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Gli effetti della contemporaneità sul dispositivo

SOTTOSOGLIA I Le parole

2.3 Il confine nello spazio postmetropolitano

2.3.2 Gli effetti della contemporaneità sul dispositivo

Come abbiamo visto nel primo capitolo nuove geografie sociali, culturali ed economiche stanno ridisegnando la natura, la consistenza e la densità dell’urbano secondo dinamiche contraddittorie e invertite. Densità convergenti, così come differenziazioni e appiattimenti a corrente alternata nello spazio regionale mettono in discussione il binomio rurale/urbano; meccanismi intercalati di omogeneizzazione e differenziazione producono un’eterogeneità dei paesaggi suburbani in attesa e difficili da decodificare. Fenomeni alternati di shrinking e di crescita urbana ed economica cambiano le geografie nazionali e regionali producendo repentine dinamiche di abbandono e intensificazioni che ridisegnano il territorio e la sua economia in modo inatteso. Decentralizzazione e ri-centralizzazione delle dinamiche insediative e delle strategie di investimento o produzione di economie di natura regionale sono guidate da regole di prossimità e separazione di nuova generazione; i nuovi paesaggi dell’urbano che si dispiegano nello spazio delle nuove regioni diventano sfuggenti, mobili, difficili da catturare sia dal punto vista delle analisi che da quello della costruzione di politiche territoriali di valorizzazione «dell’urban land nexus» (SCOTT, STORPER 2014) che li ha generati. La deindustrializzazione e la reindustrializzazione secondo diverse modalità e localizzazioni dinamiche produce un capitale post-metropolitano tutto da scoprire come risorsa e fabbrica di energia (MAGNAGHI,SALA 2014), anche in una prospettiva di politiche, che è quella di cui ci occupiamo in questo paragrafo.

Tutti i fenomeni sopra indicati, infatti, hanno prodotto o stanno producendo evidenti conseguenze sul concetto di confine come dispositivo, almeno secondo tre prospettive.

La prima di queste prospettive concerne l’attualità e l’efficacia dei confini della governance urbana e territoriale e, quindi, il cambiamento dei suoi modelli, forme e scale di riferimento.

L’orientamento regionale della natura dei processi di urbanizzazione degli ultimi trent’anni ha determinato, infatti, l’esplosione di due questioni. Da un lato, la crisi delle città come unità di governance, e quindi di riferimento amministrativo e sociale, contrapposte al territorio, con, invece, le sue relative strutture di governance. Dall’altro, la necessità di reinterpretare gli approcci e i confini tradizionali della governance urbana e territoriale, sempre più rigidi

rispetto alle esigenze di un diverso dispiegarsi dei problemi, di natura regionale (non più solo urbano o territoriale), a densità convergente e geometria variabile rispetto a tradizionali ambiti istituzionali.

In sintesi, le dinamiche in corso, relative all’attualità e all’efficacia dei confini della governance urbana e territoriale mostrano tre tendenze principali47: (1) la prima di queste tendenze consiste in diffusi processi di implosione/esplosione della latitudine delle unità di governo e dei loro confini orizzontali. Si assiste, cioè, ad una ridefinizione ‘intermittente’ dei confini della governance (il cui dominio si concentra o si allarga) in aggregati inediti di istituzioni poste sullo stesso livello territoriale, finalizzati a dare risposte strategiche e innovative ai nuovi problemi emergenti dalle ‘forme’ insediative in transizione;

(2) la seconda tendenza in atto, ulteriore risposta agli inediti problemi indotti dal ridefinirsi del concetto di urbano, riguarda i diffusi fenomeni di cooperazione multi-scalare tra gli organismi istituzionali posti a diversi livelli territoriali, che sanciscono una rottura e una conseguente ridefinizione dei confini istituzionali verticali;

(3) la terza tendenza, infine, concerne il diffondersi di ‘monotematiche’ coalizioni ed esperimenti di democrazia deliberativa, che reinventano i confini della governance in relazione alla dinamica territoriale del problema intorno al quale nascono.

