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LA FENOMENOLOGIA DI MERLEAU-PONTY E IL PROBLEMA DELL’INTENZIONALITÀ

5. GESTALT E INTENZIONALITÀ

Abbiamo già fatto notare come, nel progetto di lavoro del 1934, Merleau-Ponty avesse messo in risalto, come intuizione da sviluppare, il legame tra la psicologia della forma e la fenomenologia. Lo studio della Gestalpsychologie è stato, poi, approfondito nella Struttura del comportamento. Solo nella Fenomenologia della percezione, però, è possibile rintracciare un tentativo di stabilire un nesso più consistente con la fenomenologia. Ciò che, in questa sede, ci interessa è mettere in evidenza come la costruzione di una nuova teoria dell’intenzionalità, nell’ambito della percezione, è basata proprio sul concetto di struttura o forma gestaltica.

Com’è noto, nella Gestalt la funzione delle parti è determinata dall’organizzazione dell’intero, la forma è irriducibile alla semplice somma dei suoi

elementi costitutivi. La sensazione pura, di cui parla la psicologia ottocentesca, è una pura astrazione: essa si presenta sempre inserita in un processo percettivo. Anche il più semplice dato sensoriale ha una struttura figura-sfondo, senza la quale esso non può essere un dato sensoriale. Il mondo fenomenico si dà come un intero già «pregno» di un significato ed è questo intero che forma lo strato basilare di tutta l’esperienza. Non è possibile, perciò, scomporre una percezione, «farne un assemblaggio di parti o di sensazioni», dato che in essa l’intero precede le parti e « […] l’oggetto percepito si dà come tutto e come unità prima che ne abbiamo colto la legge intelligibile»(PP 52, 80). Il qualcosa percettivo è sempre in mezzo ad altre cose, come parte di un campo fenomenico. Ciò si vede anche nel fatto che la percezione ha un carattere prospettico poiché la conoscenza è diretta ad un oggetto incompleto di cui noi possiamo cogliere solo alcuni profili (Abschattungen). L’oggetto percepito, dunque, ha degli aspetti nascosti che solo un’analisi intenzionale può portare alla luce. Ciò preclude qualsiasi pretesa di “sorvolo”, di sguardo panoramico e onnicomprensivo. Questo tema è messo ben in evidenza da Brena nel suo saggio su Merleau-Ponty:

Le cose restano aperte, inesauribili, al di là del nostro potere: le afferriamo senza riuscire a possederle. La percezione pone una prospettiva e insieme mediante l'orizzonte rimanda a tutte le altre: io le possiedo solo in intenzione e le posso percorrere e paragonare a quelle altrui solo successivamente, e ancora, esse non esauriscono mai l'oggetto: la sintesi degli orizzonti – se di sintesi qui si può parlare - è solo presuntiva, l'oggetto dell'esperienza percettiva resta aperto e incompiuto.55

Nelle cose che vediamo, nelle teorie che apprendiamo, insomma nelle nostre esperienze vissute rimangono lati nascosti che il nostro corpo proprio «apprende» e su cui possiamo riflettere solo in un secondo momento, spingendo la nostra attenzione verso lo sfondo e sui «fili intenzionali» che lo legano all’oggetto e al corpo. A questo proposito M. C. Dillon chiarisce giustamente come, nella posizione di Merleau-Ponty, vi sia una critica implicita ad Husserl riguardo al rapporto tra forma e materia. Per Husserl, infatti, se si concepisce l’intenzionalità nel suo carattere di atto noetico in opposizione al contenuto noematico, «non solo forma e materia della coscienza possono essere concepiti separati una dall’altra […] ma i due concetti sono separati primordialmente: cioè, l’atto noetico di strutturare i dati hiletici in accordo ad una

forma noematica presuppone, a priori, un’indipendenza tra dati e forma».56 Per Merleau-Ponty, invece, forma e materia sono inseparabili come lo sono l’intero e la parte, lo sfondo e la figura nella teoria della forma:

Constatiamo anche che è impossibile, come spesso si è detto, scomporre una percezione, farne un assemblaggio di parti o di sensazioni, dato che in essa il tutto è anteriore alle parti – e questo tutto non è un tutto ideale. Il significato che alla fine scopro non è dell’ordine del concetto: se esso rivelasse un concetto, si tratterebbe di sapere come posso riconoscerlo nei dati sensibili; e dovrei interporre tra il concetto e il sensibile degli intermediari, poi degli intermediari degli intermediari, e così di seguito. Bisogna che il significato e i segni, che la forma e la materia della percezione siano apparentati fin

dall’origine e che, come si dice, la materia della percezione sia “pregna della sua forma”(PdP 47-48, 24,

c. n.).

C’è qui, evidentemente, un riferimento alla pregnanza o buona forma gestaltica. In base a questa legge, «il campo percettivo si segmenta in modo che ne risultino unità e oggetti percettivi per quanto possibile equilibrati, armonici, costruiti secondo un medesimo principio in tutte le loro parti, che in tal modo «si appartengono», «si richiedono» reciprocamente, stanno bene insieme»57. In questo senso si parla di simmetria, equilibrio, semplicità, ordine, regolarità e, soprattutto, carattere unitario dell’insieme. Queste non sono proprietà di singoli parti del campo percettivo, ma sono «proprietà del tutto», che si perdono se si scompone l’intero nelle sue parti. Rifacendosi proprio a questa legge, Merleau-Ponty «concepisce l’oggetto della percezione o l’oggetto intenzionale come una Gestalt».58 Ecco allora che, coniugando fenomenologia e psicologia, viene usato lo schema gestaltico dell’articolazione figura- sfondo come una categoria filosofica che ci permette di comprendere il rapporto tra mondo riflesso (figura) e mondo irriflesso (sfondo) o tra intenzionalità d’atto (figura) e intenzionalità fungente (sfondo). Se si accettano queste premesse, puntualizza Dillon, l’unità del mondo, sebbene esperita dall’uomo come soggetto incarnato, non può esserlo tematicamente: «l’originarietà dell’orizzonte del mondo non ci permette di tematizzarlo, di afferrarlo adeguatamente all’interno di modi tematici».59 L’intenzionalità fungente del corpo, allora, è diretta soprattutto verso lo sfondo che

56

Dillon 1971, p. 439.

57 Kanizsa – Legrenzi – Meazzini, 1978, p. 81. 58 Dillon 1971, p., 440.

diviene, a sua volta, l’orizzonte di un sapere latente acquisito passivamente. Di conseguenza, la cosa è sì individuabile come cosa ma ciò avviene perché nello sfondo la percezione di un oggetto ci viene data dalla percezione inconsapevole, ma presente, di ciò che è attorno a noi. Ciò non fa che ricondurci al problema del soggetto della percezione, il corpo proprio, che è fungente e anonimo:

Se volessi tradurre esattamente l’esperienza percettiva, dovrei dire che si percepisce in me. (…) Fra la mia sensazione e me c’è sempre lo spessore di un’acquisizione originaria che impedisce alla mia esperienza di essere chiara per se stessa. Io esperisco la sensazione come modalità di un’esistenza generale, già votata ad un mondo fisico e che defluisce attraverso di me senza che io ne sia l’autore (PP 249, 292-3).

L’acquisizione della forma come categoria filosofica in grado di chiarire la percezione ha come conseguenza non solo l’assenza di un io che percepisce, ma anche il presentarsi di una “realtà” che rimane ambigua e opaca. D’altronde, assumere la struttura non vuol dire porsi al di fuori di essa per poterla rendere intelligibile ma sentirsi confusi, come corporeità fungente, al suo interno. Se non facessimo così, rientreremo nell’ottica dello “spettatore estraneo” che Merleau-Ponty ha sempre contrastato. Se noi siamo immersi nel mondo dobbiamo avere anche la capacità di cogliere il paradosso del riflettere “sul” mondo e, nel contempo, dell’ “appartenere” ad esso, del dominare e insieme mantenere l’opacità della percezione.