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SOMMARIO:1. Principio di diritto e norma di legge. – 2. Il vincolo interpretativo per il giudice di rinvio. – 3. L’eguaglianza davanti alla legge e l’“unità del diritto oggettivo nazionale”. – 4. La forma “debole” della regola dello “stare decisis”. – 5. In particolare il vincolo negativo del prin- cipio di diritto affermato dalle Sezioni Unite. – 6. L’apporto della dottrina.

1. Principio di diritto e norma di legge

Nel nostro ordinamento giuridico l’esercizio della giurisdizione mediante provve- dimenti giudiziari, che affermano “principi di diritto”, non si inserisce nel sistema delle fonti del diritto, ma partecipa al processo di interpretazione delle norme di legge.

Pur non essendo presente nella Costituzione una disposizione sulle fonti del dirit- to analoga a quella dell’art. 1 disp. prel. c.c., che le cataloghi elencandole, non di me- no il sistema delle fonti del diritto può considerarsi “chiuso” a livello primario, per- ché tipizzato nelle norme della Costituzione che prevedono e disciplinano gli atti normativi primari, quali la legge, il decreto legge, il decreto legislativo, il referendum; è invece “aperto” a livello subprimario (nel quale si rinviene essenzialmente la nor- mativa regolamentare), che è legittimato da quello primario senza essere rigidamente tipizzato.

Le pronunce della giurisprudenza in generale non si collocano certamente a livello primario, perché la Costituzione (art. 136, primo comma, Cost.) autorizza solo le sen- tenze della Corte costituzionale ad incidere sul sistema normativo nell’esercizio del sindacato di legittimità costituzionale. Peraltro queste ultime, una volta ammesse le pronunce di incostituzionalità di tipo additivo o manipolativo, possono, oltre che caducare una disposizione di legge, anche modificarla aggiungendo al testo un com- pletamento della norma (incostituzionale nella parte in cui non prevede …) o sosti- tuendo in tutto o in parte la disposizione censurata (incostituzionale nella parte in cui prevede …, anziché …). Ma le pronunce della giurisprudenza comune non si collocano neppure a livello subprimario, salvo che le pronunce del giudice amministrativo nell’eser-

Relazione presentata in occasione del primo colloquio italo-marocchino sul tema «La dottrina giu- ridica nella giurisprudenza delle Alte Corti» tenutosi a Rabat (Marocco) il 17 e 18 dicembre 2015.

cizio del sindacato di legittimità sugli atti di normazione subprimaria, pronunce che, in caso di annullamento, hanno efficacia erga omnes.

Ma, in disparte il sindacato sugli atti di normazione primaria (della Corte costitu- zionale) e subprimaria (del giudice amministrativo), la giurisprudenza comune con le sue pronunce non tocca il sistema normativo nella sua formulazione testuale; non crea norme di legge, ma “principi di diritto”. La giurisprudenza comune non altera la norma interpretata; la lascia invariata e quindi suscettibile di una continua opera di interpretazione.

Il “principio di diritto” non è pertanto la codificazione di una norma di dettaglio a corredo della norma interpretata, ma è la generalizzazione dell’interpretazione ed applicazione della norma ad una fattispecie concreta. La regola di giudizio usata co- me criterio di decisione di una fattispecie concreta è sussunta come “principio di di- ritto” suscettibile di costituire la regola di giudizio per la decisione di altre fattispecie uguali o analoghe. Se ad es. si considera il fenomeno del venir meno di una norma di legge per essere stata espunta dal sistema normativo, può aversi rispettivamente abro- gazione della stessa, quale espressione di attività di normazione positiva; ovvero ca- ducazione per incostituzionalità, quale espressione del sindacato sulle leggi; ovvero ancora abrogazione per incompatibilità, in ragione di un’attività interpretativa della giurisprudenza che riconosce l’insuperabile antinomia con una norma successiva. Vi è però un dato comunque che emerge dalla comparazione: la disposizione è venuta meno e non appartiene più al sistema normativo vigente.

