CAPITOLO TERZO
3.3. I referenti sovranazionali: il vaglio di compatibilità delle misure di prevenzione personali con la CEDU.
Nell’architettura multilivello del contemporaneo costituzionalismo, il diritto della prevenzione è destinato a sottostare a un giudizio di legittimità che rinviene i propri parametri non solo nella Carta costituzionale ma altresì negli standard di tutela dei diritti fondamentali scolpiti nella CEDU e, segnatamente, nell’interpretazione che di essa ha fornito il suo giudice, la Corte EDU.
La legittimazione delle misure preventive ante delictum è condizionata da limiti differenti in ragione del loro carattere privativo o limitativo della libertà personale31. Difatti, secondo un orientamento consolidato della Corte32, le misure effettivamente privative della libertà sono assoggettate all’art. 5, § 1, le misure limitative della medesima libertà personale soggiacciono all’art. 2 del citato Protocollo addizionale n. 433.
Viene dunque in rilievo, da un lato, l’art. 5, § 1, che sancisce il diritto alla libertà e alla sicurezza di ogni persona e, al contempo, stabilisce che nessuno possa essere privato della libertà al di fuori dei casi (le lettere dalla a) alla f) indicano analiticamente il vincolo sostanziale di tipo finalistico cui i
31 Inoltre, si vedrà infra § 3.3.2. che, secondo l’orientamento granitico della Corte, misure
di prevenzione personali in funzione di controllo della pericolosità del soggetto sono da ritenersi ammissibili, e, non presupponendo la condanna per un reato, non debbono considerarsi quali “sanzioni penali”.
32 Si vedano, ex plurimis, Corte EDU, 18 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Passi, n.
5100/71, § 58; Corte EDU, 6 novembre 1980, Guzzardi c. Italia, § 92; Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, cit.), § 39; Corte EDU, 1 febbraio 2011, Potapenko c. Ungheria, n. 32318/05.
33 In argomento si veda il contributo di L. BEDUSCHI, La giurisprudenza di Strasburgo 2011: il diritto alla libertà personale (art. 5 § 1 Cedu e art. 2 prot. n. 4 Cedu), in Dir. pen. cont., – Riv. Trim., n. 1/2011, p. 235 ss.
provvedimenti privativi devono soggiacere) e dei modi previsti dalla legge; dall’altro, l’art. 2 del Protocollo addizionale n. 4, in forza del quale «chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui […]».
In particolare, alla stregua di un approccio sostanziale e non meramente formale, viene qualificata in termini privativi della libertà non solo la misura stricto sensu coercitiva (come nei casi paradigmatici di arresto, fermo e, più in generale, detenzione a qualsivoglia titolo), bensì anche una limitazione della libertà di circolazione che risulti concretamente declinata in modo particolarmente penetrante34. Difatti, la Corte EDU ha specificato che il discernimento tra privazione e mera limitazione della libertà personale va rinvenuto nella differenza di grado e d’intensità, non di natura o di contenuto: i criteri utilizzati tendono ad avere natura quantitativa ed a concernere il tipo, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta35.
Emblematica a tal riguardo è la pronuncia sul caso Guzzardi, laddove la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la sottoposizione di un soggetto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno su un’isola comportasse limitazioni così rilevanti da risolversi in una autentica privazione della libertà personale (illegittima per difetto di alcuna delle cause legittimanti previste dall’art. 5, § 1, lett. dalla a) alla f))36.
35 Per un’analisi organica degli indirizzi della Corte di Strasburgo cfr. P. PINTO DE
ALBUQUERQUE, I diritti umani in una prospettiva europea, Torino, 2016, p. 5 ss.
36 Corte EDU, 6 novembre 1980, Guzzardi c. Italia. In particolare, l’inadeguatezza delle
Dal complessivo esame della giurisprudenza della Corte di Strasburgo si evince che le misure di prevenzione personali non possono essere aprioristicamente inquadrate tra quelle “limitative” (art. 2 Prot. n. 4) o “privative” della libertà personale (art. 5, § 1 CEDU); al contrario, in ossequio all’approccio sostanzialistico che contraddistingue la giurisprudenza della Corte EDU, occorre considerare casisticamente il concreto declinarsi della singola misura e, alla luce di tale valutazione, qualificare la fattispecie e ricondurla all’uno o all’altro parametro di legittimità convenzionale.
