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Capitolo III – Strumenti giuridici utilizzati e prospettive future per la tutela dei migranti climatic

3. Gli Stati Uniti e il Temporary Protected Status (TPS)

Anche gli Stati Uniti hanno da tempo adottato un sistema previsto appositamente per la gestione di emergenze che causano lo spostamento di un numero notevole di soggetti. L’istituto in questione è definito Temporary Protected Status, ed è contenuto all’interno dell’Immigration and Nationality Act del 1990. Questo prevede che venga designato un paese specifico che si trova in una situazione tale da necessitare di aiuto umanitario. L’atto si riferisce quindi alle ipotesi in cui dei cittadini stranieri abbiano bisogno di tutela immediata nonostante non si tratti di soggetti che possano rientrare nella

257 Per un’analisi dei collegamenti tra slow-onset hazard, prospettive agro-ambientali di

sostentamento e sviluppo e fenomeni migratori, si veda infra, Cap. IV.

258 Sulla differenza tra il concetto di “potable water” e quello di “safe drinking water” si concentra

parte del parere contrario della relatrice V. Sancin, espresso nei confronti della decisione di merito adottata dal Comitato ONU sui diritti civili e politici per il caso Teitiota v. Nuova Zelanda. Sul punto, vedi Cap. IV § 2.2.

definizione giuridica di rifugiati o richiedenti asilo259. Il TPS viene riconosciuto nei confronti di uno specifico paese, e può prevedere periodi di applicazione che vanno dai 6 ai 18 mesi. Questi termini possono essere prorogati, e non vi è nessun tipo di limitazione riguardo al numero di proroghe che il limite ultimo può avere, dato che la decisione riguardo ai termini del TPSs viene presa in base al permanere delle condizioni di emergenza all’interno dello Stato designato. I cittadini che possono richiedere il TPS sono solo quelli che si trovavano già nel territorio degli Stati Uniti nel momento in cui si è verificato l’evento, e ricevono un documento di registrazione e un’autorizzazione che gli permette di ottenere lavoro fino al termine finale del periodo previsto. I presupposti che permettono l’applicazione di tale status fanno riferimento a situazioni in cui lo Stato straniero richiede il riconoscimento perché è in atto un conflitto armato all’interno di quello Stato, per cui richiedere agli stranieri presenti sul territorio statunitense di ritornare in patria significherebbe esporli a dei gravi rischi; oppure, l’altra ipotesi contemplata e particolarmente rilevante ai fini della presente analisi è quella relativa ai casi in cui si siano verificati degli eventi climatici estremi260, come terremoti, inondazioni, uragani o fenomeni di siccità e desertificazione tali per cui vi sia stata una temporanea interruzione delle condizioni che permettono una vita adeguata nelle aree soggette ai disastri. In questo caso, quindi, ai soggetti che abbiano nazionalità nello stato per cui è riconosciuto il TPS, è data la possibilità di richiedere lo specifico documento che gli permetta di rimanere in territorio USA, vista l’impossibilità di fare ritorno nel paese originario.

259Congressional Research Service, Temporary Protected Status: Overview and Current Issues,

2019, cit. p. 2.

Questo modello dimostra come la normativa regionale e nazionale sia stata spesso in grado di rispondere a situazioni specifiche riguardanti la gestione dei migranti per cause climatiche. Ciò è stato fatto prevedendo degli strumenti interni che hanno sicuramente portata ed evoluzioni molto diverse: si pensi quindi al confronto tra la scelta europea di escludere i natural disasters dai presupposti di applicazione della protezione sussidiaria, alla normativa italiana che al contrario amplia l’istituto prevedendo le ipotesi di disastri naturali nel Testo Unico sull’immigrazione, e agli Stati Uniti, che invece prevedono sì uno strumento per fronteggiare simili necessità, ma che possa essere utilizzato soltanto da quei soggetti che già risiedono all’interno del territorio statunitense, escludendo quindi a priori tutti quelli che hanno avuto la “sfortuna” di trovarsi nel proprio stato al momento del disastro, e che quindi non potranno beneficiare di alcun tipo di protezione o di facilitazione nello spostamento. Abbiamo quindi a che fare con tre approcci giuridici dei quali andrebbero individuati i “possibili denominatori comuni”261, dato che, fino ad ora, non vi è stata ancora una spinta propulsiva tale da riportare questi contenuti all’attenzione del diritto internazionale, per la creazione di strumenti che potessero avere valenza generale.

