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SOMMARIO: 1.Ragioni e prospettive dell’istituzione della Supreme Court of the United Kingdom. – 2. L’attuazione dei propositi riformistici nel Constitutional Reform Act del 2005. – 3. Il nuovo stile della Supreme Court. – 4. I primi anni di vita della Supreme Court: tendenze nuove e consolida- mento delle precedenti in tema di rapporti tra giurisprudenza e dottrina. – 4.1. Il caso Evans del 2015. – 4.2. La rilevanza della dottrina nelle sentenze della Supreme Court. – 4.2.1. Il caso Assange del 2012. – 4.2.2. Il caso FHR European Ventures del 2014. – 4.3. Il caso Montgomery del 2015. – 4.4. Il caso Rhodes del 2015. – 4.5. I casi Cox e Mohamud del 2016. – 5. Tratti conclusivi.

1. Ragioni e prospettive dell’istituzione della Supreme Court of the United

Kingdom

A mo’ di premessa va detto che questo studio costituisce il necessario comple- mento di altro1, svolto nell’ambito di un esteso progetto di ricerca comparatistico,

che ha visto impegnati numerosi studiosi, italiani e stranieri, della materia sui rappor- ti tra dottrina e giurisprudenza in una pluralità di esperienze giuridiche.

L’istituzione della Supreme Court del Regno Unito si deve al Constitutional Re- form Act del 2005, che ne disciplina in modo dettagliato funzioni, struttura, composi- zione, criteri di selezione. La basilare riforma legislativa dalle manifeste conseguenze sul piano dell’assetto costituzionale del common law inglese era stata preceduta da un imponente dibattito che aveva avuto vita anche tra gli allora componenti della House of Lords2. Essi furono chiamati dal governo a pronunciarsi sulla proposta di creare

1Le ragioni del silenzio (apparente): l’atteggiamento della giurisprudenza italiana rispetto alle citazioni

dottrinarie a confronto con quello della giurisprudenza inglese, in Ann. dir. comp. st. leg., 2015, Esi, Napoli, 2015, p. 25 ss. La prima parte della rivista è dedicata al tema “Professori e giudici (I riferimenti alla dot- trina nella giurisprudenza costituzionale e suprema)”.

2In effetti, già nel 2002, in un articolo apparso nella Law Quarterly Review, p. 382 ss. intitolato The

case for a Supreme Court, uno dei più autorevoli giudici della House of Lords, Lord Steyn, aveva aperta- mente invocato l’abolizione della stessa in quanto percepita come un’articolazione del potere legislativo, individuando un notevole ostacolo nella temuta perdita del privilegio di sedere nella stessa da parte del Lord Chancellor: v. p. 383.

un nuovo organo di vertice del potere giudiziario inglese, recidendo i vincoli con la tradizione che quel ruolo aveva assegnato sin dai Judicature Acts del biennio 1873- 1875 all’articolazione specializzata di un ramo del Parlamento. I Law Lords of Appeal in Ordinary, ossia i giudici della House of Lords, diedero il 27 ottobre 2003 una com- plessa e collegiale3 risposta, in cui non mancarono accenti critici e preoccupazioni

circa la riforma ed i suoi effetti. Il loro riesame a distanza di oltre sei anni dall’entrata in funzione della Supreme Court conserva motivi di interesse ai fini del tema che qui si tratta.

Ed infatti, il preambolo del documento collegiale (contrassegnato con la sigla CP 11/03 July 2003) esprime una notevole divisione tra i 10 giudici che lo sottoscrissero, con una misurata prevalenza (6 a 4) di coloro che dichiararono di non appoggiare l’idea di soppiantare con una nuova Supreme Court il preesistente apparato giudizia- rio4. Essi, muovendo dal presupposto dell’efficiente funzionamento del sistema vi-

gente, ritennero pregiudizievole per l’interesse generale l’abbandono di un’istituzione così prestigiosa e rinomata come la House of Lords, armonicamente inserita nel siste- ma istituzionale inglese, da secoli positivamente collaudato: il sovvertimento sarebbe stato inutilmente rischioso. L’opinione leggermente minoritaria5 fece poggiare la

propria adesione alla proposta riformistica su un argomento di natura squisitamente costituzionale, consistente nella salutare distinzione, che per tale via era destinata a compiuta realizzazione, tra il potere giudiziario e quelli legislativo ed esecutivo: la nuova Supreme Court appariva l’emblema di una giurisdizione autonoma ed indipen- dente, nonché attrezzata sentinella di uno stato democratico governato dalla rule of

law6. Nel medesimo documento consultivo i Law Lords espressero l’unanime avviso

che all’insediamento del nuovo organismo corrispondessero l’assegnazione di ade- guate risorse finanziarie e logistiche ed il mantenimento, in capo alla Supreme Court, delle competenze affidate a quello predecessore: il messaggio avrebbe trovato, in ef- fetti, il favore legislativo.