Laddove il complesso delle restrizioni imposte sia ritenuto così intenso da deporre a favore della natura privativa della libertà personale e, per l’effetto, subordinata all’art. 5, § 1 CEDU, la sua compatibilità convenzionale è destinata a vacillare in quanto non facilmente sussumibile nelle tassative ipotesi legittimanti tale privazione previste alle lett. dalla a) alla f) della disposizione citata37.
mantenere le relazioni familiari e sociali, di fruire di assistenza sanitaria, di studiare e, perfino, di rispettare le stesse prescrizioni ricevute, come quella di munirsi di un lavoro.
37 La Corte fu chiara già nella pronuncia Corte EDU, Lawless c. Irlanda, 1 luglio 1961, n.
332/57, relativo ad un caso di internamento di un soggetto sospettato di appartenere all’IRA: La Corte ritenne non giustificato ex art. 5 CEDU l’internamento di un sospetto terrorista in quanto la misura non era finalizzata ad alcuno dei legittimi scopi tassativamente previsti dalla norma. Si noti, tuttavia, che l’atteggiamento di favore della giurisprudenza verso le misure di prevenzione ha portato la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità con l’art. 5 §, 1 lett. b) CEDU di una misura di prevenzione, eseguita ai fini di prevenire episodi di violenza in occasione di manifestazioni sportive, consistita nella restrizione in camera di sicurezza per circa quattro ore. Nel caso di specie (Corte EDU, 7 marzo 2013, Ostendorf c. Germania, n. 15598/08), i giudici di Strasburgo hanno ritenuto prevalente, sul diritto del ricorrente, l’esigenza del tempestivo rispetto delle prescrizioni legali (che consistevano in un divieto di allontanamento), essendo queste ultime poste a tutela di diritti fondamentali e di interesse generale, minacciati dalla frequenza e dall’intensità degli episodi di violenza negli stadi. La Corte EDU, quindi, ha giudicato la privazione della libertà proporzionata al rispetto dell’obbligo, anche in considerazione del fatto che il ricorrente era un uomo adulto, leader del gruppo agitatore, che aveva manifestato la volontà di non conformarsi all’obbligo e che la misura non è comunque durata più dello stretto necessario. Pertanto, i giudici di Strasburgo, pur parametrando la misura di prevenzione all’art. 5, § 1 CEDU, nel caso di specie hanno comunque escluso la sussistenza della violazione di tale disposizione, ritenendo che la privazione della libertà personale subita del ricorrente rispondesse alla ragione di cui alla lettera b) dell’art. 5, § 1 CEDU (che ammette la privazione della libertà ad un dato soggetto se «vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso»). Cfr. I. GITTARDI, Detenzione per prevenire
Viceversa, le garanzie di cui all’art. 5, § 1 CEDU non sono reputate operanti rispetto alle misure implicanti soltanto una restrizione della libertà personale, da ricondursi queste ultime al citato art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU, posto a tutela della libertà di circolazione38. In tal caso, dette misure, per essere convenzionalmente compatibili, dovranno rispondere ai canoni stabiliti da quest’ultima disposizione, quali la riserva di legge, la presenza di uno dei contro-interessi indicati (sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, ordine pubblico, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale o protezione dei diritti e liberta altrui), nonché la necessità e proporzione tra il loro contenuto e lo scopo perseguito.
L’art. 2 del Prot. 4 CEDU, segnatamente, appronta una tutela relativa e non assoluta, nella misura in cui abilita le autorità statali a porre in essere le limitazioni previste dalla legge e necessarie ad assicurare la tutela degli interessi precipuamente individuati dalla medesima disposizione: è doveroso dunque un bilanciamento della libertà di circolazione con le esigenze della collettività implicate dal caso concreto.
Ci preme sottolineare che il principio di proporzionalità deve essere correttamente declinato in termini di stretta necessarietà e costituisce un canone di essenziale importanza per vagliare la conformità della normativa interna ai parametri CEDU.
Orbene, costituisce un refrain ricorrente nelle sentenze della Corte di Strasburgo l’affermazione secondo cui «in ragione della particolare gravità dell’offesa all’ordine pubblico cagionata dalle organizzazioni criminali e dell’importanza della prevenzione della criminalità in relazione a persone
condotte violente durante una manifestazione sportiva: esclusa la violazione dell'art. 5 Cedu da parte della Germania, in Dir. pen. cont., 14 maggio 2013.
