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Cenni sulla tradizione manoscritta delle Lettere di Gerolamo

Di Gerolamo resta un prezioso epistolario di 154 lettere. Tra queste, 16 sono state indirizzate al Nostro da vari personaggi del suo tempo, 14 sono quelle considerate non autentiche281. Solo al 1981 risale la pubblicazione di altre due

lettere scambiate tra Gerolamo e Agostino, scoperte nel 1975 dal viennese Johannes Divjak all’interno di un manoscritto contenente un carteggio dell’Ipponense, anch’esso rimasto sino ad allora inedito282. Quanto ci è giunto

risulta essere una porzione di una ben più vasta corrispondenza283.

«Impossibile render conto del lungo e tortuoso cammino compiuto dalle lettere geronimiane prima della loro editio princeps»284. L’analisi dei pochi dati

281 Una certa oscillazione tra gli studiosi sul numero di Epistulae autentiche, (Cola 124 / Cain 123), dipende dal ritenere genuina o meno l’Epist. 18 a Presidio: tradizionalmente esclusa dal corpus geronimiano a partire dal XVI sec., fu considerata spuria ed esclusa dai tre volumi dell’edizione Hilberg (CSEL 54, 55, 56) e della sua ristampa a cura di Margit Kamptner nel 1996. L’epistola è stata, tuttavia, rivalutata come autentica nel corso del secolo scorso.

282 La lettera di Gerolamo ad Agostino, databile tra il 392 e il 393, è entrata a far parte dell’edizione viennese col numero 27. Quella inviata dal vescovo di Ippona al Padre di Stridone risalirebbe invece all’autunno del 416. Vedi J. Divjak – F. Römer, OEuvres de saint Augustin, T. 46B, Lettres 1–29, Parigi, 1987; F. Moreno, San Girolamo. Temperamento e santità, Trad. O. Munoz – A. Baracco, Roma, 1989, p. 146 ss.

283 Non resta traccia, ad esempio, dello scambio epistolare intercorso tra Gerolamo e Ambrogio, testimoniato da fonti antiche, tra cui il loro contemporaneo Rufino. Sulle lettere perdute di Gerolamo, cfr. A. Cain, The Letters of Jerome. Ascetism, Biblical Exegesis, and the

Construction of Christian Authority in Late Antiquity, Appendix II: Lost Letters of Jerome, New York,

2009, p. 220-223.

284 B. Clausi – V. Milazzo, Una storia (non) tutta romana: l’«editio princeps» delle «epistole» di

143 certi, giunti sino, a noi invitava Benedetto Clausi a porre un freno a ricostruzioni troppo semplicistiche che in passato avevano riguardato la storia del testo delle

Epistolae geronimiane; eppure, su quegli stessi dati, Andrew Cain avrebbe

composto, anni dopo, una monografia che esaltava la volontà di Gerolamo di costruire la propria «Christian Authority» a partire, appunto, dai propri scritti, in particolare, dalle proprie lettere285.

Certo, Gerolamo ebbe piena consapevolezza di sé come scrittore cristiano e collocarsi al culmine del suo De viris illustribus lo testimonia. Sembra innegabile che lo stesso Padre abbia concepito per la lista delle sue opere apposta nel capitolo 135, all’interno della sezione a lui dedicata, un criterio tassonomico piuttosto preciso: Gerolamo pensò, infatti, di elencare i suoi scritti seguendo un macro-criterio cronologico, all’interno del quale procedere tematicamente.

Nello specifico, le epistolae venivano inserite all’interno di un sistema che tenesse conto delle più importanti fasi della vicenda biografica di Gerolamo (periodo antiocheno, 370 ca.; periodo costantinopolitano, 380 ca.; periodo romano, 382-385; periodo betlemita, dal 386) ma esse venivano poi suddivise secondo tre modalità differenti, ovvero raggruppate in raccolte; enumerate

Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (SISMEL), Firenze, 24-25 ottobre 2003, a cura di M. Cortesi, 2006, p. 58.

