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I resoconti analizzati consentono di evidenziare l’impegno posto dall’Alepus per la diffusione dei sacramenti nella sua diocesi. Dovettero agire sul prelato gli stimoli prodotti dal Concilio di Trento, dove sin dal 1547 era cominciata la preparazione dei decreti sui sacramenti e dove, nella prospettiva della salvezza

491 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 182. 492 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 192. 493 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 201. 494 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 204.

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dell’uomo, era stato ribadito che i sette sacramenti erano stati istituiti proprio a tale fine495.

La loro lettura ci consente di affermare un particolare interesse dell’Alepus verso i sacramenti della Cresima, del Battesimo e dell’Eucaristia.

A riguardo della cresima, sulla quale il Concilio si era espresso ribadendo che era un sacramento e non una otiosam cerimoniam496, è sufficiente dire che il

presule lo amministrò in tutte le parrocchie visitate, fatta eccezione delle parrocchie di Olmedo e di Salvenero, e quelle di Uri e Usini. I cresimandi di queste ultime due parrocchie furono confermati nel corso di una cerimonia collettiva nella parrocchia di Santa Maria de Paludibus497.

A conferma dell’importanza attribuita dal presule a questo sacramento, è interessante notare come i resoconti visitali riportino gli elenchi dei confermati, assieme a quelli dei loro padrini e come il visitatore avesse ritenuto necessario prendere nota della presenza, in alcune delle parrocchie visitate, dei libri amministrativi ove risultavano segnati i confermati e i battezzati498. Vennero

495 Oltre al lavoro di H.JEDIN, Storia del Concilio di Trento cit., cfr. J.CHELINI, L’apporto canonico del Concilio, cit., pp. 238-241. Assai interessante l’approccio ad alcuni sacramenti tridentini (battesimo, eucaristia, confessione, matrimonio) proposto da A. PROSPERI, Il Concilio di Trento: una introduzione storica cit., pp. 114-142, che indaga problematicamente sul rapporto tra ufficialità dei sacramenti e pratica popolare. Cfr. anche J.BOSSY, Padrini e madrine: un’istituzione sociale del cristianesimo popolare in Occidente, in Past and Present, 41, maggio-agosto 1979, pp. 440-449; dello stesso autore Sangue e battesimo in Dalla comunità all’individuo. Per una storia sociale dei sacramenti nell’Europa moderna, Torino 1998, pp. 37-58. Sull’eucaristia, cfr. M. RUBIN, Corpus Christi. The Eucharist in Late Medievale Culture, Cambridge 1991. Sulla confessione, si vedano i problematici e originali saggi di: J. DELUMEAU, La confessione e il perdono. Le difficoltà della confessione dal XIII al XVIII secolo, Cinisello Balsamo 1993; P.ANGELO AMATO, I pronunciamenti tridentini sulla necessità della confessione sacramentale nei canoni 6-9 della sessione XV (25 novembre 1551). Saggio di ermeneutica conciliare, Roma 1975. Sul matrimonio, cfr. J. GAUDEMET, Il matrimonio in Occidente, Torino 1989 e D.LOMBARDI, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Trento alle riforme settecentesche, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio e Ch. Klapisch- Zuber, Bari 1996, pp. 215-250.

496 Riprendiamo la citazione da J.CHELINI, L’apporto canonico cit., p. 240. 497 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 196.

498 Spia anche dell’interesse verso il sacramento del battesimo. I riferimenti al libro dei

battezzati, dei confermati e, in un caso, ai Quinque Libri (Ruzzu, p. 197: visita a Ossi) sono utili in quanto mostrano il grado di formazione del clero in diocesi di Sassari negli anni immediatamente precedenti o contemporanei al Concilio di Trento e come l’uso dei libri amministrativi avesse preceduto in questa diocesi le disposizioni tridentine. Non sempre le informazioni consentono di stabilire se esistessero due libri distinti, uno per ciascun sacramento, o uno solo per entrambi. Nella parrocchia di Osilo il presule diede precise

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cresimate complessivamente 1.265 persone. Non sappiamo se dappertutto fossero stati cresimati, come a Usini Uri e Paulis, solo pizzinnos o se l’Alepus avesse dovuto ‘sanare’ le manchevolezze sacramentali degli anni precedenti con l’amministrazione della cresima anche a individui di età adulta499.

Per quanto concerne l’Eucaristia, l’interesse verso questo sacramento si evince dall’accuratezza con cui il presule effettuò, parrocchia per parrocchia, la

visitatio al Santissimo e, soprattutto, dal tenore delle disposizioni da lui emanate per correggere gli abusi rilevati. D’altro canto, già negli anni precedenti, nel corso delle discussioni conciliari l’Alepus aveva assunto una posizione ben definita nei confronti dell’Eucaristia e nel dibattito sull’opportunità di ricorrere alla comunione sotto le due specie, l’Alepus si era collocato fra coloro che sostenevano come questa fosse più ricca di grazia rispetto a quella fatta sotto una sola specie, anche se nei verbali della visita pastorale non emergono dati che facciano supporre un intervento del presule mirato alla promozione della comunione con il pane e il vino consacrati500.

Nella maggior parte delle parrocchie visitate il Santissimo risultò custodito

decenter. Solo a Sorso il presule ordinò che fosse riparata la custodia metallica dove era conservata, «indecentissime et inhonestissime», l’Eucaristia e ne fosse realizzata una d’argento «ut sacratissimus Corpus Cristi reconditus stet reverenter et

prout decet»501.

