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Germania Magna: costruzione di una provincia tra 7 a.C e 9 d.C.

Nel documento Il nemico indomabile. Roma contro i Germani (pagine 56-103)

Gli uomini al governo della nuova provincia

Nonostante rivolte e rovesci, Augusto considerò sempre l’Elba come confine settentrionale dell’impero di Roma. La realtà, tuttavia, era diversa da quanto solennemente ostentato nei velleitari proclami del principe. Cassio Dione (56, 18, 1) utilizza una fonte che offre un resoconto esplicito e sincero della situazione: «i Romani avevano il dominio di alcune parti della Germania: non dell’intero territorio, ma solo di quanto erano riusciti a conquistare». Come abbiamo già detto, tra il Reno e il Weser (Visurgis) la presenza militare era garantita da numerose installazioni – forti e accampamenti – soprattutto lungo il corso del Lippe (Lupia), del Lahn e del Meno, più a sud. Oltre il Weser, nelle terre di Cauci e Cherusci, e fino all’Elba, non c’erano significativi presidi romani. Il controllo della regione era piuttosto affidato alle alleanze con le comu- nità locali e alla fedeltà delle aristocrazie germaniche. È pos- sibile che molti Romani si muovessero in quest’area: soldati, uomini del principe, mercanti, avventurieri. Ma tutto avveniva a loro rischio e pericolo. Al contrario, la presenza stabile di civili romani era condizionata dalla capacità delle guarnigioni di garantire la sicurezza. Tra il 7 a.C. e il 9 d.C., la Germania transrenana, limitata alla zona tra Reno e Weser, è una provin- cia in via di formazione. Le fonti a nostra disposizione sono piuttosto esigue; ma importanti ritrovamenti archeologici de-

gli ultimi tre decenni hanno gettato nuova luce sull’evoluzio- ne della regione conquistata da Druso e Tiberio secondo il modello provinciale. Lo sviluppo proseguì fino al disastro di Teutoburgo, che arrivò inaspettato a spezzare la storia della

Germania Magna1.

Tanto grande era il nuovo spazio della Germania in via di provincializzazione, e tanto esposto a pericoli, da indurre l’am- ministrazione imperiale a suddividere, nella sua prima fase, il territorio in distretti. Con molto pragmatismo, si riconosceva che il governatore imperiale, da solo, non era in grado di con- trollare tutto; perfino le precarie comunicazioni, in progressi- vo sviluppo, suggerivano di distribuire i compiti. Per questa ragione il legato della provincia che governava da Oppidum

Ubiorum, cuore della Germania in riva al Reno, era in realtà

affiancato da altri legati a lui subordinati. La loro capacità di intervento sul territorio era necessaria e preziosa; soprattutto per risolvere le questioni locali, prima che indugi e ritardi ne ingigantissero la portata.

Non abbiamo notizie certe sulla sequenza dei governatori di Germania tra il 7 a.C. e la morte di Publio Quintilio Varo nell’autunno del 9 d.C. Tuttavia, i nomi conservati nelle fonti indicano che furono scelti uomini di rango proconsolare, che avevano svolto un incarico di governo in altre regioni dell’im- pero; personaggi capaci ed esperti sia dal punto di vista dell’am- ministrazione, sia dal punto di vista militare. C’era infatti da costruire una provincia; allo stesso tempo, bisognava coordinare la difesa dello spazio contro la turbolenta instabilità delle popo- lazioni che venivano considerate sottomesse. Senza dimenticare che, come abbiamo finora sottolineato, per Augusto la Germa- nia era pure un bacino dove raccogliere onori e amplificare la gloria della Domus Augusta, ormai saldamente alla guida del popolo romano. Di conseguenza, i governatori a noi noti erano uomini fedeli al principe, sovente collegati, anche per vincoli di alleanza matrimoniale (adfinitas), alla sua famiglia. Tutti, alla fine del loro mandato, ottennero gli ornamenta triumphalia, con la sola eccezione di Quintilio Varo.

Da quanto è possibile ricostruire, tra 2 a.C. e 1 d.C. fu gover- natore Lucio Domizio Enobarbo, console nel 16 a.C., e legato in Illirico tra 7/6 e 2 a.C., marito della nipote di Augusto. Succes- sivamente, Marco Vinicio, legato di Germania dall’1 al 3 d.C., console suffetto nel 19 a.C. e in precedenza legato in Illirico tra 14 e 9 a.C. Gli ultimi due governatori di Germania furono Gaio Senzio Saturnino, dal 3/4 al 6/7, al seguito di Tiberio Cesare. Saturnino era stato console nel 19 a.C. Prima di essere inviato in Germania era già stato legato di Siria, nel periodo tra il 10 e gli anni 8-7 a.C. Dopo Saturnino fu governatore Publio Quin- tilio Varo, console nel 13 a.C. e legato dal 7 all’autunno del 9; governatore di Siria tra 7 e 4 a.C., Varo era pure sposato con una pronipote di Augusto2.

