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GIULIO PRETI NEOREALISTA LOGICO: CRONACA DI UN PERCORSO DI RICERCA

«Il fi losofo non può e non deve rimaner legato ad alcuna “mo-rale”, ma solo alla verità – la fedeltà alla verità, il ricercare, il dire, il proclamare la verità, è l’unico dovere che, almeno come fi losofo, egli ha, e solo di ciò è responsabile davanti agli uomini – questa è la sua vera missione».

Giulio Preti, Bios theoretikós [1944]

1. La natura della critica fi losofi ca antimetafi sica

Non l’essere del fi losofo ne determina il pensiero, bensì il pensiero ne de-termina l’essere: in questo sta la sua autenticità e libertà. Quindi i fi losofi anti-metafi sici sono tali perché, pensanti, si sono urtati contro qualcosa; e la parola ‘metafi sica’ designa, appunto, ciò in cui si sono urtati1.

Secondo Giulio Preti gli antimetafi sici sarebbero dunque tali perché,

pensanti, si sarebbero “urtati” contro qualcosa che ha loro resistito: la

real-tà contro la quale hanno cozzato pensando spiegherebbe, appunto, la natura stessa della loro antimetafi sica. Ma che rapporto può mai intercorrere tra la

critica della metafi sica e il suo oggetto privilegiato, appunto la metafi sica?

Secondo Preti questo rapporto non è affatto estrinseco, perché rinvia, al contrario, ad un nesso molto più intrinseco, intrecciato e fondante, in virtù del quale si può defi nire, al contempo, tanto la realtà metafi sica posta in discussione, quanto lo stesso pensiero antimetafi sico. Scrive infatti Preti:

La critica fi losofi ca non può paragonarsi all’azione di demolire un bersaglio a cannonate. In questo caso infatti ci sono da una parte la cosa, il ber saglio,

1 Cfr. il manoscritto di Giulio Preti, Linee di Filosofi a del Linguaggio, autografo inedi-to, la cit. è tratta dalle pp. 2-3 dell’autografo, mentre la cit. che segue immediatamen-te nel immediatamen-testo è ripresa dalle pp. 1-2. Per una descrizione analitica di questo autografo cfr. F. Minazzi, Giulio Preti: bibliografi a, Franco Angeli, Milano 1984, p. 291.

esistente prima delle cannonate indipendentemente da esse e dagli obici che lo colpiscono; dall’altra i cannoni e gli obici esistenti prima del ber saglio (come tale) e indipendentemente da esso (nella sua determinatezza di cosa); fi nalmen-te la volontà di alcuni uomini di demolire quel bersaglio, generalmennalmen-te in vista di fi ni che sono indipendenti dal bersaglio stesso (sempre nella sua determina-tezza di cosa) e che solo contingentemente trovano in esso un ostacolo da eli-minare – il che appunto destina la cosa, che prima in sé era soltanto quella de-terminata cosa che era, a divenire bersaglio delle cannonate. La situazione della critica fi losofi ca ad un oggetto fi losofi co, poniamo, appunto, alla meta fi sica, è invece ben diversa. Qui il bersaglio è ‘costruito’ mediante gli obici stessi, che lo costruiscono appunto nell’atto stesso che lo colpiscono – fuori metafora, la ‘metafi sica’ non è prima e indipendentemente dalla critica alla meta fi sica, ma la sua nozione stessa viene costruita in e mediante tale critica; gli ‘obici’, cioè gli argomenti usati contro la metafi sica sono nel contempo defi nizioni della nozione stessa di ‘metafi sica’. Questo nome designa, di volta in volta, quello cui tali argomenti si riferiscono, e nulla più […].

Così rilevava Giulio Preti, in un suo studio autografo inedito, Linee di fi

-losofi a del linguaggio, mettendo apertamente in evidenza il carattere corre-lativo che sempre sussisterebbe tra la critica della metafi sica e il suo oggetto