Questa contiguità è accentuata dalla circostanza che i “principi di diritto”, come le norme di legge, sono formulati in termini generali ed astratti e quindi sono pari- menti idonei a regolare la fattispecie concreta. Anzi i principi di diritto sono sempre generali ed astratti perché derivano già da una fattispecie concreta; mentre le norme di legge sono di regola generali ed astratte, ma possono anche riguardare solo una sin- gola fattispecie (come nel caso delle leggi provvedimento).

Non di meno i “principi di diritto” non sono norme di legge. Può ricordarsi in pro- posito che in passato si è anche verificato, in un giudizio incidentale di legittimità costi- tuzionale, che un giudice rimettente censurasse non una norma di diritto, ma un “prin- cipio di diritto”, e ponesse quindi la questione di costituzionalità in riferimento a nor- me «non corrispondenti a specifiche disposizioni di legge e tuttavia rinvenute dalla Corte di cassazione nell’ordinamento»; ossia censurava il principio di diritto che (all’e- poca) predicava la perdita della proprietà e l’acquisto di essa in capo alla pubblica am- ministrazione quale effetto dell’illecito costituito dalla costruzione dell’opera pubblica su suolo altrui senza provvedimento espropriativo. Secondo il giudice rimettente si trat- tava di un “puro” principio di diritto espressione di una ipotizzata attività maieutica di tipo normativo che egli – seppur in chiave critica – accreditava alla giurisprudenza della Corte di cassazione. La Corte costituzionale però ha considerato che, dal momento che il giudice rimettente aveva censurato un “principio di diritto” e non già una norma di legge, la questione di costituzionalità era, in questa parte, priva di oggetto (e pertanto inammissibile) perché l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 (sulla costituzione e sul fun- zionamento della Corte costituzionale) prescrive che il giudice a quo indichi «le dispo- sizioni della legge o dell’atto avente forza di legge, dello Stato o della Regione che as- suma viziate da illegittimità costituzionale» (C. cost. n. 188/1995).

In sostanza il giudice rimettente avrebbe dovuto percorrere il cammino inverso della giurisprudenza comune: risalire dal “principio di diritto”, che assumeva essere contrastante con parametri costituzionali, alla norma di diritto, oggetto dell’attività interpretativa, ed investire quest’ultima della censura di incostituzionalità.

I “principi di diritto”, proprio in quanto esterni al sistema delle fonti del diritto, non sono vincolanti. Ciò si desume in modo inequivocabile dal precetto costituziona- le recato dall’art. 101, secondo comma, Cost.: i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Non c’è una gerarchia delle pronunce le quali fanno tutte riferimento alla legge (inte- sa come norma appartenente al sistema delle fonti del diritto) e quindi sono equior- dinate.

Il principio dello stare decisis (o del binding precedent) tipico degli ordinamenti di common law, nella misura in cui predica l’efficacia vincolante del precedente sulla base di una differenziazione gerarchica delle pronunce dei giudici, trova una preclu- sione nel suddetto parametro costituzionale.

Il principio di diritto ha invece una valenza persuasiva, in ragione dell’impianto argomentativo che lo sorregge, e non già vincolante. E giuoca un ruolo specifico ed autonomo nel processo decisionale e motivazionale del giudice affiancandosi alla tec- nica argomentativa di concatenazioni logiche discendenti (secondo un modello sillo- gistico-deduttivo) o ascendenti (secondo un modello dogmatico-sistematico). Il rife- rimento al precedente consente un percorso argomentativo orizzontale che non è né deduttivo, né sistematico, ma di mero rinvio. Il giudice indica il luogo – il precedente – in cui sono sviluppate le argomentazioni a sostegno del “principio di diritto” assun- to come regola di giudizio della fattispecie.

2. Il vincolo interpretativo per il giudice di rinvio

C’è non di meno nel sistema processuale una fattispecie di vero e proprio vincolo interpretativo per il giudice: quello che ha il giudice di rinvio dopo la pronuncia di cassazione (ex art. 384, secondo comma, c.p.c. e art. 627, terzo comma, c.p.p.); ma è interno al processo e consegue ad un suo sviluppo particolare caratterizzato dal per- fezionarsi, in momenti distinti, della fissazione della regola di giudizio e della sua ap- plicazione alla fattispecie concreta. Questo scarto diacronico crea una preclusione processuale: la regola di giudizio, pervenuta nella dialettica processuale attraverso i vari gradi del giudizio, all’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte di cassazione non può più essere posta in discussione non già in ragione di un’applicazione fuori sistema del principio dello stare decisis, ma perché le parti ne hanno già discusso nel processo fino a quando e nei limiti in cui le regole del proces- so lo consentono.

