Quando parliamo di eutanasia ci troviamo fra il giuramento di Ippocrate, per il quale il medico ha il dovere di curare e perseguire la salute del paziente dialogando con esso, e la valutazione dell’aspettativa di vita in relazione alla possibilità di porvi fine, ogniqualvolta le cure non hanno più possibilità di assol- vere alla loro funzione di guarire o migliorare le condizioni di vita e soprattutto la sofferenza causata dalla malattia è tale da essere insopportabile.
Perciò, la «dolce morte» presenta aspetti sia etici sia giuridici di non facile soluzione, a proposito dei quali un noto autore del secolo scorso scrisse in un suo saggio che «i medici seguono il barbaro pregiudizio per cui il primo dei loro doveri consisterebbe nel prolungare il più possibile la vita della gente anche tra le più atroci convulsioni della più disperata agonia, ma un giorno verrà in cui la scienza si volgerà contro il suo errore e non esiterà più ad abbreviare le nostre disgrazie» 1.
Questo giorno è venuto, come dimostra l’esperienza giuridica in atto in mol- ti Stati anche dell’U.E. e, fra essi, i Paesi Bassi.
I Paesi Bassi sono stati il primo Stato dell’U.E. a disciplinare legislativamen- te l’eutanasia, all’esito di un processo che prese avvio dalla giurisprudenza dei Tribunali e della Corte Suprema, incrementata dalla propensione dei medici, che aveva delineato le condizioni ricorrendo le quali la condotta del medico di cagionare la morte di un paziente per sua espressa richiesta poteva essere con- siderata posta in essere in presenza della scriminante dello stato di necessità, valutato in stretto rapporto con le condizioni cliniche del paziente.
Perché la pratica della morte assistita non fosse in contrasto con la tutela del diritto alla vita, le condizioni cliniche del paziente dovevano essere tali per cui, secondo la scienza medica, non vi erano possibilità di cura e condizioni di sofferenza intollerabile. Tale quadro clinico doveva essere accompagnato da
una dichiarazione nella quale il paziente esprimeva, in condizioni di capacità di intendere e di volere, l’intenzione di porre fine alla propria esistenza.
In seguito venne individuato un altro elemento che è presente anche nella disciplina attuale, al fine di poter considerare presente la causa di giustificazione dello stato di necessità, costituito dal parere di un secondo medico estraneo alla procedura al quale quello procedente doveva rivolgersi.
Soggetto abilitato a procedere all’eutanasia era solo il medico, in quanto in grado di informare il paziente del suo stato clinico e delle possibili cure pratica- bili in alternativa all’eutanasia, in maniera tale che la scelta del paziente fosse effettuata in condizioni di informazione sullo stato della malattia e sulle possi- bili alternative all’eutanasia nella prospettiva della prosecuzione della vita, che era ed è il bene oggetto della tutela.
La scriminante dello stato di necessità, allora come adesso, è prevista nel codice penale dei Paesi Bassi (art. 40: «Non è punibile chi commette un fatto di reato a cui è stato costretto da forza maggiore»).
Secondo la dottrina, la forza maggiore «conosce due forme: lo stato di ne- cessità giustificante e la forza maggiore psichica escludente la colpevolezza … L’eutanasia e l’assistenza al suicidio (artt. 293 e 294 c.p.), eseguiti da un medico in conformità alle norme di accuratezza sviluppate dalla giurisprudenza2 per il
medico, sono state giustificate dallo stato di necessità. Il fatto che egli non aveva potuto opporre alcuna resistenza al pressante desiderio del paziente di porre fine alla sua vita e che con ciò egli aveva trasgredito il divieto di eutanasia, ma in una situazione che “secondo uno scientifico e ponderato giudizio medico e secondo norme valide nell’etica medica” doveva essere considerato come stato di necessità … Per un valido ricorso allo stato di necessità e necessario che non si scelga l’interesse evidentemente più modesto od il dovere meno importante: la proporzione deve essere tenuta seriamente in conto»3.
Con riferimento al medico la causa di giustificazione aveva fondamento in quanto, avendo in cura un paziente per il quale l’unico rimedio per porre fine alla sofferenza era costituito dal praticare l’eutanasia o l’aiuto al suicidio, sorge- va in tal caso un conflitto di interessi: da un lato preservare la vita e dall’altro ridurre al minimo la sofferenza. Tale situazione faceva sì che il medico fosse di fronte ad una situazione di necessità nella quale, se l’unica possibilità per porre fine alla sofferenza era l’eutanasia, allora la sua azione doveva considerarsi co- perta dalla scriminante.
