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IL CONCETTO DI RISERVATEZZA

2.1 La genesi del diritto alla riservatezza: dalla privacy alla tutela dei dat

personali.

Il concetto di riservatezza ha trovato la sua prima forma di positivizzazione nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che all’art. 12 afferma l’inviolabilità della vita privata dell’individuo da interferenze esterne, preservandola da incursioni di soggetti esterni, sia pubblici che privati.

Il suo ancoraggio negli ordinamenti moderni ha trovato il fondamento giuridico in ragione del diverso contesto socio-culturale in cui è maturato, e, con specifico riferimento al caso italiano, l’evoluzione del concetto di riservatezza come affermazione di un diritto autonomo della personalità ha raggiunto la sua attuale connotazione in tempi relativamente recenti ad opera principalmente della

stati elaborati dalla Regione Toscana, lasciando inattuata la norma statutaria (v. C. CUDIA,

Trasparenza amministrativa e diritti di informazione del cittadino nei riguardi delle amministrazioni regionali, La trasparenza amministrativa, a cura di F. Merloni, Milano, 2008, pagg.

135 ss., a cui si rinvia per un’ampia e puntuale analisi delle previsioni del “diritto civico alla trasparenza” negli Statuti regionali).

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Corte costituzionale che, a partire dalla sentenza n. 38 del 1973113, ha incluso il

diritto all’onore e alla reputazione tra i diritti inviolabili dell’uomo, attraverso una lettura combinata degli artt. 2, 3, comma 2 e 13 Cost., sull’assunto che tali diritti costituiscano un presidio della dignità umana.

Tale assunto presuppone necessariamente l’esistenza di un limite, di natura contrapposta, alla libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, che deve misurarsi con la garanzia di tutela della vita privata del singolo da intrusioni arbitrarie.

L’esigenza di individuare una copertura costituzionale al diritto alla riservatezza discende dall’assenza di una sua previsione esplicita nella Carta costituzionale114, per cui i giudici della suprema Corte, nella sentenza sopra

richiamata, hanno rinvenuto negli artt. 2 e 3, comma 2, Cost. la matrice del carattere dell’inviolabilità della riservatezza, in relazione con le sue molteplici espressioni, che attengono a sfere determinate della vita del singolo, desumibili dagli artt. 13, 14, 15 e 21 Cost.

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In tal senso anche le sentt. n. 86 del 1974, in Giur. Cost., 1974, 667 e ss.; n. 1150 del 1988, in Giur. Cost., 1988, 5588 e ss.

114 G. BUSIA, Riservatezza (diritto alla), in Digesto Disc. Pubbl., Aggiornamento, Torino, 2000,

ritiene che la Costituzione italiana non contiene una nozione espressa di riservatezza, non in quanto non fosse percepita l’esigenza di tutela della sfera intima della persona negli anni cinquanta, ma perché i Padri costituenti non ritennero che, a differenza di testi costituzionali più recenti, fosse necessario riservarle una previsione ad hoc. Nella normazione ordinaria vi erano già stati interventi a tutela della riservatezza in specifici settori, come per la protezione dei dati di rilevazione statistica (R.D.L. n. 1285/29); della paternità iscritta nei registri di stato civile (R.D.L. n. 1238/29, abrogato soltanto con D.P.R. n. 396/2000); della pubblicazione della corrispondenza o scritti di vita privata (L. n. 633/41).

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L’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili della persona, afferma il principio personalista del nostro ordinamento costituzionale, che pone l’individuo al vertice della gerarchia dei valori giuridici115

, mentre l’art. 3, nell’affermare l’uguaglianza formale e sostanziale, esige l’impegno di tutti ad assicurarne l’effettività. In questa costruzione risiede la potenzialità del dettato costituzionale di ricondurre nell’alveo del patrimonio irretrattabile della persona umana i valori emergenti della personalità, che affiorano dall’incessante adattamento della sfera individuale allo sviluppo tecnologico116.

La tutela della privacy ha vissuto uno sviluppo relativamente recente ed ha acquisito una rilevanza giuridica solamente alla fine del XX secolo. Il concetto di

privacy, in origine, consisteva soprattutto in una istanza di tutela della proprietà

privata, avanzata dalla borghesia nascente come riscatto sociale nei confronti del sovrano, al quale poteva essere così sottratto il dominio dello spazio fisico117

mediante uno ius excludendi alios118.

