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LA GESTIONE DELLE CRONICITA' SECONDO IL CHRONIC CARE MODEL Il Chronic Care Model (CCM) è un modello di assistenza integrata ospedale-territorio

Modelli organizzativi per la gestione del piede diabetico

3.6 LA GESTIONE DELLE CRONICITA' SECONDO IL CHRONIC CARE MODEL Il Chronic Care Model (CCM) è un modello di assistenza integrata ospedale-territorio

basato sulla presa in carico pro-attiva del paziente affetto da patologie croniche, tale da offrire servizio territoriale ai casi di cronicità lasciando all'ospedale essenzialmente gli interventi per riacutizzazioni ed emergenze. Rappresenta un’evoluzione del sistema delle cure primarie, o assistenza sanitaria di base/essenziale, intesa come la forma di assistenza sanitaria più vicina agli individui, alle famiglie e alla collettività, che costituisce il primo elemento di un processo continuo di protezione sanitaria.

Per le cure primarie a prevalere è il cosiddetto paradigma dell' “iniziativa" con il quale si intende un pattern assistenziale orientato alla promozione attiva della salute e al rafforzamento delle risorse personali (auto-cura, family learning) e sociali (reti di prossimità e capitale sociale) a disposizione dell'individuo, specie se affetto da malattie croniche o disabilità. Il servizio ospedaliero è invece improntato sul paradigma dell' “attesa", con il quale si evidenzia un pattern assistenziale ad elevata standardizzazione ed intensività tecnico-assistenziale, che si attiva e si mobilita in presenza di un evento "nuovo" e con caratteristiche prevalentemente di acuzie, di urgenza od emergenza. Due paradigmi che identificano bisogni e fasi diverse (fig.6) ma che in ogni caso, per essere entrambi centrati sulla persona e riuscire a garantire presa in carico e continuità nelle cure, devono necessariamente integrarsi tra loro in una unica rete assistenziale.

Figura 6: Differenze tra Sistema ospedaliero e Sistema delle cure primarie.

Elementi fondamentali dell'area delle cure primarie sono dunque l'estensività ed equità nell'assistenza e nell'accesso alle cure, la prossimità delle cure ai luoghi di vita dei cittadini, l'integrazione tra attività sanitaria e sociale, la valorizzazione del capitale umano e sociale a disposizione dell'individuo e la partecipazione della comunità locale e dei cittadini alla programmazione dei servizi e alla valutazione delle attività e dei risultati di salute. A tal proposito sono stati delineati alcuni principi:

realizzazione della presa in carico del cittadino attraverso la istituzione in ogni presidio sanitario territoriale del punto unico di accesso ai servizi. La creazione di uno sportello unico per le prestazioni sociali e sanitarie darebbe finalmente certezza al paziente, portatore di problematiche spesso complesse, di ottenere una risposta tempestiva ed adeguata alle sue effettive necessità. Il punto unico di accesso dovrebbe rappresentare la porta attraverso la quale si realizza la presa in carico da parte del SSN o l'affido del paziente all'equipe che ne ha la specifica competenza. Cesserebbe, così, la dispersione e la frammentazione degli interventi o, quel che è peggio, il "palleggio" di responsabilità che spesso si verifica, anche in contrasto con la stessa volontà degli operatori, nei confronti di pazienti "difficili". Una presa in carico effettiva del paziente, attraverso la definizione di precisi percorsi assistenziali, comporterebbe ripercussioni importanti anche sui livelli di appropriatezza delle prestazioni e sulla accessibilità dei servizi;

estensione della continuità assistenziale a 24 ore al giorno e a sette giorni su sette. La realizzazione di un'assistenza continua è sicuramente l'esigenza più avvertita dai cittadini ed è l'unico mezzo in grado di disincentivare l'uso inappropriato del pronto soccorso ospedaliero;