285 Cfr. J. Labourt, Introduction in Saint Jérôme. Lettres. Texte établi et traduit, Paris, 1949, vol. I, p. XLVI: «Le premier éditeur des Lettres de saint Jérôme fut saint Jérôme lui-même». Non sembrano contraddirlo le parole di Pabel, Herculean Labours: Erasmus and the Editing of St. Jerome’s

Letters in the Renaissance, Leiden, 2008, p. 23: «The process of transcription began with Jerome

himself, who had to copy out his own writings when scribes were not available. Stenographers to whom he dictated many of his letters and the scribes who reproduced them under his supervision or from copies in the possession of his aristocratic and ecclesiastical friends and patrons ensured the diffusion and publication of the letters. Jerome relied on aristocratic patronage to fund publication, but he was well aware of the unauthorized transcription of his works.

144 isolatamente e, infine, presentate come trattati, nel caso in cui Gerolamo scelse di indicarle con doppio titolo (ad esempio, Ad Eustochium de virginitate servanda). Con verosimiglianza, si può supporre che, mentre Gerolamo era ancora in vita, le sue lettere circolassero in forma privata in piccole raccolte, magari confezionate dagli stessi destinatari della corrispondenza del Padre latino. Solo in un secondo momento, imprecisabile, esse furono riunite secondo criteri diversi, in più o meno ampie collezioni, certamente non comprendenti l’intero corpus geronimiano.

Il misterioso percorso che separa queste prime raccolte di lettere dagli incunabuli sarà caratterizzato, tuttavia, da alcuni elementi immediatamente rilevabili, come il graduale inserimento nel corpus di trattati e di opere polemiche, ma anche, e con importanti risvolti per la successiva storia del testo, di numerosi spuri.

Il capitolo 135 del De viris illustribus presentava un elenco di scritti geronimiani non completo: vi compaiono, infatti, titoli di scritti composti prima del 393, anno in cui Gerolamo portò a termine la sua opera. Nei più antichi esemplari manoscritti sopravvissuti, risultano, tuttavia, i cosiddetti Additamenta, i quali aggiornano la lista di opere geronimiane integrandola con i titoli degli scritti composti successivamente. Essi ci offrono così l’opportunità di comprendere in quale misura e con quali modalità fosse già in atto la ricerca di criteri classificatori validi ad ordinare l’intera produzione dello Stridonense. Risale al VI secolo il codice Bambergensis (B. IV. 21), i cui additamenta integrano un elenco dove le lettere geronimiane appaiono catalogate, singolarmente, secondo un criterio cronologico, e, dato ancor più interessante considerata l’antichità del

145 manoscritto, vi si leggono oltre che i nomi dei destinatari, anche un accenno di commento su elementi formali e di contenuto286.

Secondo Cain, le due raccolte concepite come libri unitari da Gerolamo rappresenterebbero la prova più emblematica del fatto che l’intero corpus epistolare risponde a una precisa strategia di autopromozione. Lo studioso si concentra in particolare sulla prima raccolta, tradizionalmente considerata risalente al periodo pre-romano.

Dopo aver ristretto l’arco cronologico di composizione delle epistole raccolte da Gerolamo sotto il nome di Epistularum ad diversos liber unus287, Cain

sottopone questa raccolta a un’analisi codicologica che restituisce dati di particolare interesse: suggerisce, ad esempio, che l’Epist. 1, sulla Passio della donna ingiustamente accusata di adulterio, probabilmente non apparteneva alla collezione pensata da Gerolamo. Lo studioso, infatti, non ne trova traccia tra le lettere del blocco pre-romano lungo tutto il corso della tradizione medievale288.

I più antichi esemplari sopravvissuti con lettere o frammenti geronimiani datano al VI secolo; essi presentano generalmente da una a quattro lettere, o frammenti di lettera. Il codice Bibl. Naz. VI D. 59 di Napoli, anch’esso del VI sec., rappresenta l’esemplare più completo con le sue 22 lettere, probabile

286 Cfr. Clausi – Milazzo, Una storia (non) tutta romana, cit., p. 54 ss.

287 Cfr. A. Cain, The Letters, cit., p. 14: «Because the liber is the second entry in the list and is situated between the Vita Pauli and Epist. 14 to Heliodorus, both of which were composed in the early to middle 370s, we may conclude that whatever letters it contained were written during this period, before Jerome left for Constantinople».

