LE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI E PATRIMONIALI: CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE E PROBLEMI GENERAL
2.7. Le garanzie giurisdizionali nel procedimento di prevenzione: un sistema di accertamento di tipo ‘kafkiano’.
Per completare la ricostruzione normativa sul tema delle misure di prevenzione occorre delineare i tratti fondamentali delle relative forme processuali163. Sia consentita la dovuta precisazione che le considerazioni che seguiranno sono riferibili alle sole misure di prevenzione di competenza dell’autorità giudiziaria, non già, dunque, alle misure c.d. questorili, le quali
161 Cass. Pen., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617, Lucci.
162 Ma si veda infra § 3.9. per la recente presa di posizione della giurisprudenza
costituzionale con riferimento alla natura della confisca.
163 Fornisce un’analisi puntale delle forme processuali nel sistema di prevenzione M.F.
CORTESE – L. FILIPPI, Procedimento di prevenzione, in Dig. disc. pen., Agg. VIII, Torino, 2014, p. 466 ss.
sono emesse d’ufficio e i relativi provvedimenti sono ricorribili in via amministrativa e impugnabili dinanzi al giudice amministrativo164.
Chiaramente la guarentigia di una adeguata struttura processuale non potrebbe sopperire alle riscontrate carenze di diritto sostanziale sotto il profilo della violazione del principio di legalità – e dei corollari di tassatività e determinatezza – nonché di quello di materialità, tuttavia, la stessa, avrebbe quantomeno il merito di assicurare la possibilità di un controllo razionale della decisione in relazione al rapporto tra giudizio di fatto e apparato probatorio165. Sebbene il procedimento applicativo delle misure di prevenzione abbia conosciuto un graduale ammodernamento in direzione di una sua compiuta giurisdizionalizzazione166, da più parti si lamentano le numerose anomalie che lo rendono ancora ben lontano dal garantire la piena attuazione dei principi del giusto processo167.
Il Giudice delle leggi nonché quello di legittimità sembrano aver riconosciuto la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione non tanto nella prospettiva di un suo adeguamento ai valori sanciti dall’art. 111 Cost.168, quanto piuttosto per legittimare la sostanziale natura inquisitoria del
164 R. ORLANDI, La ‘fattispecie di pericolosità’. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella prospettiva processuale, cit., p. 458 ss. Come ha cura di precisare
l’Autore in esse «la fattispecie di pericolosità (intesa in senso processuale come contestazione di un indice di pericolosità) fa corpo unico con il provvedimento preventivo».
165 A. BALSAMO – M. AGLIASTRO, Le forme del procedere: rinvio e particolarità, in
S. FURFARO (a cura di), Misure di prevenzione, Torino, 2013, p. 325 ss.
166 Giova ricordare che fino alla sentenza n. 2/1956 della Corte Costituzionale – che sancì
la necessità di un adeguamento della disciplina in materia di misure di prevenzione al principio della riserva di giurisdizione – come attuata dalla L. 1423/1956 – che allineò il sistema all’art. 13 Cost. – le misure preventive erano disposte da un organo amministrativo sotto il controllo governativo. In particolare, si trattava di una Commissione provinciale composta dal prefetto, procuratore del re, questore, comandante l’arma dei carabinieri reali nella provincia e da un ufficiale superiore della milizia volontaria per la sicurezza nazionale (art. 166 T.U.L.P.S.).
167 Per un approccio pragmatico sul tema della giurisdizionalizzazione delle misure si veda
A.D. DE PALMA, Manuale delle misure di prevenzione. Linee teoriche e operative, Rimini, 2008, p. 3 ss. Cfr. anche M. NADDEO, Un passo avanti verso il consolidamento garantistico
del processo di prevenzione, in Dir. pen. proc., 2010, p. 829, nonché A. CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale. Amministrazione giudiziaria, fallimento, tutela dei terzi, Napoli,
2007, p. 15 ss.
168 Uno studio dettagliato delle problematiche relative al procedimento di prevenzione e al
meccanismo applicativo (riproponendo di fatto quella metodica del garantismo inquisitorio che rappresentava una delle principali lacune del codice del 1930)169.
Orbene, la norma cardine con riferimento alla fase di cognizione è l’art. 7 del Codice antimafia, la quale, dopo aver delineato la struttura triadica del procedimento – che vede protagonisti il pubblico ministero, cui spetta la proposta preventiva, il soggetto chiamato a difendersi dall’altro e, infine, il giudice competente a pronunciarsi – fa un laconico rinvio alla disciplina prevista per l’incidente di esecuzione (art. 666 c.p.).
