la filosofia regolata propria degli antichi decreti – non ha consentito al sistema nel suo complesso di imboccare con decisione la ‘nuova’ strada, indicata, tra l’altro, dalle pertinenti fonti comunitarie. Assai più deciso è stato il passo compiuto in questa direzione dal legislatore del 2008 1. Il ‘testo unico’

ha infatti posto il momento organizzativo al centro della sua attenzione. Esemplari, in tal senso, appaiono le previsioni di cui agli articoli 28, comma 2, lett. d; 29 e 30. Filosofia regolativa amplificata dalla successiva ‘novella’ correttiva (d.lgs. n. 109/2009), tra le cui innovazioni, per limitarsi a quelle di più immediato interesse penalistico, spiccano le modifiche apportate all’articolo 16, comma 3 e all’articolo 30, comma 5.

Quale sia il giudizio che si intende formulare in merito alla bontà di questo disegno o alla sua riuscita tecnico-giuridica, è certo che dietro le accennate evoluzioni del quadro legale si scorge la volontà di trasformare la disciplina prevenzionistica da

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1 Per tutti cfr. P.PASCUCCI, La tutela della salute e della sicurezza del lavoro: il titolo I del d.lgs. n. 81/2008,

meta-struttura disciplinare, che dalle alte sfere in cui è assisa la potestà legislativa cala sulla realtà operativa dei suoi destinatari, a infra-struttura operativa propria dell’istituzione oggetto dei relativi precetti. Il dovere precauzionale viene così internalizzato anche attraverso la previsione di un costante ‘dialogo’ tra potestà disciplinare ed autonomia privata, finendo per essere metabolizzato all’interno dell’organizzazione decisionale che presiede alla gestione dell’impresa ‘come un tutto’. Breve: le ragioni di un lavoro sicuro vengono in tal modo affidate alla progettazione ‘originaria’ del lavoro stesso e, più in generale, alla governance gestionale dell’insieme dei rapporti che qualificano l’impresa come ente funzionale e che, per loro natura, condizionano la sicurezza dei lavoratori2.

2.1 Nella prospettiva del penalista questo passaggio è densissimo di implicazioni. In primo luogo, sembra chiamare in causa, oltre agli addetti allo specifico sub- settore lavoristico dei preposti alla sicurezza (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori) 3, anche l’intero organigramma delle istanze societarie ove risiedono – a

norma della pertinente disciplina codicistica – i poteri generali di decisione sull’organizzazione: con intuibili complicazioni sul piano della corretta allocazione delle responsabilità in caso di eventi infortunistici.

Problemi soprattutto connessi alla necessità di mantenere i processi di imputazione dell’evento lesivo entro l’alveo personalistico fissato dall’art. 27, comma 1 Cost. Alla segmentazione verticale che tipicamente caratterizza i processi di imputazione delle responsabilità entro la catena operativa degli addetti alla sicurezza, che già tanti problemi pone al penalista, si associa, infatti, una volta varcata la soglia della boardroom, il problema del corretto trattamento penalistico della segmentazione orizzontale, originata dalla diversificazione della corona di doveri e di poteri che l’ordinamento societario disegna in capo ai diversi membri del consiglio di amministrazione, distinguendo, ad esempio, tra operativi e non operativi; tra titolari di poteri delegati e gli amministratori che ne sono privi (artt. 2381; 2391 e 2392 c.c.) 4.

Non solo.

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2 R.COASE, La natura dell’impresa, Id., Impresa, mercato e diritto, Bologna, 1995, 73 ss.

3 Da ultimo, per una ampia analisi di dettaglio, cfr. C. LAZZARI, Figure e poteri datoriali nel diritto della

sicurezza del lavoro, Milano, 2015.

4 Cass. SS.UU., 24 aprile 2014, n. 38343, ric. Espenhahn e a., “Nell’individuazione del garante,

soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al controllo del rischio stesso”. Questo quadro può presentare, nella realtà, livelli di ulteriore complessità, quando, come nel caso oggetto del processo Thyssen, “le scelte di fondo sono il frutto della azione concertata di diverse figure che a quelle scelte hanno contribuito”.

