• Non ci sono risultati.

Capitolo 1. Gentrification: le questioni aperte in letteratura »

1.4 Gentrification tra politiche pubbliche e social-mix »

Nell’epoca attuale il verificasi del processo di gentrification sembra esser sempre più legato all’attuazione di politiche pubbliche. Mentre negli anni passati la gentrification veniva vissuta dalle autorità locali come un problema da affrontare attraverso la regolamentazione e la fornitura di edilizia pubblica laddove il capitale privato avviava la speculazione, oggigiorno c’è chi individua un terzo modello che, oltre a quello dell’offerta e della domanda, vede come causa principale del fenomeno proprio l’azione pubblica (Cameron, Coaffee, 2005).

A tal proposito, in letteratura, si è parlato di state-led gentrification (Lees, Ley, 2008) e

policy-led gentrification (Peck, 2005; Slater, 2006) per sottolineare il ruolo promotore svolto

dal settore pubblico al fine dell’avvio del processo, o di positive gentrification (Cameron, 2003) intesa come motore e strumento per la riqualificazione di un’area urbana. Dalla fine degli anni Novanta la gentrification si è trasformata in uno strumento per “riportare in vita” i centri città (Badcock, 2001, p. 1559) e da dibattuto oggetto di studio è diventata una strategia urbana globale (Smith, 2002).

La gentrification nel discorso pubblico ha ceduto il passo a espressioni quali rigenerazione, riqualificazione, rivitalizzazione e residenzializzazione (Smith, 1987, 2002; Bromley e al. 2006; Lees, 2008) e sempre più spesso è associata a concetti quali la sostenibilità e vivibilità delle città.

Dunque il processo di gentrification sembra essere uno strumento fondamentale per rafforzare il cosiddetto “rinascimento urbano” in atto, in quanto contribuirebbe alla costruzione di un’area urbana dall’alta densità, caratterizzata dalla mixité sociale e degli usi e nella quale regna la diversità culturale. In particolare in Europa alcune aree urbane sembrano sperimentare trasformazioni, dirette dalle autorità pubbliche, e orientate alla coesistenza in uno stesso spazio di funzioni residenziali e funzioni legate al loisir.

Bromley mette in evidenza il ruolo cruciale svolto in tal senso dalle attività notturne, quindi bar, ristoranti e altri luoghi di aggregazione i quali oltre a dinamizzare l’area, danno allo stesso tempo una percezione di maggiore sicurezza e dunque contribuiscono alla vivibilità della città (Bromley e al., 2006).

L’apporto positivo al governo della città arrecato dalla gentrification può inoltre essere letto anche alla luce della teoria della creatività di Florida (2002, 2005). L’attenzione posta sulla crescita economica e la competitività interurbana attraverso l’attrazione di talenti che operano

40

nei settori creativi fa dei quartieri gentrificati un asset strategico per lo sviluppo e pertanto un tipo di trasformazione urbana da incoraggiare più che ostacolare.

Nel caso in cui l’area nella quale si dispiega il processo sia inizialmente caratterizzata da problematiche sociali, come molte aree urbane centrali europee, la gentrification arreca un ulteriore vantaggio: l’eliminazione, o lo spostamento, del degrado e della conflittualità e dunque la possibilità di esercitare il controllo sull’area da parte dei poteri pubblici. Dunque il fine ultimo di una politica a sostegno del social-mix attraverso la gentrification potrebbe essere:

“the establishment of a multifaced system of control in disadvantaged neighbouhoods that would make these places easier to manage and that would reduce the burden they formed for a city-oriented national growth strategy” (Uitermark, 2003, p. 546).

Tale modo di agire delle autorità locali si inserisce all’interno del più vasto abbandono delle politiche keynesiane a favore di una visione neoliberale delle questioni urbane. A fronte dei tagli allo Stato sociale e alla diminuzione dei provvedimenti per garantire l’accessibilità abitativa, soprattutto nei Paesi a economia avanzata, si sono affermate politiche post- keynesiane di governance attraverso le quali viene incoraggiata l’imprenditorialità delle autorità locali e la realizzazione di programmi per incentivare il mercato privato (Hackworth e Smith, 2001).