polemico privilegiato, appunto la metafi sica. Tra la critica della metafi sica e quest’ultima si instaurerebbe, quindi, una relazione ben più vitale ed in-trinseca di quanto si possa mai eventualmente ritenere di primo acchito. Gli “obici” indirizzati contro l’oggetto della critica, appunto contro il bersaglio metafi sico prescelto, non sarebbero affatto “esterni” ed irrelati rispetto al proprio obiettivo, ma, al contrario, sarebbero invece “costruiti” e “defi niti” in stretta relazione con il proprio obiettivo polemico. Con la conseguenza che ogni fi losofi a, nell’atto stesso in cui istituisce una critica della metafi si-ca, in realtà delinea anche, in positivo, il suo stesso orizzonte e la sua stessa precipua articolazione teoretica, cioè una vera e propria metafi sica critica2. Meglio ancora: lo studio della critica della metafi sica, prima ancora che aiutarci a comprendere l’eventuale demoli zione della metafi sica, obietti-vo di una determinata polemica fi losofi ca, ci orien terebbe nel farci me-glio comprendere sempre la natura, la qualità, lo spessore e l’articolazione complessiva del discorso critico-fi losofi co che vuole ergersi a giustiziere critico di una determinata esigenza metafi sica. Con il che, natural mente, vale anche il reciproco: ogni defi nizione della metafi sica costituirebbe, al contempo, una defi nizione, in positivo, dell’atteg giamento critico

antime-2 A questo proposito cfr. il mio saggio Dalla “critica della metafi sica alla “meta-fi sica critica” ora riedito in F. Minazzi, L’onesto mestiere del “meta-fi losofare, op. cit., pp. 31-61.

tafi sico, proprio perché la traiettoria fi losofi ca si dispiegherebbe,

kantiana-mente, dalla “critica della metafi sica” alla “metafi sica critica”

Questa stretta ed intrinseca correlatività tra critica della metafi sica e delineazione positiva dell’antimetafi sica critica rimanda, a sua volta, al problema stesso del fondamento della rifl essione fi losofi ca. Proprio per-ché non è mai possibile prendere le mosse da un fondamento unico ed assoluto, ne consegue che qualunque atteggiamento critico si pone sempre all’interno del complesso fl usso eracliteo della storia e del pensiero umano. Per questa ragione nessuna fi losofi a può mai ergersi a giudice assoluto del reale e della storia del pensiero: la criticità cui si può attingere è sempre

immanente al corso storico da cui non può mai trarsi fuori. Scriveva Preti,

nel 1944, rifl ettendo ancora sul Bios theoretikós:

ogni teoria della verità, ossia ogni fi losofi a, si aggira in un circolo, presup-ponendo una nozione di verità che è altra da quella che essa afferma per i giudi-zi inferiori, ossia di grado (di rifl essione) inferiore. Pertanto, o questa fi losofi a giustifi ca se stessa con un’altra fi losofi a, questa con un’altra,… all’infi nito – oppure si esce dal circolo e dal regressus in infi nitum soltanto ammettendo che è alla base un atto arbitrario per cui viene scelta una Logica piuttosto che un’al-tra. “Arbitrio” di una scelta che certamente non va intesa come assolo tamente arbitraria, ma tale solo dal punto di vista della Logica in senso stretto. Questa scelta si fonda su molti motivi, ma la sua motivazione non è una motiva zione logica: è una motivazione della volontà, ossia è una motivazione pratica3.

Per quanto “critica-critica” ogni critica è, inevitabilmente, parziale e na-sce sempre, in ultima analisi, da una na-scelta di ordine pratico, costituina-sce una presa di posizione scaturente dalla volontà, dal mondo della prassi, dalla vita pragmatica. Per questa ragione epistemica la pretesa “critica-critica” deve essere, a sua volta, criticata (dando appunto origine alla mar-xiana «critica della critica critica» della Sacra famiglia), proprio perché «sostenere una fi losofi a è compiere un atto pratico, porsi con una parte, è un militare. Tanto peggio per quei fi losofi che non se ne rendono conto». Né, tanto meno, la fi losofi a può dunque mai aspirare ad un orizzonte eter-no, proprio, per esempio, di una fi losofi a che si concepisce come perenne e fuori della mischia in cui gli uomini vivono nell’ «aiuola che ci fa tanto feroci». Al contrario, ogni discorso fi losofi co si costruisce entro un deter-minato e sempre preciso contesto e alla luce dell’intreccio di specifi che tradizioni di pensiero con le quali entra variamente in dialogo (più meno

3 G. Preti, Bios theoretikós, «Studi Filosofi ci», anno V, gennaio-giugno 1944, n. 1-2, pp. 59-70, la cit. si trova a p. 65 (i corsivi sono nel testo), mentre la cit. che segue immediatamente nel testo è tratta da p. 66.