Il punto di collegamento unanime tra le varie sensibilità riferibili ai componenti la House of Lords in composizione giurisdizionale era, comunque, costituito dalla ferma convinzione che la Corte di ultima istanza, quale che ne fosse la denominazione, conti- nuasse a svolgere il compito esemplare di difesa dei diritti fondamentali dei cittadini.

3Ad essa si accompagnò l’opinione individuale, di pochi giorni successiva, di Lord Hobhouse of

Woodborough, che non aveva partecipato alla stesura del documento collegiale.

4In questo senso si pronunciarono i Lords Nicholls of Birkenhead, Hoffmann, Hope of Craighead,

Hutton, Millett, Rodger of Earlsferry.

5Facente capo alle correnti più liberali del consesso: i Lords Bingham of Cornhill, Steyn, Saville of

Newdigate, Walker of Gestingthorpe.

6Nella sua opinione individuale, comunque favorevole alla riforma, Lord Hobhouse of Woodbo-

rough pose in rilievo l’esigenza che la stessa sapesse al contempo garantire, oltre la separazione dei poteri, l’as- soluta indipendenza della magistratura inglese e la riaffermazione del primato della rule of law: si vedrà che, in effetti, entrambi gli obiettivi furono centrati dalla legge del 2005.

2. L’attuazione dei propositi riformistici nel Constitutional Reform Act del 2005

La legge del 2005 è intervenuta in profondità e incisivamente sul tessuto dell’orga- nizzazione giudiziaria inglese e, così facendo, ha toccato l’intima essenza della giuri- sdizione, soprattutto dal lato dei suoi rapporti con gli altri poteri statali. Ma essa ha anche enunciato stentoreamente i capisaldi dell’attività di amministrazione della giu- stizia inglese, in tal modo fortificando l’impianto e l’impatto in senso proprio costitu- zionale delle proprie disposizioni (che, secondo la premessa, sono rivolte alla riorga- nizzazione dell’ufficio del Lord Chancellor, all’istituzione di una Supreme Court of the United Kingdom, alla conseguente abolizione della divisione giurisdizionale della House of Lords, alla rideterminazione delle competenze del Judicial Committee of the Privy Council, al reclutamento dei giudici e ad altre, eterogenee materie connesse).

La prima di esse, racchiusa nella parte introduttiva, cui dà il titolo, riguarda la “Rule of law”. Ed invero, la sezione 1 (a) ha cura di declamare con fermezza che nes- suna delle norme contenute nella legge è intesa a produrre effetti negativi rispetto all’esistente principio costituzionale della “rule of law”7. Si tratta di una sorta di mar-

chio posto a salvaguardia del telaio costituzionale del diritto inglese e del riconosci- mento di una sostanziale ipostasi della rule of law nel common law, quasi che questo non potesse concepirsi se non in quanto interamente imbevuto del principio da Di- cey così lucidamente rappresentato8. Una così netta proposizione non può che natu-

ralmente costituire un fondamentale tratto ispiratore della neonata Supreme Court: e le pagine seguenti, relative ai suoi primi anni di attività, ne forniranno conferma.

L’ulteriore disposizione del testo del 2005 che converge verso la sua inequivoca qualificazione in senso costituzionale è ravvisabile nella successiva sezione 3 che – memore dell’appello che si era levato in sede consultiva da alcuni Law Lords, di cui si è detto nel precedente n. 1 – riafferma la garanzia della perdurante indipendenza giu- diziale9. Non si è in presenza di una stilizzata postulazione di un principio moder-

namente mai messo in dubbio nel common law inglese: ci si trova, piuttosto, dinnanzi ad una norma strumentale alla completa attuazione del principio, attraverso la indi- viduazione degli organi (Lord Chancellor, gli altri Ministri della corona, tutti i titolari di attribuzioni in materia di amministrazione della giustizia) su cui incombe il compi- to di assicurarne la soddisfazione. Ed in particolare, alla figura del Lord Chancellor è assegnata la gravosa responsabilità di difendere l’indipendenza del potere giudiziario anche attraverso la predisposizione dei mezzi materiali necessari all’esercizio delle re- lative funzioni (sezione 3 (6) (b)).