Il nuovo sistema di attori privati, protagonisti del cambiamento e liberi interpreti delle geografie dell’investimento (in-out), il riflesso del mainstream neoliberista che ha attraversato molta letteratura e tante città del mondo, la natura sempre più inter e transcalare delle dinamiche economiche e sociali emergenti nella e dalla sofferenza del contesto, la crescita delle città e la frammentazione e la riorganizzazione del sistema insediativo in una dimensione regionale (STORPER 1997; 2013), hanno messo in crisi, cioè, la definizione di urbano (BRENNER 2014), e di tutti gli strumenti preposti al suo governo. In questo contesto, molte delle strategie di governance attuate a livello urbano e territoriale hanno mostrato elementi di inadeguatezza, lasciando spazio a dinamiche di cooperazione tra attori di varia natura (istituzionali e non) e ambiti territoriali spesso non compresi o pienamente inclusi dentro confini istituzionali.

Nonostante (e dentro) la rigidità della griglia di un sistema di governo del territorio di tipo tradizionale, ancorato alla razionalità dei confini amministrativi e dell’appartenenza ad un ambito istituzionale (piuttosto che a una regione territoriale che spesso risponde a un diverso disegno amministrativo, ma che può comprende uno specifico problema territoriale), si sono, così, formate nuove geografie di cooperazione trans-istituzionale orientate da obiettivi e problemi, che hanno contribuito a costituire de facto un diverso ‘dispositivo’

                                                                                                               

47 Le riflessioni contenute in questa parte di lavoro fanno parte di una ricerca ancora in corso, a cui l’autore

della tesi sta partecipando, interna al Prin «Territori post-metropolitani come forme urbane emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità», il cui coordinatore scientifico è il Prof. Balducci Alessandro.

della governance regionale che sembra anticipare il consolidamento di un nuovo modello di governance che è possibile definire come reticolare, poli- nucleare e a densità convergente (oltre, cioè, le polarità urbane). Un modello strutturato su approcci governativi e azioni strategiche di natura cooperativa, tran-scalare, multi-agente, a obiettivo/tema differenziato, in base ad almeno tre fattori: le politiche territoriali, il quadro strategico della programmazione regionale, l’europeizzazione delle politiche pubbliche (natura degli strumenti, ruolo del territorio e delle regioni, opportunità di investimento).

D'altronde, se da una parte le nuove tendenze sociali ed economiche facilitano processi di governance sempre più cooperativi, efficaci e orientati dall’obiettivo, dinamici e non curanti dei confini amministrativi siano essi comunali, metropolitani, provinciali; dall’altra, le strategie di pianificazione, le politiche urbane e territoriali e i processi di democrazia deliberativa, che costituiscono alcuni degli apparati fondamentali della governance, sembrano non essere pienamente in grado di catturare e quindi adattarsi alla complessità e all’estensione di molti fenomeni socio-spaziali.

La tendenza in corso, inerente il formarsi in diversi contesti istituzionali e territoriali di nuovi modelli di governance (ancora in nuce) a geometria istituzionale e territoriale variabile, flessibili, strategici e cooperativi, che la letteratura internazionale definisce con l’aggettivo fuzzy (DE ROO, PORTER 2007; ALLMENDINGER, HAUGHTON 2009; HELEY 2013), ha reso traballanti gli strumenti di pianificazione ordinaria e la macchina della governance urbana e territoriale e la loro griglia di confini di riferimento.

Da tutto ciò emergono alcuni interessanti quesiti di ricerca relativi a quale tipo di competizione e/o cooperazione sia possibile immaginare per superare i confini amministrativi e gestire la transcalarità dei processi decisionali e degli effetti delle decisioni in un quadro regionale e al come tenere insieme la questione dei bordi amministrativi, che producono strumenti e processi compressi dentro spazi che non li contengono più, con sistemi reticolari e interconnessi di flussi di persone, beni, merci e informazioni.

Quest’ultima considerazione ci permette di introdurre un altro aspetto rilevante che dà forma alla nuova città, che è il movimento; la città contemporanea è, infatti, luogo per eccellenza di mobilità, flusso e pratiche quotidiane di spostamento (AMIN,THRIFT 2005).

Il tema del movimento delle persone in particolare, quale caratteristica strutturale e strutturante le ossature insediative contemporanee, ci permette di presentare la seconda prospettiva di analisi delle conseguenze delle sollecitazioni impresse dai nuovi fenomeni di urbanizzazione regionale al concetto di confine come dispositivo, che è quella del complesso rapporto tra popolazioni, confini amministrativi e rappresentanza politica.