La scriminante dello stato di necessità era ravvisabile anche nel caso in cui il soggetto si fosse trovato in condizioni di dover decidere se porre in essere
2 HR 27 novembre 1984, NJ 1985, 106; HR 21 ottobre 1986, NJ 1987, 607.
3 C. Kelk, Introduzione al codice penale olandese, in Il codice penale olandese, a cura di S. Vinciguer-
una condotta illecita, o salvare sé od altri da un offesa grave; in tal caso uno dei due interessi (quello di minor grado) avrebbe dovuto soccombere in forza dell’applicazione dell’altro, non essendovi possibilità di raggiungere il risultato attraverso altre azioni meno dannose ad ottenere la tutela del bene, ipotesi che comporta la rinuncia dello Stato a perseguire il fatto per mancanza di interesse.4
Questo indirizzo della giurisprudenza, che possiamo definire «politico» ed al quale, come ricordato, avevano dato sostegno l’etica e la prassi professionale dei medici (nel 1973 era stata fondata la società olandese per l’eutanasia volon- taria), si espresse anche nell’applicazione della pena in misura minima quando non si ritenevano presenti i requisiti necessari per la sussistenza dello stato di necessità e fu di stimolo all’intervento del legislatore5.
Nel 1984 veniva presentata la prima proposta di legge in materia, che era stata predisposta dalla commissione statale Jeukens, nominata dal Governo nel 1982 con il compito di studiare la pratica dell’eutanasia6.
I medici che procedevano a praticare l’eutanasia dovevano inviare al procu- ratore generale della Regina una relazione dalla quale si potesse desumere con chiarezza quali fossero stati i motivi di tale scelta. Il rapporto della commissione Jeukens prendeva in considerazione quasi esclusivamente i casi di eutanasia attiva, nei quali il medico provocava la morte del paziente in accoglimento della sua richiesta, valutata la sussistenza dello stato di sofferenza insopportabile e senza prospettive di cura. Perché queste condizioni fossero tali da giustificare la pratica dell’eutanasia, che si poneva e si pone in contrasto con il diritto asso- luto alla vita riconosciuto dalla legislazione vigente nello Stato, era necessario evidenziare come la vita in tali condizioni non fosse più considerabile come ri- entrante entro parametri accettabili della dignità umana, come sottesi al diritto alla vita.
I risultati del lavoro svolto dalla commissione Jeukens furono poi utilizzati dalla commissione d’inchiesta presieduta da Remmelink, Procuratore generale presso la Corte Suprema, che fu nominata dal Ministro della giustizia Ballin (di concerto con il Segretario di Stato per gli affari sociali la sanità e la cultura Simons) con decreto ministeriale 17 gennaio 1990 e composta da tre medici e tre giuristi, la quale avviò un’indagine senza precedenti sulle Medical decisions
concerning the end of life – MDEL.
I lavori della commissione Remmelink rilevarono che la pratica dell’eutana-
4 P.J.P. Tak, Eutanasia ed assistenza al suicidio nella nuova disciplina Olandese, in Diritto pen. XXI secolo, 221 ss. (226).
5 Sull’argomento, v. S. Vinciguerra, A. Ricci Ascoli, Il diritto giurisprudenziale olandese tema di eutanasia attiva e di suicidio assistito, in AA.VV., Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giurisprudenziale, Padova, 1997, 87 ss.; A. Ricci Ascoli, L’opera creativa della giurisprudenza olan- dese in tema di eutanasia e di suicidio assistito, in Diritto pen. XXI secolo, 2002,119 ss.
6 G. Cimbalo, La società olandese tra tutela dei diritti del malato, diritto all’eutanasia e crisi della solidarietà, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 1, aprile 1994, 38 ss.
sia non si trovava in contrasto con i principi costituzionali cireca la tutela del bene fondamentale della vita, del quale era garante nell’ordinamento la ricerca medica, diretta all’individuazione di terapie sempre più avanzate per la cura delle malattie.