4. Le prospettive future

261 Sul confronto tra questi tre impianti giuridici, si veda ZANIBONI E., Ancora in tema di

protezione per le persone sfollate a seguito di disastro, in Il blog della Società Italiana di Diritto Internazionale e Diritto dell’Unione Europea, vol.2, 2015, cit.p. 340.

Il fenomeno delle migrazioni in correlazione ai disastri naturali è stato ormai descritto nelle sue linee fondamentali, e sono state evidenziate le problematiche tutt’altro che banali che un eventuale intervento organico in tema di diritto internazionale dovrebbe risolvere. Non pochi sono stati gli interventi regionali già adottati262 per la gestione di circostanze particolarmente urgenti e gravi, come è in parte stato analizzato nel paragrafo precedente.

Sarà ora necessario invece fare riferimento alle iniziative che hanno riguardato i maggiori organi internazionali che si sono soffermati sullo studio della materia, prospettando delle soluzioni future che potrebbero aiutare, se implementate, ad affrontare il fenomeno. A tal proposito è necessario soffermarsi sul lavoro svolto dalla Commissione di Diritto Internazionale a partire dal 2007, anno in cui, in occasione della cinquantanovesima sessione, è stato inserito nel suo programma di lavoro il tema “Protection of persons in the event of disasters”, nominando Eduardo Valencia Ospina come Relatore Speciale. Il progetto ha avuto sviluppo nelle sessioni successive, per arrivare al testo composto da diciotto articoli elaborato nel 2016, con la risoluzione

262 Si pensi anche al progetto definito International Disasters Response Law (IDRL) avviato dalla

Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, nato con l’obiettivo di prendere in esame l’insieme delle normative dal carattere internazionale che si occupano delle procedure, come è stato visto, molto diversificate, di reazione al verificarsi di disastri di diversa natura. Nel 2001 è stato redatto l’International Disaster Response Laws, Rules and Principles

Programme, il cui obiettivo è proprio quello di concentrarsi su «… the legal issues arising from the

international response to different types of non-conflict related disasters, including natural sudden or slow onset disasters, as well as technological, chemical and biological disasters».

IDRL, Appeal no. 06AA0XX, International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies,

cit. p. 2.

Il progetto ha avuto sviluppo anche in Italia con l’International Disaster Law Project, un’iniziativa di ricerca nell’ambito dell’IDRL sostenuta da diversi poli universitari italiani. Lo scopo del progetto era quello di migliorare l’efficacia dei meccanismi internazionali finalizzati alla prevenzione e gestione delle catastrofi, attraverso una classificazione dei fenomeni propedeutica alla loro gestione e con l’obbiettivo di attuare una classificazione di diritti e doveri degli Stati, organizzazioni internazionali e attori non statali; altra finalità del progetto è inoltre quella di definire il quadro giuridico nel quale si inserisce l’attuazione di operazioni di soccorso internazionale.

Per ulteriori informazioni consultare il programma al sito

n.71/141263, analizzata da G. Bartolini264. L’autore evidenzia infatti come la posizione assunta dalla commissione si collochi a metà strada tra la creazione di elementi di sviluppo, e il richiamo a codificazioni già esistenti. Questo approccio ha permesso di elaborare un testo idoneo come base per una futura convenzione-quadro, ma non progressivo a tal punto da rischiare di avere un contenuto fin troppo incisivo su tematiche non ancora adeguatamente trattate e consolidate. L’obiettivo era quindi quello di ottenere un «un testo che mira a riprodurre, per altro verso, principi consolidati, oltre all'eventuale possibilità di essere trasposte in un trattato o percepite come idonee a rappresentare l'appropriato standard giuridico in materia, sulla base dell'autorevolezza che il progetto potrà eventualmente assumere»265.