Il movimento oggi interessa una larga parte della popolazione, quella più dinamica dei cosiddetti «abitanti itineranti» (CROSTA 2007). Essi scelgono il movimento per diverse ragioni (lavoro, condizioni abitative di qualità, legami amicali, culturali e professionali, tempo libero e consumi da un lato, povertà e

guerra dall’altro). Per tutti costoro «il ‘territorio dell’abitare’ è costituito da posti dove ‘fanno qualcosa’, dalle tappe dei percorsi che vogliono/debbono compiere abitualmente e che hanno frequenza e tracciati diversi nel tempo. E si tratta di percorsi tra diverse città, regioni, qualche volta paesi, differenti» (ivi: 67)48. Ciò fa immediatamente saltare un legame univoco tra territorialità e sovranità su cui si basa lo stato moderno, e fa emergere, invece, soluzioni intermedie, quali le comunità di pratiche basate sulla non prossimità, sulla temporaneità, sulla pluri-appartenenza, che producono nuove forme di pubblico estremamente flessibili, mutevoli e mobili, quindi «intrattabili per istituzioni che sono abituate a fissare, a stabilizzare, a sentirsi in dovere di riconoscere, dare spazio stabile e chiaro agli attori che bussano alla loro porta. E non a dialogare con reti mutevoli di interessi e di progetto, spesso contestuali e situate, ma non fissabili o contenibili all’interno di patti o confini» (FEDELI IN BALDUCCI 2008). Ciò alimenta, inevitabilmente, domande profonde di ridefinizione dei ‘confini’ della rappresentanza, sollecitati, appunto, da queste condizioni di multi-appartenenza in divenire degli attori del movimento, intrattabili dal sistema politico vigente. In conclusione, si tratta di epifenomeni di una condizione problematica e problematizzante, in cui l’organizzazione istituzionale dello spazio non sembra consentire agli abitanti itineranti, né la rappresentazione, né il trattamento dei problemi che si trovano ad affrontare quando interagiscono tra loro, generando, così, una sorta di ‘scopertura’ istituzionale e politica.

L’ultima prospettiva dalla quale guardiamo la tensione impressa dai fenomeni «postmetropolitani» al concetto di confine come dispositivo è quella inerente la ridefinizione del consueto limite relazionale tra globale e locale. Le strutture urbane contemporanee sono i luoghi privilegiati per l’incontro di flussi e logiche globali con flussi e logiche locali. Tale incontro genera «geografie progressive» (BRENNER 2014), nelle quali, di volta in volta, sembra prevalere taluna o talaltra logica, ma solo raramente esse riescono, in un gioco a somma positiva, a creare nuovi spazi di muto aggiustamento, nei quali le due logiche anziché produrre aree di frizione e conflitto, si rafforzano reciprocamente, realizzando spazi di possibilità e campi di creazione

                                                                                                               

48 Posizionando, quindi, la riflessione all’interno di quel contesto disciplinare che pensa all’abitare come

processo, non, cioè, un dato apriori dall’esperienza, ma costrutto in divenire nella pratica (Crosta 2010), allora dobbiamo guardare anche al rapporto tra popolazione/territorio come in continuo divenire, «ma anche, per ciò stesso – ai due termini (popolazione, territorio), non come ‘dati’ – prima e al di fuori (indipendentemente) del rapporto in cui entrano: che è d’interazione nel senso forte (…) Da qui l’affermazione che le pratiche dell’abitare costruiscono territori e costituiscono popolazioni» (ibidem).Con tale concettualizzazione dell’itineranza, sempre con Crosta (2010: 121), vogliamo da un lato, rigettare l’uso della contrapposizione binaria di analisi ‘stanzialità vs mobilità’ come appropriata per qualificare il nuovo rapporto tra popolazione e territorio, poiché da essa discendono due naturali contrapposizioni inadeguate a spiegare la complessità dei fenomeni analizzati, ovvero una contrapposizione tra popolazione stanziale e popolazione nomade e un’altra opposizione tra territorio di insediamenti e territorio di spostamenti. Dall’altro, prendere la distanza dalla posizione di Martinotti (1993) quando propone quattro le categorie di analisi della popolazione metropolitana (abitanti, pendolari, consumatori e, all’interno dei consumatori, quelli che viaggiano per affari), poiché focalizza l’interesse della riflessione sulla città e non sulla gente, rinunciando, con ciò, ad interrogarsi sulle modalità d’uso del territorio da parte della gente che vi si muove.

 

innovativi. Questo non succede perché il nostro immaginario geopolitico è organizzato ancora attorno a tale apparato oppositivo (locale/globale), di cui stentiamo a ritrovarne una logica intermedia (FEDELI 2013).