Preso atto che la “storia delle società per azioni […] racconta l’avvicendarsi di leggi sempre nuove – […] sulla tutela della sicurezza sul lavoro […] sulla difesa dell’ambiente – che pur riguardando solo indirettamente il diritto societario, incidono a fondo sulla struttura stessa della società per azioni, finendo per condizionare l’attività di gestione dell’impresa” 5, a venire in rilievo sarà anche l’intreccio tra le diverse

competenze preposte, all’interno dell’organo di vertice dell’organismo societario, alla gestione dei diversi segmenti di cui si compone la gestione dell’impresa: tra quanti presiedono, ad esempio, alla gestione delle risorse finanziarie e alla loro programmazione e quanti, invece, decidono in merito alla fase produttiva; tipica area di rischio per la salvaguardia della sicurezza del lavoro. Non diversamente, nella prospettiva organizzativa qualificante l’odierna disciplina prevenzionistica, da quella in cui operano quanti la supportano, valutando e gestendo, anche in una proiezione futura, la sua sostenibilità finanziaria: una volta chiarito, in premessa, che la buona sicurezza ha un impatto, talvolta, affatto trascurabile, sul piano dei vincoli economici propri della gestione aziendale 6. Profilo di rilievo soprattutto

considerando gli oneri di adeguamento dinamico che segnano l’impianto della disciplina prevenzionistica e, prima ancora, la norma generale dell’art. 2087 c.c. 7;

oneri che per essere effettivi abbisognano di essere armonizzati entro le più generali decisioni di sostenibilità finanziaria dell’impresa.

In altri termini: almeno in caso di infortunio riconducibile ad un insufficiente adeguamento tecnico, quando tale lacuna sia riconducibile, ad esempio, alla carenza dei fondi a ciò necessari, la condotta di quanti sono preposti alla gestione di tale essenziale profilo dell’organizzazione aziendale sembra qualificabile come con- causa dell’infausto evento. Collocabile dunque nell’orizzonte concorsuale fissato dagli artt. 110 e ss. c.p. Istituto caratterizzato, come è ben noto, dalla valorizzazione del criterio condizionalistico come unica nota di tipicità di una disciplina altrimenti priva di ogni connotato qualificante l’area della rilevanza penale.

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5 G. ROSSI, Il mercato d’azzardo, Milano, 2008, 20 ss. (enfasi aggiunte).

6 G. MARINUCCI, Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di

diligenza, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2005, 1 ss.

7 Cass. pen., sez. IV, 28 luglio 2006, n. 26764 ha statuito che “l’obbligo di verificare costantemente,

anche con il passare del tempo, la rispondenza delle attrezzature di lavoro, rispetto all’epoca della loro produzione, ai requisiti previsti dalla legge in tema di sicurezza per i lavoratori (anche in conseguenza di innovazioni normative ed aggiornamenti tecnologici), fino al punto di non utilizzare l’attrezzo ove non sia possibile applicarvi apparati di protezione». Principio da leggersi in sinergia con Corte cost. n. 127/1990 che ha stabilito che “il limite del costo eccessivo viene in causa soltanto quanto […] il limite ultimo” rappresentato dalla tollerabilità per la salute umana” sia stato rispettato: nel senso, cioè, che l’autorità non potrebbe imporre nuove tecnologie disponibili, capaci di ridurre ulteriormente il livello [del rischio], se queste risultino eccessivamente costose per la categoria cui l’impresa appartiene”.

A complicare ancora di più le cose è il rilievo che, nella prospettiva della questione qui analizzata, è proprio dell’autonomia privata: tanto negli equilibri della disciplina societaria, quanto nell’economia della disciplina della sicurezza sul lavoro.

Tema concettualmente arduo e denso di implicazioni a livello applicativa. Soprattutto nella proiezione di una corretta soluzione delle questioni di imputazione soggettiva. In questa prospettiva verrà qui accennato.

2.2 Come anticipato, se è indubbio che la vigente disciplina prevenzionistica valorizza, almeno in the books, il momento organizzativo, è altrettanto certo che lo stesso non ha eguale rilievo sul piano penalistico.

È solo di recente, infatti, che nei dibattiti sul tema della responsabilità penale per infortuni sul lavoro, ha fatto la sua apparizione il riferimento alla “curvatura organizzativa” delle regole cautelari.

Altrettanto giovane è l’esperienza che la prassi applicativa dimostra nel maneggiare la nozione di ripartizione tra le sfere di rischio quale criterio qualificante la gestione interpretativa dei processi di imputazione attinenti ad eventi infortunistici 8.