Lo scopo del progetto è quello di facilitare e adeguare le risposte effettive ai disastri, ridurne i rischi, e andare incontro ai bisogni primari dei soggetti che da questi sono stati colpiti, nel pieno rispetto dei loro diritti266. In virtù della difficoltà di categorizzare le ipotesi di calamità naturali già presa in considerazione nel presente lavoro267,

fondamentale risulta la definizione di disastro, come «a calamitous event or series of events resulting in widespread loss of life, great human suffering and distress, mass displacement, or large-scale material or environmental damage, thereby seriously disrupting the functioning of society»268.

263 UN, Report of the International Law Commission, Sixty-eighth session (2 May-10 June and 4

July-12 August 2016), A/71/10.

264 BARTOLINI G., Il progetto di articoli della Commissione del Diritto Internazionale sulla

«Protection of persons in the event of disasters», in Rivista di diritto internazionale, fasc.3, 2017.

265 BARTOLINI G., op. cit. p. 682.

266 UN A/71/10, Report of the International Law Commission, Sixty-eighth session (2 May-10

June and 4 July-12 August 2016), cit. p. 14.

Art. 2 - Purpose «The purpose of the present draft articles is to facilitate the adequate and effective response to disasters, and reduction of the risk of disasters, so as to meet the essential needs of the persons concerned, with full respect for their rights.» Nel testo, traduzione del redattore.

267 Vedi supra Cap. I, § 3.

Il modello seguito dalla Commissione è di tipo descrittivo e non definitorio269. Innanzitutto, l’evento deve essere “calamitoso”, intendendo in tal senso episodi che producono estrema sofferenza, migrazioni di massa e gravi interruzioni delle funzioni della società270; fondamentale è inoltre il riferimento all’ipotesi di una serie di eventi, che sta ad indicare la possibilità di definire come disastro anche un insieme di episodi che, autonomamente, non portano a conseguenze necessariamente devastanti o gravi, ma che presi nel complesso possono produrre risultati talmente impattanti da rientrare sotto il primo requisito. Non meno importante è il riferimento, nel commentario, alla natura dell’origine del disastro: è chiaramente specificato infatti che non vi siano differenziazioni a seconda che l’evento calamitoso sia naturale o causato dall’uomo, partendo dal presupposto che non sia possibile isolare le cause di eventi che spesso sono il frutto di fattori naturali e attività umane che agiscono congiuntamente271. Si evita un difficile approccio definitorio comprendendo poi, inoltre, nell’ipotesi, sia eventi improvvisi e gravi (sudden-onset events) che eventi a lungo decorso (slow-onset events): è frequente infatti il rischio di sottovalutare la portata di questi ultimi, vista la difficoltà di individuare immediatamente quali possano essere le conseguenze, ugualmente devastanti, che sono in grado di produrre sull’ambiente e le società legate al territorio quale strumento primario di sostentamento272. Tuttavia, come G. Bartolini fa notare, nonostante vi possano essere eventi che sfuggano ai criteri previsti dall’art.

269 BARTOLINI, op. cit. p. 685

270 Institute of International Law, Yearbook, vol. 70, Part II, Session of Bruges (2003), cit. p. 263 271 UN A/71/10. «In addition, reference is made to “event or series of events” in order to cover those

types of events, such as frequent small-scale disasters, that, on their own, might not meet the necessary threshold, but that, taken together would constitute a calamitous event for the purposes of the draft articles. No limitation is included concerning the origin of the event, that is whether it is natural or human-made, in recognition of the fact that disasters often arise from complex sets of causes that may include both wholly natural elements and contributions from human activities. Likewise, the draft articles apply equally to sudden-onset events (such as an earthquake or tsunami) and to slow-onset events (such as drought or sea-level rise), as well as frequent small-scale events (floods or landslides)». Cit, p. 23.

3, lett.a), vi sono comunque gli articoli seguenti, quali il fondamentale articolo 6, che evidenzia la necessaria applicazione di principi umanitari a prescindere dalla natura dell’evento, o il 4 e il 5, basati su presupposti a sé stanti273

. In particolare, il riferimento generico contenuto nell’art. 5 ai “diritti umani” non presuppone una mancanza di contenuto oggettivo, ma, come specificato nel Commentario274, vuole invece comprendere gli obblighi in materia già presenti nei più rilevanti trattati internazionali, che anche in questa sede sono già stati richiamati275. Allo stesso tempo, l’articolo non pone attenzione specifica sui soggetti sui quali ricadrebbe tale obbligo positivo, questo perché, sempre come specificato nel Commentario, la Commissione riconosce che le obbligazioni ricadranno sia sugli Stati affetti dal fenomeno che su tutti gli altri Stati che dovrebbero, in virtù dei principi del diritto internazionale276, prestare assistenza277.