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Tra gli autori che in dottrina hanno rinvenuto nell’art. 2 Cost. il fondamento costituzionale dei diritti della personalità, e dunque anche della riservatezza, cfr., fra tutti, F. MODUGNO, I “nuovi”

diritti nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995. 116

A. BALDASSARRE, Privacy e Costituzione, L’esperienza statunitense, Roma, 1974, pp. 457 ss. sostiene che il concetto di riservatezza si rapporta con una nozione che “cambia continuamente colore come un camaleonte”.

117 S. RODOTÀ, Intervista su privacy e libertà, a cura di P. Conti, Roma-Bari, 2005, pag. 135. 118 Il termine to be let alone è stato usato per la prima volta nel 1878 dal giudice T. M. COOLEY, A Treatise on the law of torts, or the wrongs which arise independently of contract, Chicago, 1906,

consultabile sul sito http://www.archive.org/details/cu31924019311426. Tuttavia, è con l’articolo “The Right To Privacy” di Warren e Brandeis del 1890 (S. WARREN, L. D. BRANDEIS, The right

of privacy, in Harv. L. Rev., 1890, 4, pag. 193) che la nozione di privacy ha iniziato ad affermarsi

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L’esistenza di un diritto alla riservatezza come pretesa “derivante da un diritto naturale”119

è stata elaborata dalla giurisprudenza statunitense agli inizi del secolo scorso, attraverso un filone interpretativo che ha ampliato progressivamente le ipotesi di lesioni dell’interesse meritevole di tutela al riserbo, anche in conseguenza dell’incessante sviluppo tecnologico che aveva portato alla invenzione dei telegrafi e dei telefoni e degli strumenti di intercettazione, rendendo palese come il progresso si scontrasse con l’ambizione dell’individuo a restare in disparte.

Con lo sviluppo tumultuoso di nuove tecnologie che consentono inedite modalità di veicolazione di dati e informazioni e la possibilità di un controllo sempre più invasivo sull’individuo, si afferma un’epoca da molti definita come “l’era della comunicazione” e dell’“informazione totale”, in cui “proprio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno contribuito a rendere sempre più labile il confine tra sfera pubblica e privata”120.

Privacy e Costituzione. L’esperienza statunitense, cit., pag. 48 s., il merito storico che deve

attribuirsi ai due giornalisti risiede nell’autonoma configurazione della violazione alla vita privata della persona, consistente in una interferenza esterna idonea a produrre un danno, identificabile nel turbamento della propria sfera intima, sovvertendo così l’impostazione dominante dell’epoca, in base alla quale il diritto alla privacy era funzionale a proteggere la proprietà fisica dei beni, base dell’intelaiatura dei rapporti relazionali della società liberale.

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Caso Paveish v. New England Life Insurance Company 122 Ga. 190, 194, 50 S.E. (1905). L’attore lamentava che una sua fotografia era stata utilizzata per fini pubblicitari da una compagnia assicuratrice senza il suo consenso (cfr. sul punto A. BALDASSARRE, Privacy e Costituzione.

L’esperienza statunitense, cit., pag. 53).

120S. RODOTA’, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-

Bari, 1997, pag. 151. L’Autore evidenzia gli effetti sociali delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla nozione di privacy: “….siamo passati da un mondo in cui le informazioni personali erano sostanzialmente sotto il controllo esclusivo degli interessati a un mondo di informazioni condivise con una pluralità di soggetti e da un mondo in cui la cessione delle informazioni era nella gran parte dei casi l’effetto di relazioni interpersonali, ad un mondo in cui la

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Nel corso di circa mezzo secolo gli operatori giuridici si sono occupati del diritto alla privacy, fondamentalmente nella difesa di quattro forme di intervento: l’interesse ad impedire intromissioni di estranei nella propria sfera privata; l’interesse ad opporsi alla divulgazione al pubblico di fatti privati, quali le condizioni economiche, la salute o fatti passati per cui viene invocato l’interesse all’oblio; all’interesse ad impedire la rappresentazione dell’individuo in modo non corretto; ed, infine, l’interesse ad opporsi all’utilizzazione di dati o allo sfruttamento della propria notorietà a profitto altrui.

Questa ripartizione giurisprudenziale è confluita integralmente nel secondo

Restatement of torts del 1977, non senza critiche da parte della dottrina prevalente,

che esigeva una reductio ad unitatem della materia, in quanto l’ingresso di una distinzione in settori del diritto alla privacy poteva (e doveva) essere ricondotta al concetto unificante dell’human dignity, che coniuga la nozione di privacy con l’inviolabilità della persona umana.