Da ciò l’abbandono di politiche di tipo assistenzialista per affrontare problemi quali la povertà, il degrado e l’esclusione sociale a favore di azioni che hanno come obiettivo la creazione di aree di social-mix che ne riducano la concentrazione spaziale. Ciò induce Lees (2008, p. 2463) a definire tali azioni pubbliche “politiche cosmetiche” in quanto si occupano della superficialità del problema senza la volontà di andare in profondità e ricercare le cause sociali, economiche e culturali che fanno si che in alcune aree urbane si concentri popolazione disagiata. Dunque a parere della stessa studiosa, a fronte di anni di evidenze scientifiche che supportano l’idea di gentrification come un processo che produce disuguaglianza, polarizzazione ed esclusione sociale, oggigiorno il processo viene incautamente legato al concetto di social-mix e ai suoi supposti effetti benefici dei quali peraltro mancano evidenze empiriche (Lees, 2008; Bromley, 2006).

Ma su chi ricadono gli effetti positivi di una politica a sostegno del social-mix? Un quartiere con una popolazione socialmente differenziata è preferibile ad aree omogenee? E se si, per chi?

41

Nel discorso pubblico si è radicata l’idea che la presenza in una stessa area di popolazione socialmente diversa sia un contributo per la creazione di un capitale sociale capace di garantire la coesione e quindi favorire la costituzione di una comunità meno segregata, più vivibile e sostenibile.

Il conseguimento del cosiddetto social balance, ossia la presenza in una stessa area di cittadini dal diverso livello socio-professionale, contrasterebbe la spirale verso il basso provocata dall’“effetto quartiere”, quel fenomeno per il quale in un area l’elevato tasso di disoccupazione, la progressiva riduzione delle attività commerciali e la graduale diminuzione di attrattività come luogo di residenza si condizionano negativamente a vicenda (Smith, 1996; Uitermark, 2003).

Pertanto una gentrification benigna potrebbe invertire tale tendenza attraverso la presenza di nuovi residenti che introducano nel quartiere nuovi modelli di comportamento che possano stimolare i vecchi residenti e indurli ad abbandonare comportamenti anti-sociali (Weesep, 1994). In questi casi, a parere di Bromley, la gentrification e il social-mix andrebbero dunque favoriti in quanto:

“It will mean the replacement of a marginal anti-community (non-property owning, transitory and problematized) by an active, responsible and improving population of homeowners” (in Lees 2008, p. 2452).

L’affermazione di Bromley mette in luce un altro aspetto interessante: la preferenza per il regime di proprietà delle abitazioni e la sua maggiore diffusione rispetto alla locazione nel mercato privato o l’eccessiva presenza di edilizia pubblica e dunque la realizzazione di un’area di mixed-tenure.

Spesso tali politiche sono dichiaratamente mosse dalla volontà di migliorare le condizioni di vita dei residenti originari e, a parere di Lees (2008), vengono sostenute attraverso la costruzione di un discorso moralista incentrato sull’aiuto ai poveri.

Le argomentazioni a sostegno dei benefici ottenuti dal vivere in prossimità di appartenenti a classi sociali più elevate si riassumono nella possibilità di godere di maggiori e più abbondanti servizi locali grazie alla capacità dei nuovi arrivati di sostenere la domanda, l’opportunità di avere accesso alla conoscenza di nuovi modelli di comportamento che potrebbero innescare strategie imitative da parte di residenti in condizioni di marginalità e infine il già accennato conseguimento della coesione sociale (Weesep, 1994).

Per quanto riguarda la migliore e maggiore dotazione di servizi e facilities nell’area si può constatare però come a tale incremento qualitativo e quantitativo sia spesso associato un

42

aumento del prezzo che riduce l’accessibilità per alcuni residenti. Inoltre, le nuove facilities non necessariamente vanno a colmare un bisogno insoddisfatto dei residenti originari essendo invece destinate a fasce di popolazione con altre strutture di preferenze.