La catena di comando che sovrintendeva alla provincia ci è nota in parte solo nel caso del governatorato di Publio Quin- tilio Varo, fino al disastro del 9 d.C. In particolare, Velleio Pa- tercolo (2, 119, 4 e 2, 120, 3) riferisce che a sostegno di Varo v’erano due altri legati, Gaio Numonio Vala e Lucio Nonio Asprenate. Sul primo non abbiamo informazioni; sul secondo le notizie sono interessanti. Si tratta infatti di un nipote di Varo che aveva già seguito lo zio in Siria, nel 4/3 a.C., ed era stato console suffetto nel 6 d.C. Anche Germanico, che ebbe un co- mando eccezionale, fu assistito da legati nelle campagne tra 14 e 15 d.C. La fonte è ancora Velleio (2, 116, 3), che ci parla di L. Elio Lamia, console nel 3 d.C., e di Silio Cecina Largo, console nel 13 d.C., e già in precedenza assistente di Tiberio e Saturnino nel 4-6 d.C. V’erano poi Aulo Cecina Severo, console suffet- to e già legato di Mesia prima di affiancare Germanico nelle campagne del 14/15; e infine Lucio Apronio, console suffetto nell’8 d.C. Nonostante le scarse informazioni, dalla carriera di questi personaggi emerge un dato importante. La presenza di consolari come collaboratori (comites) nello staff di chi gover- nava in Germania non indica soltanto il prestigio dell’incarico; conferma, pure, la difficoltà dell’impegno; e, di conseguenza, le aspettative di successo che Augusto riponeva nel completa- mento del processo di provincializzazione.

Oltre allo staff al diretto servizio del governatore, abbiamo notizia di ulteriori deleghe locali per la conduzione di distret- ti considerati di più difficile gestione. Come consueto nella guida di una grande provincia, anche per la Germania sono infatti attestati ruoli speciali per ufficiali non appartenenti al novero dei senatori, ma di rango equestre o subalterni. Questi ufficiali disponevano di reparti di soldati ausiliari (auxilia) ed erano responsabili dell’ordine e del governo di alcune aree. Per la Germania si conoscono in questa epoca almeno due casi. Ancora nel 28 d.C., un ufficiale che era giunto fino al rango di primo centurione era stato assegnato al distretto dei Frisi. Aveva il compito di garantire la pace e il pagamento del tributo. Questa situazione risaliva con ogni probabilità all’età della conquista di Druso. D’altra parte, in un’area marginale, ma di grande importanza strategica per la comunicazione tra Italia e Germania, è attestato Sesto Pedio Lusiano Irruto co- me prefetto della Rezia, dei Vindelici, della Valle Pennina e dell’esercito armato alla leggera. Questo incarico fu affidato a Irruto al culmine della sua brillante carriera. Per i suoi meriti era infatti avanzato al rango di primo centurione (primipilus) della XXI legione Rapax, di stanza a Castra Vetera (Xanten). La presenza di ex centurioni di lunga carriera nella gestione dei due distretti indica il carattere militare della funzione; e chiarisce che la Germania transrenana era pacificata solo nel- le speranze del principe; la realtà, sul terreno, era molto più complessa e richiedeva le migliori competenze3.

A difesa di Gallia e Germania

Dopo l’ultima campagna di conquista dell’8 a.C., le legioni e parte delle forze ausiliarie che avevano accompagnato Tibe- rio vennero ricondotte nei grandi campi sulla riva sinistra del Reno. Questa decisione ebbe come conseguenza la distruzione della maggior parte dei campi di marcia o delle fortificazio- ni utilizzate da Druso, e poi da Tiberio, nell’area transrenana. Evidentemente i campi furono distrutti perché si voleva evitare

l’occupazione o lo sfruttamento di questi luoghi fortificati da parte delle popolazioni indigene. Rimasero senza dubbio delle guarnigioni a presidio dei centri nevralgici dell’area transrena- na conquistata. È questo, ad esempio, il caso delle unità presen- ti a Haltern (probabilmente Aliso) sul Lippe e nei campi ancora efficienti più a sud, nel bacino del Meno. D’altra parte, Cassio Dione (56, 18, 2) parla di soldati che trascorrevano l’inverno oltre il Reno.