Il procedimento in esame si svolge in camera di consiglio e si prevede la necessità che il contraddittorio sia garantito da un sistema di previ avvisi e che sia assicurata la necessaria difesa tecnica170. Tuttavia, il termine di dieci giorni prima della data dell’udienza per la notifica alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori già dimostra scarsa sensibilità per un idoneo esercizio dei poteri probatori dei soggetti privati in funzione di un effettivo diritto della difesa di confutare il contenuto della proposta (in specie, nelle frequenti ipotesi ove la proposta di applicazione della misura rappresenta l’esito di un pervasivo controllo preventivo del patrimonio, secondo quanto previsto dall’art. 19 Codice antimafia)171.
Deficitarie risultano essere altresì le garanzie in tema di formazione della prova. L’acquisizione delle prove avviene infatti “senza particolari
prevenzione antimafia al vaglio del giusto processo: riflettendo sull’art. 111 Cost., in F.
CASSANO (a cura di), Le misure di prevenzione patrimoniali dopo il “Pacchetto Sicurezza”, Roma, 2009, p. 3 ss.
169 L’osservazione è di A. BARGI, Il procedimento di prevenzione e i principi del giusto processo, in S. FURFARO (a cura di), Misure di prevenzione, Torino, 2013, p. 65 ss., cui si
rinvia per una puntuale disamina del procedimento di prevenzione.
170 L’obbligo di farsi assistere da un difensore deriva dalla pronuncia della Corte
Costituzionale (Corte Cost., sent. 25 maggio 1970, n. 76) con la quale si dichiarava incostituzionale l’art. 4, II co., L. n. 1423/1956, nella parte in cui non prevedeva l’assistenza obbligatoria del difensore. Tuttavia, per quanto attiene alla difesa fiduciaria le garanzie predisposte si fanno più labili: la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, negato che possa rilevare il legittimo impedimento del difensore medesimo, potendo lo stesso essere sostituito da quello d’ufficio (Cass. Pen., Sez. Un., 27 giugno 2006, n. 31461).
formalità anche per quanto concerne la citazione dei testimoni e l’espletamento della perizia” (185 disp. att.), e, quindi, in maniera perlopiù sommaria, in palese violazione della cornice del giusto processo delineata dall’art. 111 Cost.
Inoltre, il giudice è dotato di sconfinati poteri officiosi, essendo legittimato a «chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno» (art. 666 c.p.p.). È dunque evidente come la disciplina si connoti per la mancanza di un’adeguata tutela del diritto alla prova del proposto per la misura172.
L’assenza di qualunque riferimento alle regole probatorie (eccetto la disposizione di cui all’VIII co. dell’art. 7 relativa all’esame a distanza dei testimoni), consente che gli atti d’indagine del pubblico ministero e della polizia siano destinati a essere sempre ammissibili e, in quanto tali, valutabili come prova in sede decisoria173.
172 In senso critico, A. DE LIA, La sconfinata giovinezza delle misure di prevenzione, in Arch. pen., 1/2017, p. 5 ss.: «La proposta formulata dai soggetti competenti, di fatto, non è
ritenuta vincolante per il tribunale; il giudice dispone di sconfinati poteri officiosi in ordine alla prova ed all’individuazione dei motivi che sostengono la misura, che rievocano un sistema processuale d’altri tempi; non di rado, sebbene le prove debbano essere assunte in udienza, nel contraddittorio delle parti, esse entrano nel fascicolo, senza avviso ai difensori: materiali documentali della più disparata natura ed origine vengono acquisiti a seguito del deposito in cancelleria da parte di organi pronti a contrastare, con elementi dell’ultima ora, le difese del proposto, o a correggere il tiro con note informative ove spunta spesso la formula “è stato accertato che”, non raramente senza alcun sostegno dimostrativo».