146 compilazione di due differenti raccolte, come proverebbe la doppia presenza dell’Epist. 14 a Eliodoro289.

Per questi primi secoli di diffusione delle Epistulae geronimiane, a parte sporadici casi di avvicinamento graduale in piccoli dossiers di lettere tematicamente affini, Cain può affermare che «there are no visible signs of a scribal attempt at internal organization»290. La situazione cambierà notevolmente

dall’VIII secolo in poi, quando all’interno di collezioni ben più ampie, dalle 40 alle 80 lettere, embrionali tassonomie andranno delineandosi in raggruppamenti tematici, o secondo il criterio, da un certo punto prediletto, per destinatari291.

Un caso particolarmente interessante è rappresentato dall’Escorial Bibl. Mon. Lat. et. I. 14 risalente all’VIII secolo, il quale ordina le sue 43 Epistulae in «eight noticeable dossiers», rispetto ai quali restano fuori solo 4 lettere. Secondo Cain, il manoscritto testimonia chiaramente, attraverso i suoi raggruppamenti per genere, per destinazione geografica, o per corrispondente – come il gruppo

289 Anche questa lettera, come l’Epist. 1, è stata espunta da Cain dal Liber. Gerolamo avrebbe concepito la sua esortazione a Eliodoro a raggiungerlo nel deserto di Calcide come testo a sé stante, esterno alla raccolta, nella volontà di assicurarle una maggiore visibilità. Cfr. Cain,

The Letters, cit., p. 15. Elemento, quest’ultimo già considerato da Nantin, il quale tuttavia

riconduce la lettera, almeno originariamente, al blocco Ad diversos. Cfr. P. Nantin, La Liste des

œuvres de Jérôme dans le De viris inlustribus, «Orpheus» 5 (1984), p. 324: «La lettre d’exhortation

à Héliodore d’Altinum fait partie du même groupe (epist. 14), mais Jérôme la détache des autres pour la mettre en relief, parce qu’elle est plus longue qu’une lettre ordinaire et constitue un petit traité sur les avantages de la vie monastique». Dello stesso avviso, Clausi – Milazzo, Una storia, cit., p. 53.

290 Cfr. Cain, The Letters, cit., p. 226.

291 È il caso ad es. di Epistt. 15-16 a Damaso risalenti al 377 circa, progressivamente estratte dall’Ad diversus epistularum liber unus per farle confluire nel dossier più ampio della corrispondenza con Damaso, come il tardo Pate 27 (a. 353 I. 247) del XV secolo, posseduto dalla Marciana di Venezia. Cfr. Cain, The Letters, cit., p. 17.

147 costituito dalle sedici lettere scambiate con Agostino –, un «unprecedented» tentativo di organizzazione interna292.

Ma è dal X sec. in poi che sembrano emergere con una certa costanza classificazioni interne più nitidamente definite, come quella individuata da Pabel, pentapartita, che fissava la tendenza, già in atto, a suddividere le lettere secondo il destinatario: corrispondenza tenuta con papa Damaso, con Agostino, con destinatari vari, con corrispondenti donne, infine, lettere consolatorie e diversi spuri293.

Si tratta di una classificazione ordinata gerarchicamente, secondo l’importanza del corrispondente di Gerolamo (dal pontefice a, fondamentalmente, le donne), e riscontrabile in Vat. Lat. 355-356, risalente al IX o X sec. e annotato da Lorenzo Valla. È probabilmente questo il primo esemplare a introdurre le cinque categorie che caratterizzeranno le tassonomie di una folta tradizione, prolungatasi con qualche modifica sino al XV, influenzando raccolte che avranno per diversi motivi una loro importanza per la storia del libro, come l’epistolario che Heinrich Neithart acquistò a Siena, nel 1423, e il volume stampato a Strasburgo da Johannes Mentelin, prima del 1469294.