istituzione del dipartimento delle cure primarie. Nell'ottica, già più volte richiamata, di una forte integrazione tra le attività sanitarie, la costituzione di un dipartimento delle cure primarie all' interno di ogni singola azienda sanitaria ed articolato per distretto sanitario, acquista un significato del tutto particolare, pratico e simbolico al tempo stesso. Solo attraverso un dipartimento unico è possibile realizzare un "governo" effettivo del complesso delle attività di assistenza primaria i cui momenti fondamentali passano attraverso la predisposizione di piani di intervento specifici per le diverse aree assistenziali e la gestione unitaria delle risorse umane e professionali, con la possibilità di programmare e verificare efficacemente accessibilità, qualità ed adeguatezza delle prestazioni. Il dipartimento dovrebbe essere integrato a matrice con il distretto che resterebbe in ogni caso il titolare del Piano, degli indirizzi, del bilancio di quello specifico ambito territoriale e del controllo dei risultati;

promozione delle "case della salute". Nell'ambito delle aree elementari del distretto (per un bacino corrispondente a circa 5-30.000 abitanti) dovrebbe trovare collocazione una struttura polivalente e funzionale in grado di erogare materialmente l'insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assistenziale e le attività di prevenzione. Questa struttura rappresenta il luogo di tale ricomposizione, il contesto in cui può essere realizzato il lavoro multidisciplinare ed in team degli operatori e in cui dunque può operare, superando le precedenti divisioni, l'insieme del personale del distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell'intervento sociale), i medici di base (che vi eleggeranno il proprio studio associato) gli specialisti ambulatoriali. Qui si persegue la prevenzione primaria, secondaria e terziaria, si attiva un'assistenza domiciliare delle cure a forte integrazione multidisciplinare ed infine si garantisce la partecipazione dei cittadini che viene disciplinata attraverso procedure certe, codificate e periodicamente verificate;

promozione di forti forme associative dei medici di medicina generale e degli altri professionisti sanitari;

potenziamento dell'assistenza a domicilio. Il mutato scenario epidemiologico e l'inversione della piramide demografica con conseguente invecchiamento degli individui, della famiglia e delle popolazioni, ha radicalmente mutato le necessità assistenziali e il profilo dei percorsi assistenziali necessari. L'incidenza crescente di patologie croniche ed invalidanti e della non autosufficienza richiedono modalità assistenziali più prossime al cittadino. La costituzione di team multiprofessionali (MMG, specialisti ambulatoriali, infermieri, personale della riabilitazione, assistenti sociali etc) dovrebbe essere in grado di realizzare, quando occorre, una sorta di ospedalizzazione a domicilio, garantendo appropriatezza, efficacia e umanizzazione delle cure, riducendo l'uso improprio dell'ospedale;

promozione delle attività di autogestione delle patologie e family learning. Le attività di formazione del cosiddetto cittadino competente (o paziente esperto) e del family learning, espressamente finalizzate alla autogestione delle malattie croniche svolgono un ruolo di importanza crescente. Attraverso l'autogestione è possibile ottenere una maggiore complicità del paziente nell'iter terapeutico, prevenire i fenomeni di riacutizzazione delle patologie croniche e limitare il numero di ricoveri, come dimostrano anche i più recenti dati della letteratura;

potenziamento del ruolo degli enti locali nella programmazione delle attività sociosanitarie e nella loro valutazione. Il ruolo di co-decisione degli enti locali nella programmazione delle attività delle ASL e AO è ancora estremamente limitato, così come la possibilità per gli stessi enti di esprimere valutazioni sui risultati di salute ottenuti in quel determinato territorio;

implementazione degli strumenti di partecipazione del cittadino alle scelte pubbliche. Il cittadino e le sue associazioni di rappresentanza devono poter svolgere una funzione attiva nell'intero processo assistenziale. Una funzione di co- partnership che deve trovare espressione, attraverso la istituzione di specifici organismi distrettuali e o di ASL, nel corso dell'intero percorso decisionale: dalla definizione dei bisogni alla programmazione degli interventi e alla valutazione dei risultati. Un processo di coinvolgimento indispensabile per il miglioramento continuo della qualità effettiva (non solo percepita) e per la verifica concreta della fruibilità dei LEA.

