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Pierluigi Baima Bollone

Nel documento AUTODETERMINAZIONE E AIUTO AL SUICIDIO (pagine 120-126)

Non sono un giurista ma un semplice operatore del mondo giudiziario, pro- tagonista passivo di una vicenda sanitaria che rientra nel tema in discussione.

Ringrazio gli organizzatori del Convegno, ed in particolare il prof. Sergio Vinciguerra, per avermi invitato ad esprimere la mia prospettiva di medico le- gale e di malato sull’argomento del fine vita di cui alla legge. n. 129/2017, che affronterò quindi da una prospettiva essenzialmente naturalistica.

Anticipo una mia sensazione, di cui anche all’intervento che ho avuto occa- sione di fare nella sessione di ieri pomeriggio, in merito all’atteggiamento che sull’aiuto prestato al malato al momento di morire senza eccessive ed umilianti sofferenze, hanno avuto storicamente le generazioni di medici precedenti alle nostre cui va riconosciuto il grande merito intellettuale e scientifico di creare la medicina moderna.

Circa l’impegno a «non compiere mai atti idonei a provocare deliberata- mente la morte di una persona» (così la versione attuale del Giuramento di Ippocrate deliberata dal Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri il 23 marzo 2007 che traduce e modernizza in questi termini il testo originale greco del IV sec. a.C. e le nu- merose attualizzazioni maturate nel corso del tempo), essi sostenevano che un conto è «provocare deliberatamente la morte» del paziente un altro è evitargli gli aspetti veramente afflittivi e degradanti del trapasso, quando il processo della morte si delinea ormai irreversibile.

A questo punto debbo chiarire qual è, al riguardo, la mia posizione persona- le di esercente una professione sanitaria e di malato ed affermo di prendere ogni distanza possibile da tesi estreme come quella ben nota del medico statunitense Jacob “Jack” Kevorkian (1928-2011), detto «dottor morte» per aver praticato in- discriminatamente l’eutanasia ed il suicidio assistito ad oltre 200 pazienti. Egli sosteneva il diritto di scegliere di morire dei malati affetti da patologie gravi ed

incurabili che fossero sani di mente e di conseguenza pienamente capaci. Per questo fu condannato secondo la normativa statunitense alla pena di 25 anni di reclusione per omicidio di secondo grado, il che – non è forse il caso che lo ricordi – significa per omicidio volontario pluriaggravato secondo la nostra legislazione.

Per attrazione d’argomento faccio qui riferimento culturale alla pellicola cinematografica diretta dal regista John Carpenter Escape from New York, com- parsa sugli schermi italiani nel 1982 con il titolo 1997, fuga da Nev York. Secondo la finzione, la città è trasformata in un grosso recinto in abbandono ed ai con- dannati in procinto di esservi immessi ed abbandonati al loro destino una voce diffusa per altoparlante propone più o meno, quale via di estrema salvezza: « Se invece volete cessare subito non avete che da dirlo». Il significato della frase è chiarissimo.

Ribadisco che la mia posizione, di fronte a simili inaccettabili prospettive è quella di ferma adesione a quanto deliberato dal Comitato centrale della Federa- zione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Resta peraltro il fatto che si continua a tramandare la notizia secondo cui un gigante della medicina del passato come il grande neurologo francese Jean- Martin Charcot (1825-1893) sia talora intervenuto per accelerare i momenti ter- minali di casi di male epilettico generalizzato. Aggiungo che nella The Story of

San Michele (La Storia di San Michele) dello psichiatra svedese Axel Munthe

(1857-1949) si citano casi di malati di rabbia lupina che furono aiutati «a morire dolcemente».

Il quotidiano La Stampa di domenica 13 novembre 1988 pubblicò un articolo del giornalista Nino Pietropinto “In vendita il libro che insegna il suicidio”.

In effetti da pochi giorni l’editore torinese Malthusdi, nome di chiaro ri- chiamo ad una genetica malintesa, aveva pubblicato la traduzione italiana di un libro dal titolo “Suicidio. Modo d’uso. Storia, attualità, tecnica”. È la traduzione dal francese del libro di Claude Guillon e Yves Le Bonniec “Suidice. Mode d’em- ploi. Histoire, technique, actualité”, per le edizioni Alain Moreau, ricordato ieri dalla prof. Raphaële Parizot. Dal confronto del titolo originale con quello della traduzione italiana e dal tenore dell’articolo di Pietropinto emerge chiaramente che l’editore nazionale ha inteso mettere in tutta evidenza le tecniche rese note dai due autori per ottenere il suicidio meno afflittivo possibile.