critico, più o meno approfondito, più o meno adeguato, più o meno soddi-sfacente). Certamente nel delineare questo intreccio problematico e questo stesso plesso critico-prospettico il fi losofo non opera mai secondo la tem-poralità astronomica, propria del tempo storico-metrico-cronologico, quel-lo meccanico ed astratto. Semmai, il piano concettuale sul quale un fi quel-losofo si pone è sempre quello della durata delle differenti tradizioni di pensiero, con le quali intreccia e costruisce il suo stesso autonomo discorso fi losofi co (l’hegeliana «fatica del concetto»), volto a lasciare «incrostati» sulla terra i prodotti, affatto precari ed effi meri, del proprio transeunte lavoro4. Il tempo storico non è del resto il tempo cronometrico: ogni pensatore si costruisce sempre le sue singolari “contempo raneità” e i suoi tempi “passati” o “re-moti”, trascegliendo, appunto nella storia del pensiero, quelle tradizioni

concettuali cui si sente più in sintonia a fronte di altre tradizioni con le

quali avverte, invece, una maggiore distanza critica. Ma nell’atto stesso in cui viene precisando queste sue molteplici “distanze” e queste sue idiosin-cratiche “vicinanze”, in realtà il pensatore si colloca, più o meno consa-pevolmente, entro un universo di riferimento che sta appunto costruendo. Dal che consegue perlomeno un duplice rilievo. In primo luogo, ogni pensatore, sia pure da un punto di vista spesso ideale, si sceglie sempre i suoi predecessori e i suoi stessi Maestri, vale a dire individua quelle parti-colari tradizioni concettuali e di pensiero a partire dalle le quali intreccia, poi, un suo autonomo dialogo specifi co, per costruire il suo stesso discorso fi losofi co. In secondo luogo, constatata l’impossibilità di fondare in modo assoluto un discorso fi losofi co, ne consegue che ogni fi losofi a non può che nascere da un particolare punto di vista. Un “punto di vista” che, spesso e volentieri, coincide proprio con la biografi a intellettuale del singolo pensa-tore il quale può appunto motivare il suo eventuale fi losofare a partire dal particolare fi losofato con il quale si è posto, per più ragioni, in più intima e feconda relazione critico-fi losofi ca. Quindi, più che di “sistemi” fi losofi ci, bisognerebbe parlare, invece, di “punti di vista fi losofi ci”, giacché i punti di vista non tacciono questa loro radice esistenziale, pragmatica e storico-critica, entro la quale si costruisce sempre un determinato e pur autonomo percorso concettuale. Rilievo che vale, naturalmente, anche per Preti stes-so: studiare il suo pensiero vuole infatti dire studiare il modo assai

pecu-4 «[…] noi, al contrario, vogliamo un pensiero che, ben lungi dallo “spaziare libera-mente nel suo mondo infi nito”, lasci, invece, “i suoi prodotti incrostati alla terra”. Non aspiriamo a “redimere” il lavoro dandogli fi ttiziamente un signifi cato che lo faccia spaziare nell’infi nito, chè questo signifi cherebbe togliergli ogni valore umano e religioso; ma aspiriamo a fare anche del pensiero una forma di lavoro» (G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, p. 237).

liare con cui il pensatore pavese ha reagito criticamente all’ambiente me-tafi sico della cultura fi losofi ca italiana dei primi decenni del secolo scorso.

Ma sempre per questa ragione di fondo non sembri allora un atto arbi-trario o, peggio ancora, di immodestia, se per introdurre queste mie rifl es-sioni fi losofi che concernenti il pensiero di un pensatore come Giulio Preti, alla cui opera e al cui pensiero, da anni, ho dedicato diversi studi e molte-plici rifl essioni, desideri ora prendere le mosse proprio dal mio più ristretto e circoscritto percorso personale. Questo approccio potrà forse aiutare a meglio intendere il taglio specifi co con il quale mi sono sforzato, lungo gli anni, di leggere e studiare l’opera e il pensiero di Preti. Senza peraltro tacere, come si vedrà, che oramai questo mio pur esile percorso può co-munque giovarsi anche di alcuni interessanti testi inediti dalpraiani (per i quali cfr. il successivo § 3) che aiutano a meglio situare, nei propri originari e specifi ci confi ni, anche il mio primario interesse specifi co per la fi losofi a pretiana con il quale ho effettivamente esordito nel mondo degli studi.