Nel frattempo, anonimi compilatori dilatavano il corpus di scritti geronimiani con l’inserimento di numerose opere spurie. Seguendo Rice, tale materiale avrebbe continuato a confluire all’interno dell’insieme originario per

292 Cfr. ivi, p. 227.

293 Pabel, Herculean Labours, cit., p. 119 ss.

294 Per quanto riguarda il volume in possesso di Neithart si veda Pabel, Herculean Labours, cit., p. 24; p. 120. Sul libro portato alle stampe da Mentelin si tornerà più avanti.

148 secoli, già dal V sec. e sino al XIV, e sotto forme molteplici: da commentari esegetici a opere liturgiche, trattati filosofici e teologici, testi agiografici e traduzioni, componimenti poetici nonché ulteriori lettere295.

Di questi testi è stato, talvolta, possibile rintracciare il vero autore tra i contemporanei minori di Gerolamo, come Niceta di Remesiana, Gregorio di Elvira o Eutropio; oppure, senza alcun dubbio sulla loro paternità, componevano questo amalgama anche opere ben note, come la vita di Antonio composta da Atanasio e quella di Macario scritta da Palladio; e persino l’Historia monachorum del più tenace avversario di Gerolamo, Rufino. Non mancano in questo materiale poliforme scritti di dubbia ortodossia, attribuiti al Padre di Stridone nel tentativo di garantire a tali opere un patronato rispettabile e quindi una certa diffusione.

Da tale quadro, emerge la sensibilità filologica di Guigo di Chastel296,

legislatore dell’ordine certosino e quinto priore della Grande Chartreuse. La sua lettera ai monaci di Durbon costituisce una sorta di manifesto ideologico e metodologico, così apposta come introduzione alla sua edizione delle Epistolae di Gerolamo. Essa rispondeva, tuttavia, anche a esigenze apologetiche: Guigo sapeva, infatti, che sarebbe incorso in pesanti critiche per aver deciso di intervenire sul materiale spurio ormai inglobato dalla tradizione nel corpus geronimiano.

Dall’epistola, ripresa come introduzione anche da alcune delle successive raccolte geronimiane, traiamo con immediata chiarezza quali fossero le preoccupazioni del certosino:

295 E. F. Jr. Rice, Saint Jerome, cit., p. 45 ss.

296 Vissuto tra il 1083 e il 1136, Guigo scrisse alcune opere di grande diffusione, tra cui le

Meditationes, una raccolta di pensieri intimi relativi ai primi anni di priorato, e le Consuetudines

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[…] etiam epistolas beati Hieronymi quotquot potuimus, undecumque quesitas et pro concessa a Deo facultate mendaciis expurgatas, in unum grande volumen redegimus. Absidimus autem ab eis quasdam, quas vel ex aliorum doctorum scriptis, vel ex styli sententiarumque distantia, titulo tanti viri comperimus indignas297.

Spicca la volontà di Guigo di raccogliere quante più possibili lettere di Gerolamo, una preoccupazione testimoniata anche dal suo personale epistolario; così come spicca, con assoluto rilievo, la sua attenzione verso il problema degli spuri, che il Certosino trattò affidandosi ai due criteri stilistico e comparativo. Guigo non esitò ad eliminare le lettere considerate non genuine in base alle proprie competenze e grazie ad una facoltà concessagli da Dio: liberò il corpus attribuito a Gerolamo dagli scritti indegni della sua figura, e dedicò un’inedita attenzione filologica ai testi, infine, considerati autentici, che sottopose pertanto a emendatio.

Il Priore presenta, dunque, un elenco di scritti spuri e di ognuno di essi riporta l’incipit. Attraverso i criteri sopra espressi, quello interno stilistico e di confronto con scritti appartenenti ad altri autori cristiani, può rigettare come spurio un dialogo sulle origini dell’anima, può identificare con una certa sicurezza uno scritto di Pelagio e ricondurre all’eretico altri testi per affinità di dottrina298.

