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Importanza del problema

L’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST rappresenta da solo la più grande causa di mortalità e morbilità nel mondo occidentale. Nel corso dei decenni si sono fatti notevoli passi avanti: dagli anni 60-70 con l’introduzione delle UTIC prima, della fibrinolisi sistemica e della rivascolarizzazione meccanica dopo, la mortalità intraospedaliera si è ridotta drasticamente passando dal 35% al 6-7% attuale. Inoltre a partire dagli anni 90 è stata posta l’enfasi sull’importanza di un approccio rapido al paziente

con STEMI115: il concetto della “golden hour”, secondo cui i maggiori sforzi

devono essere concentrati nelle prime fasi dall’insorgenza dell’evento per avere i maggiori benefici per il paziente, ha imposto l’ottimizzazione del processo assistenziale.

Tuttavia, ancora oggi in Europa una persona su sei tra i maschi e una su sette tra le femmine muore per infarto miocardico. L’Italia non fa eccezione: secondo le stime più recenti derivanti dai dati raccolti dai principali studi

osservazionali7,116-118, i ricoveri per STEMI sono più di 100.000 per anno, e se

si tiene conto che la mortalità preospedaliera è attorno al 30%, si può stimare che più di 30.000 pazienti muoiono prima di arrivare in ospedale, con

un’incidenza complessiva di STEMI intorno ai 140.000 l’anno. Nella Regione Toscana in particolare, a partire dal 2000 i casi sono aumentati fino a 12.000 l'anno e ancora oggi le morti coronariche senza ricovero (morti

preospedaliere) rappresentano 1/3 dell'incidenza totale119.

La mortalità intraospedaliera è intorno al 7% e quella complessiva a un anno

dall’evento è intorno all’11%120. I pazienti che muoiono prima di giungere in

ospedale rappresentano circa il 70% di tutte le morti che si verificano entro 28

giorni dall’insorgenza dei sintomi121 e non si sono avuti miglioramenti

significativi nel corso degli ultimi anni.

Terapia riperfusiva

Il cardine terapeutico nel paziente con STEMI è la terapia riperfusiva precoce. Il razionale è che il ripristino tempestivo della perfusione miocardica può limitare l’estensione dell’infarto salvaguardando il miocardio a rischio alla periferia del territorio di distribuzione della coronaria occlusa. Estremizzando, se si riuscisse ad attuare la riperfusione entro 20 minuti dai sintomi saremmo in grado di prevenire completamente l’infarto, con il risparmio anche del centro dell’area a rischio. Tuttavia, seppur auspicabile e desiderabile, tale possibilità è remota.

Secondo le attuali raccomandazioni ESC la terapia riperfusiva è indicata in tutti i pazienti con persistenza dei segni elettrocardiografici di STEMI e presentazione entro 12 ore dai sintomi (classe IA), a dimostrazione che entro tale limite di tempo è possibile ottenere un certo beneficio122.

La terapia riperfusiva dello STEMI, escludendo i casi candidabili alla rivascolarizzazione chirurgica, comprende la fibrinolisi sistemica (rivascolarizzazione farmacologica) e l’angioplastica, con o senza stenting. Lo stenting ha dimostrato di ottenere migliori risultati, sia in acuto che a lungo termine, rispetto all’angioplastica semplice con pallone (classe IA). Sono possibili diversi tipi di angioplastica nel paziente con STEMI: 1) primaria, cioè non preceduta da altre strategie di rivascolarizzazione; 2) facilitata, cioè preceduta dalla rivascolarizzazione farmacologica; 3) di salvataggio (PCI rescue), effettuata in caso di fallimento della fibrinolisi. L’angioplastica primaria (PCIp) si è dimostrata superiore alla fibrinolisi nel ridurre la mortalità precoce, il reinfarto non fatale, l’ictus e l’ischemia miocardica ricorrente123-127. Questi vantaggi sono secondari a una maggiore capacità di ristabilire un normale flusso ematico nella coronaria ostruita (più elevata percentuale di flusso TIMI 3) e di prevenire la riocclusione del vaso colpito128. E’ da considerarsi quindi il trattamento di scelta rispetto alla trombolisi farmacologica quando eseguita senza ritardi e da operatori esperti (classe IA)129,130. Ha basse percentuali di fallimento, con tassi d’insuccesso maggiori nel sesso femminile, nei soggetti con età superiore ai 65 anni e nei

pazienti con insufficienza cardiaca al momento della presentazione. L’insuccesso di tale metodica correla con un outcome peggiore a breve e a

lungo termine131. Inoltre esistono categorie di pazienti con STEMI che sono

candidati imprescindibili alla PCIp (pazienti in shock cardiogeno e chi ha controindicazioni alla trombolisi)70.

