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di Albert Meister

Non diversamente dalla guerra, dalle epidemie, dall'analfabetismo, l'inflazione è considerata alla stregua di uno di quei flagelli dell'umanità contro i quali si tratta di mobilitare ogni energia e di ricorrere al migliore DDT del momento. Il fenomeno, visto in questa prospettiva, suggerisce alcune osservazioni:

— l'atteggiamento strumentale di lotta contro il flagello lascia presupporre una conoscenza del fenomeno, una diagnosi sicura, una teoria validata e accettata. Ora, nel caso dell'inflazione, sappiamo che non è così, e lo dimo-strano le polemiche e le analisi contraddittorie che dividono gli economisti. Quanto alle misure prese, e malgrado il successo di alcune di esse, non si può non constatare che derivano da un procedere a tentoni, un colpo di accelera-tore seguito da un colpo di freno — il tipico stop and go — che risponde unicamente allo scopo di mantenere il veicolo in moto e nella direzione che pareva seguire all'inizio. Si tratta di un punto importante, sul quale sarà bene ritornare: le misure adottate sono essenzialmente di tipo conservatore, di sal-vaguardia degli equilibri esistenti. Anche questa reazione difensiva accomuna, tra l'altro, l'inflazione agli altri flagelli che l'umanità non ha mai smesso di combattere, senza per altro capirli fino in fondo. Non meno sorprendente è la constatazione del ricorso a spiegazioni di tipo meccanicistico nei loro ri-guardi: ben noto è il favore che, in materia di inflazione, continuano a riscuo-tere le teorie quantitative della moneta, e il senso di rispetto che circonda i meccanismi economici. In breve, indipendentemente dalle interpretazioni del fenomeno, i migliori rimedi usati contro l'inflazione si dimostrano inadeguati o insufficienti, e sboccano in situazioni che, partendo da premesse teoriche abituali, possono a buon diritto essere qualificate come irrazionali: così, ad esempio, è il caso della stagflation, ovvero del rialzo dei prezzi in situazione di stagnazione e perfino di recessione e di disoccupazione.

— Se i meccanismi economici non funzionano più, ciò significa con tutta evidenza che esistono dei dati non economici che vanno presi in considerazione, Il presente saggio costituisce il capitolo introduttivo del volume dal titolo L'inflation créatrice. Essai sur les fonctions socio-politiques de l'inflation, Presses Universitaires de France, Parigi, 1975.

dati che gli economisti tendono a collocare — talvolta con un certo disprezzo — nella categoria dei « fattori sociologici », inglobando in un ammasso eterogeneo i cambiamenti nei consumi, l'importanza in aumento dei gruppi di pressione, la trasformazione degli atteggiamenti nei riguardi del lavoro, l'edonismo dei nostri contemporanei, ecc. È di questi « fattori sociologici » che, ben inteso, si tratterà in questa sede, poiché l'inflazione sarà considerata semplicemente come una manifestazione entro l'ordine economico di cambiamenti entro le strutture delle nostre società, e nello stesso tempo come lo strumento atto a facilitare questi cambiamenti; alla stessa stregua con cui guerre ed epidemie possono essere viste come regolatori d'ordine demografico ed ecologico, nello stesso tempo segnali di pressione di crescenza in tali campi e mezzi per rag-giungere nuovi equilibri. Da questo punto di vista, sarà anche legittimo chie-dersi se l'inflazione non sia uno degli effetti delle nuove forme di competi-zione economica e politica che si sono sostituiti a una guerra, posta fuori questione dai mezzi nucleari, i cui danni ricadono egualmente sulle due parti in lotta. L'inflazione potrebbe allora configurarsi come il prezzo da pagare per partecipare a tale competizione — della quale le società multinazionali sono protagoniste ben di più che gli stati stessi, ma in relazione con essi — e nello stesso tempo il prezzo da pagare per adattare le istituzioni e gli individui e i loro gruppi alle nuove forme di competizione, nonché ai loro effetti.