Ed infatti se si considera non già il principio di diritto in sé, ma la sua conformità a Costituzione, la regola del processo è diversa (perché è quella dell’art. 23, legge n. 87/1953 come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale): le parti ne possono ancora discutere pur dopo la pronuncia di cassazione con rinvio ed il giudice di rin- vio può sollevare l’incidente di costituzionalità. La possibile frizione che si determina tra un “principio di diritto” che vincola il giudice di rinvio e la sua eventuale non

conformità a Costituzione sfocia in una pronuncia d’incostituzionalità anche quando in ipotesi il diritto vivente sia diversamente orientato (sent. n. 78 del 2007).

Questo vincolo interpretativo ha superato il vaglio di costituzionalità. Mette conto ricordare che fin da epoca ormai risalente la Corte costituzionale (sent. n. 50/1970) – con riferimento al vincolo del principio di diritto per il giudice di rinvio ex art. 384 c.p.c. – ha affermato che «la Costituzione, legando il giudice alla legge, vuole assog- gettarlo, non solo al vincolo di una norma che specificatamente contempli la fattispe- cie da decidere, ma altresì alle valutazioni che la legge dà dei rapporti, degli atti e dei fatti, e al rispetto degli effetti che ne desume; in tal caso, è sempre alla legge che il giudice si collega quando armonizza la sua decisione alle dette valutazioni». Ed ha aggiunto che «il vincolo che la sentenza di cassazione determina per il giudice di rin- vio consegue perciò al fatto che la legge ha ritenuto conchiusa una fase del processo e immutabilmente fissato il punto di diritto deciso, con effetto limitato alla causa». In senso conforme la stessa Corte (ord. n. 501/2000) si è pronunciata successivamente con riferimento all’art. 627, terzo comma, c.p.p. ed al vincolo per il giudice di rinvio derivante dal principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento nel processo penale.

3. L’eguaglianza davanti alla legge e l’“unità del diritto oggettivo nazionale”

A fronte della non vincolatività dei principi di diritto, che discende dalla citata norma costituzionale, si pone – in bilanciamento se non proprio in contrapposizione – un’altra esigenza che pure ha rilievo costituzionale, quella della certezza del diritto quale proiezione del principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.: «Tutti i citta- dini […] sono uguali davanti alla legge […]»).

I principi di diritto, pur formalmente esterni al sistema normativo non apparte- nendo alle fonti del diritto, tuttavia sono in concreto idonei a completare la fattispe- cie normativa, a disegnarne meglio i contorni, e talvolta – come nel caso delle c.d. clausole generali – a riempirla di contenuto.

La “legge” davanti alla quale i cittadini sono eguali si atteggia quindi come un ples- so di norme di legge e di principi di diritto: le une e gli altri sono idonei a fornire al giudice la regola di giudizio per decidere il caso portato alla sua cognizione.

Un’accentuata mutevolezza o relativizzazione dei principi di diritto, seppur rispet- tosa del principio di cui all’art. 101, secondo comma, Cost., indurrebbe in sofferenza il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), con il quale mal si concilia l’evenienza che due fattispecie analoghe siano decise in termini diversi.

Pur in un sistema in cui non opera il principio dello stare decisis, non di meno la circostanza che un principio di diritto risulti nel tempo fissato in una massima di di- ritto vivente non è senza effetti.

Un indirizzo costante e ripetuto negli anni comporta la formazione di una situa- zione qualificata come di “diritto vivente”, che esprime la norma di legge contestua- lizzata dai principi di diritto che ad essa afferiscono; situazione questa che crea affi- damento nella stabilità del quadro normativo e nella certezza dei rapporti giuridici.

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