Nei lavori della commissione, l’eutanasia non era considerata il rimedio ai mali incurabili, bensì lo strumento a disposizione dell’individuo per la tutela della qualità del bene della vita e, in quanto tale, rimedio azionabile solo nelle situazioni di malattia estrema, per le quali la medicina non avesse presentato possibilità di cura né modo di alleviare le sofferenze.
Si trattava dell’espansione di quello stesso diritto riconosciuto dalla Costi- tuzione ad ogni individuo di condurre una vita sana e dignitosa, nella quale sviluppare in seno alla società la propria personalità; la scelta di morire doveva considerarsi come un’opzione riservata all’individuo in condizioni di salute tali da compromettere irrimediabilmente la possibilità di un’esistenza normale, un rimedio a cui ricorrere solo quando fosse venuto meno il diritto di vivere in condizioni dignitose.
La commissione prese in considerazione anche gli studi in materia di euta- nasia della Facoltà di medicina Erasmo da Rotterdam, elaborati con la collabo- razione dell’Ordine dei medici, lavoro in base al quale il Governo elaborò nel 1991 un progetto di legge, approvato prima dalla Camera il 9 febbraio 1993 e poi dal Senato in via definitiva il 30 novembre 1993 7, che recava modifiche all’art.
10 della legge vigente sulla consegna dei cadaveri e definiva i requisiti in pre- senza dei quali il medico poteva procedere all’eutanasia e gli adempimenti che doveva porre in essere dopo il decesso del paziente per non essere perseguibile penalmente a norma degli artt. 293 e 294 c.p., simili agli artt. 579 e 580 del nostro codice penale.
Questo fu il primo intervento legislativo sulla pratica dell’eutanasia, al quale ne seguì alcuni anni dopo un altro tuttora vigente, di cui dirò, e che era stato preceduto nel 1997, in particolare nella città di Amsterdam, dalla costituzione del Sostegno e consulto per l’eutanasia in Olanda (SCEN-dokter), struttura com- posta da un network di medici di famiglia e specialisti dotati di preparazione ido- nea a fornire consulto ai colleghi medici che volessero procedere all’eutanasia 8.
Il 1° aprile 2002 entrò in vigore la legge n. 194/2001 che riordinò in una di- sciplina organica l’interruzione della vita su richiesta e l’assistenza al suicidio 9. 7 G. Fravoini, La nuova normativa sull’eutanasia nei Paesi Bassi, in Aggiornamenti sociali, n.
12/1994, 840 ss.
8 P. Ricca, Eutanasia, la legge olandese e commenti, Claudiana, Torino, 2002, 27.
9 La traduzione di questa legge in italiano, eseguita da Alessandra Ricci Ascoli, fu pubblicata nella
rivista Diritto penale XXI secolo, 2002, 355 ss. con un saggio illustrativo redatto dalla traduttrice e intitolato Un’analisi della recente legge olandese in materia di eutanasia e suicidio assistito (331- 349).
Essa modificò gli artt. 293 e 294 c.p. introducendovi la non punibilità del me- dico che cagiona la morte del paziente dietro sua richiesta o ne aiuta il suicidio osservando la normativa prevista in tale legge 10.
Questa normativa è imperniata su criteri di accuratezza da parte del medi- co, la cui osservanza è sottoposta a controllo una volta avvenuta la morte del paziente.
Secondo l’art. 2.1 legge n. 194/2001, il medico deve avere agito quando «a. abbia avuto la convinzione che si trattava di una richiesta volontaria e ben pon- derata del paziente; b. abbia avuto la convinzione che si trattava di dolori senza prospettive di miglioramento ed insopportabili per il paziente; c. abbia informa- to il paziente della situazione in cui questi si trovava e delle relative prospettive;
d. sia giunto alla convinzione, con il paziente, che nessun’altra soluzione fosse
ragionevole per la situazione in cui questi si trovava; e. abbia consultato almeno un altro medico indipendente, che abbia visitato il paziente ed abbia dato per iscritto un parere sui criteri di accuratezza cui alle lettere da a a d compresa, e;
f. abbia eseguito l’interruzione della vita o l’assistenza al suicidio in modo accu-
rato dal punto di vista medico».
L’osservanza di questi criteri rende non punibile anche il medico.
