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2. Il collegato lavoro e l’arbitrato. Premessa

3.1. Gli elementi che devono essere contenuti nel mandato

che sia obbligato ad informare l’organismo di mediazione e le parti “delle ragioni di

possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione”. V. SASSANI,SANTAGADA,Mediazione e conciliazione, cit., 37 ss.

26 Tale volontà è già stata manifestata dal legislatore nell’art. 23, comma 2, D. Lgs. 28/2010. V. supra par. 1.

27 Sarebbe stato certamente più opportuno prevedere una apposita disciplina della riservatezza anche nella procedura conciliativa/arbitrale della L. 183/2010, sulla falsariga di quella contenuta nel D. Lgs. 28/2010, allo scopo di migliorare e rafforzare la soluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro. Così VALERINI,

Il passaggio dalla fase conciliativa a quella arbitrale è segnato dalla stipula di un accordo attraverso il quale si conferisce alla commissione di conciliazione il compito di risolvere la lite 28.

Quale sia la natura dell’accordo (se compromesso o clausola compromissoria) non è indicato in maniera espressa dall’art. 412 c.p.c. che fa un generico riferimento al «mandato» da conferire agli arbitri. Tuttavia sembra chiaro che, indipendentemente dal nomen, l’atto con il quale le parti devolvono concordemente la controversia ad arbitri è nella sostanza un compromesso a lite insorta. La scelta di ricorrere all’arbitrato emerge, nell’art. 412 c.p.c., dopo il vano esperimento del tentativo di conciliazione; sicchè la controversia è già in corso e le parti vogliono evitare di rivolgersi al giudice per risolverla.

Il “mandato” quindi altro non è che un compromesso ex art. 808 ter c.p.c.29, per il quale non è richiesto il rispetto di particolari requisiti formali, come è invece stabilito per la convenzione arbitrale ex art. 807 c.p.c. Almeno questo è quello che sembra emergere dalla lettera dell’art. 412 c.p.c. ove non è indicato espressamente se occorra la forma scritta dell’atto e se tale forma debba essere rispettata a pena di nullità. Sul problema, che per il momento lasciamo irrisolto, torneremo a tempo debito 30.

Il secondo comma del nuovo art. 412 c.p.c. prevede che nel mandato con il quale le parti conferiscono l’incarico di decidere la controversia, siano indicati a) il termine per la pronuncia del lodo; b)

28 Osserva BORGHESI,L’arbitrato ai tempi, cit., che il legislatore non si è preoccupato di indicare dei requisiti di forma del mandato ma si è limitato solo ad indicare il contenuto che esso deve avere.

29 L’art. 412 c.p.c. qualifica il lodo come determinazione contrattuale esattamente come lo è il lodo dell’art. 808 ter c.p.c.

30 Si vedrà nel cap. IV se sia possibile o meno ritenere che si applichi tutta la disciplina contenuta nell’art. 808 ter c.p.c anche se non espressamente richiamata, ivi inclusa quella relativa alla forma del compromesso.

le norme a sostegno delle pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità 31.

Quanto al termine per la pronuncia del lodo, è stabilito che esso non possa superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato e che, nell’ipotesi di suo mancato rispetto, l’incarico debba intendersi revocato di diritto 32.

Vi è da chiedersi se le parti, nonostante lo spirare del termine, possano optare per una prosecuzione della procedura arbitrale – in maniera non dissimile da quanto previsto nell’art. 820, comma 3, lett. a) c.p.c. Ciò sembrerebbe escluso poiché, a differenza di quanto avviene nell’arbitrato ex artt. 806 ss. c.p.c., ove la determinazione del termine è affidata alle parti e solo residualmente alla legge (ove manchi l’indicazione dei litiganti), nella procedura in esame, il termine massimo, a prescindere dalla fissazione ad opera delle parti, è comunque determinato ex lege (tanto da dover ritenere che se il termine non è indicato o è indicato in misura maggiore, si applicano automaticamente i sessanta giorni previsti per legge). Pertanto non

31 Osserva DELLA PIETRA, Un primo sguardo, cit., che l’art. 412 c.p.c. individua un contenuto minimo che l’accordo compromissorio deve contenere mentre in via interpretativa possono desumersi ulteriori eventuali elementi. «il mandato può contenere una rimodulazione delle domande. Se le parti tacciono, valgono quelle formulate ai fini della conciliazione; ne è però senz’altro consentita la modifica, e neppure possono reputarsi vietate domande nuove (perlomeno quelle giustificate da circostanze emerse in sede conciliativa), posto che la conciliazione più non è condizione di procedibilità del successivo giudizio». Deve tuttavia obiettarsi che l’eventuale rimodulazione delle domande non è elemento che deve o può essere contenuto nel mandato ex art. 412 c.p.c. Essa semmai può essere espressa nella domanda di arbitrato che il ricorrente intende proporre. E’ nel ricorso arbitrale che sono contenuti il petitum e la causa petendi ed è pertanto in tale sede che deve essere indicata una loro eventuale variazione rispetto al contenuto della richiesta in sede conciliativa. Per BORGHESI,L’arbitrato ai tempi, cit., l’indicazione delle norme invocate dalla parti a sostegno delle loro pretese sembrerebbe un requisito della domanda arbitrale piuttosto che dell’accordo conciliativo come invece emerge dall’art. 412 c.p.c.

32 E’ perciò la legge stessa che riconduce allo spirare del termine la revoca dell’incarico.

solo dovrebbe escludersi la fissazione di un termine superiore ai sessanta giorni ma anche la possibilità di proroga33.

E’ questa una scelta poco apprezzabile dal momento che per mere ragioni di “economia arbitrale” si finirebbe per violare la volontà delle parti di evitare la via giurisdizionale, obbligandole ad agire innanzi ai giudici per risolvere la controversia 34. Così facendo l’arbitrato diverrebbe uno strumento volto non già a favorire lo smaltimento del carico degli uffici giudiziari quanto piuttosto ad appesantirlo. Ragion per cui la norma deve essere letta nel senso di tutelare e garantire l’autonomia delle parti così da consentire, nel caso di concorde richiesta scritta, una proroga del termine 35.