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La similitudine della quercia (Ov Her 7 51-52):

I vv. 51-52 della VII epistola sono una chiara ripresa dal modello virgiliano, ovviamente rovesciato.

L’affermazione della Didone ovidiana, tu quoque cum ventis utinam mutabilis esses!/et, nisi

duritia robora vincis, eris (51-52), presuppone la celebre similitudine virgiliana della quercia

introdotta come termine di paragone di Enea, che, irremovibile, non si piega neppure di fronte alle preghiere di Anna (Aen. 4. 441 sgg.):

ac velut annoso validam cum robore quercum Alpini Boreae nunc hinc nunc flatibus illinc eruere inter se certant; it stridor, et altae

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consternunt terram concusso stipite frondes;

ipsa haeret scopulis et quantum vertice ad auras 445 aetherias, tantum radice in Tartara tendit:

haud secus adsiduis hinc atque hinc vocibus heros tunditur, et magno persentit pectore curas;

mens immota manet, lacrimae volvuntur inanes.

La Didone ovidiana si augura che Enea si mostri, per una volta, di carattere docile:

tu quoque cum ventis utinam mutabilis esses! et, nisi duritia robora vincis, eris

ma il testo virgiliano ci assicura che Enea è rimasto fermo e impassibile come una quercia di fronte alle suppliche che gli sono state riportate. Dunque, come argomenta Piazzi417, “il lettore sa già che l’augurio espresso dalla regina (utinam mutabilis esses) è destinato ad essere disatteso. Anche in questo caso il futuro dei personaggi è già inscritto nel loro passato letterario senza via di scampo”.

L’espressione della Didone ovidiana è stata interpretata da Ariemma418 come un

ragionamento a fortiori, denso di richiami: mutabilis, ad es., in accezione fortemente negativa, era l’epiteto con cui, nel libro IV dell’Eneide (vv. 569 sgg.), Mercurio bollava il carattere femminile: varium et mutabile semper/femina.

Mutabilis, invece, non si dimostrava certo Enea, che dopo le parole di Didone (vv. 331 sgg)

rimaneva con i lumina/Iovis monitis immota; e immota è la sua mens anche dopo che Anna avrà fatto l’estremo tentativo di convincerlo a restare. Ed è proprio in quel frangente che Enea viene paragonato ad una quercia, ad una valida quercus (441) che i venti fanno a gara a sradicare, ma invano, dato che rimane saldamente attaccata alle rocce, grazie alla profondità delle sue radici che si inabissano fino al Tartaro. Del resto, le parole di Anna non sortiscono l’effetto sperato: sed nullis ille movetur/fletibus aut ullas voces tractabilis audit (438).

417 Piazzi (2007), pag. 28. 418Ariemma (1993), pp. 115-125.

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L’inflessibilità di Enea, oltre che rimarcata dall’uso intensivo di verbi indicanti ostacolo (v. 440: fata obstant placidasque viri deus obruit aures), viene dunque alla luce in virtù del frequente ricorrere del verbo moveo e dei suoi composti.

La Didone ovidiana, dal canto suo memore (di memoria poetica) della quercus virgiliana, pare volersi fare coraggio e dire, a se stessa più che a Enea, che il “suo” eroe smentirà il modello: sarà cioè mutabilis, flessibile, e non immotus: il verbo muto si riconnette, dunque, alla sua originaria funzione di intensivo di moveo (*movito)419 e la connessione intertestuale fra modello e antigrafo viene alla luce con prepotenza. Tanto più che, si legge in Ovidio, Enea non può vincere le querce quanto a duritia, quelle stesse querce cui il troiano è paragonato da Virgilio e che, nell’epistola ovidiana e come abbiamo visto precedentemente, vengono indicate come possibili progenitrici di Enea (cfr. vv. 37 sgg)420:

le querce, nel nostro caso, procreano sì Enea, ma Enea, in fondo, non può essere paragonato alla duritia di una quercia.

Nel testo di Virgilio, la similitudine, come abbiamo già detto, viene riportata per indicare che l’inflessibilità di Enea, è così forte e salda come una quercia, che neppure le bore invernali riescono a sradicare.

Il richiamo ai venti, tuttavia, è presente anche in Ovidio, con la differenza sostanziale che se in Virgilio ne veniva evocata la forza, la potenza, nel testo ovidiano ne viene evocata la principale caratteristica: la mutevolezza.

L’espressione, tra l’altro, può considerarsi un lieve zeugma, in quanto lo stesso aggettivo

mutabilis è riferito contemporaneamente a una persona (tu quoque), e a un’entità inanimata

e assume un valore astratto nel primo caso (noi diremmo “malleabile”) e concreto nel secondo.

Ovidio, quindi, rovescia totalmente il modello virgiliano. L’eroina ribalta su Enea l’accusa di mutevolezza trasformandola in una caratteristica positiva, che bilancerebbe la duritia finora mostrata dall’amato.

Il lettore di Virgilio sa che Enea è rimasto apparentemente impassibile alle parole di Didone, ma in realtà anche in Ovidio vi è una leggera traccia dell’impossibilità di mutevolezza da parte di Enea. Il congiuntivo imperfetto esses (51), pone già il desiderio della regina come

419 In Ernout-Meillet, Dictionnaire etimologique de la langue latine, Paris, 19513, pag. 756, si legge che “l’idèe du changement est inseparable de celle du mouvement, et les sujets parlants ont souvent associè

muto a moveo” come si evince, ad esempio, da Plaut. Amph. 273 sgg: nam neque se Septemtriones quoquam in coelo commovent/neque se Luna mutat.

420 È bene affermare che nel caso di Ovidio il v. 52 (et, nisi duritia robora vincis, eris) è una comparazione (e non una similitudine) e riguarda l’asupicio di Didone che Enea non sia irremovibile.

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irrealizzabile anche se successivamente Ovidio passa subito all’indicativo eris (52) che introduce una nota di speranza, che riflette le oscillazioni e le incertezze dell’animo di Didone.

Un’ulteriore differenza rispetto al modello consiste nel fatto che, nell’Eneide, la similitudine ampiamente narrata dal poeta riesce a rendere chiara al lettore l’idea dell’inflessibilità dell’eroe. In Ovidio, invece, il punto di vista di Didone offre una visione limitata e parziale del comportamento di Enea, focalizzando solo l’elemento dell’insensibilità laddove il lungo paragone virgiliano metteva in luce la resistenza della quercia alle intemperie, a quelle raffiche di vento che fanno a gara nel tentare di sradicarla, tutte immagini che intendevano rappresentare il dissidio interiore di Enea (v. 448 magno persentit pectore curas), che resiste alle preghiere non senza sofferenza (v. 449 lacrimae volvuntur inanes).

Come ho già avuto modo di affermare, l’ipotesto virgiliano rivela l’inattuabilità del desiderio della Didone ovidiana, ossia che Enea diventi mutabilis. Il lettore di Virgilio sa che Enea è davvero stato “duro e inflessibile come una quercia”, dunque l’ipotesi formulata in Ovidio (nisi duritia robora vincis) è già smentita in partenza.

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APPENDICE 1

1. Il gesto delle lacrime e l’uso del pronome dimostrativo in funzione