Con riferimento agli effetti benefici derivanti dall’interazione tra residenti originari e nuovi arrivati si constata nella realtà quella che è stata definita social tectonic (Butler, Robson, 2003). Pare che a fronte del desiderio della diversità i gentrifier tendano ad auto-segregarsi e a non avere rapporti diretti con gli abitanti originari dei quartieri:

“Notions of diversity were more in the minds of these gentrifiers, rather than in their actions” (Lees, 2008, p. 2458).

Inoltre i gentrifier e i vecchi residenti appartengono a due mondi che raramente si intersecano:

“They did not work in the same places or use the same means of transport. They did not frequent the same restaurant or public houses. They had different household structure. They had different expectations and aspirations about community and mixing” (Davidson

in Lees, 2008, p. 2459).

Da ciò la giustapposizione di due gruppi socio-economici polarizzati più che la presenza di una comunità socialmente coesa (Butler, Robson, 2003).

Tali affermazioni minano la visione della gentrification e del social mix come strumenti in grado di favorire la coesione sociale e la vivibilità della città. La presenza in una stessa area di individui socialmente, culturalmente ed economicamente diversi nel migliore dei casi conduce all’indifferenza reciproca e nel peggiore dei casi può generare conflitto e impedire la formazione di qualsiasi tipo di capitale sociale (Weesep, 1994).

Cheshire (2006), interpretando le politiche a sostegno del social-mix come dei tentativi di distruzione di un certo capitale sociale al fine di ricostituirne un altro, nota come a volte gli obiettivi perseguiti non vengano raggiunti e che al contrario siano solo eliminati i vantaggi di una rete di solidarietà e sostegno che esiste laddove i residenti hanno caratteristiche comuni. A dispetto di queste considerazioni critiche, le politiche pubbliche sembrano dirigersi verso altre direzioni.

Già Weesep (1994) quasi vent’anni fa metteva in evidenza la necessità di porre il dibattito della gentrification in una prospettiva che prestasse più attenzione alle politiche pubbliche lamentando un’eccesiva attenzione dedicata alle cause del processo a scapito di un’analisi più rigorosa di quelli che sono i suoi effetti.

43

Tale richiamo è stato accolto da molti studiosi che però ancora una volta, più che concentrarsi sugli effetti delle politiche pubbliche di rigenerazione, hanno prestato maggiore attenzione ai motivi economici e politici che spingono l’azione delle autorità pubbliche (Freeman, 2008). La scarsa attenzione dedicata agli aspetti critici e negativi del fenomeno di gentrification da parte di coloro i quali hanno il poter di influenzare e realizzare le politiche pubbliche deriva proprio dalla mancanza di attenzione prestata agli effetti del fenomeno alla quale si aggiunge l’incapacità e il fallimento nel comunicare decenni di ricerche sul tema (Lees, 2003a).

Mentre Slater (2006) richiama gli studiosi ad assumere delle posizioni più critiche e si chiede se la stessa letteratura sulla gentrification si sia anch’essa gentrificata (Slater, Curran, Lees, 2004), Freeman (2008) si chiede al contrario se sia preferibile la coesistenza di una moltitudine di prospettive circa il fenomeno piuttosto che un’intensificazione degli sforzi sui soli aspetti critici. A parere di quest’ultimo data l’importanza e la larga diffusione assunta dalla gentrification sarebbe più opportuno cercare di trovare il modo di gestire il processo in maniera tale da contribuire al raggiungimento di una società più giusta ed equa.

Aldilà della prospettiva più o meno critica assunta sembra essere condivisa la necessità di arricchire la letteratura di studi empirici che documentino il modo in cui la gentrification colpisce le persone e i quartieri.

Solo una conoscenza profonda e dettagliata degli impatti del processo può da un lato ridare alle scienze sociali il ruolo di guida per le politiche pubbliche (Freeman, 2008) e dall’altro rafforzare la consapevolezza dei ricercatori di guardare alle politiche pubbliche come un

audience e come un oggetto di studio in quanto il compito delle scienze sociali, e in questo

caso della ricerca sul tema della gentrification, è quello di servire le politiche e al tempo stesso studiarle ed analizzarle (Lees, 2003a).

45