173 In realtà la considerazione non è del tutto vera nel senso che, per la particolare struttura
del procedimento di prevenzione (che non conosce le garanzie cardinali del processo penale derivanti dal principio di formazione della prova in dibattimento e nel contraddittorio delle parti), non trovano operatività quelle disposizioni volte a sanzionare la c.d. inutilizzabilità fisiologica. Quanto invece alla c.d. inutilizzabilità patologica si ritiene che le leges probationes dettate per il processo penale di cognizione operino, in quanto applicabili, nel giudizio di prevenzione. Non si tratta infatti di disposizioni eccezionali ma generali ed alcune derivanti da precise disposizioni costituzionali e convenzionali onde per cui si impone una loro applicazione analogica nel giudizio di prevenzione. A conferma di tale interpretazione si riporta il principio di diritto sancito dalla Cass. Pen., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 13426: «Le intercettazioni dichiarate inutilizzabili a norma dell'art. 271 c.p.p. […], così come le prove inutilizzabili a norma dell'art. 191 c.p.p., perché acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non sono suscettibili di utilizzazione agli effetti di qualsiasi tipo di giudizio, ivi compreso quello relativo alla applicazione di misure di prevenzione».
In generale, sul tema della inutilizzabilità probatoria si veda P. MOSCARINI, Lineamenti del
Soprattutto con riguardo alle misure personali, non esistendo alcun limite all’utilizzazione di tutte le fonti probatorie consentite dalla legge, di norma, il processo è meramente cartolare, in quanto le fonti probatorie sono essenzialmente costituite dalle informazioni degli organi di polizia e da documenti in gran parte desunti da procedimenti penali.
Diverso è il caso del procedimento applicativo delle misure patrimoniali, ove di regola sorge la necessità di una vera e propria attività istruttoria con indagini anche complesse: si pensi, ad esempio, alle perizie – anche contabili – che occorre effettuare quando il sequestro ha ad oggetto un’azienda.
Non può condividersi la scelta legislativa che, nel disciplinare i lineamenti procedurali, rinvia al modello semplificato di cui all’art. 666 c.p.p.: difatti, se tale procedimento ha una sua logica nella fase esecutiva della pena, lo stesso risulta del tutto avulso in un ambito che ha ad oggetto l’an ed il quantum di provvedimenti che possono seriamente incidere sulla sfera personale del proposto174.
Di non facile spiegazione è anche il VI co. dell’art. 7 il quale dispone che «ove l’interessato non intervenga ed occorra la sua presenza per essere interrogato, il presidente del tribunale lo invita a comparire e, se egli non ottempera all’invito, può ordinare l’accompagnamento a mezzo della forza pubblica». È irragionevole ipotizzare che il proposto sia tenuto a esporre elementi che possano nuocergli, in violazione del principio del nemo tenetur se detegere, e, quindi, un affievolimento della garanzia del diritto al silenzio, dovendosi comunque riconoscersi l’operatività dei capisaldi penalistici anche in materia di prevenzione175.
A ciò si aggiunga che lo stesso principio di immutabilità del giudicante subisce qui una sensibile attenuazione, dato che si richiede identità solo in
174 Cfr. L. FILIPPI, Profili processuali: dalla proposta al giudizio di primo grado, in Giur. It., 2015, p. 1539 ss. Si veda anche E. AMODIO, Il processo di prevenzione: l’illusione della giurisdizionalità, in Giust. pen., 1975, p. 498 ss. e F. BRIZZI, Il procedimento di prevenzione: prospettive de jure condendo, in Arch. pen., 2015, p. 1 ss.
relazione alla fase di discussione e quella di decisione, ma non rispetto a quella di acquisizione probatoria176.
Il sistema delle impugnazioni poi, se prevede un grado d’appello tipico del processo ordinario, in sede di legittimità limita il sindacato alla violazione di legge177, amputando il potere di critica di un controllo sulla razionalità argomentativa della motivazione (quanto mai necessario in un ambito in cui talora regna l’intuizionismo).
A vanificare la flebile garanzia del sistema rimediale vi sono i termini decadenziali previsti, pari a dieci giorni sia per l’appello che per il ricorso per cassazione, i quali risulteranno inadeguati nella maggior parte dei casi stante la complessità delle questioni generalmente trattate e la sostanziale imprevedibilità della decisione (che è il riflesso applicativo della liquidità dei contenuti normativi sui quali deve basarsi).
L’ombra inquisitoria riappariva poi nella natura riservata del procedimento in camera di consiglio178. Solo recentemente la giurisprudenza costituzionale179 ha recepito l’orientamento della Corte EDU che ne sanciva la
176 Cass. Pen., Sez. I, 8 maggio 2002, n. 22729, in Cass. pen., 2003, p. 1308 ss. con nota di
P.V. MOLINARI, Ritorno alla costante precedente giurisprudenza in tema di immutabilità
del giudice nel procedimento di prevenzione.