L’affermazione della privacy nella teoria costituzionale statunitense come valore fondamentale del sistema ordinamentale, si rintraccia ancora una volta nella giurisprudenza della Corte Suprema, che, nell’interpretazione delle norme costituzionali sui diritti di libertà, ha rinvenuto nel Quarto Emendamento – in base al quale “ogni individuo ha il diritto alla sicurezza della persona, del domicilio e dei

raccolta delle informazioni avviene attraverso transazioni astratte; siamo passati da un mondo in cui il solo problema era quello del controllo del flusso delle informazioni in uscita dall’interno della sfera privata verso l’esterno ad un mondo nel quale diventa sempre più importante il controllo delle informazioni in entrata (...)”.

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beni personali a fronte di perquisizioni e sequestri irragionevoli” – l’ancoraggio ad una protezione ampia della nozione di riservatezza, intesa come libertà negativa.

La tecnica ermeneutica adottata dai giudici statunitensi per stabilire se sussisteva una violazione della sfera individuale era quella del balancing test, che consentiva all’operatore di pervenire ad una soluzione del caso attraverso la verifica dell’esistenza di due condizioni: la prima che imponeva di stabilire se il lamentante aveva manifestato un’effettiva attesa di privacy; la seconda che richiedeva di decidere se tale aspettativa era coerente e ragionevole con il contesto sociale nel quale si proiettava.

La valutazione di questi due parametri, letti alla luce del Quarto Emendamento ed in seguito anche del Primo121, ha contributo ha definire i limiti del

fondamento costituzionale del diritto alla privacy, limiti che hanno registrato, in coincidenza dell’incessante sviluppo tecnologico del dopoguerra, una generale impennata verso la compressione, conseguente all’atteggiamento della società a considerare come una danno collaterale ineludibile il sacrificio della riservatezza in nome del progresso, atteggiamento a cui la giurisprudenza non ha fatto eccezione, invocando il Primo Emendamento per difendere anche interessi opposti come il diritto di informazione.

Soltanto sul finire degli anni Settanta del secolo scorso la Corte Suprema ha costituzionalizzato l’aspetto dinamico e multidimensionale del diritto alla privacy, inteso come l’esercizio di un potere di controllo sulla circolazione delle

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Il Primo Emendamento recita: “Il Congresso non deve emanare alcuna legge che (….) limiti la libertà di parola, o della stampa o il diritto di riunirsi pacificamente e di agire nei confronti del Governo per il risarcimento dei danni subiti”.

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informazioni personali, avvalendosi di una lettura sistematica e complessiva del testo costituzionale.

Anche la normazione ordinaria statunitense – sebbene caratterizzata da uno sviluppo settoriale e disorganico e contrassegnata da interventi federali e statali privi di un quadro di riferimento – mostra di recepire le istanze emergenti di protezione dei dati personali, trasfondendo nel Privacy Act del 1974 le principali forme di garanzia a disposizione del cittadino per azionare le richieste di cognizione, di accesso e di rettifica dei propri dati. Tuttavia, la richiamata normativa non offre ancora una compiuta nozione di “dato personale”, sottrae un’ampia tipologia di informazioni alla tutela offerta dalla legge, oltre a limitare notevolmente il numero dei soggetti istituzionali tenuti ad osservare l’obbligo di

disclosure qualora queste siano impiegate for a rutine use. Ulteriori vincoli

derivano anche dall’applicazione del Freedom of Information Act del 1966, nonché più di recente dal Patriot Act del 2001, che, emanato con finalità di contrasto al terrorismo e agli attentati alla sicurezza nazionale, ha inciso pesantemente sui diritti di libertà personale e sul diritto alla privacy.

In definitiva, la traduzione del diritto alla riservatezza come capacità riconosciuta al singolo di controllare i dati di sua pertinenza nell’ambiente esterno ha fatto il suo ingresso negli ordinamenti moderni in epoca relativamente recente, come prodotto di una interpretazione della sfera umana espressa nella sua

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universalità, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica122

, concorrendo a declinare la privacy in un diritto pieno all’autodeterminazione informativa123, concepito come

esplicazione della personalità dell’individuo a decidere liberamente il grado di esposizione all’interno della società, finanche ad optare per il cd. diritto all’oblio, per il quale nessuno deve sottostare alla condizione di non potersi privare del proprio passato, pretendendo legittimamente che la diffusione dei dati che lo riguardino sia essenziale e necessaria124, oltre che disposta da un’autorità.