Con la sistemazione dell’imponente esercito legionario subito a ridosso della riva sinistra del Reno si consolidarono due grandi basi, che costituirono anche i due baluardi di ac- cesso alla Germania transrenana. A nord, sul corso inferiore del fiume, era Castra Vetera, posto a cerniera della cintura di forti e installazioni lungo il fiume Lippe, via di penetrazione romana nell’area dal Reno al Weser. Più a sud, a quasi trecento chilometri di distanza, sorgeva l’accampamento fortificato di

Mogontiacum (Mainz). Anche in questo caso, il campo rap-

presentava il punto di partenza per la via che conduceva nelle terre dei Catti, tra i corsi di due importanti fiumi, il Lahn a nord e il Meno. Occorre tener presente che, in mancanza di infrastrutture stradali adeguate, questi fiumi affluenti di destra del Reno rappresentavano le principali vie di comunicazione per il consolidamento della Germania transrenana. Lungo il loro corso, infatti, sono stati trovati i resti dei campi dell’età di Druso, e di quelli costruiti più tardi per il controllo del territorio.

Come interpretare la decisione di spostare le potenti uni- tà legionarie dalla Germania transrenana appena conquistata al Reno? Riferendosi allo schieramento di età tiberiana, Tacito (Annali 4, 5, 2) offre una spiegazione efficace, che si applica anche all’epoca augustea. Le legioni e gli auxilia vennero trasfe- riti in luoghi che amplificavano le loro potenzialità operative: «a comune sostegno contro i Germani e i Galli» (commune in

Germanos Gallosque subsidium). Si tratta, dunque, di una scelta

strategica che, rispondendo a esigenze militari, ancora non re- cepisce le novità amministrative e politiche imposte da Augusto

dopo l’8 a.C. Anche dopo l’estensione virtuale del dominio fino al Weser, il Reno restava comunque il baluardo sul quale si ap- poggiava il sistema difensivo dei Romani. È una visione ancora ferma all’epoca precedente al grande slancio verso occidente; e rivela una condotta sollecitata da un prudente pragmatismo e dalla conoscenza diretta della situazione sul terreno. La compat- ta dislocazione dell’esercito sul Reno garantiva che queste unità fossero utilizzabili anche contro incursioni, sempre possibili, di Germani da oltre Reno in Gallia; senza considerare che rivolte e insurrezioni potevano avvenire anche nel nord della Gallia. In questo modo, la strategia romana si ispirava a lungimiranti caratteri di elasticità difensiva, da una parte; e al necessario ri- sparmio di forze e risorse, dall’altra. Per i militari, la Germania

Magna era ancora da considerare come un ampliamento della

Gallia. La sua difesa era dunque subordinata alla contempora- nea sicurezza della Gallia.

Molti erano i soldati a difesa del Reno. Nel disastro di Teu- toburgo del 9 d.C. furono annientate tre legioni, più contingenti di fanteria e cavalleria ausiliaria. Circa 20.000 uomini addestrati ed esperti. Ma le fonti indicano che non si trattava dell’unico esercito destinato alla Germania. Sul medio corso del Reno era- no infatti presenti almeno altre due legioni. Sfugge soprattutto l’entità delle unità ausiliarie. Non doveva trattarsi di numeri esi- gui. A Teutoburgo Varo disponeva solo di sei coorti e tre alae di cavalleria, per un totale di circa 3000 fanti e 1500 cavalieri. Ma, evidentemente, il grosso degli auxilia era rimasto a presidio delle basi del Reno, o di guarnigione negli accampamenti della Transrenana.

La trasformazione del territorio

La trasformazione di una regione in provincia romana com- portava cambiamenti invasivi per il territorio e per le popola- zioni. Per vivere in un luogo, i Romani avevano necessità di adeguare l’assetto dello spazio alle loro esigenze. La Germa- nia, in particolare, richiedeva grande impegno. Da un punto di

vista ‘romano’, la terra oltre il Reno, e fino al Weser e all’Elba, mancava di tutto: organizzazione razionale del paesaggio; stra- de e vie di comunicazione utili agli scopi dei Romani; soprat- tutto, città e insediamenti adeguati. Ancora a distanza di più di un secolo dai fatti, alludendo alla situazione dello spazio in Transrenana, Tacito si chiedeva: «chi, del resto, oltre al perico- lo di un mare spaventoso e sconosciuto, lasciata l’Asia, l’Africa o l’Italia, si recherebbe in Germania, tra desolati paesaggi, in un clima intollerabile, terra triste a viverci e a vedersi, se non vi si è nati?» (Germania 2).

