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Il gesto delle lacrime e l’uso del pronome dimostrativo in funzione deittica.

Nel libro IV, il riferimento alle lacrime di Didone assume una notevole importanza in quanto sottolinea il totale coinvolgimento emotivo della regina rispetto all’impassibilità mostrata, invece, dall’eroe troiano.

Ciò che mi propongo di fare, in questa appendice, è evidenziare le diverse modalità in cui il gesto delle lacrime viene rappresentato dal poeta.

Due sono i passi fondamentali in cui vediamo la regina abbandonarsi alle lacrime:

Aen. 4.30: Sic effata sinum lacrimis inplevit obortis

Aen. 4.314: mene fugis? Per ego has lacrimas dextramque tuam te

Aen. 4.30421: “Detto che ebbe, affiorate le lacrime, ne riempì il seno” (trad. Fo).

Didone ha appena terminato di confessare all’ unanima soror la passione nei confronti dell’ospite straniero. Dopo aver confidato alla sorella gli incubi e i sentimenti che la attanagliano, si abbandona ad un pianto improvviso che corona, in modo mirabile, la finissima analisi che il poeta ha condotta dell’animo di Didone attraverso le parole stesse di lei. Il pianto, in questo verso, viene a configurarsi come il più chiaro segno rivelatore dell’angoscia interiore. Fondamentale, a tal proposito, è proprio il participio obortis da

oborior che letteralmente vale “sgorgate all’improvviso”. Obortis, scrive Austin, “suggests

that her tears choked her speech”. “This line”, continua Austin, “throws a clear light on Dido’s character (hae autem lacrimae magnum facile poetam arguunt, is Heyne’s discerning comment). Le lacrime “sgorgate all’improvviso” sottolineano l’instabilità emotiva della regina e vengono a contraddire i suoi conclamati propositi di fermezza offrendo l’ultima conferma dello strazio che le passioni fanno del suo cuore. Questo primo abbandono alle lacrime, da parte della regina, è narrato dal poeta in forma diretta.

421 Il motivo del pianto è presente anche in Apollonio Rodio, Arg. III 673, dove Calciope, sorella di Medea, vede gli occhi della giovinetta inondati di lacrime e da lì intuisce la profonda passione che la sconvolge.

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La funzione che le lacrime assumono in questo passo è quella di fornire il messaggio che le parole non trasmettono: se le parole affermano il proposito di Didone di sacrificare l’amore per Enea alla fedeltà di Sicheo, le lacrime comunicano che la passione amorosa è talmente intensa da contrastare la volontà e le direttrici che hanno ispirato fino ad allora la sua vita. Una spia del conflitto interno è nella stessa formulazione dello sgorgare delle lacrime, che presenta una contrapposizione fra lacrime agite (sinum implevit) e lacrime subìte dal personaggio (lacrimis obortis). In questo passo, dunque, il gesto delle lacrime assume notevole importanza proprio perché subentrano a dire quello che le parole avevano detto solo a metà. La descrizione della gestualità, alla fine del discorso di Didone, è necessaria perché tramite essa arrivi per ultima la comunicazione più efficace e veritiera, cioè quella dell’amore che la regina prova nei confronti dell’ospite straniero.

La gestualità di Didone, dunque, aggiunge al discorso il messaggio che mancava e che la regina non ha proferito esplicitamente.422

In 4.314 a differenza di 4.30 il gesto delle lacrime è rappresentato in forma indiretta, ossia il lettore è informato del pianto di Didone non dal narratore ma da una allusione della regina alle sue lacrime: non vi è, dunque, una descizione diretta del pianto.

L’abbandono al pianto da parte di Didone non è narrato in modo esplicito ma è il lettore stesso che lo comprende quando Didone esordisce dicendo: per ego has lacrimas. All’interno del suo discorso ad Enea, Didone allude ad un suo gesto, il versare lacrime, che non è rappresentato né prima né dopo del suo discorso. Come spiega Ricottilli423, in questo passo virgiliano non è chiaro se il gesto sia sincronizzato con il discorso diretto già dal suo inizio, e questo sia quindi un caso in cui la rapidità della narrazione porta il poeta ad alludere soltanto al gesto, o se invece il gesto sia relativo solo al microcontesto in cui compare, e quindi si tratti di lacrime che Didone si lascia sfuggire proprio nel momento in cui avanza l’ipotesi che Enea voglia fuggire da lei (v. 314, appunto), o in un momento di poco precedente (nec te noster amor nec te data dextera quondam/nec moritura tenet crudeli

funere Dido, vv. 307-308). In quest’ultima eventualità, continua Ricottilli, che sembra più

probabile, la mancata rappresentazione del gesto all’inizio del discorso dipende dal fatto che

422 La Ricottilli sostiene che questo verso sia una ripresa della situazione presente nelle Argonautiche (3.1118- 1119) in cui Medea, dopo aver chiesto e ottenuto dall’eroe la promessa che non si sarebbe dimenticato di lei, con un ulteriore discorso, si augura di potergli comparire nella sua casa, se mai si dimenticasse di lei, per ravvivare il suo ricordo (3, 1105-1117). A queste parole segue la descrizione gestuale delle lacrime di Medea, la cui importanza nell’evoluzione della vicenda è notevole, in quanto rivelano in modo chiaro a Giasone che la fanciulla è innamorata di lui. Cfr. Ricottilli (2000), pag. 159.

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Virgilio vuole caratterizzare le prime parole della regina come dettate dall’ira che poco prima aveva spinto la regina a perdere la padronanza di sé e a delirare come una baccante per tutta la città (vv. 300-303).