Il beneficio dell dell’angioplastica primaria rispetto alla fibrinolisi diminuisce progressivamente con il ritardo ella PCIp rispetto al limite di tempo utile per la fibrinolisi (equivalente a 30 minuti). Secondo trials randomizzati tale

ritardo “PCIp-correlato” è quantificabile intorno ai 110-120 minuti132,133.

Tuttavia, in base a quanto emerge dai dati dell’ US National Registry of Myocardial Infarction (NRMI) 2-4 esso è influenzato e varia considerevolmente in relazione ad altri fattori quali età, localizzazione

dell’infarto e durata dei sintomi134,135. Nei casi in cui la PCIp non può essere

eseguita entro 120 minuti dal primo contatto medico la fibrinolisi dovrebbe essere considerata, specialmente se eseguita da personale addestrato in fase preospedaliera (sul territorio, in ambulanza) ed entro 30 minuti dall’insorgenza dei sintomi. Da queste considerazioni si evince che è corretto un approccio individualizzato nella scelta della strategia riperfusiva ottimale

Il fattore tempo

Il ritardo nell’attuazione di una tempestiva terapia riperfusiva è il fattore chiave nella gestione del paziente con STEMI; il tempo di riperfusione influenza l’estensione dell’area infartuale e ha ripercussioni nella scelta terapeutica, che per essere efficace deve essere il più precoce possibile: i maggiori benefici si hanno nelle prime 2-3 ore dall’esordio dei sintomi: la quota di miocardio salvabile diminuisce drasticamente oltre i 90 minuti, rappresentando tale limite temporale un cut off oltre il quale le differenze si attenuano137.

Le componenti del ritardo sono diverse: il ritardo legato al paziente (ritardo decisionale), cioè l’intervallo di tempo che intercorre dall’esordio dei sintomi all’allerta dei soccorsi; il ritardo del sistema, che corrisponde al tempo tra il primo contatto medico e la procedura riperfusiva, e che può essere suddiviso in ritardo legato alla diagnosi ed al trasporto del paziente (pre e intraospedaliero).

Il ritardo decisionale del paziente è strettamente legato alla capacità da parte del soggetto o delle persone a lui vicine di riconoscere i sintomi e richiedere i soccorsi; età avanzata, sesso femminile, basso livello socioeconomico anamnesi positiva per angina, diabete e consulto del medico di famiglia sono condizioni che si associano a una maggiore latenza nel ricercare assistenza

perché ciò rappresenta un’opportunità per migliorare la qualità del processo di cura riducendo la disparità nell’assistenza. Molto si è fatto e si sta facendo in questo senso attraverso campagne d’informazione per un corretto riconoscimento dei sintomi e per diffondere la cultura della rete nella popolazione (iniziative ANMCO “rete interospedaliera e linee-guida per le sindromi coronariche acute” 2006-2008 e “ritardo evitabile” 2009), tuttavia la loro efficacia non è ancora stata bene accertata139.

Il ritardo legato al sistema è quello su cui si è intervenuto e su cui possiamo intervenire maggiormente. Lo sviluppo di un servizio di emergenza capace di eseguire diagnosi sul territorio (bypassando il pronto soccorso), attrezzato con apparecchiature per teleconsulto con il centro dotato di laboratorio di emodinamica e con la possibilità di iniziare le procedure terapeutiche durante il trasporto in ospedale ha contribuito a ridurre il ritardo con beneficio del

paziente in termini di outcome140,141. Il servizio di soccorso in ambulanza non

si limita più al trasporto del paziente ma offre la possibilità di fare diagnosi, triage e dove iniziare il trattamento.

E’ oggi ritenuto prioritario ridurre quanto più possibile il tempo ischemico totale (tempo tra l’esordio dei sintomi e la riperfusione miocardica), essendo questo probabilmente il principale predittore di outcome del paziente142-144. Numerosi studi hanno dimostrato la stretta correlazione tra l’outcome e il tempo di riperfusione: inizialmente tale acquisizione riguardava solo gli STEMI trattati con fibrinolisi145,146 mentre il fatto che il tempo trascorso

dall’insorgenza dei sintomi fosse importante nei pazienti sottoposti ad

angioplastica primaria ha avuto un riscontro successivo e più controverso147.

Antoniucci et al. prima, De Luca et al. dopo, hanno dimostrato che il ritardo alla riapertura meccanica del vaso (balloon) si associa con l’aumento di mortalità precoce (intraospedaliera), e, specialmente nei soggetti ad alto

rischio, a lungo termine (a 1 anno)1-3,148. De Luca et al. inoltre hanno avuto il

merito di quantificare l’aumento del rischio relativo di morte in funzione del tempo: la mortalità a un anno aumenta del 7,5% ogni 30 minuti di ritardo nel ripristino del flusso coronarico e lo sforzo per ridurre il tempo deve essere ulteriormente ottimizzato in relazione al profilo di rischio del singolo paziente4.

