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Capitolo 1

La natura composita del ne bis in idem tra ordinamento interno e diritto sovranazionale

Il tema del ne bis in idem in questo precipuo comparto normativo si pone “ontologicamente” a metà strada tra il diritto penale sostanziale e il diritto processuale penale250.

Proprio come un giano bifronte, il principio in questione presenta una natura proteiforme poiché, accanto al tradizionale inquadramento processuale come divieto di apertura di un secondo giudizio per un fatto rispetto al quale è già intervenuta una sentenza definitiva (bis de

eadem re ne sit actio), ne è stata al contempo posta in evidenza

un’accezione sostanziale che si configura come divieto di riconduzione del medesimo illecito ad una pluralità di fattispecie incriminatrici251.

Anche le istanze di garanzia sottese alle due componenti manifestano spiccati tratti di eterogeneità.

250Cfr. BIGIARINI, Ne bis in idem: il cortocircuito del “doppio binario”

sanzionatorio in relazione a fatti di criminalità economica, in Dir. pen. e proc., 2, 2016, p. 263, riprendendo la medesima espressione utilizzata da Paliero in un Convegno, tenutosi a Milano il 15 maggio 2015, dal titolo “Il ne bis in idem fra diritto penale e processo”.

251 In particolare, come osservato da DELITALA, Concorso di norme e concorso di

reati, in Riv. it. dir. pen., 1934, p. 104, e CONTI, voce Concorso apparente di norme, in Noviss. Dig. it., III, Torino, 1967, p. 1009, il “problema” del ne bis in idem sostanziale nell’ordinamento italiano scaturisce dal peccato originale del codice del 1930, che ha introdotto l’istituto del concorso formale di reati, con la conseguente esigenza di distinguere tale ipotesi dal concorso apparente di norme (mentre, in precedenza, le due vicende erano regolate in modo identico).

Nella sua declinazione processuale, anzitutto, il ne bis in idem mostra una ratio “composita”252: in primo luogo, infatti, il divieto di apertura

di un secondo procedimento per un fatto già giudicato è stato ricollegato ad un’istanza di certezza in senso “soggettivo”, individuandone il fondamento nella tutela del singolo dal pericolo di una continua persecuzione253; d’altro canto, la necessità di scongiurare

la proliferazione di accertamenti giudiziali sul medesimo accadimento è stata anche ricondotta alle esigenze pubblicistiche di certezza “oggettiva” dei rapporti giuridici (res judicata pro veritate habetur) oltre che di economia processuale, le uniche in grado di giustificare la stabilità del giudicato di condanna (salve le limitate ipotesi in cui è ammessa la revisione)254. In assenza di un espresso riconoscimento

costituzionale, peraltro, nei due inquadramenti sono stati rispettivamente valorizzati i collegamenti della preclusione processuale con la dignità della persona, con i canoni del giusto processo e finanche con le esigenze di una ragionevole durata dei procedimenti e di efficienza della funzione giurisdizionale255.

252 In questi termini, cfr. CAPRIOLI-VICOLI, Procedura penale dell’esecuzione, II ed.,

Torino, 2011, p. 73.

253 Su questa accezione del concetto di certezza collegata al tema dello sviluppo della

personalità individuale quale ratio più idonea a giustificare la funzione del giudicato penale, cfr. la ricostruzione di DE LUCA, I limiti soggettivi della cosa giudicata,

Milano, 1963, p. 90 ss.; tale impostazione risulta valorizzata in dottrina da GALANTINI, Il divieto di doppio processo come diritto della persona, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 97 ss.; RIVELLO, Analisi in tema di ne bis in idem, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 479 ss.; MANCUSO, Il giudicato nel processo penale, Milano, 2012, p. 406 ss.