- che dà esecuzione alla richiesta del paziente sedicenne o maggiore di 16 anni che «non sia più in grado di esprimere la sua volontà, ma prima di trovarsi in tale condizione sia stato ritenuto in grado di valutare ragionevolmente i pro- pri interessi in proposito ed abbia rilasciato una dichiarazione scritta contenen- te una richiesta di interruzione della vita» (art. 2.2);
- che dà esecuzione a tale richiesta di un paziente di «un’età tra i 16 ed i 18 anni e sia ritenuto in grado di valutare ragionevolmente i propri interessi … dopo che il genitore o i genitori che esercita o esercitano la potestà su di lui ovvero il tutore sia o siano d’accordo …» (art. 2.3);
- che dà esecuzione a tale richiesta di un paziente «di un’età fra i 12 ed i 16 anni e sia ritenuto in grado di valutare ragionevolmente i propri interessi in proposito … se un genitore o i genitori che esercita o esercitano la potestà su di
10 Art. 293. – 1. Chiunque dolosamente priva taluno della vita su sua espressa e seria volontà, è
punito con la reclusione fino a 12 anni o con la pena pecuniaria della quinta categoria.
2. Il fatto indicato nel primo comma non è punibile qualora sia stato commesso da un medico che osservi anche i criteri di accuratezza indicati nell’art. 2 della legge sul controllo dell’interruzione della vita dietro richiesta e sull’assistenza al suicidio e ne faccia segnalazione al perito autoptico comunale in conformità all’art. 7, secondo comma, della legge sulla consegna dei cadaveri. Art. 294. – 1. Chiunque dolosamente determina taluno al suicidio, lo aiuta a commetterlo o gliene procura i mezzi, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione fino a tre anni o con la pena pecuniaria della quarta categoria.
2. Chiunque dolosamente assiste altri nel suicidio o gliene procura i mezzi è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione fino a tre anni o con la pena pecuniaria della quarta categoria. Trova corrispondente applicazione l’art. 293, secondo comma.
lui ovvero il tutore sia o siano d’accordo …» (art. 2.4).
Il medico «non rilascia una dichiarazione di morte, ma segnala immedia- tamente al perito autoptico comunale o a uno dei periti autoptici comunali la causa di morte mediante la compilazione di un formulario. Alla segnalazione il medico aggiunge una relazione argomentata sull’osservanza dei criteri di ac- curatezza di cui all’art. 2» (art. 7.2 legge sulla consegna dei cadaveri sostituito dall’art. 21 legge n. 194/2001) 11.
Se il perito autoptico ritiene di non poter rilasciare la dichiarazione di morte, fa rapporto al procuratore ed alla commissione regionale di controllo (art. 10.2 sulla consegna dei cadaveri sostituito dall’art. 21 legge n. 194/2001). Tale commissione, istituita dall’art. 3 legge n. 194/2001, svolge un’istruttoria su quanto avvenuto, interpellando il medico ed il perito autoptico (art. 8 legge n. 194/2001), redige il proprio parere che comunica al medico e «su richiesta… è tenuta a fornire al Procuratore tutte le informazioni di cui egli necessita: 1° ai fini della valutazione dell’operato del medico…; ovvero 2° ai fini di un’inchiesta» (artt. 9 e 10).
Poiché la legge n. 194/2001 stabilisce che all’eutanasia possono avere acces- so soltanto i soggetti che hanno compiuto i 12 anni di età, limite al di sotto del quale non è possibile procedere ad eutanasia, nel 2005 fu predisposto un pro- tocollo per la praticabilità dell’eutanasia anche su pazienti di età inferiore ai 12 anni, redatto a cura del professor Eduard Verhagen e pubblicato sotto il nome di Protocollo di Groningen, luogo nel quale è situato l’ospedale dove Verhagen presta servizio.
Nel documento di Groningen, approvato dall’Associazione nazionale dei pe- diatri, sono descritte le procedure da seguire qualora il medico volesse praticare l’eutanasia su un paziente in età neonatale, intendendosi per tale il soggetto che non abbia superato l’anno di vita, o su un bambino di età inferiore ai 12 anni.
Il governo olandese ha poi predisposto, sulla base del protocollo di Gronin- gen, un documento nel quale si descrive la procedura che deve porre in essere il medico per eseguire l’eutanasia su un paziente minore degli anni 12, ma tale fonte normativa è tuttora rimasta a livello regolamentare, non essendo mai stata tradotta in legge.
11 La traduzione italiana del modello di tale relazione è stata pubblicata nella rivista Diritto penale XXI secolo, 2002, 361-364.