• Non ci sono risultati.

In rivolta contro Roma: storia di Arminio il liberatore

Nel documento Il nemico indomabile. Roma contro i Germani (pagine 103-141)

L’ascesa del giovane Varo

Publio Quintilio Varo discendeva da un’antica famiglia, emigrata da Alba Longa a Roma. Famiglia ricca e prestigio- sa per storia, ma senza importanza politica. Infatti, anche se nell’elenco dei Fasti consolari si ricorda un Sesto Quintilio Varo console nel 453 a.C., i Quinctilii nei secoli successivi non ricoprirono la suprema carica di console; quindi non apparte- nevano alla nobilitas, il gruppo di famiglie che formava il sena- to di Roma. Comunque, alla prova dei fatti, i Quinctilii diedero testimonianza della loro fedeltà alla Repubblica. Nel grande scontro tra Cesare il rivoluzionario e Pompeo, che difendeva la legittimità del senato, Sesto Quintilio, padre del nostro Varo, questore nel 49 a.C., si unì senza indugi a Pompeo. Combatté e fu catturato a Corfinium. Cesare usò clemenza verso il prigio- niero, e lo liberò. Con ostinazione, Varo padre riprese la lotta: prima in Nord Africa, poi a Farsalo; nella grande battaglia del 48 a.C. fu dalla parte di Pompeo contro Cesare; dopo la grave sconfitta, uscì di scena, fino alla grande sollevazione dei cesa- ricidi; di nuovo, si schierò contro i cesariani, e partecipò alla battaglia di Filippi nel 42 a.C. Quando ebbe percezione della disfatta, Varo padre decise di farla finita, con onore. Indossò le insegne del suo potere e si fece uccidere da un liberto. Fu negli anni drammatici tra Farsalo e Filippi che nacque Publio Quintilio Varo. Nell’epoca di Augusto era previsto che si po-

tesse diventare consoli solo a partire dall’età di 32 anni; Varo divenne console nel 13 a.C., di conseguenza la sua nascita va posta entro il 46 o 45 a.C., forse a Cremona1.

Nulla sappiamo della prima gioventù e della formazione di Publio Quintilio Varo. Senza dubbio, vi fu occasione per una riconciliazione tra la sua famiglia e Ottaviano. Negli anni dopo Filippi, per ragioni politiche Ottaviano ebbe necessità di raf- forzare la sua intesa con i superstiti dell’aristocrazia senatoria di sentimenti ostili a Cesare. La rivalità con Antonio cresceva minacciosa. Consapevole dello scontro inevitabile, Ottaviano strinse intorno a sé le principali famiglie romane, attraverso un’oculata politica di clemenza e amicizia. L’ascesa politica di Varo si inserisce in questo clima e si realizzò attraverso un matrimonio importante. Conosciamo almeno tre matrimoni di Varo. Del resto, era un costume consueto nell’aristocrazia dell’epoca. L’adfinitas, l’alleanza di parentela, era un valido strumento politico di intesa tra gruppi. È possibile ipotizzare che Varo abbia stretto alleanza con la Domus Augusta fin dall’e- poca del primo matrimonio. Ignoriamo, tuttavia, il nome della sua prima moglie.

D’altra parte, altri legami sono attestati tra la sua famiglia e quella del principe. Infatti, una delle sorelle, Quintilia, aveva sposato Sesto Appuleio, nipote di Augusto e console nel 29 a.C. L’entrata di Varo nel gruppo più ristretto intorno al principe fu propiziata dal suo secondo matrimonio, testimoniato da un papiro che riporta un frammento della laudatio pronunciata da Augusto nel 12 a.C. al funerale di Agrippa. Nel testo si fa rife- rimento al rinnovo della tribunicia potestas ad Agrippa nel 13 a.C., durante il consolato di Quintilio Varo e Tiberio. Entrambi vengono indicati come generi del defunto. Ne consegue che, in una data difficile da precisare, forse tra 25 e 23 a.C., Varo aveva sposato una figlia di Agrippa, Vipsania Marcella; e aveva acquisito pure un legame di parentela con Tiberio, che aveva sposato l’altra figlia Vipsania Agrippina nel 20 a.C. Le conse- guenze dell’alleanza politica e matrimoniale sono confermate dalle poche informazioni a nostra disposizione. Dal 5 dicembre

del 22 al 4 dicembre del 21 a.C., infatti, Varo è al seguito di Au- gusto come quaestor Augusti e comes in Oriente. Era un incarico di prestigio. Nel concedere al principe il titolo di proconsole con autorità di comando, il senato gli aveva anche affiancato due questori. Questa magistratura non era tanto importante per i poteri conferiti; assai più significativa era la vicinanza alla per- sona del principe che l’incarico garantiva.