Recente, ma di certo significativa. Sotto almeno due profili.

Il primo si coglie in relazione alla novità che in tal modo è dato registrare nella qualità degli argomenti impiegati allo scopo. Fino a ieri caratterizzati dal coriaceo ricorso ad un piedistallo esclusivamente naturalistico, ritenuto proprio del modello condizionalistico di cui all’art. 40 c.p.: oggi aperti, invece, a sensibilità spiccatamente normative. In linea con i progressi registratisi nella teoria del reato in merito alla necessaria valorizzazione, doverosa anche in una prospettiva costituzionale, del substrato personalistico proprio dell’imputazione penale (id est: imputazione obbiettiva dell’evento) 9. Armonizzati, altresì, con la filosofia

organizzativa che qualifica la regolazione extrapenale della materia. Argomento che, ad onor del vero, non sembra aver avuto un impatto qualificato nell’economia degli esercizi ermeneutici svolti dalla prassi applicativa 10.

In ogni caso si è trattato di aperture che, sebbene significative in termini dogmatici e politico-criminali, si dimostrano prive di continuità e di equilibrata distribuzione all’interno dell’esperienza giudiziaria: data l’evidente asimmetria che ne caratterizza la presenza nella giurisprudenza di merito rispetto a quella di legittimità. Il solo livello in cui la “curvatura organizzativa” della colpa ha effettivamente svolto un ruolo di conformazione dei processi di imputazione delle responsabilità per eventi

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8 Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2015, n. 4383 (con analitica ricostruzione della ‘catena’ dei

precedenti).

9 M. DONINI, Imputazione oggettiva dell’evento, Torino, 2006. 10 Cfr. Cass. SS.UU., 24 aprile 2014, n. 38343, cit.

infortunistici. Atteggiamento, si noti, che ben testimonia la resistenza opposta dalla postura rigidamente deontologica – venata da aspirazioni paternalistiche – propria dell’intervento penale in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro.

Refrattarietà misurabile anche sul diniego, pressoché integrale, opposto alla possibilità di considerare, la componente autonomistica propria di ogni realtà organizzativa quale fattore di rilievo nella declinazione dei criteri di imputazione soggettiva. Nonostante l’apertura di credito a ciò concessa, sul piano della legittimità costituzionale, dalla sentenza interpretativa n. 312/1996 del giudice delle leggi 11, e nonostante l’esigenza politico-criminale di non sacrificare oltre misura

tale profilo, se lo scopo della regolazione e, dunque, anche dell’intervento penale che a questa accede, è quello di tutelare la sicurezza del lavoro soprattutto attraverso la diffusione ed il consolidamento di strutture aziendali adeguate al fine

12. Valorizzando uno schema di intervento che può vantare migliori aspettative sul

piano dell’innalzamento effettivo dei livelli di sicurezza: come bene attestano i risultati di una pluralità di indagini empiriche 13.

Anche in ragione di ciò, l’evocazione di un’avvenuta “curvatura organizzativa” dell’accertamento della colpa sembra ancora essere un’aspirazione più che una fedele descrizione del diritto vivente. Il tutto ad onta della valorizzazione della stessa sul piano della disciplina extralegale che, come ben noto, concorre a definire la tipicità della colpa per espressa previsione di legge (art. 43 c.p.).

3. È questa una presa d’atto che stupisce solo pochi. E solo fino ad un certo punto. Non ne sono certo colpiti, quanti sono consapevoli dell’insostenibilità di visioni che fanno coincidere la legalità con il rispetto della littera legis, per il rilievo che nel processo interpretativo spiegano una pluralità di fattori extratestuali. Tra i quali spicca la primazia del diritto alla salute su ogni altro interesse concorrente (art. 32 Cost.) 14. Unitamente, però, allo stigma che, nella prospettiva di un ethos

autenticamente democratico, colpisce ogni manifestazione di diseguaglianza di fatto tra individui: geneticamente propria, secondo una diffusa percezione, del

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11 Corte cost. n. 312/1996. Come ben noto, tale decisione ha alimentato polemiche tanto tra i

lavoristi, quanto nel dibattito penalistico, da parte di quanti, all’esercizio di realismo penalistico della Corte, opponevano la necessità di non incrinare il dover essere dell’intervento legale e penalistico in specie. Pena, si osservava, la legittimazione di prassi sciatte – sulla base del ben noto adagio “così fan tutti” – foriere di significativi peggioramenti nei livelli della sicurezza aziendale. Argomento politico-criminale che si innestava sulla rivendicazione della natura eminentemente normativa del rimprovero per colpa. V., per tutti, la limpida sintesi di D. PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2015,

7 ed., 357 ss.

