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Spazi intermedi come frange urbane

SOTTOSOGLIA II – Confini –

3.1 Lo spazio intermedio negli studi urbani

3.1.1 Spazi intermedi come frange urbane

Molta parte della letteratura nazionale e internazionale tratta gli ‘spazi in- between’ ancora all’interno di una lettura della realtà urbana contemporanea improntata su dicotomie classificatorie, definendoli in termini di margini urbani, intesi come spazi limite tra città e campagna. La riflessione di questo tipo di letteratura parte dalla constatazione della frammentazione fisica del confine della città storica che si traduce, dal punto di vista del sistema insediativo, in una crisi delle storiche relazioni tra città campagna, e in un’ambigua sovrapposizione formale e semantica tra questi due ambiti territoriali. Il volto assunto da tale criticità è uno sfrangiamento del fronte della città compatta che si concretizza in aree residuali e di margine, dove convivono forzatamente pezzi di territorio vuoti di relazioni e spesso anche privi di rappresentanza e rappresentazione, che questo brano di letteratura chiama appunto,

alternativamente «spazi in-between» (SCOPPETTA 2010), «aree di margine» (PALAZZO 2006, TREU 2004, VALENTINI 2005) e «frange urbane» (CAVALIERE, SOCCO,2007). Oggi queste aree di frangia sono, secondo tali studi, diventate aree predominanti delle città (GIBELLI 2003: 11), basti pensare che la loro estensione occupa circa il 70% delle superfici urbanizzate. «Il fenomeno è vasto e complesso, soprattutto per i dinamismi e i contrasti che danno origine e vita a queste aree e le rendono così diverse, sia per strutture che per funzioni, dalle città storiche» (ibidem). Essi si trovano frequentemente in una condizione di abbandono e di attesa, divenendo immediati contenitori degli ‘scarti fisici e sociali’ della città. Depuratori, inceneritori o quant’altro ‘infastidisca’ la città compatta, pur garantendone il suo funzionamento, vengono localizzati in queste aree di margine, mentre campi rom o risposte informali all’emergenza abitativa, ne fanno luoghi di elezione.

La complessità delle situazioni fisiche di questi brani di urbanizzato, derivato dallo sfrangiamento della città compatta ed il suo dilatarsi su fasce sempre più ampie di territorio, in maniera indifferenziata, andando ad inglobare anche centri minori, rimanda, inevitabilmente alla loro dimensione transcalare (CAVALIERE,SOCCO 2007:11). Tali spazi, infatti, in base ai diversi contesti in cui si collocano, possono essere considerati a partire da una logica di area vasta, fino ad una dimensione prettamente urbana, secondo il sistema dell’ingrandimento di scala. L’assenza di un’univocità del concetto di margine può, infatti, implicare spiacevoli ambiguità relative al suo trattamento. Occorre così differenziare il margine urbano vero e proprio, quale luogo d’interfaccia tra paesaggio chiaramente urbano e paesaggio palesemente rurale e naturale, da una situazione più vasta di ‘periurbanità’. In realtà, operativamente, le due zone non possono essere soggette a trattamenti differenziati, ma la loro rigenerazione deve essere perseguita in maniera integrata. Tale distinzione risulta tuttavia utile nel palesare la complessità della tematica e la parallela necessità di lavorare su diversi livelli e con diverse scale di strategia. A tale proposito vengono distinte «frange urbane» e «frange periurbane», dove «con il termine frange urbane intendiamo riferirci al bordo sfrangiato con cui la parte più compatta della città termina nella campagna; mentre con il termine frange periurbane ci riferiamo ai vasti tessuti porosi che la città propaga su una più ampia corona e che generalmente si innervano lungo le principali direttrici stradali di fuoriuscita» (ibidem).