254 Tale profilo era già sottolineato nelle riflessioni di RICCIO, La preclusione

processuale penale, Milano, 1951, p. 96 ss., il quale faceva riferimento alla necessità di assicurare la certezza nell’apprezzamento del rapporto ed al bisogno sociale che le liti non si rinnovino continuamente, così come nelle considerazioni di MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Zanichelli, Bologna, 1966, p. 421. Nella manualistica, cfr. soprattutto i termini eloquenti di CORDERO, Procedura penale, IX ed., Milano, 2012, p. 1205, che richiama addirittura l’idea di “equilibrio sociopsichico collettivo”, nonché le considerazioni di SCAPARONE, Procedura penale, II ed., Torino, 2011, p. 337.

255 Sul punto, cfr. CALLARI, La firmitas del giudicato penale: essenza e limiti,

Milano, 2009, p. 146 ss., il quale esamina le diverse posizioni che hanno fatto nel tempo riferimento all’art. 2 Cost, almeno rispetto al divieto di rivedere un giudicato favorevole, ma anche le ricostruzioni di stampo “oggettivo” che richiamano gli artt. 27, 48 e 111 Cost. A quest’ultimo proposito, cfr. FERRUA, Il giusto processo, II ed., Bologna, 2005, p. 33, nota 22, che cita i termini della sentenza Cass., Sez. Un., 28

Sul versante processuale nel nostro ordinamento interno, il principio è espressamente codificato all’art. 649 c.p.p256. Dal tenore letterale della

norma si comprendono le ragioni per cui, tradizionalmente, il divieto di un secondo giudizio risulta strettamente connesso al principio di irrevocabilità della sentenza (desumibile dal precedente art. 648 c.p.p.) alla teoria del giudicato, di cui costituisce effetto meramente negativo: ove un pubblico ministero dovesse iniziare un nuovo procedimento per il medesimo fatto attribuito al medesimo imputato, il giudice ha l’obbligo di pronunciare, in ogni stato e grado del processo, sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo (art. 649, comma 2)257.

Quanto al versante sostanziale, la ricostruzione dei fondamenti del ne

bis in idem risente inevitabilmente dell’assenza di una sua espressa

enunciazione a livello legislativo, con tutte le incertezze che ne sono derivate circa la reale portata e, addirittura, la stessa esistenza. Sembra, tuttavia, assimilato un inquadramento del principio come istanza superiore che informa la disciplina del concorso apparente di norme, giugno 2005, n. 34655, secondo cui «un sistema processuale che lasciasse alla discrezionalità dello stesso organo della pubblica accusa la possibilità di reiterare l’esercizio dell’azione penale contro la stessa persona per il medesimo fatto si muoverebbe lungo linee assolutamente contradditorie e dissonanti, asimmetriche rispetto al principio di legalità e non compatibili con i caratteri salienti del “giusto processo” prefigurato dall’art. 111 della Costituzione. Questo difatti, nella sua impronta tipicamente accusatoria, richiede non solo la rispondenza alle regole della ragionevole durata del processo e della parità delle parti, ma sottende altresì, in armonia con le principali fonti normative internazionali sopra richiamate, il diritto dell’imputato a non essere perseguito più di una volta per l’identico fatto».

La Corte costituzionale, dal canto suo, ha da tempo individuato i valori che sovrintendono alla opzione normativa del ne bis in idem, indicandolo come un principio di civiltà giuridica di generalissima applicazione, pena, in caso contrario, la precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale (cfr., ex multis, Corte cost., sent. n. 200 del 2016; Corte cost., sent. n. 219 del 2008; Corte cost., sent. n. 381 del 2006; Corte cost., sent. n. 230 del 2004; Corte cost., ord. n. 150 del 1995).

256 “1. L’imputato prosciolto o condannato con sentenza penale o decreto divenuti

irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69, comma 2, e 345. 2. Se ciononostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”.

dalle regole espressamente stabilite dal codice penale sino ai criteri “evolutivi” elaborati dalla dottrina258.

Il ne bis in idem sostanziale, quindi, risponde alla fondamentale esigenza di scongiurare che le interferenze tra fattispecie incriminatrici conducano ad una plurima considerazione delle medesime note di disvalore del fatto, inizialmente ricondotta ad una questione logica di corretta interpretazione ed applicazione della legge259 ma nel tempo

valorizzata, anche a causa della progressiva stratificazione della legislazione penale, nelle diverse prospettive della giustizia sostanziale260 e della proporzionalità del trattamento sanzionatorio261.