Era un successo per il figlio di un ufficiale suicida a Filippi nelle file dei cesaricidi. Forse Varo si era guadagnato l’amicizia e la stima del principe servendolo come ufficiale durante le guerre in Spagna. Tra il 26 e il 24, infatti, Augusto partecipò di persona alle difficili campagne contro Cantabri e Asturi, ribelli al domi- nio romano. È stato ipotizzato che il giovane abbia ricoperto il ruolo di tribuno in una delle legioni al seguito di Augusto, come consueto nelle prime fasi della carriera dei giovani senatori in quest’epoca. Non esistono conferme al riguardo. Senza dubbio, qualche episodio prima del 22 a.C. favorì l’ascesa di Varo che nel volgere di pochi anni si trovò genero di Agrippa, imparentato al principe per adfinitas e suo attendente con l’incarico di quaestor

Augusti. La sua presenza in Oriente tra 22 e 21 a.C. è attestata

per i provvedimenti di alcune città, che decisero di onorarlo con statue e iscrizioni. V’è dunque una dedica dall’isola di Tenos a Varo; e altre due statue furono offerte da Atene e da Pergamo.

Per quale ragione queste antiche città impegnarono le pro- prie finanze per onorare il giovane romano? Evidentemente, le comunità cittadine avevano compreso che si trattava di un personaggio destinato a crescere nella considerazione di Augu- sto. Terminato, infatti, il suo incarico di quaestor, Varo rimase probabilmente al fianco del principe nel suo soggiorno orientale in qualità di comes. D’altra parte, era noto che Varo aveva conso- lidato i suoi rapporti con Tiberio, il figliastro del principe, e suo stretto collaboratore. Per queste ragioni, le città cercarono di at- tirarsi la benevolenza di Varo. Atene, Pergamo e la comunità di Tenos puntarono sulla fortuna politica del giovane magistrato. Avere un mediatore di tale livello presso la corte poteva tornare utile per la cura dei loro interessi2.

Una brillante carriera al servizio del principe

Non abbiamo informazioni sicure sulla carriera di Varo tra il 21 e il 16 a.C. Per analogia con l’esperienza di altri senatori, è probabile che dopo il soggiorno in Oriente Varo abbia con- tinuato a viaggiare per le province, servendo come legato di legione. Inoltre, è possibile presumere che cinque anni dopo la questura, dunque nel 17-16 a.C., abbia ricoperto la carica di pretore. Finalmente, il suo nome riemerge su un pendente di piombo ritrovato nel campo di Küssaberg-Dangstetten (Ba- den-Württemberg). Si tratta di un oggetto che riporta il nome di uno schiavo, Privatus, un calo (palafreniere), e del suo padro- ne, il legato della legione, appunto Publio Quintilio Varo. Ne consegue che nel 15 a.C., all’inizio della guerra alpina, Varo era in Germania, al comando della XIX legione. L’unità sarà poi tra quelle che verranno distrutte a Teutoburgo, ancora sotto il suo comando.

Nel corso della campagna, la XIX legione era aggregata all’esercito condotto da Tiberio. Era l’armata più esposta ad attacchi sui fianchi, destinata a una lunga marcia in territorio ostile, dal corso dell’Alto Reno a quello dell’Inn. Sotto il co- mando di Varo, l’unità lasciò gli accampamenti di Dangstetten nella primavera e si mise in marcia verso est, verso le terre dei Vindelici. È molto probabile che abbia partecipato agli scontri presso il lago di Costanza. Giunta nell’Oberbayern, fu coin- volta in una battaglia campale. In un santuario sulla collina di Döttenbichl, presso Oberammergau, è stata ritrovata una cospicua quantità di armi romane e indigene, segno di uno scontro. Tra queste armi, oltre a 300 punte di freccia, v’erano anche tre punte di lancia per catapulta. Sopra una delle punte è incisa un’iscrizione che riporta il nome di un’unità presente nel combattimento. Questi proiettili furono scagliati dall’ar- tiglieria della XIX legione. Qualcuno, dopo la battaglia, rac- colse le armi e le offrì alla divinità del luogo, come era usanza presso Celti e Germani3.

