3. Gli effetti tipici della sentenza di patteggiamento
3.1. Gli effetti riflessi della sentenza di patteggiamento
È il caso di affermare che appartengono agli effetti riflessi del rito, quelli, cioè, non riconducibili alle determinazioni legislative connesse all'apparato premiale del procedimento, una serie di problematiche emerse, in special modo, nell'esperienza applicativa.
Parlando di tali effetti è bene prenderne in considerazioni alcune di queste problematiche:
1. prima, se non altro per l'attenzione ricevuta dalla giurisprudenza, quella dei rapporti tra la pronuncia in esame e la revoca della sospensione condizionale della pena.
Il tema si intreccia con la controversa assimilabilità della sentenza patteggiata al genus della condanna penale: posto, infatti, che il venir meno del beneficio si configura, di regola, come tipico effetto penale della condanna e considerata, ex art. 445, comma 1-bis c.p.p., l'esplicita equiparazione a quest'ultima della sentenza di applicazione della pena, è stato concluso, secondo una prima chiave di lettura, che l'estinzione del beneficio segue automaticamente al perfezionarsi del rito alternativo60.
Convaliderebbe ulteriormente l'assunto una serie di indici di carattere logico e sistematico: anzitutto l'art. 445, comma 1-bis c.p.p., il quale,
59 G. Conso, V. Grevi, Commentario breve al codice di procedura penale, CEDAM, 4° edizione, 2005, p. 564.
nel definire tassativamente quali effetti propri della condanna non seguono al patteggiamento nella sua duplice configurazione, impone di ritenere operanti tutti quelli non menzionati, tra cui, appunto, la revoca della sospensione condizionale della pena. Del pari, se nel secondo comma della stessa norma il legislatore ha avvertito la necessità di precisare, a titolo derogatorio, che in caso di estinzione del reato l'applicazione della pena non è di ostacolo a una successiva concessione del beneficio de quo, ciò non si spiegherebbe che con una presupposta identificazione tra sentenza di patteggiamento e condanna per tutti i residui spazi di interferenza tra rito alternativo e dinamica sospensiva.
Quanto all'obbiezione secondo cui la revoca del beneficio darebbe luogo a uno sconfinamento del Giudice dalle prerogative decisorie attribuitegli in sede di patteggiamento, è stato replicato che, perlomeno laddove la fattispecie di revoca si configuri in modo automatico, la relativa declaratoria è atto meramente ricognitivo di una fattispecie estintiva da ritenersi cronologicamente perfezionata sin dal momento del passaggio in giudicato della condanna che ne è presupposto61.
La carica persuasiva delle singole affermazioni non ha, comunque, impedito il formarsi del difforme orientamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite; le quali, teorizzata la cesura tra applicazione della pena e accertamento di responsabilità in seno al rito disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p., hanno concluso in senso negativo quanto
all'operatività della revoca ex art. 168 c.p. in caso di patteggiamento. Tali pronunce non hanno mostrato nessun imbarazzo nell'ignorare i presupposti costituzionali della materia, giungendo, con un primo intervento, ad affermare che “presupposto della revoca di diritto della sospensione condizionale della pena è l'accertata commissione di un nuovo reato, la quale, smentendo la prognosi di non recidività posta a base dell'applicazione del beneficio, determina un giudizio di immeritevolezza nei confronti del soggetto. Ne deriva che, sostanziandosi il rito di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. nell'applicazione di una pena senza giudizio, tanto in ordine alla fondatezza dell'accusa quanto alla responsabilità dell'imputato, esso è inidoneo a costituire presupposto per l'operatività della revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza concessa62”.
Non diversamente, ma con ancor maggior chiarezza, le stesse Sezioni Unite hanno successivamente ribadito che “la decisione emessa all'esito della procedura di applicazione di pena su richiesta delle parti, poiché non presuppone l'accertamento giudiziale del reato e non afferma la penale responsabilità dell'imputato, non ha natura di sentenza di condanna; pertanto, non può costituire titolo idoneo alla revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa63”.