L’esplosione quantitativa e la complessificazione strutturale di questi paesaggi ha indotto così questo settore di studi ad interrogarsi sul loro trattamento in un’ottica sistemica, superando cioè una visione settoriale di progetto architettonico, mirante alla mera definizione di nuovi limiti fisici. L’ottica sistemica ribalta questa concezione e mira a progettare un paesaggio che consenta di rispondere a obiettivi di connotazione, riequilibrio e rigenerazione di quel luogo non più urbano e non ancora agrario che sta fra la città consolidata e la campagna ancora tale. «In funzione dei ruoli e delle caratteristiche assunte oggi dai paesaggi di frangia urbana, appare utile fare

riferimento a una nuova categoria che prenda atto del superamento della tradizionale antinomia città- campagna e dei mutamenti del limite urbano. Si propone il concetto di paesaggio di limite, non una categoria critica o analitica, ma una categoria progettuale; con questo termine si vuole superare la negatività contenuta in ‘paesaggio di frangia’ e la visione urbano-centrica propria di ‘paesaggio periurbano’» (VALENTINI 2005: 193). Assumere il «paesaggio di limite» (ibidem) come categoria progettuale significa superarne l’accezione comune che evoca parole come separazione, conclusione e contenimento, per aprirsi a contenuti semantici latenti come mediazione, connessione e opportunità e, contemporaneamente, tentare una comprensione spaziale di esso in quanto ‘luogo’ multisegnico e permeabile. L’esistenza di un margine urbano rispondente ad una geometria complessa può rendere il ‘limite’ della città non più una barriera impenetrabile, ma un elemento di sutura che, mettendo in contatto due zone diverse, le separa e, separandole, stabilisce relazioni e opportunità (ibidem). «Il paesaggio di limite è un confine figurale, è un luogo dinamico, è uno spazio di mediazione, è l’ambito del conflitto, del malinteso e della pacificazione, infine, il paesaggio di limite è un paesaggio mentale, in quanto spazio di sogno, di libero vagabondare e di libera invenzione» (ivi: 117).

Così, termini come rigenerazione, mediazione e compenetrazione diventano la nuova chiave interpretativa per il progetto del margine che ambisce ad una trasformazione del luogo di frangia urbana da limite a soglia. Questa idea di spazi intermedi presuppone, così, che ogni suo trattamento, avvenga attraverso il filtro di tre categorie operative, quali la partecipazione, l’interdisciplinarietà e l’integrazione. «Muoversi progettualmente dentro ai temi dei margini vuol dire investirli di una riflessione che sarà, per forza di cose, locale, ma che non può prescindere dall’essere, almeno inizialmente generale» (PALAZZO 2006:21). Infatti, azioni di pianificazione puntuali, ristrette esclusivamente a quella porzione di territorio che abbiamo definito di frangia, e di cui per altro la storia del progetto d’architettura è piena62, rivelano la loro scarsa efficacia, se non inserite in un quadro di strategie pianificatorie di area vasta. «Bisogna ricostruire un sistema di relazioni interpretative, di progetto e di regole tra gli stessi strumenti disciplinari, in particolare tra quelli che sono i documenti di strategia e quelli più direttamente operativi» (TREU 2004: 4). L’integrazione, oltre che tra centri e habitat di livello e di natura diversi, deve essere poi, anche perseguita attraverso riconquistate relazioni di sinergia e articolati livelli di equilibrio tra le varie politiche (economica, sociale, urbana, territoriale), e quindi tra i loro livelli di rappresentanza.

                                                                                                               

62 La storia della riqualificazione delle aree di frangia, basata sul solo progetto di architettura, benché non

priva di esempi di elevata qualità formale, manca di casi di durevole efficacia. Il progetto di architettura, infatti, se non inserito in un più generale quadro pianificatorio, benché attento al buon funzionamento formale e funzionale dell’opera, manca di una visione olistica del territorio su cui interviene, per cui risulta incapace di restituire soluzioni di ritessitura virtuosa tra tutte le componenti territoriali e quindi efficaci sul lungo periodo.

In molti di questi contributi diventa centrale, nel recupero degli spazi di frangia il ruolo di una «agricoltura periurbana multifunzionale» (DONADIEU 2005), in grado di «conciliare qualità dell’ambiente di vita e del territorio e qualità alimentare» (DONADIEU 2013:XII) e figura chiave per un progetto di territorio multiattoriale e multiscalare che - promuovendo l'integrazione dialogica fra progetto territoriale, piani di settore, politiche e pratiche di ‘cura’ e ‘produzione’ sociale di territorio – è ritenuta capace di innescare dinamiche virtuose di riequilibrio fra spazi aperti e costruiti, e quindi è candidata come icona di un nuovo ‘patto’ fra città e campagna (MAGNAGHI,FANFANI 2010;POLI 2013: 17), nel riconoscimento del «bene comune agro-paesaggistico» (DONADIEU,2013:XII).