Ci sembra interessante notare che i verbali visitali restituiscono l’immagine di un clero già attento alla conservazione decorosa del Santissimo - raramente però custodito dentro il tabernacolo502 -, probabilmente come riflesso di quella lunga

attività di educazione e formazione dei religiosi con cura d’anime fatta in diocesi di Sassari per iniziativa dell’Alepus, ancora prima che su questo sacramento si pronunciasse, fra il 1547 e il 1562, il Concilio di Trento503.

indicazioni per la corretta compilazione del libro dei battezzati, in quo describantur baptigiatorum parentes et patrinorum eorum (M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 192).

499 Per la distribuzione dei cresimandi in ciascuna parrocchia, cfr. la tabella in appendice al

presente lavoro.

500 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 95. 501 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 184.

502L’uso del tabernacolo era stato affermato dal concilio di Nicea, ma evidentemente la

norma era disattesa, cosicchè il tridentino sentì il dovere di deliberare in tal senso. Nel caso di quelli rilevati nella visitatio, c’è da evidenziare che in alcuni casi essi venivano usati anche per la conservazione degli oli crismali e e dei libri amministrativi. Cfr. M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 191 (visita a Osilo), p. 194 (visita a Usini), p. 196 (visita a Olmedo), p. 199 (visita a Ploaghe).

503 J. CHELINI, L’apporto canonico del Concilio cit., p. 240. L’Eucaristia fu oggetto delle

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Con più difficoltà emerge, invece, l’interesse del presule per la confessione. Una prima lettura della fonte ne indicherebbe una certa marginalità nel panorama sacramentale dell’Alepus. Ma è fuorviante pensare che essa coincida con un minore interesse del presule. Al contrario, come si vedrà, l’atteggiamento del visitatore è assai severo a riguardo di questo sacramento che a Trento fu oggetto di numerose discussioni teologiche sin dal 1547504.

A Osilo, l’arcivescovo comandò ai curati di compilare entro il successivo mese di aprile gli elenchi di coloro «qui si hapan de confessare» e di coloro «qui de

restare senza confessaresi». Per questi ultimi, era prevista la pubblica esposizione: «tres o bator homine de bene… hapan mirare pro los poner a virgongia»505. A Paulis, lo

Zonchello, su mandato dello stesso presule, comanderà ai «prejderos et jaganos» della chiesa di Santa Maria di provvedere alla registrazione dei confessati in un apposito libro e di riferire direttamente all’arcivescovo i nomi di coloro che non si fossero avvicinati al sacramento entro venti giorni trascorsa la Pasqua506.

A Sorso, la parrocchia più problematica fra quelle visitate in quanto a cura d’anime e conflitti sociali, il predicatore quaresimale era invitato a esortare i fedeli «a la penitensia y confessio de llurs peccats»507.

L’Alepus, insomma, si adoperava perché nella sua diocesi la pratica sacramentale si normativizzasse sulla scorta di quanto indicato dal Concilio nel decreto del 25 novembre 1551508: l’obbligo di confessarsi una volta all’anno.509

Recepì anche, ci pare, quel carattere di atto giudiziario di diritto divino emerso nelle discussioni conciliari510. Da ciò scaturì il bisogno da parte dell’Alepus di

esercitare il controllo sui confessati, attraverso la comminazione di severe pene,

interamente dedicata a questo sacramento, mentre le decisioni finali, riguardanti soprattutto l’uso del calice e la comunione sotto le due specie, rimandano alle fasi finali del Concilio, nel 1562.

504 Sulla dottrina dei sacramenti, cfr. J.CHELINI, L’apporto canonico del Concilio cit., pp. 239-

243. Sulla penitenza, in particolare, si vedano le pp. 240-241.

505 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 194.

506M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 196: «Assos quales [prejderos et jaganos] fuit interrogados quantas animas de confessione bihat in dicta villa, et narant qui sunt treguentes vel circa, assos quales si cumandat qui hapant de scrier totu sos qui si confessan in dicta villa, et y cuddos qui non si cunfessan et qui a XX die fatu Pasca, hapant a portare dits memoriales assu rev.mu Senore Archiepiscopu o vicariu sou».

507 M. RUZZU, La chiesa turritana cit., p. 189.

508 A.PROSPERI, Il Concilio di Trento cit., pp. 124-125. Il Concilio riconfermò quanto stabilito

dal Lateranense IV.

509 Sulla confessione, cfr. W. MONTER, Riti, mitologia e magia in Europa all’inizio dell’età moderna, Bologna1987, p. 15.

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con evidenti ricadute anche sul piano delle dinamiche sociali, per chi non rispettava l’obbligo di confessione annuale. Si intravvede la strategia sacramentale dell’Alepus, per il quale, come del resto fu per numerosi altri vescovi tridentini e soprattutto post tridentini, la confessione non era più concepita come “consolazione delle coscienze individuali”511 ma come “mezzo di governo

vescovile dei comportamenti collettivi”512, cioè in ultima analisi come concreta

possibilità di controllo e governo dei popoli.

Dobbiamo tuttavia ravvisare due distinte strategie a proposito della confessione. La prima riguarda il popolo, cioè i laici, per i quali la norma prevedeva che il peccato non emendato con la confessione vada pesantemente e pubblicamente punito. La seconda, meno severa, che si colloca in una dimensione di riconciliazione del peccatore, cioè di consolazione della coscienza, riguardava invece il clero. Il sacerdote «qui tenent conscientia de peccato mortale» era diffidato dalla celebrazione della messa, se non avesse prima provveduto, in forma privata, «a se reconciliare»513.

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