12 Più ampiamente cfr., volendo, GA.MARRA, Prevenzione mediante organizzazione e diritto penale, Torino,

2009.

13GA.MARRA, Prevenzione mediante organizzazione, cit., 10 ss.

rapporto tra datore di lavoro e lavoratore. Fattori che variamente combinandosi spiegano anche le ritrosie della prassi penalistica ad adeguarsi, ad esempio, al nuovo statuto che compete al lavoratore nel quadro della disciplina della sicurezza del lavoro 15. Statuto multilevel, che lo qualifica come beneficiario passivo dell’impegno

securitario del suo datore, che controlla il rischio dell’intera organizzazione in cui il lavoratore risulta inserito, ma, al contempo, anche parte attiva dell’infrastruttura prevenzionistica aziendale. Al cui efficace funzionamento il lavoratore è tenuto attivamente a collaborare, impersonificando, così, un ruolo che ha ben poco a che vedere con l’a-simmetria che, a tutto voler concedere, qualifica il suo rapporto lavoristico con il datore 16.

Ad essere sorpresi non sono neppure quanti hanno ben chiara la consapevolezza che dietro le architetture razionali del dover-essere del diritto penale preventivo continuano ad essere presenti le impalcature antropologiche e culturali di un modello penalistico, a sfondo vittimologico, refrattario ad allontanarsi dallo schema binario azione (illecita) e reazione (pena), o ad alterare il suo ordinario modello reattivo di funzionamento per mettersi al servizio di più articolati disegni di politica-criminale 17. Il tutto rafforzato da una reclamata autonomia di

valutazione che sarebbe propria del sistema penale rispetto ad ogni altro settore dell’ordinamento giuridico. Di per sé in grado, quando necessario, di sovrastare qualsivoglia esigenza logica di coerenza sistematica: come è comprensibile avvenga di fronte alla crudezza propria della casistica in tema di infortuni sul lavoro. Fuori da prospettive di analisi così generali, la presenza della rilevata discrasia merita un ulteriore – sebbene altrettanto sommario – approfondimento.

L’impressione è, infatti, che a spiegare le riferite conclusioni concorrano anche ulteriori ragioni: al contempo sostanziali e processuali.

In primo luogo, la natura eminentemente individuale della struttura logica che ‘dogmatizza’ l’istituto della colpa, intesa quale violazione di una specifica regola avente lo scopo di neutralizzare un altrettanto specifico fattore di rischio per il bene giuridico. Con tutte le conseguenti difficoltà a ‘trattare’ convenientemente quella che, in ultima analisi, sotto l’etichetta di “curvatura organizzativa” della colpa, altro non è se non una forma di colpa d’organizzazione tout court.

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15 GA.MARRA, La “politica penale giudiziaria” nell’epoca del disincanto penalistico, Scritti in onore di Alfonso

Maria Stile, Napoli, 2013, 273 ss.

16 Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2015, n. 4383, cit.

17 J.M.SILVA SANCHEZ, L’espansione del diritto penale, Milano, 2004, 18 ss. Più in generale cfr. R.

CATERINA, La reciprocità: alle origini della vendetta e dello scambio, in AA.VV., Antropologia della vendetta, Napoli, 2015, 205 ss.

Difficoltà acuite, in seconda istanza, dalla pressoché totale assenza, nel dibattito sui profili caratterizzanti la colpa, di ogni questione riguardante la colpevolezza colposa.