Insieme all’insediamento di guarnigioni e campi fortificati, furono le vie di comunicazione a preoccupare da subito le auto- rità romane. Da sempre, le strade costituivano le grandi arterie capaci di collegare tra loro le città; assicuravano, inoltre, la mo- bilità di uomini, merci, informazioni necessarie a far funzionare il governo romano. In assenza di un controllo capillare del ter- ritorio, le strade erano fondamentali anche per la sicurezza e la difesa. Le truppe imperiali, infatti, le utilizzavano per muoversi con rapidità e in qualsiasi situazione climatica. Erano costruite per sopportare le intemperie: una costante manutenzione pre- servava la loro efficienza nel tempo e garantiva la durata stessa del dominio romano.

In mancanza di una rete stradale efficace, e in attesa di crear- la con una pianificazione strategica e tanto duro lavoro, i Roma- ni sfruttarono le risorse sul terreno. I Germani avevano qualche pista che venne riutilizzata e adattata alle esigenze dei nuovi dominatori. Ma furono soprattutto i numerosi fiumi che solca- no la regione tra Reno e Weser a trasformarsi in vie di transito per sostenere la costruzione della provincia. Anche i Germani erano abili nello sfruttamento della navigazione fluviale; ma lo sforzo dei Romani su questo versante fu imponente. Sotto il vi- gile presidio dell’esercito – che all’inizio gestì anche i movimenti – transitavano sui fiumi uomini, merci provenienti dall’impero, rifornimenti e materiali da costruzione; e tornavano verso il Re- no e la Gallia gli iniziali proventi dello sfruttamento: tributi, risorse naturali, molti schiavi. Fin dalle origini della provincia,

il Reno fu l’arteria vitale per questi traffici tra le due parti della Germania, cisrenana e transrenana4.

Le città di Cassio Dione

La città è un punto di riferimento essenziale per la mentalità, per l’identità, per l’organizzazione dello spazio dei Romani. In mancanza di città, i Romani trasformavano insediamenti indige- ni o, come nel caso della Germania, o della Rezia (Strabone 4, 6, 8), fondavano dal nulla nuovi centri urbani. Non si tratta solo di una questione culturale e antropologica. La città, infatti, è lo strumento più efficace per il controllo e la gestione di un’area. Esiste al riguardo un’importante notizia di Cassio Dione, relati- va alla storia della Germania transrenana prima di Teutoburgo. Scrive lo storico (56, 18, 2): «vi erano delle città (poleis) in via di fondazione, e i barbari stavano trasformando il loro stile di vita. Frequentavano il foro e le piazze e organizzavano occasioni di incontro pacifico».

Si è a lungo pensato che, a distanza di oltre due secoli, Cassio Dione esagerasse rispetto a quanto leggeva nelle sue fonti. Le sorprendenti scoperte degli ultimi decenni hanno invece mo- strato che lo storico aveva ragione. Sotto il punto di vista dello sviluppo urbano, negli anni dopo il 7 a.C. la Germania transre- nana è una regione in via di provincializzazione. Nel pianificare con lungimiranza la sistemazione del territorio, le autorità roma- ne avevano favorito la nascita di centri urbani. Nella loro visio- ne, erano strutture che dovevano aiutare il consolidamento del nuovo ordine. Alla città, infatti, fanno riferimento gli abitanti di una regione. Qui confluisce il loro tributo, si riceve giustizia, si scambiano merci e idee. Inoltre, attraverso la costituzione di un corpo civico il governo romano può concedere alle comu- nità locali una forma vigilata di autonomia e libertà politica. E ancora: ovunque l’appartenenza civica rappresenta un formida- bile strumento di integrazione tra cultura dominante romana e culture indigene. La popolazione romana si insedia infatti nei nuovi centri urbani, che in questo modo costituiscono luoghi

per l’incontro pacifico con le popolazioni locali a scopo di com- mercio, di reciproca interazione culturale, di svago.