297 Cfr. Lettres des premiers Chartreux, Bruno – Guigues – s. Anthelme. Introduction, texte critique, traduction et notes par un Chartreux (M. Laporte), Paris, 1962., I, 5, cit., p. 214.

150 Lo sforzo di Guigo s’inseriva in un progetto ben più impegnativo, volto al recupero dei testi di varie altre autorità religiose, i catholici viri, i quali dovevano essere necessariamente riconsegnati alla loro propria funzione: l’eruditio fidelium. La pregnanza di una tale impresa è ben colta da Clausi che vede confluire nella sua realizzazione, accanto alla personale sensibilità dell’illustre Priore, anche la «tensione filologica dell’ordine cui egli apparteneva» Espressione di una esigenza filologica e non meno teologica, l’edizione certosina faceva di Gerolamo lo «strumento principe per l’edificazione di una vera doctrina Christiana»299.

Proprio dall’ascendenza certosina Clausi fa derivare lo spirito di un’altra fondamentale opera che riguarda da vicino la storia delle Epistulae geronimiane, lo Hieronymianus di Giovanni d’Andrea300, un personaggio tradizionalmente

ricollegato, piuttosto, all’ordine dei Predicatori domenicani. Nel suo eclettico florilegio dedicato al Padre di Stridone è possibile ritrovare, in effetti, la stessa sensibilità filologica di Guigo – espressa nella decisione di distinguere nettamente scritti autentici da quelli spuri –, così come l’afflato teologico che sorreggeva gli sforzi indirizzati al recupero pieno, non soltanto devozionale, di

299 Cfr. Clausi – Milazzo, Una storia, cit., p. 60.

300 Lo Hieronymianus o De Laudibus sancti Hieronymi (BHL 3876), fu composto dal canonista tra il 1334 e il 1347. Il testo ebbe un’ampia circolazione manoscritta, finché non fu stampato a Colonia nel 1482, e, dato più interessante, a Basilea nel 1514, ovvero nella città in cui soltanto due anni più tardi sarebbe stata pubblicata l’edizione geronimiana a cura di Erasmo. Per una visione d’insieme sullo Hieronymianus e maggiori dettagli sulla struttura e i contenuti dell’opera, cfr. E. Bauer, Hieronymus und Hieronymianus. Johannes Andreae und der

Hieronymuskult, «Daphnis», 18 (1989), pp. 199-221;per la ricostruzione del rapporto di Giovanni con l’Ordine certosino, nonché l’elenco completo di opere geronimiane di cui il canonista dotò il suo florilegio, cfr. B. Clausi, Questione di modelli: Petrarca, Gerolamo e lo Hieronymianus di Giovanni

151 Gerolamo, che, nel frattempo, e già dal XIII secolo, era diventata autorità massima nel campo dell’esegesi storica e letterale della Scrittura301.

È lo stesso Giovanni a confermare l’innegabile legame col Priore della Grande Chartreuse quando, discutendo sugli scritti spuri attribuiti al santo di Stridone e, in particolare, sull’epistola a Celanzia – giudicata apocrifa da Guigo e attualmente considerata di paternità pelagiana302 –, ne cita la lettera indirizzata

ad Verbonenses fratres. Esattamente come il suo predecessore, il giurista

aggiungerà annotazioni a capo di ognuna delle otto epistole considerate dubbie dal certosino303:

Et autem sciendum quod de Parisii accepi quandam epistolam fratris Guithonis maioris prioris Carthusiensis (cuius grandis opinio perdurat in ordine) et postmodum illius transcriptum apud Carthusium fore percepi, in qua scribens ad Verbonenses fratres asserit quasdam epistolas attribui Hieronimo quae non fuerunt ipsius, quas singulas in processu signabo304.