Tuttavia, come evidenzia G. Bartolini, proprio dal commentario agli altri articoli del progetto si può desumere che non si stia parlando di un obbligo puntuale in capo agli

273 UN A/71/10

Art. 4 - Human dignity

«The inherent dignity of the human person shall be respected and protected in the event of disasters.» Art. 5 - Human rights

«Persons affected by disasters are entitled to the respect for and protection of their human rights in accordance with international law.»

Art. 6 - Humanitarian principles

«Response to disasters shall take place in accordance with the principles of humanity, neutrality and impartiality, and on the basis of non-discrimination, while taking into account the needs of the particularly vulnerable.»

274 UN A/71/10, Commentary at Art. 5, cit. p. 32.

275 Esplicito, nel Commentario all’articolo, il riferimento ai Guiding Principles on Internal

Displacement, trattati nel seguente lavoro al Cap. III § 1, vedi supra.

276 A tal proposito, proprio all’interno del Report of the International Law Commission è presente

l’Art. 7, che richiama esplicitamente un obbligo di cooperazione come attuazione di un principio a carattere solidaristico: «In the application of the present draft articles, States shall, as appropriate, cooperate among themselves, with the United Nations, with the components of the Red Cross and Red Crescent Movement, and with other assisting actor». N.d.r.

277 Questa è infatti la spiegazione chiaramente espressa nel Commentario all’Art. 5, il quale afferma

che «The Commission recognizes that the scope and content of an obligation to protect the humanrights of those persons affected by disasters will vary considerably among those actors. The neutral phrasing adopted by the Commission should be read in light of an understanding that distinct obligations will be held by affected States, assisting States and various other assisting actors, respectively.» UN A/71/10, cit. p. 31.c.

Stati di realizzare le attività materiali necessarie in ipotesi di questo genere. L’art. 7 quindi sarebbe propedeutico all’applicazione dei successivi articoli278, che seguono una struttura “orizzontale”, delineando quindi «…un principio giuridico, che può contribuire a meglio precisare il contenuto delle successive norme di base, atto ad informare le attività dei vari attori coinvolti e ispirato ad un criterio di buona fede nella realizzazione delle misure che questi possono essere chiamati a porre in essere a seconda del loro ruolo, delle loro capacità e delle circostanze in causa»279. Questo a differenza dei precedenti articoli già analizzati, i quali, invece, fanno riferimento ad un assetto “verticale”, cioè relativo alle relazioni che si instaurano fra le vittime dei disastri e gli attori che dovrebbero prestare soccorso.

Fondamentale inoltre è il contenuto dell’art. 9280 sulla riduzione dei rischi di disastri.

Innanzitutto, come diversi commentatori hanno analizzato, nella formulazione dell’articolo è stata utilizzata la forma verbale shall invece che il meno incisivo should, andando a specificare come per poter ottenere una efficiente tutela dei diritti umani in tutte le loro declinazioni, sia assolutamente necessario adottare delle misure preventive volte ad evitare l’eventualità che i disastri si verifichino. Tale assunto è stabilito nel

278 Come l’Art. 11, il quale si riferisce all’ipotesi specifica in cui uno Stato non sia in grado,

autonomamente, di sostenere una qualsiasi delle categorie di effetti che un disastro ambientale può generare. Laddove l’evento non possa essere fronteggiato, nelle sue sfaccettature e conseguenze, dallo Stato colpito, su questo graverebbe l’obbligo di cercare assistenza presso gli altri Stati e le Nazioni Unite, con particolare riferimento alla necessità di garantire il diritto al cibo, come viene indicato nel Commentario all’articolo.