Naturalmente, è stata soprattutto la dimensione individual-garantistica ad aver consentito l’affermazione del ne bis in idem in numerosi documenti internazionali sulla protezione dei diritti dell’uomo, confermando in questo modo la tendenza alla estensione delle garanzie ben oltre gli angusti confini ermeneutici nazionali262.

258 La concezione pluralistica, infatti, prevale ormai su quella monistica, secondo cui

il concetto di ne bis in idem sostanziale sarebbe chiamato proprio a risolvere in seconda battuta le ipotesi inquadrabili nei suddetti parametri. Sul punto, cfr. le considerazioni di MANTOVANI,Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, cit.,

p. 424 ss.; di recente, cfr. VALLINI, Giusti principi, dubbie attenzioni: convergenza di illeciti in tema di circolazione di veicolo sottoposto a sequestro, in Dir. pen. proc., 2011, p. 853, il quale osserva come tanto i parametri strutturali come quelli valoriali siano riconducibili alla medesima istanza.

259 Cfr. in particolare la ricostruzione di MORO, Unità e pluralità di reati- Principi,

Padova, 1951, p. 38 ss., la cui continuità con la scelta già operata nella letteratura tedesca di affrontare la tematica, già in chiave manualistica, sul terreno della teoria della norma e non del concorso di reati o di pene è sottolineata da PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple nel diritto penale, Torino, 1997, p. 76.

260 Aspetto già colto, en passant, da ASTARITA, voce Ne bis in idem, in Dig. disc.

pen., Agg. IV, tomo II, Utet, Torino, 2008, p. 733 ss.; sul punto, cfr. anche MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme, cit., p. 71 e 592 ss., che parla di

intuitivo principio di ragione, richiamando una copiosa letteratura tedesca e italiana, auspicandone un’espressa codificazione. […]

261 ROMANO, Il rapporto tra norme penali, Milano, 1996, p. 280 ss., il quale osserva

come le ragioni ultime degli istituti che regolano il rapporto tra norme coesistenti risiedano proprio nel principio di proporzione rintracciabile nell’art. 27 Cost., nonché PAGLIARO, voce Concorso di norme (dir. pen.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p.

551, con particolare riferimento al fondamento del criterio di consunzione. Tale argomento, peraltro, è stato anche recepito in alcuni progetti di riforma: sul punto, cfr. PAPA,Le qualificazioni giuridiche multiple nel diritto penale, cit., p. 75 ss., il

quale osserva come l’indeterminatezza connaturata al giudizio di proporzione potrebbe implicare un impoverimento della portata garantistica del principio.

Innanzitutto, con accenti simili e con una scelta lessicale singolarmente allineata a quella dell’art. 14, settimo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici263, il principio trova accoglienza all’art. 4,

primo comma, del Protocollo n. 7 allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo264 che, lungi dall’essere mera affermazione di

principio, si connota come elemento di indubbio interesse dal punto di vista pratico-operativo, corollario di quel “giusto processo” delineato nei suoi canoni fondamentali all’art. 6 della Convenzione.

Questa configurazione pone l’accento sulla dimensione soggettiva ed individuale della preclusione processuale, esaltandone la natura di diritto fondamentale265. All’ampiezza dello spettro applicativo fa da

contraltare, però, una descrizione alquanto indeterminata, con una rarefazione dei contorni del principio, la cui effettiva portata può essere scandagliata solo inoltrandosi nel diritto vivente della Corte di Strasburgo.

A seguito di ciò, si è sviluppata una nuova fase espansiva, che ha fatto assurgere il ne bis in idem a diritto fondamentale del cittadino europeo.

263 «7. Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena, per un reato

per il quale sia stato già assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese».