Ora, in questo contesto di definizione anche formalmente costituzionale delle ga- ranzie e delle funzioni facenti capo alla giurisdizione si inscrivono le numerose e rile- vanti disposizioni (sezioni 23-60 della parte terza del Constitutional Reform Act del 2005) riguardanti la Supreme Court.

7«This Act does not adversely affect: (a) the existing constitutional principle of the rule of law». 8Sia consentito il rinvio al mio Brevi osservazioni su rule of law e sviluppi della teoria di Albert Venn

Dicey, in Studi in onore di Diego Corapi, Napoli, in corso di pubblicazione (2016), p. 209 ss.

La sezione 23 (1) ha carattere imperativo e prolettico, prevedendo che debba es- servi una Supreme Court of the United Kingdom10. Senza appuntare alla forma espres-

siva importanza maggiore di quella rivestita dalla (rimarchevole) sostanza va osserva- to che il legislatore inglese non si è limitato a statuire, come ben avrebbe potuto, l’istituzione, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello Act in questione, dell’or- gano di vertice della giurisdizione, ma ha adottato una formula che sottolinea il carat- tere necessario ed imprescindibile – anche per il futuro – della riforma. In altri ter- mini, la norma prescrive come indeclinabile l’esistenza di una Supreme Court del Re- gno Unito, in quanto reputata naturale garanzia per la difesa dei valori fondamentali indicati nelle prime sezioni della legge, la rule of law e l’indipendenza del potere giu- diziario. A questo scopo di tutela di siffatti principii di rango costituzionale deve, pertanto, tendere la nuova Corte. Non si corre certo il rischio di incappare nel vizio di sovraenfasi se si afferma che la Supreme Court è nata proprio perché, senza di essa, quei principii, ed in particolare la difesa dell’indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere statale, avrebbero potuto non trovare incondizionata realizzazione anche sul piano dell’immagine pubblica, a causa della permanenza dell’organo giudi- ziario di vertice prima esistente all’interno di una delle camere legislative. Le resisten- ze in via preventiva opposte, come visto al n. 1, da un ragguardevole numero di ap- partenenti alla House of Lords in sede giurisdizionale, trovavano base proprio nel prestigio raggiunto da essa in passato nonostante l’inserimento organico nella camera alta. Ed in ciò risiede il disegno conservatore, poi superato dalla meritoria ostinazione del governo guidato da Blair nel portare a termine il processo riformatore, che si ri- fiutava di cogliere i segni di un decremento di credibilità agli occhi delle differenti esperienze europee di una giurisdizione incorporata nei gangli di un altro potere sta- tale. Si cercherà di dimostrare nelle parti successive del lavoro che la Supreme Court mostra piena consapevolezza delle attese che l’opinione pubblica nutre, in termini di autonomia di operato, a seguito della rottura del precedente circuito organizzativo.

Anche il procedimento ed i criteri di selezione dei componenti (Presidente, Presi- dente vicario e giudici) la Supreme Court, individuati dalle sezioni 26 e seguenti della legge del 2005, evidentemente obbediscono al bisogno di reclutare persone che, per le rispettive biografie professionali e l’autorevolezza dell’organo che li sceglie, offrano garanzie certe di indipendenza. Ed infatti, non solo si richiede, nella sezione 25, che gli aspiranti abbiano ricoperto uffici giudiziari di alto grado per un congruo tempo («high judicial office»)11, ma viene posto dalla successiva sezione 27 (8) l’ulteriore re-

quisito della conoscenza e dell’esperienza maturata nella pratica giudiziaria. L’affida- mento circa l’idoneità delle persone scelte rispetto all’incarico da conferire viene con- segnato alla previsione della sezione 27 (5) secondo cui la selezione – effettuata da una commissione composta dai più alti rappresentanti della magistratura professiona- le del Regno Unito e sottoposta all’approvazione del Lord Chancellor – debba avveni- re sulla base del merito («selection must be on merit»).

Nell’ambito delle garanzie che circondano la posizione di tutti i componenti della 10«There is to be a Supreme Court of the United Kingdom».

