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Se vogliamo sapere quali saranno i contenuti del diritto futuro, la persona che può illuminarci è soprattutto il mago o il veggente.

L’uomo di scienza non ci serve. Il comportamento dell’uomo dipende da ciò che l’uomo sa; ne segue che l’uomo di scienza non può sapere come si regoleranno i suoi posteri, perché non può sapere quali conoscenze avranno (se lo sapesse avrebbe egli stesso quelle conoscenze). Nessuno può sapere che cosa gli altri sapranno dopo di lui, né può prevedere che cosa egli stesso saprà domani; quindi nessuno può sapere come si comporterà domani.

In una certa misura, si può però tentare di trovare i meccanismi, ossia le leggi, nel senso di leggi naturali, che presiedono alla mutazione del diritto; e si può quindi ten- tare di vedere con quali tipi di mutazioni sono compatibili queste leggi naturali. Noi non possiamo sapere in concreto come saranno fatte le specie animali o le piante fra trecento milioni di anni, però sappiamo in qualche modo come sono fatte le leggi na- turali in base alle quali si svolge l’evoluzione, e che condizionano il futuro delle spe- cie animali e delle piante.

Noi giuristi peraltro siamo solitamente poco attenti ai meccanismi che condizio- nano la mutazione giuridica.

Purtroppo siamo accecati da una prospettiva falsante: noi vediamo la macrostoria del diritto come un lungo susseguirsi di pagine buie, cui poi succede improvvisamen- te il bagliore del diritto romano. Ci manca invece una visione propriamente macro- storica che riporti ogni avvenimento in un quadro coordinato con quelli che lo hanno preceduto e con quelli che lo hanno seguito; e perciò ci manca anche una visione che consenta di ricavare dal susseguirsi degli avvenimenti qualche regola generale.

Per quel poco che noi sappiamo sui meccanismi che condizionano (altrimenti det- to: sulle leggi naturali che dominano) la mutazione giuridica, noi possiamo fissare al- cuni punti dotati di un’importanza cardinale.

Purché noi li combiniamo l’uno con l’altro, essi ci indicano alcune qualità del di- ritto futuro.

Prima legge naturale: l’accelerazione delle innovazioni.

Non solo nel campo del diritto, ma in tutti i campi, opera la formidabile regola dell’accelerazione. Le mutazioni che ancora poco tempo fa, mettiamo trentamila anni fa, avevano bisogno di mille-cinquemila anni per avvenire, oggi avvengono in cin-

quanta-cento anni. Il mutamento è enormemente più rapido di quanto lo fosse un tempo. L’uomo (parlo di lui come se ne parla nella sede dell’antropologia fisica, ma più ancora parlo di lui come soggetto caratterizzato da una cultura, come espressione di una cultura) l’uomo è cambiato più in questi ultimi quarantamila anni, di quanto fosse cambiato nel precedente mezzo milione di anni. È cambiato più negli ultimi cinquecento anni che nei quattromila anni precedenti.

In virtù di questa legge di accelerazione, noi dobbiamo ritenere che nell’unità di tempo le mutazioni saranno molto più numerose di prima. Queste mutazioni potran- no essere di due tipi: potranno constare di un’innovazione creativa, o di una circola- zione di modelli preesistenti. Una mutazione, infatti, può consistere nella circolazione di qualcosa che preesiste (che preesiste da mille anni, o da un minuto; ai nostri fini la durata della preesistenza del modello non ha nessuna importanza).

La distinzione ora enunciata ci introduce alla seconda legge naturale: l’accelera- zione delle diversificazioni.

L’innovazione comporta per forza una diversificazione, perché se un fatto nuovo avviene in quella determinata area, supponiamo nel Lussemburgo, essa viene a diffe- renziare la situazione normativa lussemburghese da quella presente nelle aree belga e tedesca, dove l’innovazione non è avvenuta.

Quale sarà, nel futuro, il comportamento di queste innovazioni?