38 Si veda, ex multis, Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, n. 12954/87. Ivi la
Corte EDU ha ritenuto che le prescrizioni imposte al ricorrente sottoposto a sorveglianza speciale (inclusive dell’obbligo di non lasciare la propria abitazione prima delle sette del mattino e di non rincasare più tardi delle ventuno e di presentarsi alla polizia in certi giorni, prescrizioni tipiche della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza), fossero meno afflittive rispetto a quelle applicate al ricorrente nel caso Guzzardi e, pertanto, ha ritenuto che la misura in questione avesse dato luogo a una mera restrizione (e non già a una privazione) della libertà personale, per ciò compatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU.
indiziate di appartenere alla mafia, le misure del soggiorno obbligato possono di principio essere considerate necessarie in una società democratica al fine di perseguire gli anzidetti obiettivi»39.
In termini analoghi si esprime la Corte in un passaggio della pronuncia resa nel caso Raimondo40: «tenuto conto della minaccia che la mafia rappresenta per la «società democratica», la misura di prevenzione personale deve ritenersi necessaria al «mantenimento dell’ordine pubblico» ed alla «prevenzione dei reati» ed è chiaramente «proporzionata al fine perseguito»41.
Si osservi dunque che nel valutare il fondamento di legittimità delle misure di prevenzione, la Corte ben sottolinea la specificità del caso italiano relativo alla esistenza di una particolare forma di criminalità rappresentata da quella di tipo mafioso, la cui eccezionalità può giustificare provvedimenti limitativi della libertà personale. Di conseguenza, nel vagliare la legittimità di
39 Corte EDU, 27 maggio 1991, Ciancimino c. Italia, n. 1241/86. 40 Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, cit.
41Argomentazione poi ripresa nel caso Labita (Corte EDU, 6 aprile 2000, Labita c. Italia,
n. 26772), ove la Corte rileva incidentalmente che le misure di prevenzione perseguono «certamente gli scopi legittimi del «mantenimento dell’ordine pubblico» e della «prevenzione delle infrazioni penali», tuttavia occorre che le stesse siano «necessarie, in una società democratica per raggiungere tali scopi legittimi»: la Corte «ritiene giusto che misure di prevenzione, e in particolare la sorveglianza speciale, siano applicate ad individui sospettati di appartenere alla mafia anche prima della loro condanna, perché tendono ad impedire il compimento di azione criminose. Peraltro, l’assoluzione eventualmente sopravvenuta non le priva necessariamente della loro ragion d’essere: infatti elementi concreti acquisiti durante il processo, benché insufficienti per pervenire ad una condanna, possono tuttavia giustificare timori ragionevoli che l’individuo coinvolto possa in futuro commettere infrazioni penali». Tuttavia, la stessa Corte ha ritenuto “ingiusta” l’applicazione (rectius, la mancata revoca della misura applicata in precedenza) al soggetto che, prosciolto dall’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa, era stato destinatario della misura (anche patrimoniale) solo perché la moglie era la sorella di un capo mafioso (nel frattempo, peraltro, deceduto); circostanza considerata negativamente dalla Corte EDU, che ha così affermato la violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4: «la Corte non riesce a comprendere come la semplice circostanza che la moglie del ricorrente sia la sorella di un capo mafia, nel frattempo deceduto, possa giustificare misure così gravi a carico del ricorrente, in assenza di ogni elemento concreto che attesti il rischio reale di potenziale commissione di reati. […] In conclusione, e pur non sottovalutando la minaccia rappresentata dalla mafia, la Corte conclude che le limitazioni alla libertà di circolazione del signor Labita non possono essere considerate “necessarie in una società democratica”».
ipotesi non collegate alla criminalità organizzata, l’impossibilità di riproporre tale presupposto argomentativo dovrebbe mutare sensibilmente i termini del giudizio di proporzione, sino a ribaltarne gli esiti.