Con queste premesse presento il primo caso raccolto in circa 60 anni di atti- vità autoptica. Esso è legato al suicidio per arma da sparo al capo del cantautore Luigi Tenco, avvenuta nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo nelle prime ore del 27 gennaio 1967 in seguito ad una delusione professionale

Il suicidio di Luigi Tenco creò grandi emozioni negli appassionati di musica leggera italiani e non solo.

Il 4 marzo 1967, quindi poco più di un mese dopo, vengo convocato di buon mattino, in una scuola di Ciriè dal Pretore Cons. Nello Montinari, a seguito del rinvenimento in una scuola della cittadina del cadavere di tale T.M., impicca- to alla cinghia di una tapparella del piano terreno dell’edificio. Si trattava di una cinquantenne, madre di tre figli, analfabeta, ossessionata dalla vicenda del cantautore. Accanto al cadavere un biglietto manoscritto di questo tenore: «Mi uccido per amore di Luigi Tenco. Prego mio padre di seppellirmi accanto a lui a Riccardano». La grafia incerta e l’errore toponomastico (Riccardano per Ric- cardone) indicavano chiaramente il basso livello dell’ambiente culturale in cui era maturata la tragedia. Il Pretore, che secondo il codice di procedura penale allora vigente agiva in qualità di Pubblico Ministero, mi faceva presente le sue perplessità derivanti dal fatto che nella qualità di giudice del circondario, aveva avuto precedente occasione di processare e di condannare la T.M. per ubria- chezza molesta e bene conosceva il di lei analfabetismo, che non le avrebbe di certo consentito di compilare un biglietto come quello ritrovato accanto al suo cadavere. La successiva necroscopia (n. 16.122 dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Torino) da me eseguita e le indagini tossicologiche, accertava- no trattarsi effettivamente di un suicidio, misto per impiccagione e ingestione di topicida a base arsenicale, ancora presente nella cavità gastrica. Intanto le inda- gini svolte dalla locale Compagnia C.C. consentivano di accertare che il biglietto era stato scritto da tale B.S., ventitreenne del vicino paese di Nole Canavese, al quale la T.M. aveva fatto intendere trattarsi di un testo che avrebbe utilizzato per uno «scherzo».

Debbo all’avv. Gaetano Bonifacio, relatore nel presente convegno e che qui ringrazio, la notizia che la Procura della Repubblica di Torino, competente per territorio, non ritenne di attivare l’azione penale contro B.S., perché la condot- ta di scrittura del biglietto, non rientrava nelle previsioni dell’articolo 580 c.p., evidentemente non avendo innescato, né in alcun modo aiutato l’attuazione del proposito e della condotta suicidaria di T.M.

In realtà nella casistica dell’Istituto precedente al 1967 e da allora fino ad oggi non risulta alcun altro caso in cui si profila l’ipotesi di istigazione o aiuto al suicidio.

La situazione clinica è profondamente cambiata dall’ormai lontano 1967 all’epoca in cui viviamo oggi.

Nell’anno 1800 Marie François Xavier Bichat (1771-1802), professore della Facoltà medica di Lione, considerato uno dei fondatori della anatomia patolo- gica, pubblica la sua teoria, considerata dai medici legali attualissima ancora oggi, che la vita sia sostenuta idealmente da una sorta di tripode, detto appunto

tripode del Bichat, le cui tre branche sono rispettivamente l’attività neurologica,

Le moderne tecniche mediche consentono di vicariare con apposite appa- recchiature ad almeno due delle tre funzioni essenziali alla prosecuzione della vita. L’attività cardiaca può essere vicariata da un cuore artificiale meccanico impiantato nel torace o extra-toracico. Quella respiratoria da un polmone artifi- ciale o da un ventilatore meccanico.

È chiaro che l’efficacia di tali funzioni artificiali non può essere mantenuta indefinitamente e che la loro utilità e la conseguente valutazione della loro so- spensione devono essere studiate caso per caso con estrema prudenza.

Fui presente quando, agli albori della anestesia e rianimazione moderne, il francese dott. Vedrinne, celebre antesignano di queste tecniche, mostrò ad un congresso medico alcuni tracciati elettro-encefalografici di una giovane trauma- tizzata cranica in coma, mantenutisi assolutamente piatti per mesi, invitando gli ascoltatori ad esprimersi sulla utilità di prolungare la ventilazione meccanica, ottenendo unanime risposta negativa. A questo punto Vedrinne mostrò all’udi- torio esterefatto la paziente in carne ed ossa recuperata dopo un lunghissimo periodo, come ho appena detto, di coma naturale traumatico.