— Il prezzo da pagare non è, naturalmente, eguale per tutti, come accade per le guerre, le carestie o qualsiasi altro « flagello ». Se l'inflazione è diventata oggi un fatto preoccupante, però, ciò accade perché le trasformazioni di strut-tura alle quali essa è legata, o delle quali è l'effetto, toccano la classe domi-nante stessa: si può anzi dire che l'inflazione è diventata problema, allo stesso modo in cui l'inquinamento è diventato « problema sociale » — del quale si parla e si scrive — dal momento in cui, in parole povere, i ricchi non hanno più potuto evitare il contatto dei poveri, e come loro hanno cominciato ad essere afflitti dai rifiuti, dai cattivi odori, dalle acque infette. In altri termini, un problema diventa fenomeno sociale soltanto quando tocca la classe domi-nante: da molto tempo la classe operaia conosce l'inquinamento e le pressioni ambientali, sotto forma di silicosi, di promiscuità, ecc., ma non se ne parlava, perché l'ordine sociale e la configurazione del potere non ne erano minac-ciati; allo stesso modo i paesi ricchi non amano parlare della siccità in Africa o della fame in India, fattori che non modificano il loro ordine del mondo. Ai nostri fini, si tratta di una constatazione importante, nel senso che ci segnala come le cause dell'inflazione siano da ricercare nel cuore stesso dell'equilibrio sociale, cioè nella configurazione del potere e delle sue modificazioni.

— Per ciò stesso si può capire perché l'inflazione sia considerata come un male, dal momento che essa esprime uno squilibrio sociale. Questo non è

però il punto di vista che noi possiamo qui adottare: per illustrare subito la prospettiva nella quale collocheremo il fenomeno, sceglieremo un esempio rela-tivo a ciò che generalmente viene considerato oggi come una nuova maledizione della stirpe umana: gli incidenti automobilistici. Dal punto di vista dell'equi-librio sociale, i circa 16.000 morti annui sulle strade di Francia forse non rap-presentano altro che il prezzo da pagare per le soddisfazioni che i cittadini traggono dalla velocità e per la via di scarico ad una aggressività che, altri-menti incanalata, rischierebbe di essere dannosa all'equilibrio stesso. Gli aspetti insieme ludici e guerrieri (il gioco di sangue) sono stati senza dubbio sotto-valutati,1 ed è lecito chiedersi, sul piano della stabilità sociale, se sarebbe desi-derabile proporsi di ridurre maggiormente il numero degli incidenti, cioè ren-dere più rigide le condizioni di accesso al campo di gioco e le regole del gioco stesso. Il « flagello-automobile » presenta numerosi punti in comune con il « fla-gello-inflazione »; tutti e due sembrano incontrollabili, in tutti e due ci sono vincitori (gli speculatori, l'industria automobilistica) e vinti; le misure prese per arginarli si rivelano troppo spesso dei palliativi (nuove autostrade e par-cheggi, rialzo dei salari, ecc.) e addirittura ottengono effetti contrari (più auto-strade, più circolazione; redditi più alti, maggior pressione della domanda, ecc.). Le radici e le motivazioni profonde dei due fenomeni rimangono opache, ma ciononostante ci pare che possiamo ora considerarli come dei regolatori volti a ristabilire degli equilibri a certi livelli dell'ordine sociale, così come gli altri flagelli indicati all'inizio sono anch'essi dei regolatori ma entro l'ordine della natura, nell'equilibrio tra uomo e ambiente.

Nello stesso modo, quindi, in cui l'auto rappresenta un regolatore dell'ag-gressività,2 l'inflazione sarebbe un regolatore dell'equilibrio del sistema sociale,

ovvero d'un equilibrio istituzionalizzato di forze antagoniste (classi, organiz-zazioni, movimenti). Il sistema, costantemente minacciato da lotte che lo sbra-nano, alterazioni che lo insidiano dall'interno e pressioni cui è sottoposto dal-l'esterno, detiene mediante l'inflazione un mezzo per conservare il suo equilibrio. In concreto, sotto la pressione rivendicativa, i gruppi o classi dirigenti mol-lano qualche tratto di corda, innaffiano, sovvenzionano, aumentano il potere di acquisto, in breve rendono più agile o leggero il loro dominio, mantenendo così un equilibrio dal quale traggono profitto. Cercheremo d'altra parte di dimostrare che il ricorso all'inflazione come politica di governo interviene nel momento in cui non sono più possibili regolatori di alto tipo, come la guerra, o la crisi, o la repressione violenta. Ben inteso si parla qui di inflazione misu-rata, sotto certi aspetti persino controllata (almeno all'inizio), strisciante, caratte-ristica dei nostri paesi occidentali sviluppati. Per contro a questa « inflazione di governo » non considereremo in questa sede l'« inflazione galoppante », quale ha conosciuto la Germania del 1922-23 e, più recentemente, il Cile.