2. Preistoria autobiografi ca

Personalmente ho avuto la fortuna di conoscere il pensiero di Giulio Preti grazie alla lezione magistrale di Mario Dal Pra, seguendo i suoi corsi e le sue innumerevoli lezioni di storia della fi losofi a (su Hegel, autore della

Scienza della logica e dei Lineamenti di fi losofi a del diritto, su Pascal, sul

realismo e lo scetticismo), nella seconda metà degli anni Settanta, svolti tutti presso il corso di laurea in Filosofi a dell’Università degli Studi di Mi-lano5. Durante queste lezioni (e i connessi seminari del sabato mattina) ho avuto più occasioni per cogliere differenti e molteplici, ma sempre molto illuminanti (e, invero, strategici), riferimenti di Dal Pra al pensiero di Preti, ad alcune sue analisi e a talune sue penetranti considerazioni. Il fatto stesso che Dal Pra facesse esplicito riferimento all’insegnamento di Preti costitui-va già, di per sé, un elemento emblematico, assai rilecostitui-vante, soprattutto per chi, come il sottoscritto, aveva eletto a suoi dioscuri, per il proprio “gar-zonato fi losofi co”, due Maestri e due studiosi di chiara fama e dal limpido passato civile antifascista come Mario Dal Pra e Ludovico Geymonat6.

5 Cfr. il Ricordo di Mario Dal Pra, di Eugenio Garin, Fulvio Papi, Fabio Minazzi, «Informazione fi losofi ca», anno III, marzo 1992, pp. 5-15, per l’intervento di chi scrive cfr. in particolare le pp. 9-11 e sgg.

6 Cfr. F. Minazzi, Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra, «Il Ponte», anno XLVIII, novembre 1992, n. 11, pp. 144-53, unitamente a Aa. Vv., Il debito con la caducità. Rassegna degli articoli pubblicati dalla stampa quotidiana in occasione della

Allora, a Milano (e non solo a Milano, of course…) Geymonat e Dal Pra erano due sicuri e irrinunciabili punti di riferimento, che, con le loro opere, il loro intensissimo lavoro teorico, culturale, di studio e di organizzazione della ricerca scientifi ca, di promozione culturale e di dibattito, erano ef-fettivamente in grado di attirare le migliori energie intellettuali della mia generazione. Né posso tacere come, proprio nel 1976, sempre per merito primario di Dal Pra, fossero apparsi anche i densi e bellissimi Saggi fi

lo-sofi ci di Preti, sistematicamente raccolti da Dal Pra in una corposa e ricca

edizione, in due volumi di circa ottocento pagine, apparsi quale quindicesi-mo toquindicesi-mo della importante collana dei “Pensatori del nostro tempo” de «La Nuova Italia» Editrice di Firenze. Preti era, allora, il primo fi losofo italia-no, di sicura levatura europea, accolto in questa prestigiosa collana (cui aveva peraltro spesso collaborato con importanti Prefa zioni). Con questo suo libro postumo, il suo nome fi gurava esplicitamente accanto a quelli di altri fi losofi come Rudolf Carnap, Ernst Cassirer, Herbert Marcuse, John Dewey, Alfred J. Ayer, Bertrand Russell, Alfred N. Whitehead, Ludwig Wittgenstein e Patrick Horace Nowell-Smith. Personalmente, dopo aver acquistato l’edizione più economica – quella in brossura – di quest’opera, ho intrapreso la conoscenza diretta della rifl essione di Preti partendo dalla lettura e dallo studio, sistematico e appassionante, di questi saggi fi losofi ci «così essen ziali e geometrici»7, a partire dai quali ho successivamente af-frontato, proce dendo a gambero (ma anche “progressivamente”!), tutta la precedente produ zione fi losofi ca e culturale pretiana.

Non nego come questo approccio di studio, che ha oggettivamente privilegiato il Preti saggista, abbia certamente esercitato una sua precisa e invero decisiva infl uenza sul mio modo complessivo di intendere e di accostarmi anche ai libri più celebri e noti del pensatore pavese. In ogni caso, proprio prendendo le mosse da questi saggi ho comunque iniziato a rifl ettere sulle molteplici piste di ricerca presenti entro il pensiero pretiano, perché ho avuto anche la possibilità di discutere alcuni di questi emble-matici saggi pretiani (per esempio quelli dedicati all’empirismo logico e alle sue tre fasi di sviluppo, alla fi sica newtoniana, al problema del veri-fi cazionismo, ai nessi tra marxismo, pragmatismo ed evoluzio nismo, etc., etc.) anche nell’ambito delle lezioni e dei seminari di fi losofi a della scienza svolti sia da Ludovico Geymonat, allora titolare della prima cattedra di

scomparsa di Ludovico Geymonat e di Mario Dal Pra, a cura di F. Minazzi, Ar-chivio di Stato di Varese, Varese 1992.

