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Potrebbe ritenersi ammissibile un arbitrato amministrato ex art. 832 c.p.c. con riferimento all’arbitrato rituale. Per quest’ultimo, l’art. 806, comma 4, c.p.c. (così come modificato dal D. Lgs. 40/2006), prevede che il contratto collettivo debba solo autorizzare il ricorso all’arbitrato e non anche determinare le regole da applicare alla procedura. Sicchè è da ritenersi ammissibile che le parti possano modificare il contenuto dei regolamenti arbitrali collettivi con l’introduzione di loro previsioni che prevarranno in ogni caso sulle regole dell’istituzione. In argomento v. BORGHESI,Arbitrato per le controversie di lavoro, in AA.VV.,Arbitrati speciali, commentario diretto da CARPI, Bologna, 2008, 15, secondo cui la particolare funzione attribuita alla contrattazione collettiva e la sua equiparazione alla legge fanno ritenere che nella materia del lavoro «la gerarchia tra la convenzione di arbitrato e il regolamento arbitrale debba essere rovesciata rispetto a quella stabilita dall’art. 832, comma 4°, c.p.c. e che, conseguentemente, a prevalere sia il secondo sulla prima».

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La regola contenuta nell’art. 429, comma 3 c.p.c. 118 - in forza della quale il giudice che condanna il datore di lavoro al pagamento delle spettanze di natura retributiva e risarcitoria del lavoratore può condannare altresì al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria - trova applicazione (sotto la vigenza della normativa ormai abrogata) anche nel processo arbitrale grazie al comma 3 dell’art. 412 ter c.p.c. (abr.) Il riconoscimento del diritto al maggior danno non è più un potere esclusivo del giudice ma viene attribuito anche agli arbitri. La scelta del legislatore non deve sorprendere atteso che la regola contenuta nell’art. 429, comma 3 c.p.c. è di diritto sostanziale, oltre che processuale, e quindi trova applicazione «con riferimento ai diritti ivi previsti a prescindere da ogni riconoscimento in sede giurisdizionale o arbitrale» 119. Chi ha il potere di riconoscere il credito ha il conseguente potere-dovere di riconoscere gli interessi e il maggior danno. Il diritto alla rivalutazione monetaria è quindi affermabile anche dagli arbitri in quanto è diritto sostanziale attribuito dalla legge al lavoratore che beneficia di un provvedimento di condanna ad un credito di lavoro 120; e ciò a prescindere dall’intervento del giudice.

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Il comma 3 dell’art. 429 c.p.c. prevede che «il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto».

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Così LUISO,L’arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro dopo la riforma del 1998, cit., 36. V. anche PROTO PISANI,Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993, 109. Sulla natura sostanziale della regola contenuta nell’art. 429, comma 3, c.p.c., v. in giurisprudenza Cass., 21 febbraio 1986, n. 1076, in Mass. Giur. It., 1986; Cass., 8 gennaio 1999, n. 92, ivi, 1999; C. Conti, sez. Riunite, 18 ottobre 2002, n. 10, in Foro

Amm., 2002, 2656, con nota di ARRIGUCCI.

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Il diritto al maggior danno costituisce una componente della originaria obbligazione, più precisamente una componente dell’originario credito di lavoro al quale la rivalutazione si affianca al fine di adeguare la retribuzione nominale a quella reale in ipotesi di aumento del costo della vita. Cfr. Cass., 8 agosto 2003, n. 12023, in

Il comma 4 dell’art. 412 ter c.p.c. (abr.) regola la distribuzione del carico delle spese della procedura arbitrale attraverso un richiamo alle regole dettate dagli artt. 91, comma 1 e 92 c.p.c. per il processo civile, facendo salva la possibilità che i contratti collettivi prevedano un diverso regime rispetto a quello dettato nel libro primo del codice di rito. Viene così introdotto per l’arbitrato (irrituale)121 il principio della soccombenza (salva l’attuazione dell’art. 92 c.p.c. che consente la compensazione delle spese) la cui applicazione al lodo ne presuppone la natura di giudizio 122.

Il contratto collettivo può stabilire che le spese siano distribuite secondo principi diversi da quelli richiamati dall’art. 412 ter c.p.c. (abr.) e quindi in deroga alla regola della soccombenza. Il che attribuisce alle parti sindacali un compito piuttosto impegnativo in quanto la scelta per le parti di ricorrere in arbitrato in alternativa alla via giurisdizionale può essere notevolmente influenzata dalla economicità o meno della procedura 123.

Mass. giur. lav., 2004, 6, 202; Cass., sez. un., 25 luglio 2002, n. 10955, in Giur. it., 2003, 662, con nota di CANAVESE.

