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È una dimensione del fordismo, appunto. Henry Ford aveva capito che non basta dare il salario all’ope-raio, ma occorre garantirgli una qualità del tempo libero perché possa ri-apprestare le sue energie e possa lavorare e produrre meglio. Non è solo welfare, ma la ricreazione, la “cotidiana sete di spettacolo” che troveremo nella me-tafora dei Giganti della montagna.

A questo bisogno fa riferimento anche l’intervento al IV Convegno della Fondazione Alessandro Volta (Il teatro drammatico, ottobre 1934). “Non più di tempo in tempo, come prima soleva, o per le grandi feste o per le grandi ricorrenze religiose, il popolo è attratto agli spettacoli, ma ormai cotidianamente per una abitudine divenuta bisogno, che è frutto d’incivilimento”.

La nuova civiltà, dice Pirandello molto lucidamen-te, è un perenne desiderio di cultura: “Ancor oggi, o nei mesi estivi o di primavera all’aperto, in antichi anfiteatri, o per feste annuali o biennali in questa o in quella città, in piazze o in luoghi predisposti, il popolo è chiamato ad assistere a rappresentazioni straordinarie, magnifiche ma che non risolvono il problema del teatro

sedici

il divertimento

come col tempo è venuto a imporsi alla considerazione d’ogni Paese che vuol esser civile, problema di civiltà: il teatro chiuso d’ogni sera”. Ecco: nuovi spettacoli e nuovi spettatori non risparmiano al teatro il rischio di chiude-re, mentre si diffonde la necessità di divertimento.

“Divertire” significa staccare, divaricare due dimen-sioni, allontanarsi dal quotidiano. Siamo negli anni Trenta: da qui nascono le problematiche legate alle nuo-ve forme espressinuo-ve dell’arte. Pirandello, tra i primi, si accorge che il teatro e le forme consuete dell’espressione artistica sono soppiantate da divertimenti di massa.

Nota il cinema, che sta diventando sonoro e parlato, si accorge del nuovo ruolo degli stadii (lo dice con due

“i”), un nuovo tipo di divertimento di massa, forma di spettacolo ambita e seguita quanto il cinema, che contri-buirà al rischio di asfissiare il teatro.

Sport e calcio diventano centrali: nel 1934 e nel 1938 l’Italia vince i campionati mondiali e nel 1936, a Berlino, anche la medaglia d’oro olimpica. Nell’Italia fascista lo sport ha una sua eccellenza, non lo si può negare, e le masse si rivolgono a questa nuova forma di intrattenimento.

Prende corpo l’idea dell’entertainment, di cui si può incaricare lo stesso datore di lavoro. Non è troppo diver-sa, questa impostazione, da quella dei regimi reazionari di massa, specie il Fascismo in Italia e poi – in modo parossistico – il Nazismo tedesco degli anni Trenta.

L’organizzazione delle masse nei dopolavoro fascisti propone un meccanismo in cui, all’interno del sistema corporativo che annulla ogni distinzione tra padrone e operaio, strutture organizzate per settori produttivi in-cludono attività ginniche. L’educazione fisica contribui-sce a costruire materialmente la nuova figura di italiano e italiana, in una forma che sfiora l’eugenetica.

Nelle grandi città italiane si costruiscono ora i mo-derni teatri, gli stadi per le partite, e Pirandello vive tutto questo con grande angoscia. In America intanto

si svolge l’esperienza fordista; Gramsci, che ne era un grande conoscitore, ne rintraccia gli echi all’interno del teatro pirandelliano. Sta intanto nascendo quello che, a livello di economia e di sociologia, viene chiamato l’a-mericanismo. Parliamo dell’organizzazione capitalistica del lavoro, dove l’imprenditore si rifornisce della pre-stazione dell’operaio come salariato e il proletario può offrire solo la sua energia psicofisica.

Grazie al lavoratore salariato, nella dinamica del capitalismo che sottrae il plusvalore dal lavoro (sempre secondo l’accezione marxiana), si sviluppa l’accumula-zione capitalistaca da cui proviene comunque un pro-gresso economico-sociale.

Gli Stati Uniti non sono ancora una potenza politica e militare, ma sono già diventati una potenza economica dopo la guerra di Secessione. Si affermano come l’area principale in cui l’organizzazione del capitalismo ac-quista una sua identità e intorno agli anni Venti, dopo il primo grande conflitto mondiale, Henry Ford capisce anche che non basta pagare le persone, ma occorre in qualche modo governare il salariato in tutta la sua gior-nata: dal lavoro all’intera esistenza.

Questo è chiaro a Gramsci, ma anche a Pirandello, il quale segue comunque la sua via.

Ripete l’avvertimento che l’Europa ormai è dei morti, che la vita “rivegeta” all’estero. Si rende conto che energie nuove, fresche e potenti, sia nel bene che nel male, vengono da realtà in cui il mondo avanza, anche se tra pesantissime contraddizioni. È chiaro che fa anche riferimento a come l’americanismo e il fordismo vengo-no temperati, o ristrutturati, dal New Deal di Roosevelt.

Dopo la grande crisi del ’29, a Wall Street, avvalendosi delle teorie di Keynes e di una idea di welfare con l’in-tervento dello Stato sulle condizioni di vita dei cittadini, queste teorie contribuiranno a creare una situazione di ripresa per il meccanismo economico, per la situazione degli individui e per quella delle masse.

Pirandello sa che non si può cambiare il corso delle cose. Vede che, tra le altre cose, anche la costruzione dei luoghi della cultura richiede un rinnovamento comples-sivo: “si dovrebbe poi provvedere alla costruzione dei teatri nuovi, così come si costruiscono i nuovi stadii per le gare sportive, giacché ancora al teatro si fa respirare l’aria soffocante delle vecchie sedi non più confacenti alle nuove esigenze, non solo dell’arte stessa, ma anche e sopra tutto dell’economia e del costume”. La vita nuova è in America, i timori pirandelliani prendono corpo in Europa dove “la vita nuova rifugge dalle antiche distin-zioni, sia di caste sia di privilegi comunque acquisiti; e si ha perciò l’impressione che i teatri, come furono co-struiti nei tempi in cui tali distinzioni erano vive, siano luoghi ormai anacronistici, da cui quasi istintivamente ci s’allontana”.

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