177 Vi è un contrasto giurisprudenziale circa l’individuazione dei motivi deducibili e, in
particolare, sulla possibilità o meno di impugnare ai sensi dell’art. 606, lett. d) ed e), c.p.p. Mentre l’indirizzo minoritario ritiene proponibile il ricorso per cassazione contro i provvedimenti applicativi della misura di prevenzione anche per vizio di motivazione, l’indirizzo maggioritario, facendo leva sul dato testuale, lo esclude. «Da ciò deriva che il sindacato della Corte investe la motivazione solo nei casi in cui manchi del tutto ovvero quando la stessa sia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o, ancora, quando le linee argomentative del provvedimento siano carenti dei necessari passaggi logici, al punto da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della relativa misura». Così, M.F. CORTESI, Il regime di
impugnazione delle misure di prevenzione, in Giur. it., 2015, p. 1545 ss., cui si rinvia per
un’analisi del regime delle impugnazioni.
178 Per una critica dei caratteri latu senso inquisitori che ancora connotano il processo di
esecuzione si veda F. GIUNCHEDI, Prova nel processo di esecuzione, in Dig. disc. pen., Agg. VII, Torino, 2013, p. 452 ss.
179 Si veda Corte Cost., sent. 8 ottobre 2010, n. 93, i cui principi ivi stabiliti sono stati
contrarietà art. 6 § 1 della Convenzione180: attualmente si prevede che, su richiesta dell’interessato, l’udienza si svolga in forma pubblica.
Conclusivamente si noti che anche in sede decisoria, l’operatività di una “grammatica probatoria”181, dai contorni slabbrati, diversa rispetto al processo penale – il quale non può prescindere da una rigorosa valutazione delle prove (art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p.) – acuisce i rilevati profili di criticità con la triste conseguenza per cui l’accertamento diviene sostanzialmente sommario, o – come è stato brillantemente definito – di tipo ‘kafkiano’182.
Peraltro, se si considera che sul profilo della riserva di giurisdizione si è storicamente giocato il destino delle misure di prevenzione come misure compatibili con la Costituzione (Corte Cost. 14 giugno 1956, n. 2) il quadro complessivo risulta indefettibilmente compromesso, di guisa che la «giurisdizionalizzazione finisce per diventare una copertura di quello che è un vuoto sostanziale»183.
180 La mancanza di pubblicità delle udienze è stata censurata dalla Corte di Strasburgo
(Corte EDU, 13 novembre 2007, n. 399/2002, Bocellari e Rizza c. Italia; Corte EDU, 2 febbraio 2010, n. 4514/2007, Bongiorno c. Italia; Corte EDU, 2 febbraio 2010, n. 30506/2007,
Leone c. Italia): «la pubblicità della procedura degli organi giudiziari di cui all’articolo 6 § 1
tutela i giustiziabili contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico» e «costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali». Infatti «con la trasparenza che essa conferisce all’amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell’articolo 6 § 1: il processo equo, la cui garanzia è annoverata fra i principi di ogni società democratica ai sensi della Convenzione (vedere fra molte altre, Tierce e altri c. Saint-
Marin, no 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000 IX)». 181 In tal senso, Cass. Pen., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 13426.
182 L’aggettivazione di sapore letterario è di M. CATENACCI, Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e ‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva, cit.,
p. 528. L’Autore critica così i risvolti processuali di una disciplina sostanziale definita ‘vaga’ ed ‘evanescente’: «alla mancanza di un fatto tipico (o comunque di specifici indici di pericolosità) entro cui circoscrivere i poteri di contestazione dell’accusa, fa da pendànt un sistema di accertamento di tipo ‘kafkiano’, il quale, analogamente a quanto per l’appunto accade per il signor K, protagonista de ‘Il Processo’, a chi è di volta in volta chiamato a contrastare un’infamante e quanto mai vaga accusa […], altro non consente che una frettolosa e sommaria esposizione delle ragioni che a suo dire avrebbero ingenerato ‘l’equivoco’ e degli aspetti della propria condotta di vita che, sempre a suo dire farebbero comunque di lui una persona irreprensibile».
183 E. AMODIO, Forme di tutela «ante-delictum» e profili costituzionali della prevenzione,
in AA.VV., Le misure di prevenzione (Atti del Convegno di Alghero - Centro Nazionale di