121

Sulla natura dell’arbitrato degli artt. 412 ter e quater c.p.c. v. infra cap. II. Per ora è sufficiente rilevare che vi può essere una incompatibilità tra arbitrato irrituale e soccombenza per chi considera il lodo libero alla stregua di un arbitraggio di una transazione. Sul punto v. SCHIZZEROTTO,Arbitrato improprio e arbitraggio, Milano, 1967, 253, il quale ritiene che l’attribuzione agli arbitri del potere di liquidare le spese è indice della natura rituale dell’arbitrato.

122

Quale che sia la natura dell’arbitrato, l’art. 412 ter c.p.c. prevede che un arbitro possa decidere sulla fondatezza delle pretese delle parti. Una volta accolta o rigettata la domanda sarà possibile identificare una parte vittoriosa ed una soccombente. Sulla natura di giudizio del lodo con il quale si applica la regola della soccombenza per le spese del procedimento, v. MURONI, La nuova disciplina dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., 1345; BORGHESI,Un nuovo statuto per l’arbitrato irrituale, cit., 815.

123

Sull’importanza della scelta di attribuire alla contrattazione collettiva il ruolo di regolare il carico delle spese v. BORGHESI,L’arbitrato irrituale, cit., 2021, il quale osserva che si «mette nelle mani delle controparti sindacali una leva niente affatto secondaria ai fini dell’incentivazione o disincentivazione del ricorso all’arbitrato, costituita dalla possibilità di ridurre al minimo o di eliminare totalmente il rischio per il lavoratore soccombente di doversi sobbarcare le spese del datore di lavoro»

9. L’intervento “correttivo” attuato con D. Lgs. 387/1998.

Alle incertezze 124 suscitate dalla disciplina contenuta nel D. Lgs. 80/1998, cerca di mettere fine il successivo decreto 387/1998 125 che, con i suoi interventi correttivi, muta la fisionomia dell’istituto disegnato dal precedente testo normativo.

Veniamo alle modifiche apportate all’art. 412 ter c.p.c. (abr.)126 L’art. 19 D. Lgs. 387/1998 interviene sulla rubrica dell’art. 412 ter c.p.c. (abr.) per qualificare espressamente come irrituale l’arbitrato ivi disciplinato. La puntualizzazione ha fatto seguito alle incertezze sorte all’epoca dell’entrata in vigore del D. Lgs. 80/1998 in ordine alla natura del procedimento e del relativo lodo. Nel silenzio del primo decreto legislativo - che introduceva gli artt. 412 ter e quater c.p.c. - era lecito chiedersi se la nuova normativa avesse introdotto una figura di arbitrato rituale speciale per le controversie di lavoro - da coordinare con quella di diritto comune contenuta negli artt. 806 ss. 127 c.p.c. - oppure se avesse

124

Parla di incertezza sulla natura dell’istituto arbitrale, dato alla luce dal D. Lgs. 80/1998, la relazione illustrativa al D. Lgs. 387/1998.

125

Il D. Lgs. 387/1998 detta «Ulteriori disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni, e del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80».

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Sul testo dell’art. 412 ter c.p.c. dopo l’intervento di modifica del D. Lgs. 387/1998 v. nota 78. E’ da osservarsi tuttavia che le modifiche più incisive attuato con il D. Lgs. 387/1998 sono state certamente realizzato sull’art. 412 quater c.p.c. in tema di impugnazione del lodo e di dichiarazione di esecutività. In luogo della precedente formulazione che prevedeva la possibilità di censurare il lodo dinanzi alla Corte d’appello entro trenta giorni dalla notificazione, per violazione di norme inderogabili di legge o per difetto assoluto di motivazione, la nuova formulazione stabilisce che l’impugnazione si proponga con ricorso dinanzi al tribunale in un unico grado, in funzione di giudice del lavoro. Con riferimento all’esecutività, è stato eliminato il passaggio del lodo attraverso l’ufficio provinciale per la verifica dell’autenticità del lodo ed è stata prevista come condizione per l’acquisto dell’efficacia esecutiva della decisione la sua inimpugnabilità.

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In tal senso v. SALVANESCHI,Il nuovo arbitrato in materia di lavoro, cit. 40 ss.; CECCHELLA,Ancora sul d. lgs. 80/1998, cit., 427 ss.; ID., voce Arbitrato nelle

inserito per la prima volta nel codice un modello di arbitrato libero 128, in aggiunta o in sostituzione all’arbitrato dell’art. 5 L. 533/1973. Era anche prospettata l’idea che si trattasse di una disciplina unitaria per le controversie giuslavoristiche, come tale applicabile ad entrambe le figure di arbitrato129.

Si vedrà che 130, nonostante la precisazione offerta dal D. Lgs. 387/1998, i dubbi intorno alla natura dell’istituto previsto dagli artt. 412 ter e quater c.p.c. (abr.) permangono.