Le innovazioni saranno prima due volte, poi quattro volte poi otto, sedici, trenta- due e sessantaquattro volte più frequenti di quanto non siano oggi. Ogni innovazione crea una concorrenza fra i modelli vecchi e il modello nuovo; pertanto la moltiplica- zione delle innovazioni porterà con sé l’intensificarsi della concorrenza fra modelli diversi.

Ma è giunto il momento di soffermarci sulla terza legge naturale: l’accelerazione delle imitazioni.

Tra i tre fenomeni sotto esame, questo è il più pesante ed è il più visibile.

Seimila anni fa, nessun prestito di modelli culturali era avvenuto di recente né era in corso fra l’Estremo Oriente e quell’area che va dall’Europa all’Asia meridionale, né tra queste aree e la Siberia, né tra le aree dette fin qui e l’Africa. Ed è evidente che nessuna imitazione avveniva, né avrebbe potuto avvenire, fra il vecchio e il nuovo continente, né fra i grandi continenti e l’Australia.

Tra il 4000 avanti Cristo e la fondazione dell’impero romano, imitazioni sconvol- genti si susseguono: il modello imperiale si diffonde dalla Mesopotamia e l’Egitto in Persia, la versione alessandrina del modello persiano conquista Cesare e Augusto; e probabilmente gioca un ruolo nelle trasformazioni all’opera in India.

L’Estremo oriente fa da sé, l’Australia fa da sé, le Americhe fanno da sé. Alcune di queste aree vedono nascere imperi e, con essi, la scrittura. Così la Cina. Ma si tratta di imperi pensati in casa, di alfabeti fabbricati in casa. Siamo fuori da un’ipotesi di imitazione.

Dobbiamo ora considerare un tratto di tempo più breve, cioè i primi 1400 anni della nostra era. Si compiono in quel periodo due fenomeni stupefacenti: il primo è la diffusione in tutta l’Europa e larga parte dell’Africa delle religioni del libro; e la se- conda è la diffusione in tutta l’Europa – occidentale e orientale – della cultura uma- nistica illuminata dall’antico sapere e da antichi valori ellenici e romani.

Intanto in America si creano imperi, ad opera degli Inca e dei Maia, e con gli im- peri si crea la scrittura. Ovviamente queste creazioni nulla debbono alle realtà paral- lele stabilitesi a suo tempo nel Medio Oriente, in Europa, in Asia.

Ora soffermiamoci su un periodo più breve: dal 1400 al 1900, soltanto un mezzo millennio.

Nel 1900 l’America e l’Australia sono oramai diventate copie dell’Europa.

L’Africa è sotto il giogo (in qualche caso, illuminato) delle potenze europee, e ciò apre le porte ai modelli che provengono dal Nord.

Si tratta di circolazioni di modelli di portata mai vista in precedenza.

Oramai i modelli europei sono presenti (in modo esclusivo) in Europa, America, Oceania: e (in concorrenza con modelli preesistenti) in Africa e in India.

Vediamo cosa avviene in seguito.

Ebbene: negli ultimi centosedici anni le imitazioni si sono ancora moltiplicate. In quei centosedici anni si è vista l’Asia orientale aprirsi alla cultura europea in tanti settori.

Nello stesso periodo, l’India e l’Africa – divenute padrone del proprio destino – si sono trovate in possesso di una cultura pluralista, dove elementi apportati a suo tem- po dal colonizzatore convivono con elementi autottoni (sempre di natura tradiziona- le, che si sappia).

Ma c’è dell’altro. Negli ultimi tempi, le innovazioni sono state straordinarie per nu- mero e importanza. Sono concepite in contesti sociali europei o europeizzati, ma, purché non esigano mezzi costosi e complessi per la messa in opera, raggiungono in modo virtualmente istantaneo ogni angolo del mondo. Ciò vale per il telefono, per il telegrafo, per le applicazioni dell’elettronica, dell’informatica, della telematica e così via. Si tratta di tecniche che modificano in profondità il modo di vivere degli uomini.