Art. 11 - Duty of the affected State to seek external assistance - «To the extent that a disaster manifestly exceeds its national response capacity, the affected State has the duty to seek assistance from, as appropriate, other States, the United Nations, and other potential assisting actors.»

279 BARTOLINI G., Il progetto di articoli della Commissione del Diritto Internazionale sulla

«Protection of persons in the event of disasters», in Rivista di diritto internazionale, Fasc.3, 2017, cit. p. 745.

280 Art. 9 - Reduction of the risk of disasters, UN A/71/10. «1. Each State shall reduce the risk of

disasters by taking appropriate measures, including through legislation and regulations, to prevent, mitigate, and prepare for disasters. 2. Disaster risk reduction measures include the conduct of risk assessments, the collection and dissemination of risk and past loss information, and the installation and operation of early warning systems.»

primo paragrafo che compone l’articolo, mentre nel secondo viene delineato in cosa potrebbero consistere, effettivamente, queste misure. Il contenuto di questa norma richiama quindi chiaramente il principio di due diligence281, così come tutta una serie di trattati internazionali e regionali relativi alla riduzione dei rischi, tra cui anche la già citata Agenda 2030282.

Ovviamente il peso di questa responsabilità ricade fondamentalmente sui singoli Stati: l’art. 9 va quindi a specificare, in tema di prevenzione, quella che è una generica responsabilità statale di tutelare i propri cittadini. Questo perché scopo del Progetto è anche quello di bilanciare il principio di solidarietà e cooperazione con il fondamentale principio di sovranità, che quindi presuppone un ruolo attivo dello Stato colpito dal disastro, il quale, prima ancora degli altri, ha innanzitutto il dovere di prevenire le catastrofi attraverso adeguati meccanismi precauzionali283, e, laddove queste si verificassero, di prestare assistenza alle vittime, coordinandone tutti vari aspetti284. Sulla base dell’analisi fino ad ora effettuata, è possibile comprendere come, anche nella forma attuale, il testo è stato sicuramente in grado di fissare dei principi giuridici fondamentali per un’eventuale evoluzione della materia, avendo tra l’altro il pregio di collegare aspetti innovativi a concetti già cristallizzati nell’ambito del diritto internazionale. Partendo da questo testo, sarebbe auspicabile arrivare ad elaborare una convenzione che possa essere più puntuale e specifica riguardo agli obblighi materiali che, in situazioni di questa portata, ricadrebbero sugli attori statali, sempre in relazione

281 Già preso in considerazione nel presente lavoro al Cap. II § 2.1.

282 Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development (2015). Per un

approfondimento sull’evoluzione dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile, vedi supra, Cap. II § 2.2.

283 Sulla specificazione e differenza dei principi di prevenzione e precauzione, si veda supra, Cap.

II § 2.1.

284 Sul punto si esprime PERRINI F., Cambiamenti climatici e migrazioni forzate – Verso una

tutela internazionale dei migranti ambientali, Ordine Internazionale e Diritti Umani, Collana

alla tutela dei soggetti divenuti particolarmente vulnerabili a causa dell’emergenza umanitaria285.

Un’altra proposta portata avanti da F. Biermann e I. Boas consiste nella concettualizzazione di un Protocollo specifico da aggiungere alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici286, che possa basarsi su principi utili alla creazione di un regime sui generis per riconoscimento, protezione e reinsediamento dei migranti climatici287. La realizzazione del progetto è sicuramente lungimirante ma presenta delle eventuali problematiche applicative in termini concreti al sistema legislativo internazionale, non essendo sufficientemente precisa riguardo alla provenienza dei fondi necessari per gestire il sistema o sull’assegnazione delle responsabilità288.

Altra parte della dottrina sostiene invece che sarebbe necessario attingere da regimi di protezione già esistenti per creare tuttavia uno strumento del tutto nuovo, che nasca appositamente con l’obbiettivo di definire e tutelare i migranti ambientali. Come affermano infatti B. Docherty e T.Giannini, «il problema della migrazione indotta dal clima è sufficientemente nuovo e sostanziale per giustificare il proprio regime giuridico invece di essere costretto all'interno di quadri giuridici che non sono stati progettati per gestirlo»289. Per gli autori, una convenzione indipendente, invece, consentirebbe di