Il gesto rappresentato in forma indiretta spesso può configurarsi come l’alternativa più rapida424. Tuttavia non è questo il caso del verso 314 per le ragioni poco fa spiegate.

Il ricorso al gesto delle lacrime, inoltre, contribuisce a rendere ancor più evidente il profondo coinvolgimento emotivo da parte della regina.

Di grande importanza risulta essere la presenza del pronome dimostrativo has che assume funzione deittica e che fa chiaramente intendere che Didone stia accompagnando le sue parole con un gesto delle mani. Se sta indicando le sue lacrime o se ha compiuto un qualsiasi altro gesto noi non possiamo affermarlo perché il testo non lo spiega: ciò che è certo è che, a differenza del primo passo, in 4.314 il pianto assume una connotazione più tragica anche e soprattutto perché è accompagnato da un gesto che contribuisce ad intensificare il momento di grande disperazione che Didone sta provando in quel preciso istante.

La differenza tra i due pianti consiste, dunque, nella presenza del deittico in 4.314, volto a mettere in evidenza la presenza di un gesto che si accompagna a quello delle lacrime; gesto totalmente assente in 4.30, in quanto si tratta di un pianto descritto in forma diretta.

L’uso del deittico è presente anche in un altro passo dell’Eneide, 2.292-295 (defendi possent,

etiam hac defensa fuissent./Sacra suosque tibi commendat Troia penatis:/hos cape fatorum comites, his moenia quaere/magna pererrato statues quae denique ponto). Si tratta

dell’apparizione onirica di Ettore ad Enea, il cui significato è quello di esternare il compito affidato all’eroe dagli dei e dai fati. Ettore esorta Enea a fuggire da Troia e gli preannuncia la sua missione. Dopo tanto peregrinare per mare riuscirà a fondare le “grandi mura”. La prima rappresentazione gestuale è riservata, dunque, a Ettore; l’eroe, subito dopo essere stato definito maestissimus (270) , viene descritto in lacrime, visus adesse mihi largosque

effundere fletus (271); segue la descrizione del suo aspetto devastato dalla violenza di

Achille e il commento di Enea, che racconta il sogno con forte partecipazione emotiva: Ei

mihi qualis erat…(274) pensando al contrasto fra come gli si presenta ora l’immagine di

Ettore e come invece appariva nei giorni di trionfo nel combattimento contro i Greci.

424 Cfr. a tal proposito, il discorso di Amata in Aen. 12, 56: Turne, per has ego te lacrimas…, in cui la menzione delle lacrime ribadisce la rappresentazione gestuale che mostrava, subito prima del discorso, il pianto di Amata: vv. 54-55, At regina nova pugnae conterrita sorte/flebat et ardentem generum moritura tenebat.

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Il racconto del sogno continua con la descrizione della reazione gestuale e verbale di Enea: alla gestualità delle lacrime di Ettore (271) corrisponde la stessa gestualità di “feedback” (vv. 279-280: ultro flens ipse videbar/compellare virum) con un effetto che possiamo definire di “contagio delle lacrime”425, anche se la formulazione delle lacrime di Ettore (più

ridondante) si presenta piuttosto diversa da quella delle lacrime di Enea (fedele alla designazione più corrente e rapida)426.

Il gesto deittico nell’apparizione onirica di Ettore è contenuto nell’espressione: si Pergama

dextra/defendi possent, etiam hac defensa fuissent (291-92). Hac è dunque deittico come his

al v. 289 (his…flammis). Si potrebbe affermare, dunque, che in entrambi i casi il fantasma di Ettore agiti la mano, al v. 289 stendendola verso l’esterno a indicare le fiamme divoratrici, al v. 292 piegandola su se stessa a indicare la propria persona.

Ettore sta chiaramente dicendo ad Enea che se solo lui fosse stato vivo e avesse avuto la possibilità di difendere Troia, lo avrebbe fatto con la sua dextra. Nell’esprimere ciò usa il deittico hac che ci porta ad immaginare che l’eroe stia indicando la sua mano e stia compiendo, dunque, un gesto.

Il gesto che Ettore compie, spiega Austin, “mark the vividness of the dream”.

Un altro pronome dimostrativo in funzione deittica è presente al v. 294, hos: il deittico porta a immaginare che la mano di Ettore stia indicando i Penati, tanto più, afferma Canali427, che

ai vv. 296-7 il fantasma di Ettore è visto estrarre egli stesso manibus l’immagine di Vesta e l’ignis del focolare domestico, sia che si tratti del sacrario familiare di Enea sia che si supponga che nel sogno Enea ingrandisca inconsciamente la scena e veda Ettore tirar fuori i Penati dalla città.

His (294): ulteriore deittico. In questo passo, Canali interpreta il deittico come ablativo

strumentale: proprio la presenza dei Penati sarà il mezzo provvidenziale che permetterà a Enea di trovare una nuova sede stabile. Altri studiosi, tra cui Fo, interpretano il deittico come dativo di vantaggio: “prendili al fato compagni, ricerca per loro le mura”. Anche Conington sostiene che si tratti di un dativo di vantaggio e traduce: “for these”.

La descrizione della gestualità, dunque, consente all’ascoltatore-lettore di visualizzare l’immagine descritta, fornendo proprio quei segni gestuali su cui si concentrerebbe l’attenzione di uno spettatore.

425 L’espressione è di L. Ricottilli (2000). Il contagio delle lacrime da parte di Enea è completamente assente nell’episodio del dialogo tra Enea e Didone.

426 Cfr. Ricottilli (2000), pag. 176. 427 Ad. loc.

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Inoltre, la descrizione della gestualità conferisce all’invenzione poetica un’apparenza di realtà ed un forte impatto emotivo sul destinatario del gesto.