ce ritorno a Roma. Si trovava in città sicuramente a ridosso delle elezioni per il consolato del 13 a.C., che si svolgevano nel mese di dicembre. Fu eletto insieme a Tiberio. Il risultato era piutto- sto scontato. Augusto, infatti, controllava la procedura di voto. Per il 13 a.C., il collegio consolare era favorevole al principe. Varo e Tiberio, infatti, erano suoi parenti e stretti collaboratori. Nell’anno del loro consolato vi furono dei giochi interrotti per il ritorno di Augusto dalla Gallia, dopo tre anni di assenza. La conferma viene dalle Res Gestae (12, 2), quando si ricorda che appunto nel 13 a.C. il senato decise di far erigere un monumento in suo onore e per l’impresa più apprezzata, aver riportato la pace nel mondo romano. L’Ara Pacis Augustae fu votata sotto il consolato di Tiberio e Varo4.

Di nuovo, per gli anni tra il 12 e il 7 a.C. poche sono le indi- cazioni precise sulla carriera di Varo, che proseguì comunque in maniera brillante. Alcuni documenti indicano che in questo pe- riodo ottenne il proconsolato d’Africa. Era un territorio molto ricco e da lungo tempo unito all’impero. V’erano prospere città, ordine e tranquillità. Durante il suo proconsolato, che secondo la prassi delle province senatorie durò un anno, forse tra 8 e 7 a.C., due città, Achulla e Hadrumetum, coniarono monete con la sua effigie. Si tratta di un grande onore che ne indica l’elevata posizione, soprattutto rispetto ad Augusto5.

Ordine a Gerusalemme (4 a.C.)

Nel 7 a.C. Varo ottenne una nuova conferma del favore di Augusto. Celebrò, infatti, il suo terzo matrimonio, ancora una volta nella cerchia familiare del principe. Sposò Claudia Pulcra, nipote di Ottavia, sorella di Augusto. In questo modo, la adfi-

nitas con la Domus Augusta si rafforzò. E gli effetti politici di

questo ulteriore avvicinamento sono da scorgere nel successivo incarico. Tra il 7/6 e il 4 a.C. Varo fu infatti governatore impe- riale in Siria, un luogo più pericoloso dell’Africa, ma di alto pre- stigio politico e militare. In Siria stazionavano quattro legioni e un numero elevato di unità ausiliarie. Erano soldati necessari a

controllare il confine con i temibili Parti, l’unico avversario che aveva osato sfidare l’egemonia di Roma e le sue aspirazioni al dominio sulle genti. Ma le truppe servivano anche a reprimere ogni tentativo di rivolta al potere romano. D’altra parte, per questo delicato compito le competenze e l’esperienza militare non bastavano. Non tutti i territori della regione, infatti, erano stati trasformati in provincia nel 64/63 a.C. Al governatore di Siria non dovevano mancare capacità diplomatiche, per gestire i rapporti sovente difficili con i principi clienti di Roma e le popolazioni nell’area.

Negli anni del suo incarico, Varo ebbe come principale re- sidenza Antiochia, antica capitale del regno dei Seleucidi. Esi- stono delle monete coniate nella città e nella colonia romana di

Berytus che riportano il suo nome. Una fonte importante che

informa sul governatorato in Siria è lo scrittore Flavio Giusep- pe. In particolare, traendo dagli scritti di Nicolao di Damasco, contemporaneo alle vicende, Giuseppe ricorda i rapporti tra Varo ed Erode, re cliente di Giudea, nell’ultima parte del suo regno. Erode apparteneva al ceto più ellenizzato della società ebraica. Prestava profonda attenzione a mantenere ottimi rap- porti con i governatori di Siria, era amico di Agrippa, e la sua lealtà per Augusto era grande. A Cesarea, città da lui fondata che perfino nel nome intendeva richiamare la sua devozione, venne costruito un tempio per il culto imperiale. Del resto, Erode doveva tutto ai Romani. Con il loro aiuto, tra 40 e 37 a.C., aveva preso il potere in Giudea ed era stato riconosciuto come re. Per la sua adesione ai valori e allo stile di vita roma- no-ellenistico, e per la sua origine non ebraica, bensì idumea, Erode dovette fronteggiare una costante opposizione da parte di gruppi ostili a lui e a Roma.