Da ultimo, inoltre, la Suprema Corte ha operato un distinguo: laddove, in particolare, in forza della sentenza patteggiata, il soggetto venga assoggettato a una pena che, cumulata con la precedente, 62 Cass. Pen., Sez. Un., 8 maggio 1996, De Leo.
sospesa, superi i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p., la revoca del beneficio avrà luogo; in questo caso, infatti, presupposto della revoca non è l'accertamento e l'affermazione della responsabilità, ma il mero superamento, cumulando le due pene, dei limiti di pena imposta dall'art. 163 c.p.64
Vanno ora segnalati i rischi ai quali schemi come quello in parola espongono la corretta funzionalità degli istituti del patteggiamento e della sospensione condizionale della pena. Per quanto concerne il rito alternativo in parola, è logico prevedere che l'imputato sottoposto al beneficio sia indotto a ricorrere al patteggiamento anche al solo scopo di sottrarsi alla revoca della sospensione: in tali casi, in ragione dell'improprio sconto rappresentato dall'omessa revoca, ne risulterà vulnerata l'originaria articolazione premiale del rito. Per altro verso, effetti patologici si rinvengono sul versante della sospensione condizionale della pena: se è indubbio che il finalismo dell'istituto riprende i suoi tratti essenziali da quello che il sistema riconosce alla pena, non occorre aggiungere che una pena disancorata dal giudizio di responsabilità verrebbe a perdere ogni fisionomia funzionale certa, degenerando fatalmente nell'arbitrio. Risultano, quindi, intuibili le conseguenze sul congegno sospensivo della pena: non solo esso risulterebbe privato di ogni identità finalistica ove applicato in sede di patteggiamento, ma identica sorte toccherebbe alla sospensione condizionale accordata in sede di giudizio ordinario, con irreparabile compromissione del finalismo special-preventivo dell'istituto.
64 M. Gialuz, la giustizia penale consensuale: concordati, mediazione e
Accertato, quindi, che la sentenza che applica la pena negoziata costituisce titolo idoneo a determinare la revoca del beneficio sospensivo in precedenza conseguito, si tratta ora di definire l'interazione tra l'evento revocatorio e la dinamica estintiva postuma che l'art. 445, comma 2 c.p.p. annovera tra le conseguenze della composizione sulla pena contenuta nel tetto di due anni di pena detentiva. Per la verità tale questione non meriterebbe attenzione se non avesse sollevato contrapposizioni interpretative: un'isolata tesi ha ricondotto alla configurazione postuma dell'effetto estintivo un esito inibitorio della revoca precisando che “l'ultimo comma dell'art. 445 c.p.p. prevede che, ove l'imputato nel termine rispettivamente di cinque o due anni non commetta un nuovo delitto o una nuova contravvenzione della stessa indole, il reato si estingue e si estingue anche ogni effetto penale, tra cui anche la possibilità, in tal caso, di revocare una precedente sospensione condizionale della pena. Ne consegue che in caso di patteggiamento non è consentito procedere alla revoca di una sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, fino a che non si sia verificata la commissione di un nuovo reato entro il termine previsto dalla suddetta norma65”.
A tale interpretazione è stata contrapposta un diverso indirizzo, propenso, invece, a ritenere che la revoca operi ipso iure, restando, però, sospesa l'esecuzione sino al compiersi del termine biennale o quinquennale di cui all'art. 445, comma 2 c.p.p66.
