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Gestione di patrimoni altrui nel codice civile, nella legislazione speciale primaria e secondaria

Nel documento Dottorato di Ricerca in (pagine 72-78)

Nel codice civile e nella legislazione speciale troviamo diversi istituti che si caratterizzano per essere fenomeni gestori di patrimoni altrui: l’interesse perseguito assume le configurazioni più varie identificandosi con la preservazione del patrimonio familiare, lo sviluppo dell’impresa, la tutela del risparmio. L’istituto che delinea una disciplina più ricca di indicazioni rispetto agli è certamente il fondo patrimoniale, introdotto nell’ordinamento con il codice del 1942 in sostituzione della dote e del patrimonio familiare. Si tratta di un patrimonio destinato al soddisfacimento dei bisogni familiari, al cui perseguimento sono rivolte le norme che creano un sistema di limiti di espropriabilità del fondo e dei frutti di esso per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per finalità estranee ai bisogni della famiglia. Come noto, il fondo patrimoniale può essere

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costituito con atto pubblico o testamento dai coniugi o da terzi ed avere ad oggetto solo beni immobili, mobili registrati o titoli di credito. L’art. 168 c.c. dispone che la proprietà dei beni del fondo spetti ad entrambi i coniugi salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione; il soggetto che costituisce il fondo patrimoniale, sia anche uno dei coniugi, può riservarsi la proprietà dei beni, in tal caso sorge in capo ai coniugi uno speciale diritto di godimento: nell’ipotesi in cui la proprietà rimanga al soggetto che crea su di esso il vincolo costituito dal fondo o il bene viene trasferito ad un solo coniuge si verifica il fenomeno della gestione di patrimoni altrui.

È interessante notare, alla luce degli momenti di scissione tra titolarità e legittimazione evidenziati nel mandato, come il regime di amministrazione dei beni oggetto del fondo previsto dalla legge prescinda dalla titolarità: si tratta di co-amministrazione che segue le regole della comunione legale quanto alla legittimazione congiunta del compimento di atti di straordinaria amministrazione. Inoltre non è possibile alienare costituire in pegno o ipoteca i beni oggetto del fondo se non con il consenso di entrambi i coniugi e l’autorizzazione del giudice in presenza di figli minori, tranne che sia espressamente consentito nell’atto di costituzione.

I patrimoni destinati allo specifico affare di cui agli artt. 2747bis-decies c.c. possono essere creati dalle s.p.a. per la cura di interessi non necessariamente altrui ma precostituiti, nel senso che si ha una separazione per specifici affari che non sono normativamente previsti e di cui il legislatore si interessa solo per escludere che possano essere attinenti

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ad attività riservate in base a leggi speciali. Oggetto della destinazione è qui l’affare ed - ex art. 2447ter c.c. - devono essere indicati nella deliberazione costitutiva i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio e gli eventuali apporti di terzi; il legislatore nulla aggiunge riguardo alla natura, quantità o qualità dei beni o dei rapporti. La disposizione individua anche una serie di regole significative quali l’analitica determinazione della destinazione nonché la tracciabilità dei rapporti che concernono la destinazione con l’obbligo di menzione negli atti, della contabilità che deve essere tenuta separata, della pubblicità della costituzione del vincolo, della previsione di regole volte al controllo sull’attività di gestione del patrimonio destinato. Gli artt. 2447quinquies-septies dettano regole di amministrazione e responsabilità: il legislatore enuncia una serie di obblighi che gravano sugli amministratori che devono tenere separatamente le scritture contabili e libri obbligatori di cui il patrimonio destinato deve dotarsi pur non essendo un soggetto di diritto.

Specifici obblighi di gestione sono invece previsti dalla normativa primaria e secondaria in materia di intermediazione finanziaria: la legislazione speciale conosce tutta una serie di soggetti che istituzionalmente gestiscono beni ed interessi altrui e pone a salvaguardia del buon andamento dell’attività e della soddisfazione di tali interessi tutta una serie di regole di disciplina in ordine alla separazione patrimoniale da un lato, ed alle modalità di corretta gestione dall’altro. Il servizio di gestione di portafogli è disciplinato nelle regole essenziali dagli artt. 21 e segg. del t.u.f che impone la forma scritta a pena di nullità, anche se si tratta di