Verso la fine del regno, le tensioni esplosero in gravi conflit- ti, che contrapposero il re ai suoi stessi figli. Nel 5 a.C. Varo fu coinvolto nello scontro tra il re e suo figlio Antipatro. Il tentati- vo di Antipatro di uccidere il padre fu scoperto e il principe fu arrestato. Varo fu a capo del tribunale incaricato di giudicare. E non poteva essere diversamente. L’eventuale condanna di uno

degli eredi al trono di Giudea era affare che riguardava Roma e il suo supremo rappresentante nella regione. Dopo aver assi- stito al dibattimento, Varo tornò ad Antiochia, avendo tuttavia consigliato Erode di rimettere la questione al giudizio diretto di Augusto. Nell’anno seguente, alla morte del re, di nuovo il legato fu costretto a intervenire negli affari interni del regno di Giudea. Nel 4 a.C. un altro figlio di Erode, Archelao, ottenne il trono, secondo le ultime volontà del padre. Prima di assumere il potere, tuttavia, Archelao aveva rimesso ad Augusto l’ultima decisione sul suo destino. Mentre il nuovo re attendeva l’inve- stitura, scoppiarono tumulti contro di lui, che culminarono in un massacro a Gerusalemme nel giorno di Pasqua. Archelao lasciò la Giudea e riparò a Roma. Intanto, la rivolta dilagò e si trasformò in una insurrezione generale contro i Romani. A fomentare gli animi era stato, in particolare, il comportamento del procuratore Sabino. Secondo il nuovo ordinamento sta- bilito da Augusto, nelle province sotto il controllo imperiale era prevista una separazione dei compiti. Il governatore, un senatore di rango consolare o pretorio, era infatti affiancato da un procuratore, di rango equestre, che era responsabile delle questioni fiscali e dell’amministrazione economica del territo- rio. I procuratori ricevevano le imposte e pagavano l’esercito; inoltre, per la loro sfera di competenza rispondevano della loro condotta solo al principe, e non erano subordinati alla volontà del governatore.

Mentre s’attendeva la decisione sulla successione di Ero- de, Sabino era entrato in Giudea per mettere sotto custodia le proprietà e il tesoro regio. La reazione contro questa ini- ziativa del procuratore fu molto violenta. In occasione della festa di Shavuot, il consueto pellegrinaggio dei fedeli da ogni parte della regione verso Gerusalemme divenne occasione per un confronto con i Romani. Sabino, infatti, era in città insie- me a una legione. La folla dei pellegrini strinse d’assedio le postazioni dei legionari, e presto fu dato ordine di attaccare e disperdere i rivoltosi. Gerusalemme divenne un campo di battaglia e, dopo un iniziale successo, i legionari si trovarono

in grave difficoltà, braccati nelle strade e aggrediti da ogni luogo elevato. Lo scontro infuriò soprattutto presso il Tempio. Molti Romani caddero, colpiti dai rivoltosi appostati sopra i portici che circondavano il cortile esterno dell’edificio. Alla fine i legionari appiccarono il fuoco ai portici e fecero strage degli avversari; quindi penetrarono nel Tempio e si diedero al saccheggio del tesoro.

L’oltraggio fece riesplodere la rivolta. Nonostante le perdite, gli Ebrei incalzarono i Romani, costringendoli alla fine a ritirarsi nel perimetro ristretto della reggia. La situazione si fece critica. I rivoltosi ingiunsero ai legionari di arrendersi. Sabino rifiutò, confidando nell’arrivo di rinforzi. In effetti, il caos provocato dalla morte di Erode costrinse il legato a una spedizione in Giu- dea. Sollecitato anche dalle pressanti richieste d’aiuto di Sabino, Varo invase il territorio del regno al comando di due legioni, quattro unità (alae) di cavalleria ausiliaria, e reparti forniti dai re e principi clienti. Nella marcia verso Gerusalemme, le città di Sepphoris ed Emmaus furono distrutte. Questa ostentazione di forza e la grandezza dell’esercito – insieme alle truppe sotto assedio, i Romani e i loro alleati raggiungevano 30.000 uomini – spaventarono i ribelli di Gerusalemme. Ancor prima del loro arrivo, la massa dei rivoltosi si sciolse e l’assedio cessò. Varo en- trò a Gerusalemme senza combattere e riprese il controllo della città. Duemila prigionieri vennero crocifissi, a monito per quan- ti intendessero in futuro ribellarsi a Roma. Dopo aver ristabilito l’ordine, il governatore si spinse verso l’Idumea per eliminare gli ultimi focolai della rivolta.