Ulteriore novità introdotta dall’art. 19 del D. Lgs. 387 cit. è la sostituzione al riferimento esplicito all’art. 410 bis c.p.c., contenuto nell’art. 412 ter c.p.c. (abr.), riferimento in base al quale si giungeva a

controversie di lavoro, in Il diritto, Enc. giur. Sole 24 ore, Milano, 2007, 599 ss.; ID., Sull’arbitrato delle controversie del pubblico impiego tra giurisprudenza e legislatore delegato (D.Lgs. n. 80 del 1998), in Riv. arb. , 1998, 256 ss.,secondo il quale, in seguito agli interventi del legislatore delegato del marzo 1998, il nostro sistema avrebbe previsto, in tema di controversie di lavoro, tre tipi di arbitrato: un arbitrato rituale non equitativo con clausola di precostituzione collettiva che seguirà le disposizioni degli artt. 808 ss., un arbitrato rituale post tentativo di conciliazione con precostituzione collettiva nelle forme previste dagli artt. 412 ter s. c.p.c. con possibilità di pronuncia equitativa, infine un arbitrato irrituale puro ex art. 5 l. n. 553/73 anche equitativo, salve sempre le norme inderogabili di legge.

128

Così MAGRINI,La “piccola riforma” della conciliazione e dell’arbitrato, cit., 1587; BORGHESI, Un nuovo statuto per l’arbitrato irrituale, cit., 809; SGARBI, Gli

arbitrati in materia di lavoro dopo il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in Lav. giur., 1998, 457 ss.

129

V. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, 67; cfr. in particolare, MURONI,La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 1342, secondo la quale l’art. 412 ter regola tanto l’arbitrato irrituale quanto quello rituale. Per l’A. «L’esigenza di accentuare il ruolo dei sindacati nella risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro è stata in fondo sempre avvertita anche in seno all’arbitrato rituale, in cui il divieto di compromesso individuale rimane ancor oggi ben radicato nel disposto dell’art. 806 c.p.c. Non è pertanto escluso che la giurisprudenza, nell’ottica di rafforzare le garanzie del lavoratore, tenderà ad applicare l’art. 412-ter c.p.c. anche all’arbitrato rituale. Del resto, questa norma ha introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alle commissioni presso gli Uffici provinciali del lavoro anche nel caso in cui la controversia venga poi deferita ad arbitri (…) sarebbe alquanto incongruente ritenere che il legislatore abbia previsto questo strumento, che già per sua natura meglio si inserisce nel contesto spiccatamente decisorio dell’arbitrato rituale, solo nel caso in cui la controversia sia deferita ad arbitri liberi.»

130

Sui problemi relativi alla natura dei lodi di lavoro v. infra cap. II, in particolare par. 1.

dubitare dell’utilizzabilità dell’arbitrato irrituale nel settore del pubblico impiego131. L’art. 410 bis c.p.c. disciplina il termine per l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro privato, mentre per quelle di pubblico impiego detto termine è previsto dall’art. 69 D. Lgs. 29/1993 132.

Ne consegue che la previsione dell’art. (abr.) c.p.c. di subordinare l’instaurazione dell’arbitrato all’esaurimento della conciliazione ai sensi dell’art. 410 bis c.p.c., esclude la possibilità di devolvere ad arbitri - secondo la disciplina suddetta – le controversie il cui termine per l’espletamento della conciliazione obbligatoria sia diverso da quello dell’art. 410 bis c.p.c (ergo quelle di pubblico impiego).

Con il D. Lgs. 387/1998 si è sostituita la previsione ostativa all’applicabilità dell’arbitrato ex artt. 412 ter e quater c.p.c. (abr.) al pubblico impiego con un riferimento generico alla decorrenza del «termine previsto per l’espletamento» affinchè possa essere devoluta una lite ad arbitri 133.

Tuttavia l’ostacolo maggiore dell’estensione dell’arbitrato alle controversie di pubblico impiego (al momento dell’entrata in vigore del D. Lgs. 387/1998) resta l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi, previsto dall’art. 68 bis D. Lgs. 29/1993 134. Infatti, nonostante la privatizzazione del pubblico

131

Sul punto v. VACCARELLA,Appunti, cit. 751.

132

Il termine previsto per l’espletamento del tentativo di conciliazione nell’impiego privato era di sessanta giorni mentre quello del pubblico impiego era di novanta. Deve rilevarsi che oggi né l’un termine né l’altro sono più vigenti attesa l’abrogazione del tentativo obbligatorio di conciliazione ad opera della L. 183/2010.