Tanto più urgente appariva questo ruolo in un luogo abi- tato da popolazioni lontane dalla mentalità e dallo stile di vita mediterraneo. Cassio Dione conferma questa situazione per la Germania. Parla, infatti, di Germani che frequentano il foro e si incontrano nelle città. Questo processo di integrazione andava stimolato, favorito, persino imposto, se necessario. Ecco dun- que che, in alcuni casi, le autorità romane costrinsero le aristo- crazie germaniche a lasciare villaggi e dimore sul territorio per spostarsi a vivere nei nuovi insediamenti. Qui i capi dei Germani dovevano cambiare condotta di vita, adottando lo stile dei Ro- mani. Erano strategie di integrazione che obbligavano i Germa- ni a una dura trasformazione di abitudini e mentalità. Andavano ben dosate: Cassio Dione (56, 18, 3) ricorda quanto importanti fossero gradualità e moderazione al riguardo. D’altra parte, gli effetti di questo processo erano chiaramente percepibili. Scrive Floro (2, 30, 27), riferendosi ancora al periodo successivo alla conquista: «insomma, tale era la pace in Germania che gli uo- mini sembravano cambiati, diversa sembrava la terra, perfino il cielo appariva più mite e più dolce del solito».

Le forme dello sviluppo urbano: Haltern e Waldgirmes

In alcuni casi, le città si svilupparono dalla trasformazione di insediamenti militari. Gli scavi sul sito dell’odierna Haltern hanno restituito i resti di una base militare romana destinata al controllo del fiume Lippe. Si tratta di un complesso organizzato su diversi insediamenti che si svilupparono dal periodo, databile con certezza, delle campagne di Druso (11 a.C.) al disastro di Teutoburgo (9/10 d.C.). Il sito più antico della base è quello di un grande campo di marcia, di 34,5 ettari, risalente forse all’11 a.C. A questo campo si aggiunsero nel tempo il forte legionario principale, un porto, delle banchine adibite all’ormeggio delle navi, un altro campo di dimensioni più ridotte, un cimitero. L’a- rea più importante è il vasto forte legionario risalente, con ogni

probabilità, al periodo immediatamente successivo all’avvio della provincializzazione, negli anni tra il 7 e il 5/4 a.C. L’esten- sione del campo permanente della legione è significativa (circa 18,3 ettari). È possibile calcolare che vi fossero ospitate sei o sette coorti della XIX legione, poi distrutta a Teutoburgo nel 9 d.C.; oppure reparti di unità ausiliarie.

Una caratteristica, tuttavia, ha colpito gli studiosi. Ad Hal- tern non esiste un’equilibrata distribuzione tra gli alloggi desti- nati alla truppa e quelli, invece, riservati agli ufficiali. In parti- colare, ci sono troppi alloggi per gli ufficiali, che sono in nume- ro superiore rispetto a quelli necessari al comando dei militari presenti. Come si spiega questa eccedenza? Evidentemente, gli ufficiali ospitati nel campo erano incaricati di compiti che non riguardavano solo la guarnigione; piuttosto, si occupavano dell’organizzazione e della gestione amministrativa della provin- cia. È dunque possibile ricostruire le diverse fasi dello sviluppo di Haltern. All’inizio, il campo venne edificato come luogo di guarnigione per alcuni reparti della XIX legione o per ausiliari. Le baracche di questa prima fase erano in legno grezzo e argilla. In una seconda fase, lungo le strade principali del campo vengo- no costruiti nuovi edifici. Sono abitazioni private, anche rifinite e di elegante fattura. È importante notare, tuttavia, che nel frat- tempo il numero di baracche destinate alla truppa non cambia. In una terza fase, il campo permanente venne allargato, con la costruzione di edifici legati alla sfera civile-amministrativa.

Sorto in principio come base militare, il campo di Haltern divenne poi un centro amministrativo e logistico per l’organiz- zazione della regione intorno al medio corso del Lippe. Dun- que, una struttura ibrida, dove la presenza dei soldati si saldava a quella di civili. Del resto, la ristrutturazione ‘civile’ del campo di Haltern è stata confermata dalla presenza di diversi edifici. Oltre alle tracce di un possibile acquedotto e di un tempio, sono stati rinvenuti diversi forni destinati alla produzione di cerami- ca. Il loro numero è superiore alle effettive necessità dei soldati; di conseguenza, la ceramica veniva prodotta anche per uso dei civili presenti nel luogo e allo scopo di un commercio con le

popolazioni germaniche dell’area. Infatti, la ceramica di Haltern si diffonde anche in altri insediamenti romani come, ad esem-

Nel documento Il nemico indomabile. Roma contro i Germani (pagine 56-103)

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