In una difficile situazione, tra la fine di Erode e l’inizio del regno di Archelao, la testimonianza di Giuseppe indica che Va- ro seppe agire con abilità e competenza, sia dal punto di vista diplomatico che da quello militare. Anche Velleio Patercolo (2, 117, 2) ricorda il periodo del suo governatorato: «[Varo era] non del tutto sprezzante del denaro, come dimostrò la Siria, di cui era stato governatore. Entrò povero in una regione ricca; lasciò ricco una regione impoverita». È vero che la Siria era tra le province più ricche dell’impero. E tuttavia, il giudizio appare

malevolo. Infatti, quando Velleio scrisse la sua Storia Varo aveva già assunto i tratti negativi del vinto, responsabile della catastro- fe di Teutoburgo. Lo storico si attenne a questa immagine, con scarsa obiettività e poca onestà6.

Germania, 6 d.C.

Dal 4 a.C. al 6 d.C., per dieci lunghi anni, le tracce di Varo si perdono. La mancanza di informazioni ha fatto supporre che la sua carriera si sia interrotta per qualche ragione di attrito con il principe. Ma si tratta solo di un’ipotesi. Ad ogni modo, nel 6 d.C. arrivò nuovamente un incarico di prestigio. Dopo l’esperienza in Siria, Varo fu inviato in Germania come governa- tore della provincia. Al suo arrivo, i Germani avevano da poco deposto le armi, dopo la grande insurrezione. Tiberio li aveva sconfitti, ma non aveva avuto tempo di riorganizzare il terri- torio. Era infatti partito per sedare un’altra pericolosa rivolta, quella di Pannonia, portando con sé parte dell’esercito. Al suo posto, subentrò Varo; ma l’avvicendamento avvenne in un clima di emergenza. Il sistema di controllo dello spazio tra Reno e Danubio sembrava ancora precario.

La scelta fu dunque ponderata. Augusto inviò al posto di Tiberio l’uomo che riteneva più capace di assicurare il consoli- damento della pace in Germania. Ma altri fattori determinarono pure la decisione. Per reagire al clima di instabilità sulle frontie- re, il principe aveva bisogno di uomini di sicura fedeltà. Doveva- no mantenere ordine e disciplina, garantendo pure l’obbedienza delle truppe loro sottoposte. Nei momenti di crisi, la tentazione di sfruttare le tensioni o il malcontento delle legioni per audaci colpi di mano era sempre in agguato. Augusto conosceva bene questi meccanismi e agì di conseguenza, considerando Varo un uomo a lui fedele7.

Errori di percezione

Varo fu governatore in Germania dal 6 fino alla sua morte, nella prima parte dell’autunno del 9. Gli eventi di questi tre anni sfuggono: scarse sono le notizie, e frammentarie. Possiamo, tuttavia, ricostruire l’atmosfera complessiva tanto sul versante dei Romani, quanto su quello dei Germani tra Reno e Weser, costretti a subire il processo di provincializzazione. E possiamo verificare come, in realtà, visioni opposte e sentimenti contra- stanti dominano la storia di un periodo che si concluse con un esito catastrofico.

Quando nel 6 il nuovo legato raggiunse la Germania, la re- gione tra Reno e Weser appariva al governo imperiale come terra pacificata e di nuovo sotto il controllo del popolo romano. Era una percezione diffusa. Così pensava il principe; così pensavano i Romani che, al seguito delle legioni, si stavano insediando nel nuovo territorio; o quelli che, come Flavio Verucla, investivano i loro capitali per guadagnare dal suo sfruttamento. Così pensa- vano pure gli aristocratici germani che, come Segeste, stavano le- gando la loro fortuna alla collaborazione con il nuovo regime. In tutti questi casi, si trattava di una percezione sbagliata; un errore di valutazione destinato ad avere conseguenze drammatiche.

Forte della sua grande esperienza, Varo affrontò con ze- lo gli impegni più urgenti del suo governo. Il territorio della Germania non era ancora organizzato secondo il modello delle altre province. Mancava ancora un capillare censimento della popolazione indigena e dei beni; e solo dopo questa operazione sarebbe stato possibile avviare un’efficace riscossione dei tribu- ti. Insieme alla garanzia dell’ordine, erano queste le premesse fondamentali al funzionamento di una provincia. Erano com-

Nel documento Il nemico indomabile. Roma contro i Germani (pagine 103-141)

Documenti correlati