133

V. VACCARELLA,Appunti, cit., 753.

134

L’art. 68 bis D. Lgs. 29/1993, modificato prima dall’art. 30 D. lgs. 80/1998 e poi dall’art. 19 D. Lgs. 387/1998 (poi abrogato dal D. Lgs. 165/2001 che ha abrogato tutto il D. Lgs. 29/1993) prevedeva: «Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all'articolo 68 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale

impiego potrebbe far propendere per una generale compromettibilità di queste controversie, risulta difficile coordinare il disposto dell’art.68 bis D. Lgs. 29/1993 con lo svolgimento del procedimento arbitrale nel quale per la definizione della controversia individuale insorga una questione

delle pubbliche amministrazioni - ARAN - ai sensi dell'articolo 45 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all'ARAN. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l'ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo 53. Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo la procedura si intende conclusa. Se non interviene l'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento, alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d'ufficio, l'udienza per la prosecuzione del processo. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte»

pregiudiziale relativa all’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi 135.

Con il D. Lgs. 165/2001, con cui si è abrogato il D. Lgs. 29/1993, si è poi previsto all’art. 56 136 una speciale forma di arbitrato per l’impugnazione delle sanzioni disciplinari dei pubblici dipendenti con le modalità e gli effetti previsti per l’arbitrato irrituale disciplinato dallo Statuto dei lavoratori.

Infine è da segnalare la L. 183/2010 con la quale si è messo un punto sulla possibilità di devolvere ad arbitri le controversie di pubblico impiego: la nuova legge, con l’abrogazione dei precedenti normativi in materia, prevede che tutta la disciplina del codice di rito, così come innovata dalla stessa legge, si applichi alle controversie di lavoro pubblico 137. Solo oggi, con la L. 183 cit. si è quindi giunti a realizzare l’obiettivo che ci si augurava di perseguire con il D. lgs. 387/1998 e cioè quello di unificare la disciplina della risoluzione alternativa delle controversie per l’impiego pubblico e privato.

10. I motivi di impugnazione del lodo alla luce del D. Lgs. 387/1998.

Alla dettagliata disciplina del procedimento arbitrale di lavoro, contenuta nell’art. 412 ter c.p.c. (abr.), non corrisponde una altrettanto

135

Sul punto v. LUISO, L’arbitrato irrituale, cit., 40 s.; MURONI, La nuova disciplina, cit., 1345; CECCHELLA,La riforma, cit., 180.

136

Norma poi abrogata dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 72, D. Lgs. 150/2009

137

Il comma 9, art. 31, L. 183/2010 prevede che «le disposizioni degli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

particolareggiata regolamentazione dell’impugnazione del lodo da parte del successivo art. 412 quater c.p.c. (abr.) 138. Prima del D. Lgs. 387/1998 era previsto che il lodo arbitrale di lavoro fosse impugnabile per «violazione di disposizioni inderogabili di legge» e per «difetto assoluto di motivazione», con ricorso da depositarsi entro trenta giorni dalla notificazione della decisione da parte degli arbitri davanti alla Corte d’appello, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione si trova la sede dell’arbitrato.

Con il D. Lgs. 387/1998 la disciplina dell’impugnazione del lodo di lavoro muta sensibilmente. L’aspetto più innovativo da un lato, e più problematico dall’altro, è quello del venir meno delle ragioni di impugnazione del lodo. Nel nuovo (ed attualmente abrogato) art. 412 quater c.p.c. (abr.) scompare ogni riferimento alla impugnabilità per violazione di norme inderogabili di legge e di contratti collettivi e manca una qualsiasi indicazione di motivi di censura della decisione finale. Problematico diviene perciò comprendere quando il lodo possa ritenersi invalido e quindi quando e se possa essere impugnato dalle parti davanti all’autorità giudiziaria.

All’uopo si deve tener conto che, nel caso di lacuna normativa, all’interprete può essere lasciata la possibilità di individuare le regole da applicare al caso concreto attraverso il ricorso all’analogia. Postulando quest’ultima la similarità e l’affinità tre le materie o i casi da regolare, si

138

L’art. 412 quater c.p.c., riformato dal D. Lgs. 387/1998, e poi modificato dalla L. 183/2010, prevedeva che «Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.

Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto».

giunge a ritenere che l’individuazione dei motivi di impugnazione del lodo di lavoro possa essere compiuta rinviando ai motivi di censura previsti per un lodo analogo. Il problema allora si riduce nel comprendere quale sia il lodo “analogo” a quello degli artt. 412 ter e quater c.p.c. (abr.), e cioè se esso sia quello rituale o irrituale 139.

In un caso si applicheranno determinate regole per analogia (art. 829 c.p.c.), nell’altro ne opereranno di diverse (impugnative negoziali)

140

..

La risposta al problema sta allora nello stabilire quale sia la natura dell’arbitrato giuslavoristico in modo da poter applicare ad esso le norme del modello arbitrale del quale condivide la natura. Il tutto nei limiti di