Segnalo un’altra mia esperienza in tema di disposizioni anticipate di fine vita ex Legge 23/12/2017 n. 219. Come è noto l’articolo 5 della legge dispone:

Art. 5 – Pianificazione condivisa delle cure (PCC). – Nella relazione tra paziente e medico di cui all’art. 1, comma 2, rispetto all’evolversi di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.

Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati ai sensi dell’articolo 1 comma 3, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.

Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ai sensi del comma 2 e i propri intendimenti per il futuro, compresa l’eventuale indicazione di un fiduciario.

Il consenso del paziente e l’eventuale indicazione di un fiduciario, di cui al comma 3, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video registrazione o dispositivi che consentano alla per- sona con disabilità di comunicare, e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia su richiesta del paziente o su suggerimento del medico. Per quanto riguarda gli aspetti non espressamente disciplinati dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 4.

Ai sensi dell’articolo ora riportato, nella primavera del 2018, fui osservatore della famiglia di una malata in una commissione chiamata a decidere l’utilità prospettica di prolungare l’attività rianimatoria in una minore infraquattordi- cenne che un anno prima aveva subito la asportazione neurochirurgica di una grossa neoplasia infundibolare, rimasta misconosciuta per alcuni anni e da allo- ra era in coma irreversibile.

Proprio in relazione alle considerazioni di cui alle righe che precedono, que- sti casi mi destano particolare impegno ed apprensione personali.

La commissione decise per l’inutilità degli sforzi rianimatori, fu sospesa la nutrizione parenterale della paziente che in ogni caso morì indipendentemente per complicanze del suo stato.

Ho avuto modo di seguire la casistica di questo tipo non solo come profes- sionista ma anche come paziente.

Una ventina di anni addietro fui sottoposto ad un intervento in narcosi per la ablazione di una piccola linfoghiandola sotto-mandibolare. Al risveglio il chi- rurgo mi disse che le mie aspettative di sopravvivenza, erano molto ridotte. Grazie ad interventi di chirurgia cervicale allargata ed a terapia adiuvante con alte energie, così fortunatamente non fu.

Posso tuttavia dire, sulla base della mia esperienza personale e della os- servazione di un gran numero di casi, che alla comunicazione della prognosi infausta della propria malattia, nella maggioranza dei casi il paziente reagisce psicologicamente producendo la ferma persuasione che farà di tutto per scon- giurare dolori e prognosi infausta.

Solo quando l’evidenza non lascia spazio alla speranza di vita accettabile, l’afflittività aumenta e la prognosi si rivela a breve infausta, nel malato si forma la decisione di cessare una vita non più tollerabile.

Si pone ora il problema di offrire un contributo alla richiesta dell’ordinanza n. 207/2018 della Corte Costituzionale che fissa il termine del 26 settembre p.v. per ovviare sul piano tecnico ai problemi connessi alle disposizioni anticipate del trattamento di fine vita.

Interrogativi del genere sono stati proposti alle strutture mediche nazionali in altre contingenze, ad esempio nei casi di morte cerebrale primitiva ai fini del trapianto d’organo, di cui da ultimo alla L. n. 91/1999. In merito, nel dive- nire delle disposizioni, è stata disposta una deroga alla disciplina vigente sulla base degli accertamenti di una commissione composta da un medico legale, un anestesista-rianimatore e un neurologo esperto in elettroencefalografia che ac- certino la realtà della situazione biologica e clinica dopo un congruo periodo di osservazione.

Non è difficile tecnicamente proporre l’inserimento nell’art. 580 c. p. di una scriminante speciale in virtù della quale una commissione medica composta da

uno psichiatra, da un neurologo e da uno o più specialisti della branca medica coinvolta, consenta la adesione o meno al proposito di porre fine alla propria esistenza senza rischi di cambiamenti di orientamento terminali per fornire le- citamente aiuto tecnico ad un evento biologico sfavorevole già autonomamente innescato, al solo fine di evitare dolori e afflizioni al malato nel rispetto della sua dignità.

Costituzionale?

Nel documento AUTODETERMINAZIONE E AIUTO AL SUICIDIO (pagine 120-126)