Questa inflazione preventiva dello squilibrio sociale sembra costituire sol-tanto un primo tipo, del quale, grosso modo, si occupa la teoria classica, e che si potrebbe denominare inflazione sistemica, nel senso che essa rappresenta un regolatore di adattamento al sistema socio-economico. Ma, a fianco di questo primo tipo, negli anni recenti è emersa una nuova sorgente d'infla-zione, della quale dovrebbe render conto una teoria della stagflation che ancora non è stata elaborata: si tratta dell'inflazione provocata dai costi di costruzione di un nuovo sistema socio-economico, che sotto i nostri occhi e per la tan-gente delle società multinazionali, sta sviluppando le sue ramificazioni e get-tando le basi, al di sopra di frontiere e ideologie, di quello che potremmo chia-mare Blocco occidentale, conglomerato di imprese e di stati, di maestranze

e di nazioni, di dirigenti e di ministri, ma soprattutto doppio sistema, dall'im-magine istituzionale assai debole, di integrazione e di dominazione. L'infla-zione in questione è così quella che consegue alle necessità di auto-finanziamento, di massimizzazione del cash-flow (utile netto + ammortizzamento). Al contrario del primo tipo, che è di adattamento, questo secondo tipo di inflazione è essen-zialmente di crescenza, di edificazione d'un mondo diverso, del quale il nostro mondo rappresenta la materia grezza. Le potenze delle nostre nazioni indu-striali si erano diffusamente costruite, non vi è dubbio, grazie all'autofinan-ziamento, ma si trattava soprattutto di costruzioni nazionali, le quali hanno acquistato dimensioni internazionali solo al termine di una lunga stabilizza-zione nei loro paesi di origine. Di più, si trattava principalmente di giganti industriali, mentre i « mostri » di oggi sono innanzitutto finanziari. Vedremo d'altra parte delle differenze forse più rilevanti ai fini del nostro discorso, in particolare le interpretazioni ideologiche relative al prelievo del plus-valore.

In pratica, però, le due inflazioni sono difficilmente dissociabili, e reagi-scono l'una sull'altra. Le nostre società sono infatti caratterizzate dalla me-scolanza di elementi del passato con quelli del futuro, dalla penetrazione del sistema trans-nazionale in costruzione entro i nostri sistemi socio-economici nazionali. L'azione dei nuovi sistemi di organizzazione, a margine delle istituzioni nazionali oppure utilizzandole o fagocitandole, è ormai leggibile: i parlamenti, gli organi di stato, le istituzioni internazionali sono a poco a poco spogliati di alcune delle loro competenze, o adoperati a nuovi fini, manovrati, pervertiti. I governi hanno ormai perduto il controllo sulla loro moneta e sulle correnti di investimento, e stanno per perderlo nel campo della politica dei trasporti, delle migrazioni, delle comunicazioni. Le decisioni in questi settori, un tempo privilegio degli stati sovrani, sono sempre più influenzate dalle grandi imprese, nel corso di negoziati congiunti. Ma in questo campo come in altri, il discorso politico rimane in forte ritardo, e tanto la vita politica che i programmi dei partiti rimangono centrati sull'idea dello stato-nazione, definito da frontiere e sovrano entro i suoi confini. La stessa pratica politica, quale risulta nelle

ele-zioni o nei parlamenti, si trova ad essere superata dalla pratica economica, che viceversa s'innerva sempre di più alla trama invisibile del sistema trans-nazio-nale. In questa compenetrazione, i sistemi nazionali trovano nell'inflazione un mezzo per controllare le transizioni, per frenare il cambiamento, per ritardare certe decisioni o farne accettare altre, per prolungare un equilibrio di forze so-ciali, di classi, di notabilati, per far sopravvivere determinate abitudini, talvolta persino una certa semplicità e bonomia. Ma l'inflazione serve anche a combat-tere l'inerzia, della quale si sottovaluta sempre l'importanza e che, di fronte alla razionalità fredda e sgarbata della tecnocrazia avanzante, tende a trasformarsi in rifiuto. L'inflazione, in breve, si presenta allo stesso tempo come un anti-rug-gine capace di sciogliere delle sclerosi e come un fattore fluidificante del cam-biamento (il linguaggio colorato di certi uomini di affari parlerebbe qui di vaselina).

