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RECEPIMENTO DEI MONITI SOVRANAZIONALI NEL DIRITTO VIVENTE ITALIANO

3. Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in

3.1 Capo II: la presunzione di innocenza Il divieto di presentare in pubblico l’indagato o l’imputato come

3.1.2 Contro la “giustizia-spettacolo”

Per evitare derive giustizialiste, necessario diventa anche arginare certe forme di “giustizia-spettacolo”, ormai frequenti nella cronaca giudiziaria, che tendono a condizionare la pubblica opinione.

Con la legge del 16 febbraio 1999 n. 479 è stato aggiunto il comma 6 bis277 all’art. 114 c.p.p. al fine di tutelare la dignità della persona umana; tuttavia il divieto di pubblicazione non ricorre nel caso in cui l'immagine di una persona privata della libertà personale non la mostri in manette, ovvero sottoposta ad altro mezzo di coercizione, e viene meno se la persona ritratta nell'immagine pubblicata abbia acconsentito alla sua pubblicazione.

Quando si parla di persona in vinculis si fa riferimento, non solo a colui che si trova in stato di arresto o di fermo, ma anche all’indagato o all’imputato sottoposto alla misura coercitiva della custodia in carcere o in un luogo di cura o agli arresti

276 Nell’ordinamento francese, per esempio, rintracciamo l’art. 9.1 comma 2 code civil che prevede il diritto di ottenere la pubblicazione di una rettifica o la diffusione di un comunicato idoneo a porre fine alla violazione della presunzione di non colpevolezza, senza pregiudizio dell’azione risarcitoria.

277 <<È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della

libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta>>.

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domiciliari, e sembra poter rientrare nel perimetro della definizione anche l’accompagnamento coattivo all’art. 132 c.p.p., laddove si ricorra all’uso della forza.

Più difficile è riempire di contenuto l’espressione “altro mezzo di coercizione fisica”: la tendenza è quella di farvi rientrare tutte le ipotesi di “traduzione di detenuti”, quindi le attività di accompagnamento coattivo da un luogo ad un altro (42-bis comma 1), mentre ci si interroga riguardo la possibilità di estendere l’operatività del divieto a coloro che si trovano all’interno delle gabbie nelle aule di udienza. Per questa delicata ipotesi è necessario un coordinamento con la disciplina adottata per le riprese audiovisive dei dibattimenti, perché <<quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento>>, l’autorizzazione del giudice alle riprese o a qualsiasi genere di trasmissione del dibattimento può esser data anche senza il consenso delle parti coinvolte (art. 147 disp. att. c.p.p.).

Se l’obiettivo deve essere quello di <<impedire la diffusione di immagini suscettibili di alimentare opinioni colpevoliste della percezione dell’uomo comune>>278, allora nel divieto di

pubblicazione va fatto rientrare anche il caso della persona trattenuta “a braccetto” dagli agenti o dagli ufficiali di polizia giudiziaria.

La sfera operativa della disposizione viene notevolmente dilatata se la ricolleghiamo ad altre previsioni normative: l’art. 42-bis ord. pen., per esempio, subordina la traduzione dei detenuti all’uso di <<opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di

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pubblicità>> e vieta l’uso di manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica, a meno che non siano richieste tali precauzioni dalla pericolosità del soggetto, dal pericolo di fuga o da circostanze ambientali suscettibili di ostacolare gli spostamenti dei detenuti.

Intercorre un nesso anche fra l’art. in esame e gli artt. 277 e 285 comma 2 c.p.p., che si preoccupano di stabilire, l’uno che le modalità di esecuzione delle misure cautelari debbano comunque salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto, l’altro che la libertà del soggetto sottoposto alla custodia cautelare, prima del trasferimento nell'istituto, non possa subire limitazioni, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione.

L’art 114 comma 6 bis è chiaro nel prevedere una deroga al divieto di pubblicazione, meno nel definirne l’effettiva portata pratica. Per quale motivo un soggetto in quelle particolari condizioni dovrebbe acconsentire alla pubblicazione di immagini che vanno apertamente a ledere la sua dignità? Viene da pensare a soggetti legati alla criminalità organizzata e al terrorismo, <<inclini a sfruttare la situazione di sovraesposizione mediatica per manifestare pubblicamente la loro posizione di conflitto con le istituzioni o, più semplicemente, per finalità di “proselitismo ideologico”>>279.

Il divieto è reso meno rigoroso da alcune norme in materia di diritto d’autore280 e dal codice deontologico dei giornalisti, che

279 Ibidem.

280 Si acconsente alla pubblicazione dell’immagine altrui, prescindendo dal

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prevede, ad esempio, una deroga per motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia.

Le deroghe e tutti i tentativi di rendere più flessibile il contenuto della disposizione in esame vacillano, però, di fronte alla forza costituzionale degli artt. 27 comma 2 e 13 comma 4, che punisce <<ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà>>.

Anche il divieto di pubblicazione delle immagini dell’imputato in vinculis risulta sprovvisto di un adeguato presidio sanzionatorio, possiamo rintracciare soltanto una responsabilità di tipo disciplinare all’art. 115 c.p.p.

Possiamo auspicare che al recepimento della direttiva dell’Unione europea segua un intervento sulla disciplina codicistica in materia di pubblicazione di atti del procedimento penale, da sempre mancante di un solido apparato sanzionatorio a cui poter fare diretto riferimento in caso di violazioni.

3.2 Capo II: la presunzione di innocenza: l’onere della prova