Secondo le linee guida ESC, e come confermato dalle ultimissime linee guida

ESC/EACTS sulla rivascolarizzazione miocardica149, l’intervallo di tempo tra

il primo contatto medico e la riperfusione (“door to balloon”) deve essere inferiore a 90 minuti nei casi in cui la strategia terapeutica scelta è la PCIp e inferiore a 30 minuti in caso di fibrinolisi (“door to needle”). Nei pazienti che si presentano precocemente (entro 2 ore dai sintomi), in quelli con ampia porzione di miocardio a rischio, e nel caso di pazienti che si presentano direttamente in centri con disponibilità ad eseguire PCIp il door to balloon è ridotto a 60 minuti. Invece, per quanto riguarda i pazienti che si rivolgono al sevizio di emergenza e/o afferiscono a centri non dotati di emodinamica è da valutare se la PCIp può essere effettuata entro 120 minuti dal contatto medico

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altrimenti è da prendere in considerazione la fibrinolisi, soprattutto se preospedaliera150. E’ bene sottolineare come tali intervalli non sono ritardi ottimali ma indicano limiti di tempo massimi considerati accettabili.

L’approccio al paziente con STEMI e i relativi “goal temporali” delle varie fasi del processo assistenziale sono schematizzati in figura 3.1. Purtroppo tali obiettivi sono difficili da raggiungere perché problemi logistico-organizzativi (trasferimento dei pazienti per PTCA, personale coinvolto, condizioni ambientali e climatiche, differenti e non condivise strategie di gestione) possono portare a difficoltà nell’offrire questo trattamento in modo tempestivo ed efficace.

Figura 3.1. Strategie di riperfusione dello STEMI in un contesto di rete integrata

(tratto da ESC Guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation, Eur Heart J, 2012).

LBBB, the nearest PCI hospital is informed of the expected time of patient arrival. During the ambulance transfer, the catheterization laboratory is prepared and staff summoned, if necessary, allowing direct transfer of the patient to the catheterization laboratory table (bypassing the emergency department and coronary care unit). In cases where the diagnostic ECG has been done elsewhere (e.g. in a non-PCI hospital, at a physician’s office, etc.), the EMS is called for transfer and the above chain followed. This scenario is best accomplished in a regional network with one high-volume PCI centre, several surrounding non-PCI hospitals and a single re- gional EMS. Such regional networks should have predefined man- agement protocols for STEMI patients.

3.5 Reperfusion therapy

3.5.1 Restoring coronary flow and myocardial tissue reperfusion

For patients with the clinical presentation of STEMI within 12 h

There is general agreement that reperfusion therapy should be considered if there is clinical and/or electrocardiographic evidence of ongoing ischaemia, even if, according to the patient, symptoms started .12 h before as the exact onset of symptoms is often unclear, or when the pain and ECG changes have been stuttering.59

There is, however, no consensus as to whether PCI is also bene- ficial in patients presenting .12 h from symptom onset in the absence of clinical and/or electrocardiographic evidence of ongoing ischaemia. In such asymptomatic late-comers, a small (n ¼ 347) randomized study has shown myocardial salvage and improved 4-year survival resulting from primary PCI, compared with conserva- tive treatment alone, in patients without persistent symptoms 12– 48 h after symptom onset.60,61However, in stable patients with per-

sistent occlusion of the infarct-related artery, the large (n ¼ 2166) Occluded Artery Trial (OAT) revealed no clinical benefit from routine coronary intervention with medical management,62,63

beyond that from medical management alone, when the occlusion was identified 3– 28 days after acute myocardial infarction, including

Yes No No Preferably <60 min Immediately Preferably 3–24 h Preferably ≤90 min

(≤60 min in early presenters) Preferably

≤30 min

aThe time point the diagnosis is confirmed with patient

history and ECG ideally within 10 min from the first medical contact (FMC).

All delays are related to FMC (first medical contact).

Immediate transfer to PCI center Immediate transfer to PCI center Yes STEMI diagnosisa

Primary-PCI capable center

Primary-PCI

Coronary angiography Rescue PCI

EMS or non primary-PCI capable center

Immediate fibrinolysis

Successful fibrinolysis?

PCI possible <120 min?

Cath = catheterization laboratory; EMS = emergency medical system; FMC = first medical contact; PCI = percutaneous coronary intervention; STEMI = ST-segment elevation myocardial infarction.