11La successiva sezione 60 (2) specifica che si tratta, per ciò che concerne l’Inghilterra, dei giudici

Supreme Court (Presidente, Presidente vicario, giudici) di particolare rilievo è quella riconosciuta dalla sezione 33 del Constitutional Reform Act (intitolata «tenure») che fissa il principio dell’inamovibilità alla condizione (che richiama la risalente clausola “quamdiu se bene gesserint” applicata ai giudici del passato, implacabilmente adope- rata dalla temutissima Star Chamber) dell’irreprensibilità della condotta12: in ogni ca-

so il procedimento di rimozione abbisogna dell’iniziativa di entrambi i rami del par- lamento.

A fini descrittivi generali delle caratteristiche e delle funzioni della Supreme Court va sottolineato che la sezione 40 (1) le riserva la fondamentale qualificazione di “su- perior court of record” che attribuisce ai suoi componenti, secondo la tradizione di common law13, l’immunità nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, così accrescen-

do i presidi di indipendenza ed autonomia. È, infine, preservata l’autodichia della Corte, al cui Presidente la sezione 45 conferisce il potere di adottare le regole che go- vernano prassi e procedura da seguire.

3. Il nuovo stile della Supreme Court

Alcuni dei dubbi sorti al momento dell’emanazione del Constitutional Reform Act del 2005, grazie al quale alla divisione giurisdizionale della House of Lords si è sosti- tuita, con decorrenza dal 1° ottobre 2009, la Supreme Court, cominciano dopo oltre 6 anni di attività a sciogliersi.

Primo tra essi quello radicale circa la sostanza del mutamento, da molti, invece, inizialmente paventato come puramente terminologico. Ora, l’abbandono dell’eti- chetta parlamentare, in favore di una dichiaratamente giurisdizionale, sembra avere numerosi e palesi riflessi di effettività. In primo luogo, l’utilizzazione di una nuova sede che ospita soltanto gli uffici della Supreme Court, tenendola fisicamente separata da luoghi in cui altri poteri operano. In secondo luogo, il modo di conduzione delle udienze è molto più sobrio ed informale: non è più previsto che giudici ed avvocati indossino toghe e parrucche ed è ammessa la trasmissione in diretta delle udienze (che si aprono invariabilmente con un inchino rivolto dalla Corte a tutto il pubblico presente in aula)14. Ed ancora, viene periodicamente predisposto il calendario delle

udienze pubbliche, anch’esse diffuse sul sito della Supreme Court (www.uksupreme court.com), in cui viene letta, a turno dai vari giudici, una versione sommaria dei mo- tivi delle sentenze man mano depositate. Sullo stesso sito viene poi pubblicato l’elen- co dei ricorsi pendenti, cui vengono allegate la sintesi delle questioni discusse nonché le sentenze emesse nei precedenti gradi di giudizio.

12«A judge of the Supreme Court holds that office during good behaviour [...]».

13L’evoluzione storica della nozione, ed i suoi riflessi sul tema generale dell’immunità giudiziale per

atti e provvedimenti adottati nell’esercizio della funzione giurisdizionale, sono brillantemente tratteggiati nell’opinione di Lord Denning della Court of Appeal resa nel caso Sirros v. Moore (1974) 3 WLR 459, su cui v. CRISCUOLI, I nuovi limiti dell’irresponsabilità del giudice inglese in Sirros v. Moore, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1975, p. 1060 ss.

14Né è più richiesta, come ricorda Lord Steyn nel suo The case for a Supreme Court, cit., p. 382, la ce-

Insomma, un netto mutamento di stile, scandito da pubblicità, trasparenza, aper- tura alle esigenze pubbliche di conoscenza, accessibilità e razionalizzazione dei lavori. A questo scopo certamente coopera la pubblicazione, ai sensi della sezione 54 del Constitutional Reform Act del 2005, del rapporto annuale sulla relativa attività, sui risultati raggiunti, sugli oneri economici sopportati per il funzionamento della Corte.

Questi non pochi indici testimoniano già che la riforma non sta solo nel nome ma allude ad una profonda revisione dell’attività, dell’immagine delle funzioni del nuovo organo, che viene dotato di un aggettivo che lo colloca senza possibilità di equivoci al vertice della gerarchia dell’amministrazione della giustizia inglese, svincolandolo da inserimenti organici in altri plessi di potere statale (in particolare parlamentari). A questo scopo cospirano anche, come ricordato nel paragrafo precedente, le norme che disciplinano la nomina e la durata in carica dei giudici supremi e ne attribuiscono le guarentigie.

