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Gamification della film culture tra critica web e esperienze online

di Roy Menarini

tenzialità, a patto ovviamente di conoscere i propri strumenti e agire secondo premesse metateoriche esplicite. Nel caso di chi scrive, per esempio, la scelta di questi anni è stata quella di osservare e studiare, partendo dalla prospettiva di chi è interno alle discipline del cinema, le successive, e talvolta quotidiane metamorfosi della cultura cinema-tografica nell’epoca dei new media. Quasi tutti gli aspetti della cultu-ra cinematogcultu-rafica ne sono toccati, dalla didattica alla conservazione, dalla divulgazione alla critica, dai paratesti alle funzioni, dai festival alle comunità cinefile.

Critica e cinefilia – e ci avviciniamo al punto – sono al centro di queste conversioni. Data per acquisita la modifica a largo raggio della fruizione in sala e su altri supporti, con la data simbolica di fine 2013 per la scomparsa definitiva della pellicola nei circuiti di prima visione, pare insomma più suggestivo comprendere come due termi-ni vicitermi-ni, ma non identici né sovrapposti, abbiano potuto trovare un rilancio proprio oggi che l’esperienza estetica novecentesca del cine-ma sembra tramontata.

La risposta sta forse in forme di ludicizzazione e di riorganizzazio-ne sociale che qui ci limitiamo a suggerire, in attesa di studi ben più ponderati e profondi, difficili da compiere in fasi di ristrutturazione così magmatica e imprevedibile. In epoca recente, per esempio, la ricostruzione dell’esperienza cinefila appare come la più suggestiva.

Sono nati dei veri e propri network, come quello del Project: New Cinephilia diretto da Damon Smith e Kate Taylor, o il progetto Ci-nefilia Ritrovata che il sottoscritto conduce insieme alla Cineteca di Bologna, che cercano di trovare una casa discorsiva, e un contesto te-orico di riferimento, al dispersivo mondo della nuova cinefilia (Figg.

1-2). Al di là delle inevitabili divergenze di opinione (anche nella nuova cinefilia esiste uno zoccolo duro di estremisti e feticisti della pellicola, come per esempio il curator del MoMa, il giovane Gabe Klinger, o il collettivo di critici e programmatori che si fa chiamare Ferroni Brigade), la gran parte della costellazione guarda con favore alla convivenza tra consumo in sala e consumo sul web, anzi fa propri tutti gli strumenti contemporanei alla circolazione e al nutrimento della passione cinematografica.

Esistono, per esempio, social network della cinefilia, come MUBI (aperto a tutti) o il più clandestino Karagarga (dove si entra solo su

invito), nei quali le caratteristiche di discorsivizzazione del film se-condo i canoni della cinefilia – dunque autorialismo, linguaggio este-tizzante, consenso verso film emarginati, sproporzionati e visionari – si sposa con le regole dei social media, con i “like”, le condivisioni, le liste, i recuperi, e così via. Condividere rimane la parola d’ordine della comunità, e infatti bisogna cominciare a fondere gli studi sulla nuova cinefilia – condotti in questi anni da Malte Hagener, Marijke de Valck, Jonathan Rosenbaum e altri – con quelli sul fandom o sulle comunità subculturali, come auspicato in un recente convegno anche da Henry Jenkins (Bologna, Cinema Ritrovato, 29 giugno 2012).

In effetti, non c’è nessun motivo per il quale dovremmo guardare con sospetto ai pullulanti canali di Youtube dove singoli utenti ca-ricano decine di film su singoli settori della propria passione, come il poliziesco italiano anni Settanta o il cinema di kung fu cinese e hongkonghese. Si tratta di forme diverse ma pur sempre cinefile, di passione, che sbaglieremmo a gerarchizzare secondo antichi schemi desunti dai “Cahiers du Cinéma” – la cui influenza, pure, si fa sentire chiaramente anche in epoca di Facebook.

Tutto questo ha a che fare con la gamification? Secondo chi scrive in parte sì, a patto di riconoscere la dimensione avventurosa e ludica della ricerca, della condivisione, delle liste, dei quiz e dei giochi sul cinema. Non sarà un caso che l’autore della più discussa e personali-stica storia del cinema audiovisiva del momento, l’inglese Mark Cou-sins – autore di quel Story of Film di 15 ore divenuto recente culto – abbia voluto inserire sul sito ufficiale del documentario una serie di quiz sulla storia del cinema. E non sarà un caso nemmeno che la nuo-va classifica dei migliori film della storia del cinema, stilata ogni dieci anni dalla rivista Sight & Sound, sia giunta nell’estate 2012 come uno dei temi più discussi, rilanciati e “rigiocati” che si ricordino sul web (si pensi alle migliaia di contro-liste che cinefili e critici hanno stilato e evidenziato sui proprio profili Internet). Le stesse pratiche di riappropriazione dei film, attraverso mash-up, parodie o re-enactment online appartengono a un’idea dove sarcasmo e cinefilia si mescolano senza soluzione di continuità.

Ora bisogna chiedersi se questa cultura della ludicizzazione del patrimonio cinematografico abbia a che fare con qualcosa di com-pletamente nuovo o poggi le basi su elementi di latenza nella cultura

cinefila classica – ipotesi, questa, che mi sembra la più appropriata.