Figure 2 Prehospital and in-hospital management, and reperfusion strategies within 24 h of FMC (adapted from Wijns et al.).4

ESC Guidelines

Rete territoriale e interospedaliera

La risposta italiana alla necessità di aumentare il numero dei pazienti che giungono vivi in ospedale e che sono suscettibili di terapia riperfusiva ottimale è stata la definizione nel 2005, da parte della Federazione Italiana di Cardiologia (FIC) in collaborazione con ANMCO SICI-GISE e SIC, di un

documento di consenso151 con lo scopo di proporre un modello organizzativo

per la gestione dello STEMI. Questo documento si è posto come riferimento per la realizzazione sul territorio italiano di un sistema di rete territoriale e interospedaliera secondo il modello “Hub & Spoke” e ne ha definito gli standard organizzativi e strutturali. Il centro Hub è l’ospedale di riferimento dotato di laboratorio di emodinamica in cui si esegue la PTCA primaria, attivo 24/24 ore sette giorni a settimana, mentre i centri Spoke sono rappresentati dalle unità di pronto soccorso (PS) e dalle Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC). Tale modello ha previsto la costituzione di un sistema organizzativo territoriale, inter e intraospedaliero, che assiste il paziente dalla fase d’esordio (preospedaliera) fino al suo arrivo in emodinamica del centro Hub. Contempla quindi la collaborazione di diverse figure professionali nel processo di diagnosi e cura del paziente, attraverso la condivisione di protocolli diagnostico-terapeutici comuni tra gli attori del processo assistenziale. Tale processo assistenziale deve essere indirizzato sulla base di tre fattori che condizionano l’efficacia del trattamento: i tempi, il

profilo di rischio del paziente, la disponibilità di presidi e tecnologie in tempi compatibili con le finalità preposte. Gli obiettivi primari che si propone il sistema network dello STEMI sono infatti: aumentare il numero di pazienti che giungono vivi in ospedale, ridurre il ritardo evitabile e aumentare così il numero di pazienti trattati con terapia riperfusiva ottimale migliorandone l’outcome (specialmente nei pazienti ad alto rischio), e garantire un accesso alle cure uniforme sul territorio. La gestione del paziente con STEMI ha subito una rivoluzione concettuale passando da una visione tradizionale, in cui il processo di diagnosi e cura era concentrato in un luogo (UTIC), a un sistema in cui tale processo inizia sul territorio e prosegue in ospedali di complessità diversa a seconda dei casi, in base al principio che la priorità è trasferire il paziente nella sede più idonea a trattare la patologia e non

necessariamente nella sede più vicina152. Nel caso in cui il paziente si rivolga

al 118 la diagnosi e le procedure terapeutiche preliminari avvengono in fase preospedaliera: il triage preospedaliero si associa a ridotti ritardi nel trattamento, a ridotte dimensioni dell’infarto e a un outcome clinico migliore,

specialmente nei casi in cui il centro Hub sia distante153,154. Nel caso in cui il

paziente si presenti direttamente al pronto soccorso l’iter da seguire deve essere concordato localmente, specialmente per i pazienti afferenti ai centri Spoke.

Presupposto fondamentale per il successo di un sistema a rete integrata è la flessibilità, ossia la capacità di adattarsi a contesti specifici e diversificati.

In era “pre-rete” soltanto il 65% dei pazienti potenzialmente suscettibili riceva una terapia riperfusiva (di cui solo il 25% mediante PTCAp) e, stratificando per età, tale percentuale scende sotto il 30% nei soggetti di età superiore ai 75 anni, peraltro nella maggior parte dei casi per trombolisi. L’introduzione e l’implementazione di un sistema network efficiente per la PTCAp ha portato il numero dei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione meccanica intorno al 65%, la percentuale dei pazienti non sottoposti ad alcun trattamento riperfusivo si è ridotta in modo significativo e il tempo ischemico totale medio è notevolmente diminuito, grazie alla diagnosi di STEMI in fase preospedaliera e al trasferimento diretto ai centri Hub. Ciò si è tradotto in una riduzione significativa della mortalità ospedaliera e a un anno, come dimostrato da numerosi studi155-157.

Problemi ancora aperti e sviluppi futuri

A distanza di circa 10 anni dall’introduzione delle reti integrate nella gestione dello STEMI lo spazio per perfezionare e per migliorare l’efficienza della rete esiste, considerando che, secondo quanto emerge dagli studi BLITZ e dall’INACS Outcome, circa un terzo dei pazienti non riceve ancora un trattamento riperfusivo ideale ed entro i limiti di tempo previsti158.

Inoltre molto c’è da fare per ridurre le morti precoci (preospedaliere), che purtroppo ancora oggi raggiungono il 30% degli STEMI, e per ridurre il ritardo evitabile: lo sviluppo nella popolazione comune della consapevolezza nel riconoscimento precoce dei sintomi, nell'apprendere l'importanza delle manovre rianimatorie e di defibrillazione precoce in modo omogeneo sul territorio oltre alla diffusione della cultura della rete sono obiettivi su cui bisogna puntare fortemente; il paziente è infatti il primo attore all’interno del “network STEMI” e svolge un ruolo fondamentale nel successo di tale sistema.

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