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Scott, W Butterfield, G.E Street

2.3.1 George Gilbert Scott

Sir George Gilbert Scott48 ha prodotto nella sua lunga carriera più di 80049

ediici tra cui si ricordano il Foreign Oice, il St Pancras Hotel e l’Albert Me- morial di Londra con «un’energia indomabile e uno zelo instancabile, così come lo spirito illuminato in cui ha perseguito la sua nobile vocazione» come ricorderà suo iglio.

Il suo interesse per il gotico iniziò a crescere dalle letture dalle pubblica- zioni di Pugin e nel 1842 si unì alla Cambridge Camden Society. Era solito essere paragonato a Viollet-le-Duc e, in efetti, la mole di lavoro è stata abbastanza consistente in tutte le parti dell’Inghilterra e del Galles con in più di venti cattedrali, molte abbazie, altrettante chiese parrocchiali, e ha avuto un grande impatto sullo sviluppo della politica di restauro. Egli operava generalmente con l’approccio conservativo, prediletto anche nel restauro della chiesa di St. Mary a Staford, uno dei suoi primi cantieri tra il 1840 e il 1844. Sebbene considerasse i suoi restauri come l’esito più conservativo della sua professione, in realtà operò interventi dal carattere energicamente distruttivo e tentò di replicare le parti di pietra deteriorata. Ruskin aveva dichiarato quanto pericoloso fosse, per la conservazione dei monumenti, le versioni del restauro stilistico proposte da George Gilbert Scott ed era molto critico nel valutare gli esiti dei suoi interventi: una pra-

tica allora molto comune nel restauro della pietra che prevedeva il taglio o la rimozione della supericie esterna deteriorata attraverso l’impiego di uno scalpello, l’applicazione di trattamenti supericiali e l’inserimento di nuove pietre appena intagliate. Accolte le critiche di Ruskin, Scott reagì e tentò di condividere e adottare la sua ilosoia d’intervento. Nel 1862 pre- sentò le sue idee aggiornate in un documento al Royal Institute of British Architects50. Nonostante Scott non condividesse pienamente la rigorosa

48) JOKILEHTO, J. A History of Architectural Conservation. Si parla di George Gilbert Scott (1811-78) nel capitolo 7 pp. 298-301.

49) Tra i suoi ottocento incarichi ne emergono alcuni d’alto proilo, come i restauri delle cattedrali di Ely, Hereford, Lichield, Peterborough, Durham, Chester e Salisbury; intervenne anche a Londra nell’Abbazia di Westminster.

50) Il documento fu rivisto nel 1865 in un pratico insieme di regole tecniche dal titolo The

Institutès Papers on the Conservation of Ancient Monuments and Remains.

47 prospettiva conservativa di Ruskin, il documento fu il primo del suo genere

ad adottare molti dei suoi princìpi e ad essere stampato e difuso da una organizzazione professionale di livello superiore51. La pubblicazione del

documento comunque marcò in modo permanente l’inluenza di John Ru- skin sulla pratica del restauro architettonico, deinendone l’unico e lecito obiettivo: la conservazione.

Nei restauri delle chiese, Scott seguì i principi dominanti della Cambridge Camden Society che spesso causarono la distruzione di elementi storici negli ediici. I suoi restauri furono criticati già nei primi anni ‘40. Uno dei critici fu il reverendo John Louis Petit52, che pubblicò le sue Note sull’archi-

tettura della Chiesa nel 1841 con un capitolo su “Riparazioni e adattamenti moderni”, in cui si è lamentato del lavoro di «restauratori ignoranti e pre- suntuosi».

Nella sua risposta a Petit nel 184153, Scott presentò concetti vicini a quelli

che si erano sviluppati in Francia nel periodo della Rivoluzione. Considerò un ediicio antico come un’opera originale di grandi artisti da cui si poteva imparare tutto sull’architettura cristiana; una volta restaurato, con atten- zione, un tale monumento avrebbe perso in parte la sua autenticità. In uno spirito simile, aveva sottolineato il valore delle alterazioni e delle ri- parazioni storiche, che potevano contenere resti della struttura originale, meritevoli di un’attenzione altrettanto accurata.