7 M. Dal Pra, Presentazione di G. Preti, Saggi fi losofi ci, op. cit., vol. I, pp. V-XXVII, la cit. si trova a p. IX.

Filosofi a della scienza della statale, sia anche, sia pur in un ben differente contesto (concettuale e spirituale), con il suo allievo Giulio Giorello che in quei tempi svolgeva il corso di Filosofi a della scienza serale (dedicato a Popper, nello svolgimento del quale questo docente, da bravo “materia-lista dialettico” – fi lo-albanese! –, dichiarava, allora, di voler difendere il movimento operaio italiano dalla nefasta infl uenza culturale-ideologica del falsifi cazionismo popperiano…).

In ogni caso, proprio questo intreccio di interessi mi portò infi ne a lau-rearmi sul pensiero di Giulio Preti con una tesi in fi losofi a della scienza espressamente consacrata a I primi saggi di Giulio Preti e la difesa del

principio d’immanenza nel dibattito fi losofi co italiano degli anni trenta.8

La mia tesi era articolata in due volumi, la cui struttura ben esprimeva l’insieme complessivo degli interessi che animavano, allora, il mio studio dell’opera e del pensiero pretiano. Il primo volume si articolava, a sua volta, in due sezioni: nella prima discutevo il pensiero di Preti ogget-to privilegiaogget-to della mia indagine (dopo aver ricostruiogget-to analiticamente la sua biografi a intellettuale), mentre nella seconda presentavo e com-mentavo una nutrita serie di documenti inediti pretiani (perlo più lettere e manoscritti fi losofi ci). Nel secondo volume, coincidente con la terza sezione, era invece delineata una bibliografi a sistematica di e su Preti (occorre tener presente che prima di questo mio lavoro la bibliografi a pretiana, predi sposta da Franco Alessio – con la collaborazione (taciuta) di Ermanno Migliorini – considerata, dai più, come pressoché «completa e defi nitiva», comprendeva circa trecento item che la mia indagine portò invece a più di mille…).

Discussi questa tesi nella sala del Consiglio della Facoltà di Lettere e Fi-losofi a con una commissione di laurea abbastanza eterogenea, ma non priva di un suo rilievo specifi co (come peraltro emerse anche dalla discussione della mia tesi nel corso della quale intervennero diversi docenti) essendo formata da studiosi come Gennaro Barbarisi, di letteratura italiana, Anto-nio Aloni, di letteratura greca, pedagogisti come Andrea Daziano, Riccardo Massa e Luciano Corradini, psicologi come Dario Varin, Fulvio Scaparro ed Enrico Barolo e, fi nalmente, fi losofi come Mario Dal Pra (Presidente della commissione, mio contro-relatore) e Giulio Giorello (mio relatore), sia pur con l’assenza di un commissario esterno come Marco

Mondado-8 La tesi, in due volumi di 592 pagine dattiloscritte complessive, con ventotto righe di sessantadue battute circa per ogni pagina (ma nelle note le righe per pagina diventano cinquantatré di sessantatré battute), fu discussa nel pomeriggio del 20 giugno 1983 e la votazione conseguita fu quella massima, con la lode.

ri (semplicemente non presente). Allora Geymonat era già in pensione e, quindi, non poco amareggiato per il comportamento di Giorello.

Per la realizzazione di questo lavoro di tesi fui seguito principalmente da Dal Pra. Tuttavia, laureandomi in Filosofi a della scienza, il mio relatore uffi ciale era Giorello, il quale era subentrato a Geymonat nella titolarità dell’in segnamento di Filosofi a della scienza e aveva contestualmente (as-sai repen tinamente) abbandonato il marxismo e il materialismo dialettico, nei quali si era precedentemente riconosciuto, onde poter fi nalmente ab-bracciare il falsifi ca zionismo popperiano e anche quello lakatosiano (prima di avvicinarsi all’anar chismo feyerabendiano). Ricordo che, in genere, Dal Pra mi fi ssava sempre l’appuntamento per la consegna dei vari capitoli