Ma altri, ben più robusti e significativi indici confermativi della profonda novità prodottasi nell’intero ordinamento di common law inglese possono trarsi, dopo oltre sei anni di intensa attività, dalla concreta produzione giurisprudenziale. Tutti conver- gono verso una concezione dell’opera della Supreme Court del Regno Unito ariosa, attenta alla tutela dei diritti individuali, disposta al dialogo con altre giurisdizioni e culture giuridiche, declinata in senso sostanzialmente costituzionale (nel senso che andrà emergendo nel corso della ricerca), ansiosa di porsi a confronto con la lettera- tura giuridica, traendo, se del caso, da essa ispirazione per le proprie decisioni.

Si cercherà di addurre esempi di sentenze capaci di legittimare un giudizio di es- senziale rinnovamento delle stesse strutture di giudizio del common law inglese, pur a fronte di pronunce che accurati osservatori non hanno esitato a definire in continuità con gli indirizzi del passato riferibili alla House of Lords e, come tali, deludenti.

Non si può, pertanto, in via preliminare, ignorare la serrata critica svolta in dot- trina circa il prudente atteggiamento assunto dalla Supreme Court in materia di diritti umani15. In effetti, la contestazione si dirige in modo diretto e pregiudiziale nei con-

fronti della cautela, giudicata ingiustificata, che la nuova Corte – al pari della sua dan- te causa – avrebbe mostrato verso il riconoscimento di una categoria specifica e de- terminata di posizioni soggettive qualificabili come “constitutional rights”, cui avreb- be, piuttosto, preferito definizioni di singoli diritti soggettivi come come “basic” o “fundamental”16. Ciò, ad avviso dello studioso in questione, avrebbe privato la no-

zione di human right del suo presupposto teorico essenziale (costituito dal suo sostra- to costituzionale), finendo per ricondurne l’origine e la tutela alla tradizionale teoria della rule of law, di cui rappresenterebbe una propaggine17. Sarebbe stata così persa

l’occasione propizia per riconoscere una separata esistenza, all’interno del common law inglese, di leggi ordinarie e di leggi costituzionali pur doviziosamente argomenta-

15Un approfondito studio, a breve distanza dall’entrata in funzione della Supreme Court, sul tema si

deve a DICKSON, Human Rights and the United Kingdom Supreme Court, Oxford, 2013. Dello stesso au- tore si veda in tema, The record of the House of Lords in Strasbourg, in The Law Quarterly Review, 2012, p. 354 ss.

16DICKSON, op. cit., p. 50.

17D

ta nell’opinione del giudice Laws della Queen’s Bench Division della High Court nel caso Thoburn v. Sunderland City Council18. Ora, sempre seguendo l’itinerario di que-

sto pensiero critico19, si nota che la Supreme Court non ha modificato l’orientamento

della House of Lords in materia di human rights. E si tratta di una visione reputata re- strittiva o, comunque, sintomatica di un eccessivo sacrificio dello spettro applicativo di questa categoria di situazioni soggettive. In particolare, può osservarsi che, anche prima dell’emanazione dello Human Rights Act del 1998 e, conseguentemente, dell’i- stituzione della Supreme Court, la giurisprudenza inglese ha preferito seguire la via della considerazione in forma atomistica e separata – avulsa, cioè, da una cornice uni- taria di caratteri e principii – di singoli diritti soggettivi aventi natura fondamentale20.

Più ampia fu la prospettiva dalla quale la House of Lords guardò all’ipotesi di temuta violazione in uno stato estero di diritti protetti dalla Convenzione europea per la sal- vaguardia dei diritti dell’uomo del 1950 come base per il diniego di espatrio dall’In- ghilterra di cittadini stranieri in cerca d’asilo. In linea di principio la risposta fu af- fermativa21, con la conseguenza22 che incomberebbe sul giudice britannico l’obbligo

di garantire ai titolari la medesima protezione dei rispettivi diritti umani nella stessa misura, né maggiore né minore, in cui gli stessi sarebbero tutelati dalla Corte di Stra- sburgo23. Coerentemente con l’atteggiamento assunto nel caso da ultimo esaminato il

compianto Lord Bingham auspicò l’intervento della Corte di Strasburgo allo scopo di

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