Questa inflazione di adattamento si sovrappone all'inflazione di crescenza; si può aggiungere che essa è tanto più forte quanto più sono importanti i cambiamenti strutturali imposti dalla costruzione dell'economia trans-nazionale. Più il mondo che sta per nascere cresce con vigore e più il sistema che sta per sparire deve adattarsi per prolungare la sua esistenza. Fin da adesso, tut-tavia, l'iniziativa appartiene al mondo nuovo: le mode, il tono, gli stili nelle relazioni, non sono più quelli delle nostre società nazionali. Senza dubbio le imprese, le grandi banche, le grandi compagnie di servizi, continuano ad avere dei nomi nazionali, ma la loro gestione e il loro finanziamento hanno carattere multi-nazionale, e i loro prodotti sono non soltanto diffusi, ma concepiti su scala planetaria. Questi prodotti, non diversamente dalle tecniche dalle quali derivano, sono gli elementi di unificazione del mondo occidentale sviluppato, comprese le sue idee politiche e la sua cultura. In parole povere, la società che i sociologi hanno chiamato post-industriale ha come infrastruttura e centro nervoso il sistema trans-nazionale.

I due sistemi si incontrano prima di tutto a livello dei centri decisionali, e sotto questo aspetto le differenze sono note. I nostri sistemi socio-politici nazionali sono leggibili attraverso statuti, dibattiti, leggi; l'istituzionalizza-zione vi compare ovunque, in tutta la sua pesantezza. Il sistema trans-nazio-nale, al contrario, è invisibile, segreto; le decisioni vengono prese in comitati ristretti dei quali non restano tracce; non è neppure necessaria la presenza fisica dei partecipanti; il sistema è un centro ed un influsso nervoso, e mentre i nostri sistemi nazionali (e le loro costruzioni internazionali, tipo Nazioni Unite) sono simbolizzati dalla pietra, dall'edificio, il sistema trans-nazionale è simbolizzato dall'elettronica. L'invisibilità e la segretezza trans-nazionali hanno definito la forma dell'incontro dei due sistemi: poiché la caratteristica gene-rale dei negoziati, accordi e compromessi del passato è la discrezione, il pub-blico ed anche i responsabili situati sotto al livello dei grandi decisori, sono

informati delle decisioni prese al momento in cui già le loro conseguenze hanno preso forma.

La complessità raggiunta dai nostri sistemi nazionali, che si accentua di pari passo con la loro interpenetrazione con il sistema trans-nazionale, milita in favore della discrezione, e nello stesso tempo la favorisce. La fragilità dei sistemi complessi, la scarsa affidabilità di determinati elementi e la loro possi-bilità di bloccare un intero settore di attività (addetti ai trasporti e al traffico aereo, ecc.), la rapidità di reazione dei gruppi di pressione e delle organizza-zioni di tutela professionale, costringono i decisori nel segreto dei loro uffici. D'altra parte, la complessità e la molteplicità dei centri decisionali e delle istanze e parti coinvolte, contribuiscono a favorire la segretezza, a tal punto e così bene che molte volte non si sa più chi decide e che cosa (l'universo dell'urbanistica e dell'edilizia è un valido esempio). Vedremo a questo pro-posito come la complessità del sistema lo porti naturalmente, e per la propria conservazione, a decentralizzare le decisioni ed a conferire maggior autonomia ad alcuni dei suoi elementi: la decentralizzazione e la regionalizzazione, come l'autonomia delle équipes di lavoro nell'industria e persino l'autogestione, corrispondono in realtà ad una domanda del sistema al fine di rafforzarsi. Di più — ed è un'altra caratteristica pure accentuata dalla interpenetrazione dei

due sistemi — diviene via via più difficile per i decisori stessi l'introduzione di cambiamenti rilevanti, poiché ogni campo d'attività è già contrassegnato da innumerevoli decisioni precedenti diventate regolamenti, vero groviglio di legami tra le parti in causa: il caso più tipico, che rasenta la caricatura, è ovviamente quello dell'agricoltura della comunità europea, il cui sviluppo dovrebbe essere guidato da una vera montagna di disposizioni, di testi, di regole. In questo campo diventa praticamente impossibile prendere decisioni di ampia portata, e non per caso si bloccano certe questioni spinose ricorrendo a misure distributive, la cui spinta inflazionistica è tuttavia evidente.