264 «1. Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione

dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni di cui al paragrafo precedente non impediranno la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se dei fatti nuovi o degli elementi nuovi o un vizio fondamentale nella procedura antecedente avrebbero potuto condizionare l’esito del caso. 3. Nessuna deroga a questo articolo può essere autorizzata ai sensi dell’art. 15 della Convenzione». La formulazione dell’art. 4, Prot. 7, rappresenta il frutto della mediazione tra la tradizione anglosassone, legata al divieto del double jeopardy che ha per principio ispiratore la tutela dell’individuo dal rischio di nuove persecuzioni per lo stesso fatto, e la tradizione continentale, nella quale il ne bis in idem rappresenta anzitutto un riflesso dell’auctoritas del giudicato, mirando a garantire la certezza delle situazioni giuridiche.

265 ALLEGREZZA,Commento all’art. 4 del Protocollo n. 7, in BARTOLE-DE SENA-

ZAGREBELSKY (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cedam, Padova, 2012, p. 895; ASTARITA, voce Ne bis in idem, in Dig. disc. pen., Agg. IV, tomo II, Utet, Torino, 2008, p. 733-734 ss.

La formulazione stessa dell’art. 50 della carta di Nizza266 evoca la più

ampia forma di tutela, dilatandone l’incidenza sull’intero territorio degli Stati membri dell’UE, assegnandogli il rango di principio generale del diritto eurounitario, a norma dell’art. 6, par. 2, TUE. In tal modo, la relativa previsione della Carta supera la necessità di rinviare a disposizioni di singoli ordinamenti nazionali ed assume la funzione di una garanzia generale, applicabile ogni qual volta si sia formato un giudicato su un medesimo fatto, commesso dalla stessa persona267. Un fondamentale presidio di garanzia, dunque, che tende a

superare, nella logica espansiva propria dei diritti fondamentali, i confini territoriali assegnati al medesimo principio nel sistema CEDU, che ne circoscrive l’ambito di operatività ai soli procedimenti penali ricadenti nella giurisdizione territoriale di uno Stato parte268.

Infine, proprio a tal proposito, occorre precisare che i due articoli analizzati, pur presentando alcune difformità applicative, mostrano ugualmente punti di convergenza: infatti, ai sensi della previsione di cui all’art. 52, par. 3, della medesima Carta dei diritti, laddove essa riconosca diritti che corrispondono a quelli già garantiti dalla Convenzione, non può esservi dato un significato più restrittivo, potendo soltanto eventualmente espandersene la portata.

266 «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato

assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».

267 IERMANO,Il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato

ex art. 50 della Carta dei diritti fondamentali, in DI STASI (a cura di), Spazio europeo e diritti di giustizia, Padova, 2014, p. 30 ss.

Capitolo 2

La reductio ad unum (pretoria) della portata del ne bis in idem: il caso Grande Stevens e la “morte annunciata” del doppio binario

Come attentamente tratteggiato in precedenza, la genesi del doppio binario sanzionatorio con riguardo ai fatti di market abuse è da rintracciarsi proprio in fase di recepimento della direttiva comunitaria 2003/6/CE, in cui il legislatore italiano ha sostanzialmente introdotto un meccanismo che comporta, al compimento del medesimo fatto illecito, l’attivazione di una doppia risposta sanzionatoria da parte dell’ordinamento e, ancora prima (logicamente e cronologicamente), l’instaurazione di due procedimenti paralleli, uno penale ed uno amministrativo.

Ai dubbi di legittimità della disciplina sollevati a livello interno269, si

sono ben presto aggiunte le più incisive critiche formulate in sede sovranazionale, volte a neutralizzare un esiziale cortocircuito, in virtù del quale la necessaria conformità agli obblighi di matrice europea si rivelerebbe strumento di violazione di ulteriori obblighi di tutela, anch’essi di respiro internazionale270.

È quanto accaduto con la pronuncia Grande Stevens e altri c. Italia del 2014271, con cui la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha ravvisato

269 Cfr., tra i contributi più significativi, ALESSANDRI,Un esercizio di diritto penale

simbolico, cit., p. 930 ss.; PALIERO, Nuove prospettive degli abusi di mercato?, cit.,

p. 61 ss.; VIZZARDI, Manipolazione del mercato: un “doppio binario” da ripensare?, cit., p. 704 ss.