Va detto, infatti, che le difficoltà ad oggi dimostrate dal sistema penale a confrontarsi con l’orizzonte organizzativo tratteggiato dalla disciplina di settore della sicurezza sul lavoro, sembrano essere figlie della progressiva ed inarrestabile normativizzazione di cui è ormai da tempo oggetto la colpa. Schema che finisce per cristallizzare il giudizio di responsabilità sulla obbiettiva discrasia tra la condotta tenuta dall’agente concreto che agisce tra i flutti della quotidianità e quella invece prescritta dal modello ideale di agente alle cui a-storiche conoscenze si attinge per verificare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento da parte del primo. Lettura che porta così a marginalizzare il rilievo che nella conformazione della condotta individuale può aver avuto l’esistenza ‘a monte’ di una lacuna nell’effettività prevenzionistica dell’organizzazione aziendale, non trattandosi, per così dire, della causa prossima dell’evento. Un approccio ‘isolazionistico’ facilitato, come già anticipato, dall’assenza di ogni rilievo della c.d. misura soggettiva della colpa nei processi di ascrizione della relativa responsabilità. Giudizio al quale l’esistenza di buona organizzazione aziendale entro cui si trova immerso il comportamento individuale del singolo soggetto obbligato sembra poter fornire un solidissimo fondamento.

L’ulteriore profilo che interessa qui evidenziare è che ciò ha immediati effetti sul piano della conformazione dell’accertamento processuale. La cui prassi è da sempre polarizzata su ricerche limitate alla ristretta cerchia dei componenti dell’organigramma aziendale specificatamente addetto alla sicurezza del lavoro. Verifiche che, nella prospettiva che qui interessa, si limitano a ripercorrere a ritroso, a partire dalla caratterizzazione del singolo fatto lesivo, la settoriale catena di soggetti specificamente obbligati dalla normativa prevenzionistica, fino ad arrivare, ove necessario, al suo vertice. Senza necessità, però, di procedere oltre, allargando orizzontalmente la ricerca a quanti condividono con la figura datoriale il potere di decidere in merito alle condizioni strutturali dell’organizzazione di un lavoro sicuro o a gestire fattori di sicuro rilievo ai fini di garantire un effettiva minimizzazione del rischio infortunistico. Semplicemente, perché ciò è ultroneo a quanto necessario per accertare la colpa di chi ha dato causa – prossima – all’evento infortunistico discostandosi dagli insegnamenti cautelari dell’agente modello. A dimostrazione di quanto appena osservato, valga il riferimento alla vicenda Thyssen. Processo che si segnala all’attenzione dei cultori dei temi della sicurezza dei luoghi di lavoro anche per la peculiarità del protocollo accertativo sviluppato. Non limitato alla verifica dei dati esteriori della specifica dinamica infortunistica oggetto dell’indagine, perché estesa all’accertamento di una più ampia gamma di fattori di rilievo al fine di spiegare l’eziologia dell’evento. Con le parole di uno dei

protagonisti: “non ci siamo fermati […] alle anomalie dello stabilimento: abbiamo cercato di capire perché si erano create” 18. Ricerca che, come è noto, ha portato

l’indagine a spalancare le porte della ‘stanza dei bottoni’ dell’azienda e ad immergere la ricerca delle responsabilità individuali entro le dinamiche e le competenze di quanti avevano presieduto alle decisioni riguardanti la conformazione dell’organizzazione aziendale.

4. Il censimento delle difficoltà che il sistema penale incontra nel metabolizzare al suo interno il momento organizzativo e l’auspicio che a ciò possa porsi presto rimedio, trattandosi di passaggio necessario alla attuazione di una razionale politica di prevenzione dell’insicurezza nei luoghi di lavoro 19, non deve far velo ai rischi

che l’intera operazione comporta. Pericoli innescati dalla deriva post-personalistica che l’intera operazione può prestarsi a favorire 20. Data la vocazione onnivora della

disciplina concausale e la difficoltà di moderarne per via interpretativa l’estremismo casuale. A maggior ragione se si considera che le coordinate del discorso nello specifico tema della sicurezza del lavoro, dato lo scenario criminologico che lo connota, sono fissate dall’istituto della cooperazione nel delitto colposo (art. 113 c.p.), che, se possibile, sconta un ancor più elevato livello di incertezza. Destinata a sommarsi con quella innescata dall’incontrollabile forza espansiva propria del criterio realistico che la giurisprudenza pratica nella selezione dei possibili soggetti attivi del reato e nella gestione dei processi di iscrizione da essi della responsabilità 21.

Si aggiunga infine, in relazione al profilo da ultimo indicato, l’ecclettismo che pur connota la prassi applicativa, che con assoluto pragmatismo fa spesso convivere