Nello stesso tempo in cui sembra difficile introdurre nel sistema dei grandi cambiamenti — in Francia, ogni volta che le vendite all'estero calano deli'un per cento, circa 20.000 posti di lavoro sono in pericolo; questa fragilità del-l'economia spiega le reticenze da parte del governo a stabilire una nuova pa-rità per il franco3 — esso dimostra una sensibilità acutissima nell'indivi-duare le perturbazioni, e una grande agilità e rapidità di autoregolazione. E' giusto, da questo punto di vista, porsi degli interrogativi sui nuovi ruoli sostenuti dalle opposizioni e dalle contestazioni, le cui manifestazioni e riven-dicazioni servono da regolatore al sistema, un po' come lo sternuto ci avverte che una parte del nostro corpo sta per raffreddarsi e che quindi bisogna co-prirla. Il meccanismo regolatore è dunque anticipatore, in quanto interviene prima che la crisi o la perturbazione in vista si scateni. Un valido e recente esempio di questa sensibilità di individuazione e di rapidità di risposta lo si

può vedere nella rivendicazione dello SMIG (salario minimo indicizzato ga-rantito) sulla base di 1000 franchi, la cui rapida soddisfazione ha oltre tutto privato i sindacati di un argomento di mobilitazione. Non vi è dubbio che l'aumento, nelle condizioni in cui è stato concesso, abbia avuto portata infla-zionistica: più di questo elemento, però, va sottolineato il ruolo sostenuto dall'inflazione in quanto mezzo di governo e strumento regolatore.

A fianco di queste rivendicazioni facilmente negoziate e soddisfatte, ci sono ben altri tipi di contestazione regolati dalla repressione. Ma si tratta in questi casi di sopravvivenze del passato, che traducono l'insufficienza dello sviluppo del sistema in campi nei quali le nuove forme di integrazione sociale sono ancora in embrione — stile di vita, tempo libero, cultura — e nei con-fronti dei quali tutta una frazione della popolazione (e quindi dell'elettorato), minacciata dal cambiamento e sentendo il bisogno di attaccarsi a vecchi valori e certezze del passato, si aspetta precisamente questo tipo di risposta brutale.

L'inflazione si presenta dunque come il prezzo da pagare per la regolazione di un sistema socio-economico che abbia raggiunto l'alto grado di complessità caratteristico della società post-industriale, così come la crisi economica di un tempo era il prezzo da pagare per i disturbi di crescenza delle società indu-striali, e come la guerra era il prezzo da pagare per la crescenza e l'afferma-zione degli stati-nazioni. Non ne consegue, naturalmente, che ogni crisi sarà d'ora in poi evitata: il maggio 1968 fu una crisi, ed esattamente in quei settori socio-culturali sopra citati, e per i quali i meccanismi regolatori face-vano a quel tempo difetto: non ci si deve d'altra parte stupire per il fatto che gli ultimi anni siano stati caratterizzati dal consolidamento o l'istituzione di mezzi e organismi di individuazione del clima sociale (il rafforzamento delle forze di polizia, benché più vistoso, è derisorio al confronto dello svi-luppo assunto da questo tipo di prevenzione, del quale naturalmente fanno parte sia le varie forme di animazione socio-culturale che le istituzioni di par-tecipazione scolastica e universitaria). In complesso, la crisi del 1968 fu estre-mamente positiva per lo sviluppo della sensibilità del sistema socio-politico e delle sue capacità di auto-regolazione rapida.

Ciò non di meno lo spettro della crisi economica sopravvive nella sensibi-lità e nel ricordo popolare, sentimenti probabilmente acuiti dall'inquietante novità di una prosperità senza precedenti e, benché solo a tratti (bisogna sempre guardarsi dal sopravvalutare i turbamenti di coscienza), ravvivati dal-l'informazione sulla brutalità dei regolatori naturali, quali guerre, epidemie, carestie, ecc., che incrudeliscono alla periferia del mondo occidentale. L'ele-mento che appare ben più importante dal punto di vista della sensibilità è però il diffondersi dell'ansietà, forse legata contemporaneamente sia alla

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