65 Cass. Pen., Sez. I, 28 settembre 1995, Merico. 66 Cass. Pen., Sez. V, 5 ottobre 1993, Alessiani.
Nessuna di tali soluzioni appare, però, conforme al dato normativo, il quale prevede solo che al maturare del suddetto periodo si produca un effetto estintivo postumo sugli effetti premiali sopravvissuti all'adozione dello schema negoziale; il che prevede che, fino a quel momento, la sentenza di patteggiamento produce tutti gli effetti che le sono propri, compresa la revoca del beneficio sospensivo67.68 2. Un secondo profilo investe la potenziale incidenza della decisione
negoziata, ai fini della revoca dell'indulto di cui l'imputato che patteggia abbia precedentemente fruito; è bene, infatti, ricordare che il sopravvenire di una condanna penale è di regola causa di revoca dell'indulto. D'altro canto, poiché i singoli provvedimenti di condono usano collegare l'evento revocatorio al fatto che la pena irrogata non sia inferiore a soglie predeterminate, non è improbabile che l'imputato che concorda la pena possa lucrare un'ulteriore vantaggio; difatti, lo sconto di pena fino a un terzo potrebbe portare la sanzione al di sotto della soglia in questione, risparmiando al soggetto la perdita del condono. Né si può dubitare che al risultato in parola concorra anche la diminuente indotta dal rito: rileva, per l'operatività della revoca, il fatto della condanna, presa in considerazione nel suo contenuto sanzionatorio concretamente quantificato69.
Laddove, invece, la pena applicata in via negoziata non si collochi al di sotto del limite ostativo alla revoca, la relativa sentenza non potrà 67 In tal senso si è orientata la Suprema Corte a Sezioni Unite con una sentenza del
22 novembre 2000, Sormani.
68 M. Gialuz, la giustizia penale consensuale: concordati, mediazione e
conciliazione, F. Peroni, M. Gialuz, UTET, Torino, 2004, p. 47.
69 Cass. Pen., Sez. I, 11 ottobre 1995, Redegalli; Cass. Pen., Sez. I, 11 maggio 1995, Fadda; Cass. Pen., Sez. I, 31 gennaio 1995, Leuzzi.
che travolgere l'indulto accordato in precedenza; in tal senso si pronuncia parte della giurisprudenza, divisa tra posizioni che riconducono l'effetto revocatorio alla ritenuta natura di condanna della sentenza patteggiata70 e orientamenti inclini a far discendere tale risultato dalla formale equiparazione ad essa di cui all'art. 445, comma 1-bis c.p.p71.
Una diversa opinione presupporrebbe di assumere che detta pronuncia non si identifichi con una condanna: esito questo non consentito per chi aspiri a un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto in discorso.
Un diverso problema riguarda le conseguenze della revoca dal punto di vista della materiale esecuzione della quota di sanzione condonata: è stato sostenuto in giurisprudenza che, in virtù del congegno di estinzione postuma di cui all'art. 445, comma 2, c.p.p., detta esecuzione debba restare sospesa dum condicio pendent72. In altri termini, la condizione risolutiva si presterebbe a neutralizzare la revoca dell'indulto fino all'eventuale sopravvenienza di una condanna tra quelle indicate dalla norma codicistica; viceversa, il perfezionarsi della fattispecie estintiva, tipica del rito, spazzerebbe via anche la revoca dell'indulto intervenuta medio tempore73.
La tesi, però, non appare persuasiva: come già visto a proposito dell'analoga problematica in tema di revoca della sospensione 70 Cass. Pen., Sez. V, 16 giugno 1992, Rosi.
71 Cass. Pen., Sez. IV, 9 marzo 1992, Avolio; cass. Pen., Sez. I, 3 aprile 1991, Bozzoli.
72 “finché la condizione pende”.
73 Cass. Pen-, Sez. I, 18 dicembre 1995, Recanati; cass. Pen., Sez. I, 16 ottobre 1995, Delli Carri.
condizionale della pena, il dato normativo non autorizza ad attribuire alcuna efficacia sospensiva al meccanismo di cui all'art. 445 c.p.p., ma rinvia, semmai, l'estinzione del reato e di ogni altro residuo effetto penale alla condizione, futura ed eventuale, del non conseguimento di determinate condanne.
Quanto alla revoca dell'indulto medio tempore intervenuta, essa comporterà l'immediata esecuzione della pena condonata: esecuzione la quale cesserà solo all'estinguersi della revoca che ne è titolo, quale conseguenza del realizzarsi della condizione risolutiva di cui all'art. 445, comma 2 c.p.p.74
3. Deriva ancora dalla controversa natura della sentenza di patteggiamento il dissidio che in giurisprudenza ha visto contrapposte tesi orientate a sostenere la compatibilità tra rito semplificato e declaratoria di delinquenza qualificata e posizioni, invece, propense a teorizzate l'immunità dell'imputato patteggiante da tale epilogo. La questione, ancora una volta, investe il problema della natura della sentenza patteggiata, lasciando del tutto fuori il profilo del più limitato accesso al rito di cui gode il delinquente qualificato ex art. 444, comma 1-bis c.p.p.