Un prologo in terza persona introduce gli obiettivi di un’opera articolata in quattro parti. Una prima sezione lamenta la grave negligenza degli italiani nel

301 Cfr. Rice, Saint Jerome, cit., p. 47.

302 Cfr. Clausi, Questione di modelli, cit., p. 559.

303 Ovvero: ad Demetriadem (ps.-Hier. epist. 1); ad Tyrasium de morte filiae (ps.-Hier. epist. 40); ad Oceanum consolatoria (ps.-Hier. epist. 41); ad Marcellam viduam (ps.-Hier. epist. 3); ad virginem

sive ad filiam Mauricii (ps.-Hier. epist. 13); de lapsu virginis sive de poenitentia ad Susannam (ps.-Hier. epist. 20); ad Desiderium de XII lectoribus’’ (ps.-Hier., De luminaribus Ecclesiae); ad Celantiam (Hier.

[?] epist. 148).

304 f. XLIXr. Una copia manoscritta, splendidamente illustrata, scritta intorno al 1470, in Olanda, probabilmente a Utrecht, digitalizzata a cura della Boston Public Library, è consultabile presso il sito archive.org.

152 recare il doveroso omaggio devozionale ad un santo come Gerolamo la cui opera è pietra fondante della Chiesa e della stessa società civile, fonte tra le primarie per il diritto. Nel «sobrio florilegio tematico» che costituisce il nucleo di questo primo libro, Giovanni organizza la sua raccolta di casi secondo dieci status della vita del cristiano, rispetto sia a situazioni di ordine pratico sia a questioni di fede (Dio, la Scrittura, la remissione dei peccati, il libero arbitrio); per ogni caso, Giovanni riporta i titoli delle opere geronimiane di riferimento e persino, occasionalmente, citazioni testuali.

Il primo libro sembra introdurre, a sua volta, la seconda sezione dell’opera, dedicata alla beati Hieronimi legenda, nella quale Giovanni d’Andrea farà confluire materiale tratto da testi medievali che egli stesso contribuirà fortemente a divulgare, come la Legenda aurea di Iacopo da Varrazze e le tre lettere medievali dello pseudo-Eusebio di Cremona, dello pseudo-Agostino e dello pseudo-Cirillo di Gerusalemme305.

La terza sezione, anch’essa agiografica, presenta una breve serie di

testimonia su Gerolamo, «certa sanctorum et autorum dicta, que beatum

Hieronimum, cui nichil deerat laude dignum, eleganter extollunt» (f. XXXVr), con citazioni tratte da scritti di autori contemporanei di Gerolamo, come Damaso, Agostino e Sulpicio Severo, sino a Beda e a Sigeberto. Questi, assieme a testimonia tratti da Prospero, Sidonio Apollinare, Cassiodoro, Isidoro, costituiscono un

305 Rispettivamente: De morte Hieronymi, De magnificentiis Hieronymi e De miraculis

Hieronymi. Da questo materiale medievale, il Domenicano trarrà il racconto dei «miracula per

153 materiale devozionale criticamente rielaborato306. Inframmezzata a tali citazioni,

buona parte degli inserti poetici che arricchiscono il florilegio.

Ma è la quarta sezione dell’opera a interessarci più da vicino, concepita da Giovanni per offrire ai lettori un sommario il più completo possibile di opere geronimiane, presentate ciascuna attraverso incipit ed explicit ed un breve commento introduttivo307. L’elenco è suddiviso in quattro sezioni principali per

un totale di 163 opere: una prima sezione è costituita da cinque simboli di fede, tutti di paternità non geronimiana; la seconda sezione raggruppa 107 lettere autentiche organizzate all’interno delle due categorie Ad e De, secondo ordine alfabetico dei corrispondenti. Seguono una terza sezione comprendente 39 spuri di varia natura, e una quarta ed ultima sezione in cui confluiscono 12 scritti autentici.

L’elenco presentato da Giovanni sembra rispondere a una precisa concezione di fondo, con raggruppamenti tematici o di genere relativamente rispettati308; in particolare, si può notare che la maggior parte di opere spurie

306 Cfr. Naquin, On the Shoulders of Hercules. Erasmus, the Froben Press and the 1516 Jerome

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