In sintesi, per mettere a punto un progetto di CCM è indispensabile che gli operatori coinvolti ai diversi livelli di cura dispongano di un notevole numero di informazioni cliniche, sia in formato digitale che cartaceo, dei pazienti o dei gruppi di pazienti affetti dai disturbi cronici oggetto del modello; il sistema di cure primarie deve avvalersi della gestione di un team di professionisti che lavorano nel settore in modo integrato ed efficace: oltre alle aggregazioni funzionali territoriali (fig.7), ovvero raggruppamenti funzionali monoprofessionali di medici di medicina generale, affiancati da personale infermieristico, di recente sono state istituite sul territorio della regione Toscana (DRG 1235/2012) forme aggregative multi-professionali di cui fanno parte i medici di medicina generale e gli operatori del territorio sanitari, sociali, amministrativi, con il nome di Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) che hanno lo scopo di favorire la razionalizzazione delle risorse sanitarie con una progressiva riduzione delle prestazioni ospedaliere. Le varie UCCP formano una rete territoriale costituita da medici convenzionati delle cure primarie e altre figure sanitarie che si coordinano con l'ASL attraverso il distretto di appartenenza e che operano in sede unica o con una sede di riferimento le cui caratteristiche salienti e i relativi standard minimi sono riportati in tabella (fig.8).

Tra gli scopi previsti c'è quello di realizzare una struttura (spesso denominata “casa della salute”) in grado di garantire assistenza di base e diagnostica di primo livello 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che sia in grado di coordinarsi con le strutture di secondo e terzo livello presenti sul territorio, con particolare attenzione ai pazienti cronici inseriti nei percorsi assistenziali previsti dal CCM.

Secondo questo modello, l’ospedale risulterà sempre più il luogo adatto alla cura delle emergenze e delle patologie acute che non potranno essere gestite a domicilio a causa della loro gravità. Attualmente il CCM individua nel territorio tre attori principali:

• il medico di medicina generale (MMG); • l'infermiere territoriale;

• il professionista sanitario della riabilitazione (al momento opzionale).

Mentre prima i medici svolgevano la loro attività prevalentemente rispondendo alle richieste dei cittadini secondo la loro percezione del bisogno, ora assistono i malati cronici attivamente, in collaborazione con l’infermiere del territorio e uno o più professionisti sanitari (attraverso attività ambulatoriale e domiciliare), con l’obiettivo primario di promuovere e conservare la salute psico-fisica del paziente (iscritto nelle apposite liste) trattenendolo nel contesto sociale e familiare in cui vive ed instaurando con lui un rapporto di fiducia. In particolare sono oggetto dell’Expanded Chronic Care Model persone con diabete mellito, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), ictus e scompenso cardiaco. L'infermiere del territorio ha un ruolo fondamentale nella prevenzione delle riacutizzazioni delle patologie croniche attraverso l'educazione sanitaria; inoltre può intervenire nella fase terapeutica laddove questa consista nella modifica dello stile di vita. Gli obiettivi principali che l'infermiere territoriale deve perseguire sono:

• enpowerment del paziente, ovvero rafforzare lo stato di consapevolezza della malattia;

• supporto all'autocura;

• supporto alla famiglia e al caregiver;

• counselling, ovvero intervento di ascolto e confronto volto a cambiare le modalità con cui affrontare il problema;

• educazione sanitaria sugli aspetti fondamentali riguardanti la prevenzione delle riacutizzazioni (alimentazione, attività fisica, stile di vita) e la terapia della patologia;

Tale è il modello avviato in Toscana per la gestione delle cronicità, ivi comprese il diabete e, all'interno di tale patologia, il piede diabetico.

I professionisti della riabilitazione saranno i prossimi ad essere arruolati nelle UCCP, in team adibiti all’assistenza sanitaria di base, come suggerisce il CCM: ad esempio la figura del fisioterapista è già diffusa. Nello specifico la nostra attenzione è rivolta al podologo, ancora assente nelle strutture di primo livello, di cui ipotizzeremo una integrazione nel sistema delle cure primarie.

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