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una nullità non codicistica cioè sottoposta alla disciplina ex art. 1418c.c. e segg., ma di protezione. La gestione del portafogli di investimento costituisce l’oggetto del contratto, è affidata all’intermediario che la esercita nel rispetto delle eventuali vincolanti istruzioni che il cliente gli abbia impartito; l’investitore, in ogni caso, deve indicare al momento della stipula del contratto quadro il genere di strumenti finanziari sui quali vuole investire rispetto ai quali deve essere adeguatamente informato dall’intermediario circa i rischi e le caratteristiche degli strumenti stessi. Peraltro, per rendere più intensa la tutela del cliente, il comma 6 dell’art. 23 t.u.f. dispone un’inversione dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, nei quali spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Dunque sarà il contratto a prevedere quali beni possano costituire oggetto della gestione ed il tipo di operazioni consentite all’intermediario, specificando se l’intermediario sia autorizzato a delegare a terzi l’esecuzione dell’incarico ricevuto, se l’autorizzazione riguardi l’intero portafogli, quali siano i settori o i mercati di investimento con riferimento ai quali l’autorizzazione viene rilasciata e gli eventuali limiti e condizioni dell’autorizzazione. La legge (art. 24 comma 1 lett. a) t.u.f.) prevede che nel servizio di gestione di portafogli il cliente possa impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere. Gli intermediari inoltre, che come detto devono comportarsi con diligenza correttezza e trasparenza nell’esecuzione dell’incarico, nell’interesse dei clienti e del mercato

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finanziario, devono anche disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, tali da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interessi, assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e svolgere una gestione indipendente sana e prudente, adottando misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati. Vedremo poi come tale ultimo aspetto sia assicurato e realizzato dal legislatore con la tecnica della separazione patrimoniale118. I Regolamenti Consob prevedono regole analitiche circa i doveri di informazione che il professionista deve rispettare con il cliente delineando precisamente il contenuto di quella che deve essere la diligenza professionale propria dell’incarico gestorio.

Altro contratto recentemente tipizzato dal legislatore che implica una gestione di patrimonio altrui è il contratto di rete, definito come quel contratto attraverso il quale due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali per accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Si tratta di uno strumento giuridico regolato negli essenziali tratti costitutivi che, quanto alla struttura ed all’organizzazione, lascia ampia autonomia alle parti che possono così destinare parte dei proventi della propria impresa alla realizzazione del programma comune senza utilizzare la tecnica della duplicazione soggettiva. Affinchè il contratto possa dar vita ad una rete riconosciuta non è necessaria la previsione di una figura organizzativa comune incaricata di dare esecuzione al contratto stesso e manca un sistema pubblicitario che consenta di rendere noti i soggetti titolari del potere

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di amministrazione e rappresentanza. Il legislatore ha previsto la nomina di un organo comune “incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”, non prevedendo null’altro sul punto. Alle imprese aderenti è dunque lasciata la scelta della

governance della rete: l’istituzione dell’organo comune è

lasciata all’autonomia privata, libera di scegliere se prevedere o meno tale organo ed, in caso positivo, con l’obbligo di indicare nel contratto “la ditta la ragione

o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”.

I soggetti che compongono l’organo comune di gestione della rete rispondono del loro operato nei confronti delle imprese secondo le regole del mandato: trattandosi di una pluralità di mandanti si applicherà la disciplina di cui all’art. 1726 c.c. prevista per il mandato collettivo. I mandanti possono affidare al gestore del contratto ovvero soltanto di una o più fasi o parti dello stesso: l’oggetto di competenza dell’organo comune non coincide dunque necessariamente con il contenuto del programma di rete, salvo che le parti non abbiano disciplinato ampiezza e limiti del potere. La nuova lettera e) del secondo periodo del nuovo comma 4ter dell’art. 3 del d.l. 5/2009, come modificato dal d.l. 83/2012 introduce la previsione secondo cui l’organo comune agisce in rappresentanza della rete: il mandatario può essere oltre che terzo rispetto alle parti del

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contratto di rete, anche una persona giuridica. Dunque in tale modello contrattuale il legislatore affida la disciplina delle regole di gestione a quella tipica prevista dal codice per il mandato.

5. L’amministrazione del patrimonio altrui e

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