270 BIGIARINI, Ne bis in idem: il cortocircuito del “doppio binario” sanzionatorio in

relazione a fatti di criminalità economica, cit., p. 262-263.

271 Corte EDU, sez. II, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens (e altri) vs. Italia, ric. n.

18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668710, 18698/10, su giustizia.it, pubblicata in Giur. it., 2014, p. 1196 ss., con nota di ZAGREBELSKY, Le sanzioni Consob, l’equo processo e il ne bis in idem nella Cedu, e in Dir. prat. trib., 2015, 2, p. 282 ss., con nota di VINCIGUERRA,Il principio del “ne bis in idem” nella giurisprudenza della Corte Edu. Per i primi commenti cfr. ALESSANDRI, Prime riflessioni sulla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, 5, p. 855 ss.; DE AMICIS, Ne

bis in idem e doppio binario sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, in Dir. pen. cont., 30 giugno 2014; FLICK-NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio

l’incompatibilità del sistema del doppio binario italiano in materia di manipolazione del mercato con la Convenzione, nella misura in cui risulta lesivo del principio del ne bis in idem (art. 4, Protocollo 7) e del diritto ad un equo processo (contemplato all’art. 6 CEDU)272.

binario o binario morto? «Materia penale», giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in Rivista delle società, 2014, p. 953 ss; LAVARINI,Corte europea dei diritti umani e ne bis in idem: la crisi del “doppio” binario sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2014, 12, p. 82 ss.; TRIPODI, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L’Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in Dir. pen. cont., 9 marzo 2014; VENTORUZZO,Abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri c. Italia, in Riv. soc., 2014, 4, p. 693 ss.; VIGANÒ, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta?, in Dir. pen. cont., 30 giugno 2014. Sia inoltre consentito il rinvio a D’ALESSANDRO, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. proc., 2014, p. 614 ss.; per ulteriori approfondimenti, infine, si v. la Relazione n. 35/2014 dell’8 maggio 2014 a cura dell’Ufficio del ruolo e del massimario della Corte Suprema di Cassazione «Considerazioni sul principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia».

272 Tale disposizione recita: «1. Nessuno può essere perseguito o condannato

penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione».

In accordo con le doglianze dei ricorrenti, la Corte EDU riconosce che la fase del procedimento sanzionatorio che si svolge davanti alla Consob (regolata dall’art. 187- septies t.u.f.) è affetto da vulnera sul piano del rispetto del fair trial: non vi è “parità delle armi” tra accusa e difesa, né adeguato contraddittorio, né risulta prevista un’udienza pubblica: l’Autorità (pur costituendo un organismo nel suo complesso autonomo e indipendente da altri poteri) non è, però, “sufficientemente imparziale”, stante il cumulo, in capo ad essa, di funzioni sia di indagine che di giudizio (§ 137). Tali manchevolezze, già denunciate peraltro dalla dottrina più avveduta (ex multis, MUCCIARELLI, Primato della giurisdizione e diritto economico sanzionatorio: a proposito di market abuse, cit., p. 139; RORDORF, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, cit., p. 981 ss.), non bastano ad integrare gli estremi della violazione dell’art. 6 (§ 138). I giudici di Strasburgo, ribadendo una giurisprudenza costante, riconoscono che una “pena” possa essere inizialmente imposta anche da un’Autorità amministrativa che non soddisfi le condizioni dell’art. 6: l’importante è che vi sia, “a valle”, la possibilità di attivare un controllo “pieno” di un organo giurisdizionale (§139) e, nel caso di specie, tale possibilità esiste. In buona sostanza, l’unico “deficit convenzionale” del provvedimento giudiziario di opposizione di fronte alla Corte d’Appello finisce per concentrarsi nella mancanza dell’udienza pubblica innanzi alla stessa (§161).

Ciononostante, FLICK-NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto?, cit., p. 955-956, ritengono che la violazione di tale profilo procedimentale sia stata analizzata in modo solo superficiale da parte della Corte, la quale ha certamente sollecitato una rivisitazione in ottica processuale penale

Prima di addentrarci nel tessuto argomentativo della decisione, è

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