Insomma: la frequenza e la importanza somma delle innovazioni è largamente com- pensata dalla circolazione delle novità.

Ciò che dico è particolarmente importante nell’area della scuola, ossia nell’area della trasmissione del sapere; nell’area della medicina; nell’area dei trasporti; ciò che dico è vero in tanti settori.

Per quanto riguarda il tema che devo trattare, è vero nell’area del diritto, special- mente del diritto civile.

La cosa si misura bene considerando le scansioni cronologiche che ho utilizzato fin qui.

Tra il 4000 avanti Cristo e la nascita dell’impero romano circolò nel Medio Orien- te la struttura dell’Impero. E quella struttura non coinvolse il diritto privato.

Nell’area del diritto privato, piccoli prestiti si facevano anche allora. I Romani possono aver copiato qualcosa dall’Ellade. Ma si tratta di briciole.

Tra l’anno 1 e il 1400 qualcosa di muove.

A Roma il potere dello Stato si occupa del diritto privato, lo sottomette alla pro- pria autorità e lo memorizza. Più tardi, si istituzionalizza, nelle Facoltà di Giurispru- denza, la trasmissione del sapere giuridico; e quel diritto memorizzato è l’oggetto adatto, e perciò prescelto, per l’insegnamento. Si affida la funzione giudiziaria al lau- reato, e ciò vuol dire che il diritto imperiale romano diventa il diritto privato dell’Eu- ropa continentale occidentale.

Dal settimo secolo, l’Islam propone una sua risposta ai problemi del diritto. E il diritto privato islamico si diffonde con l’Islam nel Medio Oriente, nell’Asia meridio- nale e insulare e in Africa.

Dall’undicesimo secolo, i Normanni creano in Gran Bretagna uno Stato territoriale strutturato con ordine; esso avrà un corpo di giudici non universitarii, che – sulla base del rispetto del giudicato precedente – creeranno un diritto privato omogeneo.

Dal 1400, la colonizzazione spalanca la porta alla diffusione dei due modelli euro- pei – il romanista, e l’inglese.

E la nascita e il progresso di un pensiero illuminista, o giusnaturalista, o giusra- zionalista, vittorioso nell’Europa e nell’isola britannica, preparerà un nuovo diritto pubblico, comune a tutto il mondo cristiano.

E intanto le rassomiglianze fra il diritto privato delle due aree romanista e inglese si moltiplicano.

Nel 1900 la carta geografica del mondo si suddivide in tre aree. Quella dei Paesi progrediti, a cultura avanzata (l’Europa, nelle due varietà che conosciamo, e con lei l’America e l’Oceania); quella dei Paesi non europei né europeizzati, considerati co- me retrogradi (l’Asia orientale); e infine troviamo, nell’Asia meridionale e in Africa, situazioni pluraliste, dove modelli europei si alternano con modelli autottoni.

Dopo d’allora i modelli europei hanno perduto l’appoggio del potere europeo nelle colonie diventate indipendenti, ma hanno ricevuto spontanea recezione – oltre che in paesi ex-coloniali – nell’Asia orientale.

Oggi questi modelli vincenti si caratterizzano, fra l’altro, per le norme dettate da sommi valori.

L’uomo è libero. Il diritto è memorizzato con chiarezza, dal legislatore o altrimen- ti. Un’autorità collegiale (un’assemblea costituente o legislativa) è legittimata a creare il diritto. E questa autorità viene eletta dai cittadini.

La donna e l’uomo hanno livelli di diritti non troppo dissimili.

Le controversie giuridiche sono decise da giuristi, non posti al servizio del potere politico.

Ed è superfluo che io continui l’elenco. Veniamo a qualche conclusione.