Nonostante la sua personale apprensione, Scott difese la sua professio- ne contro una crescente ondata di proteste in A Plea for the Faithful Re- stauration of Our Ancient Churches (1850), in cui trattava la questione con pragmatismo54, ispirato dal dibattito in corso, e in particolare dalle Sette

51) Una copia del documento è conservata presso la biblioteca del “Victoria & Albert Museum” a Londra.

52) John Louis Petit (1801-1868) era un ecclesiastico inglese e un artista di architettura. 53) Da Scott a Petit, 1841, riprodotto in Reply by Sir Gilbert Scott, R.A., to Mr J. J. Stevenson’s Paper in Architectural Restoration: Its Principles and Practice (Risposta di Sir Gilbert Scott, R.A., al documento di J. J. Stevenson) su Restauro architettonico: i suoi principi e le sue

pratiche, letto in una riunione del RIBA, il 28 maggio 1877.

54) The True Principles of Church Restoration, tratto da A Plea for the Faithful Restoration on

our Ancient Churches (Londra, 1850) è pubblicato in “The Gentleman’s Magazine”, a cura di

Sylvanus Urban, vol. 34, Londra, 1850, pp. 144-150

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lampade di John Ruskin, che erano state pubblicate l’anno precedente. Egli suddivise gli ediici storicamente rilevanti in due categorie: quelli da considerare per la presenza di segni di civiltà scomparse privi della loro funzione originaria e quelle chiese antiche che si erano mantenute in uso ma da restaurare per dare loro la migliore presentazione possibile55.

Trascorso oltre un decennio, nel 1865 Scott pubblicò nei Sessional Papers of the Royal Institute of British Architects 1864-1865 l’opera dai contenuti teorico-metodologici dal titolo General Advise to Promoters of the Resto- ration af Ancient Buildings, in cui rivelava un atteggiamento nei confronti del monumento che sarà proprio del restauro ilologico di ine secolo56. La

sensibilizzazione sociale e le prese di posizione contro le demolizioni negli anni ’50 del XIX secolo erano ormai divenute una realtà con cui i ripristina- tori stilistici dovevano scontrarsi.

Quel “restauro fedele” o “restauro conservativo” inteso da Scott, era basa- to sul rispetto del progetto originale, non del materiale originale né per la trasformazione della forma ottenuta attraverso la storia. In pratica, spesso rompeva i propri principi per rimpiangerli successivamente.

Il suo approccio coincideva più o meno con i principi che si stavano svi- luppando in Francia nello stesso periodo, in quanto c'è da ricordare che Viollet-le-Duc era ben noto in Inghilterra, soprattutto nel 1854 poiché era già membro onorario del RIBA.

Lui stesso era abbastanza obiettivo nei confronti del lavoro che aveva svol- to, infatti sentì la necessità di confessare i “crimini” che aveva compiuto nella sua carriera di restauratore dichiarando che «siamo tutti trasgressori!». Per evitare un restauro che si traduce in un “vuoto” completo, tuttavia e, al ine di garantire che un ediicio mantenga il massimo del suo materiale storico, raccomandò che, idealmente, il restauro venisse eseguito «in modo

55) JOKILEHTO J., A history of Architectural Conservation. The contribution of English,

French, German and Italian Thought towards an International Approach to the Conservation of Cultural Property, D.Phil Thesis, University of York, Institute of Advanced Architectural

Studies, Inghilterra, 1986, pp. 298-304.

56) Ripubblicato da Stephan Tschudi -Madsen nel suo Restoration and Anti-Restoration 1976 e richiamato in CARBONARA G., Avvicinamento al Restauro, p. 229.

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provvisorio e graduale57». Sebbene Scott continuasse a proclamare «con-

servatorismo, conservatorismo e ancora conservatorismo», come ha dichia- rato il professore Sidney Colvin, non sembra esserci molta diferenza tra i suoi principi e quelli contro cui ha discusso.

57) Scott, G.G. 1862. On the Conservation of Ancient Architectural Monuments and Remains., Carta letta al RIBA, Stagione 1861–1862, London, p. 77.

Fig 15 ▲

George Gilbert Scott,

Fig 16 ▲

St. Mary Staford, il primo importante restauro di Scott in cui efettuò nu- merose ricostruzioni e sostituzioni e mantenne inalterato il clerestorio e le merlature.

Fig 17 ▲

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