Nelle sue linee fondamentali, l’impostazione di Strasburgo, seppur non ancora del tutto manifesta, merita di essere condivisa, dovendosi rinnegare l’idea secondo cui il sistema prevenzionistico possa essere asservito a esigenze di prevenzione generale – quale strumento parallelo rispetto al sistema propriamente penalistico – idoneo a fronteggiare qualsiasi forma di criminalità. Da ultimo, sembra confermare tale approccio un orientamento minoritario emerso nel caso De Tommaso (si veda infra § 3.3.1.), laddove si è ritenuto che le fattispecie a pericolosità generica ivi censurate fossero in contrasto con i principi CEDU in quanto non necessarie in una società democratica42. Avendo rilevato altro profilo di censura, lo scrutinio della normativa al cospetto del principio di proporzionalità, invece, non viene effettuato dalla maggioranza dei giudici. Ci si auspica dunque che in un futuro prossimo la giurisprudenza prenda posizione sul punto.
Ad ogni modo, l’esigenza di una piena valorizzazione del principio di proporzionalità ai fini della valutazione di compatibilità convenzionale e costituzionale del sistema sarà oggetto di separata analisi infra § 3.6. e 3.8.
42 Così, testualmente: «l’ingerenza è considerata “necessaria in una società democratica”
per uno scopo legittimo se soddisfa una “pressante esigenza sociale” ed è proporzionata al legittimo scopo perseguito. […] Inoltre, per quanto riguarda la proporzionalità di una misura contestata, essa sarà giustificata solo fintanto che favorisce efficacemente l’obiettivo perseguito inizialmente». Nel caso all’attenzione della Corte la misura viene ritenuta non «necessaria in una società democratica» per il suo concreto atteggiarsi, essendo stata predisposta su elementi indiziari piuttosto labili: in realtà, sarebbe necessaria una integrale riforma in senso tassativizzante e nel rispetto del principio di proporzionalità in quanto l’aspetto rilevato dalla Corte non può considerarsi una disfunzione unicamente riferita al caso di specie ma propria dell’intero sistema prevenzionistico (o comunque, sicuramente afferente tutte le ipotesi di pericolosità generica).
3.3.1. (Segue). La giurisprudenza tassativizzante della Corte di Strasburgo: la sentenza De Tommaso.
All’appello verso la riformulazione del sistema prevenzionistico circa la necessità di circoscriverlo alle più gravi forme di criminalità, si accompagna l’esigenza di una base legale sufficientemente determinata e, dunque, idonea a individuare le condotte suscettibili di integrare la fattispecie di prevenzione: non può eludersi, infatti, il rispetto rigoroso dei principi che promanano dall’art. 2 del Protocollo 4 CEDU.
Si inserisce in tale ultima prospettiva la sentenza De Tommaso della Corte di Strasburgo, la quale si pone come culmine e fonte di ulteriori avanzamenti nel processo di definizione dello “statuto di garanzia” delle misure di prevenzione alla luce dei noti principi convenzionali che ad esse presiedono43.
La Grande Camera della Corte EDU, il 23 febbraio 2017 dichiara non compatibili con le garanzie convenzionali le fattispecie di pericolosità generica di cui all’art. 1 lett. a) e b) del Codice antimafia per violazione del principio di legalità. Considera inoltre non sufficientemente tipizzato il contenuto della misura di prevenzione della sorveglianza speciale ove si prescrivono gli
43 In argomento, ex plurimis, F. VIGANÒ, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Dir. pen. cont., fasc. 3/2017,
p. 370 ss.; F. MENDITTO, Misure di prevenzione e Corte europea, in attesa della Corte
Costituzionale, ivi, 22 ottobre 2018; F. MENDITTO, La sentenza de Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, ivi,
fasc. 4/2017 p. 127 ss.; A.M. MAUGERI, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità
generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, ivi, fasc. 3/2017, p. 15 ss.; F. BASILE, Tassatività delle norme ricognitive della pericolosità nelle misure di prevenzione: Strasburgo chiama, Roma risponde, ivi, 20 luglio 2018; R. MAGI, Per uno statuto unitario dell’apprezzamento della pericolosità sociale. Le misure di prevenzione a metà del guado?, ivi, fasc. 3/2017, p. 135 ss.; S. DE
BLASIS, Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra
giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 4/2017, p.
128 ss.; S. FINOCCHIARO, Le misure di prevenzione italiane sul banco degli imputati a
Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 881 ss.; V. MAIELLO, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Dir. pen. proc., 8/2017, p. 1039 ss.; F.P.