Noi possiamo accostare mentalmente e coordinare sistematicamente tre diversi fenomeni: l’innovazione; la concorrenza del modello innovatore con i modelli pre- esistenti; e la circolazione, la quale, ove dovesse non incontrare resistenza, darebbe luogo ad un processo continuo di uniformazione. Una sempre più celere rotazione condurrà dunque all’incessante susseguirsi di innovazioni, che creano diversità e con- correnza; e di imitazioni che conducono al riassorbimento delle differenze. Un moto senza fine, sempre più veloce, presiederà al succedersi della innovazione, della imita- zione, della uniformazione.

Beninteso può anche avvenire che i Lussemburghesi preferiscano soluzioni che non piacciono ai Belgi. È noto che tante regole coronate da un crescente successo non piacciano all’Islam. Non sappiamo quanto queste diversificazioni di preferenze saranno consistenti nel futuro.

Soffermiamoci, comunque, sui tre fenomeni già illustrati, che non sembrano un dato provvisorio nella macrostoria dell’umanità. Abbiamo incontrato l’innovazione

(che è un tutt’uno con la diversificazione), la concorrenza del modelli, e infine l’uni- formazione dovuta alla circolazione del modello e alla sua assimilazione da parte del- l’imitatore.

Ovviamente, devono esistere, a monte dei fenomeni dinamici di cui sto parlando, fonti appropriate: cioè, fonti capaci di introdurre innovazioni e assimilazioni dei mo- delli nuovi. Queste fonti non sono soltanto le autorità statali. Sono attive l’opera dot- torale, le corti arbitrali, le elaborazioni camerali, l’autonomia collettiva e individuale, e così via.

Io ho selezionato tre fenomeni che esistono e che sono soggetti ad una legge di accelerazione, e ho detto che cosa avverrebbe se questi fenomeni agissero indisturba- ti. Ma è giunto il momento di domandarci: quei tali modelli agiranno veramente indi- sturbati? Naturalmente non lo sappiamo. Infatti potrebbero intervenire ostacoli, ca- paci di bloccare le innovazioni. Io mi auguro che in futuro le innovazioni siano sem- pre possibili; però è possibile immaginare in anticipo quali fenomeni potrebbero renderle più difficili.

Attualmente le lingue molto importanti evolvono lentamente, perché non è facile convincere contemporaneamente le centinaia di milioni di persone che parlano una lingua approssimativamente simile all’inglese ad adottare uno stesso neologismo. È più facile adottare un neologismo all’interno di una lingua che sia parlata da cinque sole persone.

Ritorniamo ora al diritto. Se oggi il mondo è diviso in duecento aree giuridiche diverse, le probabilità di innovazioni per ogni anno saranno n x 200. Mentre invece se il mondo fosse politicamente unito, e fruisse di un diritto uniforme, le probabilità di innovazione si ridurrebbero a n x 1.

Aggiungiamo che, se l’area giuridicamente unita fosse molto ampia (specialmente, se raggiungesse dimensioni planetarie), diventerebbe più difficile fare accettare cam- biamenti.

Detto altrimenti: se si arrivasse al punto per cui tutto il diritto viene deciso in una sede unica, le possibilità di introdurre innovazioni decrescerebbero a freccia. Imma- giniamo che tutto il mondo si unisca in una unica confederazione, che in questa con- federazione troneggi il principio della uniformità del diritto che molti, senza esami- narne bene tutti gli aspetti, considerano comunque un vantaggio; potrebbe avvenire che all’interno di questa confederazione dotata di un diritto uniforme si spengano i creatori non visti del diritto, i creatori del diritto non ufficializzato, le Camere di Commercio che creano diritto, i patti tra organizzazioni collettive che creano diritto, la prassi che crea diritto, la dottrina che crea diritto; potrebbero esaurirsi, cioè, tutti questi focolai capaci di innovazioni.

Ed allora, invece di poter contare su dieci creatori del diritto non ufficializzato, e invece di poter contare su 200 centri legislativi ognuno dei quali è legittimato a creare progresso, noi verremmo a rarefare i passi in avanti in ragione proporzionale rispetto alla riduzione dei centri capaci di innovazione. Ecco le conclusioni cui possiamo giungere.

Sulla diffusione nel mondo della

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