In tale cornice concettuale la Suprema Corte ha specificato che “è vero che l'applicazione delle misure di sicurezza non è l'unico effetto della dichiarazione di abitualità nel delitto e che la sentenza di patteggiamento, per quanto non diversamente previsto, è equiparata a una pronuncia di condanna, ma è anche vero da un lato che alla 74 M. Gialuz, la giustizia penale consensuale: concordati, mediazione e
sentenza di patteggiamento possono ricollegarsi gli effetti di una pronuncia di condanna solo quando sono automatici e dall'altro che secondo la giurisprudenza di questa corte dopo le modificazioni apportate all'art. 69 ord. penit. dall'art. 21 l. 10 ottobre 1986 n. 663, che ha previsto la revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, questa dichiarazione non può essere scissa dall'applicazione della misura di sicurezza, sicché la dichiarazione di abitualità nel delitto da un lato risulta strettamente collegata alle misure di sicurezza, dall'altro presuppone una valutazione di pericolosità estranea al patteggiamento75”.
In un ordine di idee speculare, i Giudici di legittimità hanno altrove rilevato che “la dichiarazione di delinquente abituale concerne una condizione personale del reo, come tale, non vietata, nell'ambito del rito di cui gli artt. 444 ss. c.p.p., dall'art. 445 dello stesso codice, che fa divieto al giudice di applicare pene accessorie e misure di sicurezza76”.
Tale ultima soluzione è sicuramente più persuasiva: gli elementi che fondano di regola la declaratoria di delinquenza qualificata presuppongono una cognizione di per sé non incompatibile con il carattere sommario dell'accertamento ospitato dal rito negoziato; se è indubbio, infatti, che detta sommarietà comporta un procedimento probatorio assai meno articolato di quanto non si registri in sede dibattimentale, è altrettanto certo che essa non potrebbe mai 75 Cass. Pen., Sez. V, 20 gennaio 1994, Guaglianone; nello stesso senso Cass. Pen.,
sez. V, 8 giugno 1998, Suffrè.
76 Cass. Pen., Sez. IV, 6 luglio 1994, Nuti; cass. Pen., Sez. V, 6 novembre 1991, Masciulli.
implicare il sacrificio del nesso inscindibile tra accertamento di responsabilità in ordine al fatto contestato e conseguente applicazione di una sanzione penale, se non al prezzo di riconoscere alle parti, che accedono alla procedura negoziale, uno spazio di disponibilità in ordine a specifici aspetti di oggettività della giurisdizione penale, presidiati da norme di rango costituzionale. Né di alcuno ostacolo a tale soluzione è la peculiarità dell'accertamento sotteso alla fattispecie in esame: benché, infatti, nell'affrontare una valutazione in termini di pericolosità sociale qualificata, il Giudice si trovi investito di un'indagine di tipo personologico, retta su elementi parzialmente estranei alle movenze sommarie della cognizione ospitata nel patteggiamento, ciò non equivale ad alcuna preclusione nei confronti di declaratorie di delinquenza qualificate in sede di rito negoziale. Il che sembra, poi, trovare ulteriore conforto in un indizio di natura testuale e sistematica: è lo steso codice, infatti, nel prevedere la compatibilità tra sospensione condizionale della pena e patteggiamento, a demandare al Giudice destinatario della richiesta ex art. 444 c.p.p. una valutazione di pericolosità del soggetto, analoga, se non altro per quanto concerne i parametri di riferimento, a quella imposta per la dichiarazione di delinquenza abituale77.
77 M. Gialuz, la giustizia penale consensuale: concordati, mediazione e
CAPITOLO III
Il sistema delle impugnazioni della sentenza di Patteggiamento
SOMMARIO: 1. Seconda richiesta da parte dell'imputato. - 1.1. Il ruolo del Giudice