LASALVIA, La prevenzione insostenibile. Scenari post De Tommaso, in Arch. pen., n. 2/2018, p. 4 ss.; G.P. DOLSO, Le misure di prevenzione tra giurisprudenza costituzionale e
obblighi di “vivere onestamente e rispettare le leggi”44, la cui violazione integra, peraltro, le fattispecie (una contravvenzionale e una delittuosa) previste dall’art. 75 del Codice antimafia.
In particolare, per quanto concerne l’aspetto relativo ai destinatari delle misure, la Corte ritiene che le classi di c.d. pericolosità generica summenzionate non soddisfino il requisito della “previsione legale” che l’art. 2 Prot. 4 CEDU richiede per limitare la libertà di circolazione: la descrizione normativa non presenta quella sufficiente prevedibilità necessaria per applicare la misura, perché non sono chiaramente identificati (dalla legge e dalla giurisprudenza) «gli elementi fattuali né le specifiche tipologie di condotta che devono essere prese in considerazione per valutare la pericolosità sociale dell’individuo».
Nel caso di specie la misura era stata disposta sulla base della complessiva valutazione della condotta di vita del proposto, fondata sull’assenza di un’occupazione stabile, sulla abituale frequentazione di esponenti della criminalità locale, nonché sulla commissione, in passato, di fatti di reato; una simile valutazione sembra rievocare le istanze di controllo delle classi pericolose di fine Ottocento, piuttosto che un giudizio di pericolosità sulla base di elementi dalla portata euristica di sicuro significato prognostico.
La Corte europea valorizza in particolare l’impianto argomentativo della sentenza n. 177/1980, affermando che anche le ipotesi di pericolosità generica oggetto di scrutinio sono connotate dallo stesso grado di indeterminatezza che fu riscontrato nella proclività a delinquere45: come in
44 Altro obbligo censurato nella sentenza De Tommaso è quello di “non dare ragione alcuna
ai sospetti” (ma abrogato con il d.lgs. n. 159/2011).
45 Difatti, fattispecie di pericolosità oggi in vigore «non indicano con sufficiente chiarezza
lo scopo e le modalità di esercizio dell’amplissima discrezionalità conferita alle corti nazionali”, e “non sono formulate con precisione sufficiente a garantire al singolo tutela contro interferenze arbitrarie e a consentirgli di prevedere in maniera sufficientemente certa l’imposizione di misure di prevenzione». Sul punto si veda il commento di V. MAIELLO, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, cit., p. 1041 ss.: «De
Tommaso non risparmia critiche alla giurisprudenza comune, responsabile, a suo dire, di non
quel caso, anche nelle situazioni descritte dall’art. 1, lett. a) e b) la normativa non contiene previsioni sufficientemente dettagliate circa la tipologia di comportamenti da cui dedurre la pericolosità del soggetto.
Altro profilo di censura concerne l’eccessiva vaghezza e imprecisione del contenuto delle prescrizioni che devono, o possono, essere imposte all’interessato sottoposto a sorveglianza speciale.
La Corte riferisce, invero, del contrario avviso espresso sul punto dalla sentenza n. 232/2010 della Corte Costituzionale, la quale aveva ritenuto non fondata la questione di illegittimità costituzionale della disposizione (oggi art. 75 del Codice antimafia) che sanziona penalmente l’inosservanza di tutti gli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, tra cui, quelli (censurati dinanzi alla Corte di Strasburgo) di “vivere onestamente e rispettare le leggi”.
Osserva tuttavia la Corte EDU che nemmeno l’interpretazione di tale norma proposta dalla Consulta risulta in grado di fornire all’interessato indicazioni sufficienti circa la condotta richiestagli. Quel che la Corte Costituzionale aveva in quell’occasione definito come il «dovere, imposto al prevenuto, di rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano cioè di tenere o non tenere una certa condotta; non soltanto le norme penali, dunque, ma qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della già accertata pericolosità sociale» si risolve in realtà, secondo il convincimento dei giudici di Strasburgo, in un «illimitato richiamo all’intero ordinamento giuridico italiano, e non fornisce alcuna chiarificazione sulle norme specifiche la cui inosservanza dovrebbe essere considerata quale ulteriore indicazione del pericolo per la società rappresentato dall’interessato»46.
di “proclivi a delinquere”; in particolare, le nostre Corti avrebbero persistito nell’impiegare un concetto quale quello di “tendenza a delinquere” (desunto da indicatori quali: la