Ma se per la cinefilia lo scacchiere è complesso, molto più evidente pare la filogenesi tra dimensione ludica della critica e gamification contemporanea. Come noto, la critica cinematografica ha sempre dovuto barattare la propria legittimazione culturale e sociale con una sorta di interfaccia utilitaristica nei confronti dei lettori. Come se gli editori e il pubblico dicessero, in buona sostanza: benissimo le meditazioni sul film, ma fateci capire se lo dobbiamo vedere oppure no. Di qui il tradizionale ricorso a palline, stellette, voti, e altre pras-si numeriche per indicare il presunto valore artistico del testo. Che cosa, dunque, è mutato in tempi recenti? La cultura della quantifi-cazione. Facciamo alcuni esempi concreti: sul sito Rotten Tomatoes (www.rottentomatoes.com) non solo si possono leggere centinaia di recensioni anglofone per ciascun film uscito su scala internazionale, ma un software propone una media ponderata di giudizi che offrono infine una percentuale di giudizi positivi e negativi in grado di riassu-mere potenzialmente tutti i pareri, spesso contrapposti, lì contenuti;

sul sito Mymovies (www.mymovies.it) una idea simile – il Mymone-tro – è stata realizzata su suolo italiano, con l’aggiunta del parere dei lettori, e dunque la valutazione di critica e dizionari viene saldata al successo della pellicola in sala e valutata attraverso una media in stellette evidenziate in giallo, da 1 a 5; su youtube si sta sviluppando da tempo la pratica della fan critic, ovvero un corrispettivo dei blog o dei vlog in epoca di social media, e non di rado le forme scelte per le recensioni video assumono connotati parodistici o sarcastici nei confronti della critica ufficiale.

Sono solamente alcune delle possibili esemplificazioni di una cul-tura “gamificatoria” – mi si passi il termine – che non va in alcun modo ridimensionata o relegata ai margini dei discorsi sul cinema.

Ovviamente il prezzo da pagare c’è, ed è la lenta, inesorabile perdita di carisma della critica in senso istituzionale, quella che parlava da uno-a-molti, secondo la logica dell’erudito della comunità. Atten-zione, però. Siamo ben lontani da una dinamica sclerotizzata in cui la democratizzazione e ludicizzazione della critica e della cinefilia la-scerebbero sul campo – come fossero materia e antimateria – assenze, buchi, o forme invertite, svuotate, di fronte alle quali ogni reversi-bilità è impossibile. Siamo invece di fronte a singole competenze,

talvolta carismatiche, che identificano comunità di ascolto dalla dieta mediale talvolta ferrea, talvolta assai mobile e si muovono trasversal-mente – spesso estratte dalla singola testata in cui compaiono – all’in-terno degli ecosistemi mediali contemporanei.

Siamo probabilmente solo agli inizi di un sommovimento molto più ampio teso a risistemare la film experience dentro la cultura del gaming e della gamification. Le cose, tuttavia, non stanno andando secondo i processi previsti, ovvero l’inesorabile sgretolamento della funzione estetica del cinema in nome delle nuove forme mediali che non hanno più alcuna necessità di nobilitazione, per il semplice fatto

che non c’è un sistema dentro il quale scalare posizioni carismatiche.

C’è, invece, che la cultura cinematografica, quasi autonomamente e senza processi eterodiretti, sta traslocando – o rilocando – discorsi e gusti legati alla tradizione dentro i nuovi media e le pratiche d’uso comune. Si tratta di strategie di adattamento, tattiche spontanee di sopravvivenza e sorprendenti forme di ludicizzazione dell’heritage ci-nematografica, di cui sentiremo parlare sempre più di frequente.

Un cinema “giocoso”

Come osservato di recente da Peppino Ortoleva, «negli ultimi decenni lo sviluppo di nuove tecnologie, la riorganizzazione del tem-po della vita e del lavoro e altri fattori culturali meno visibili hanno determinato alcuni significativi cambiamenti storici nella sfera tra-dizionalmente separata del ludico»,1 e nel suo rapporto con la realtà sociale. Questi cambiamenti sono andati ben oltre la (pur) straordi-naria diffusione socio-economica del videogame – divenuto ormai il principale esponente dell’intrattenimento audiovisivo per alcune fasce di pubblico –, ma si sono declinati anche nel progressivo “scon-finamento” del gioco all’interno di contesti solitamente non-ludici.

«I confini tra gioco e realtà – sottolinea infatti Ortoleva –, sono stati ridefiniti in modo tale da includere aspetti della vita sociale che [pri-ma] sembravano essere estranei a ogni attività ludica»,2 e dove anzi «la sua presenza sarebbe apparsa irriverente o fuori luogo fino a qualche anno fa».3

Secondo lo studioso, tale sconfinamento ha generato «un’ampia area grigia, una zona liminale tra il gioco vero e proprio e la vita reale»4 in cui le categorie di “ludico” e “serio” si intrecciano e re-inquadrano continuamente a vicenda. Un caso emblematico (sin dal

1 Peppino Ortoleva, Homo Ludicus. The Ubiquity of Play and Its Roles in Present Society, in “G|A|M|E. The Italian Journal of Game Studies,” n. 1, vol. 1, 2012, p. 1 (traduzione nostra).

2 Ibidem.

3 Ivi, p. 3.

4 Ibidem.