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La modernizzazione: un punto di vista ungherese

di K à r o l y Varga

I n t r o d u z i o n e

Definizione del problema e dell'approccio

È possibile interpretare la modernizzazione in termini di costruzione del socia-lismo? Le teorie correnti in tema di modernizzazione, già piuttosto differenziate, fino a che punto sono compatibili con le prospettive teoriche a lungo termine del socialismo e con la loro applicazione, cioè con la reale strategia del suo sviluppo? Il presente articolo tenta di rispondere a questa domanda. Occorre tener presente che Fattuale livello più elevato, e la fase più matura della costruzione del socialismo in Ungheria, differiscono, sotto vari aspetti, dalla situazione prevalente prima della contro-rivoluzione del 1956. Il formalismo eccessivo e l'insistenza sulle caratteristiche esteriori sono stati sostituiti da una strategia dello sviluppo che ha la sua parola da dire quanto alle teorie della modernizzazione. Inoltre abbiamo considerato alcune particolarità del carattere ungherese, che portano a prestare attenzione ad un preciso settore della teoria della modernizzazione.

Le teorie della modernizzazione da considerarsi sono tratte dalla sociologia, dall'antropologia, dalla psicologia e dalla psicologia sociale. La sociologia offre numerose teorie che spiegano la modernizzazione; noi qui considereremo quelle che esaminano i tipi affettivi e i tipi affettivamente neutri di atteggia-menti e di comportamento, in quanto variabili della complessità sociale. D'altra parte, l'approccio psicologico è in buona misura riuscito ad indicare il ruolo che svolgono nella modernizzazione le persone orientate verso Yachievement. Il presente saggio non si occupa di tale questione, né dell'altra variabile psicologica, spesso esaminata, l'empatia: è piuttosto concentrato sulla variabile « coerenza cognitiva ». Anche se non è stato del tutto chiarito il modo in cui quest'ultima variabile è pertinente alla modernizzazione, essa promette tuttavia un genere di dati indicativi che da una parte si inseriscono bene nelle ipotesi legate al concetto di complessità sociologica e socio-antro-pologica, e dall'altra forniscono un appoggio al fine originario di quest'ar-II presente articolo è stato precedentemente pubblicato nella versione inglese in Co-existence, voi. 10, pp. 12-30, 1973 (MacLehose, Glascow).

ticolo: formulare in modo differenziato le prospettive della modernizzazione socialista.

Utilizzeremo varie proposizioni, tolte dalla teoria dell'informazione e dal-l'analisi dei sistemi, per collegare dialetticamente il livello sociologico e quello psicologico. La complessità e la « grandezza strutturale » del sistema sociale e del sistema della personalità vengono così descritte con un linguaggio con-cettuale comune e misurate dalle stesse unità. Come dimostra l'analisi dei si-stemi, tale complessità è richiesta dall'adattabilità, è cioè un elemento intrin-seco del processo di modernizzazione. Ma l'analisi dei sistemi dimostra anche che una crescente complessità del sistema di ruoli sociali, ed un arricchi-mento della struttura, richiedono un analogo arricchiarricchi-mento del sistema di controlli. Secondo numerose teorie, compresa quella del « capitale umano », elaborata da un economista marxista ungherese, questo sistema di controlli deve essere ricercato negli attori soggettivi del processo, cioè nel sistema di personalità, nei pianificatori e nei lavoratori; oppure, secondo un altro approccio, nei gruppi di élite, in coloro che sono responsabili.

Vorremmo insistere sul fatto che in questa sede non pretendiamo di formulare una teoria generale della modernizzazione; qua e là il discorso suggerisce un livello più elevato di generalizzazione, e vi sono riferimenti ai classici di questa materia, sia marxisti che non marxisti. Ma questo non deve indurre il lettore in errore: miriamo non ad una teoria coerente e comprensiva, ma sol-tanto ad una interpretazione della situazione ungherese, considerata come processo.

Ipotesi sociologiche e socio-antropologiche sulla m o d e r n i z z a z i o n e

Da Durkheim alla teoria dei sistemi contemporanea

Durkheim distingue fra due forme di organizzazione sociale: quella mecca-nica e quella orgamecca-nica, nascenti l'una dall'altra mano a mano che progre-discono la divisione del lavoro, la « condensazione » della società, e la molti-plicazione dei rapporti sociali fra gli individui.

Dal punto di vista della teoria dei sistemi contemporanea, si deve ritenere che Durkheim aveva afferrato la autentica gerarchia dell'organizzazione strut-turale, ma che si era fermato ai due livelli più bassi dell'organizzazione dei sistemi.

I tre tipi basilari di sistemi sono:

1. — Un sistema chiuso che offre un equilibrio meccanico.

2. — Un sistema aperto, organico, omeostatico, capace di regolarsi da sè, ma non di dirigersi da sè o capace di cambiamenti strutturali.

3. — Un sistema capace di adattamento complesso. Questo comprende specie capaci di cambiare geneticamente, e persone e sistemi socio-culturali in grado di affrontare i problemi di adattamento mediante il cambiamento creativo strutturale e ambientale.1

Valersi soltanto dei due primi elementi della triade per descrivere sia società sottosviluppate che società sviluppate e capaci di auto-direzione co-sciente, è, nella migliore delle ipotesi, un'analogia che indica la direzione giusta, ma non offre un modello soddisfacente. In realtà, tutte le specie di società umane appartengono al terzo tipo, la cui esistenza a malapena si intravvedeva prima della comparsa della cibernetica; le sue regole operative avrebbero potuto venir formulate con precisione soltanto dalla scienza con-temporanea. È anche vero che la società tribale, priva per millenni di cam-biamenti importanti, non mostra la caratteristica del terzo tipo, di un sistema capace di adattamento, e di modificare razionalmente anche la propria strut-tura, cosi come ne sono capaci società complesse e differenziate. La società tribale si può quindi collocare ad un livello più basso nella gerarchia del-l'organizzazione sociale, e naturalmente solo per analogia. Secondo il nostro modo di vedere oggi le cose, il livello più basso è quello organico, ma per Durkheim, non ancora in grado di vedere la differenza fra sistema organico e sistema capace di adattamento complesso, è il livello da lui definito meccanico.2

Segmentazione e mediazione

Kònig riconosce che nella terminologia di Durkheim trova appunto espres-sione la presenza o la scomparsa della segmentazione. Segmentazione etnica ed impermeabilità interna sono la regola nelle società che manifestano una solidarietà meccanica (e per questo egli preferisce l'espressione « società seg-mentata », anche essa derivata da Durkheim).3 Essa è sostituita da una unità entro la società complessa, la quale è analoga all'ambiente interno di un organismo, e permette una comunicazione massima fra le parti. Kònig si occupa di tale dicotomia in una ricerca su due mestieri in Afganistan: il fabbricante di samovar e il pizzaiolo. Introduce così il tipo di « società seg-mentata con mestieri sviluppati ma isolati », società intermedia fra quelle segmentate e quelle industrializzate.4

Kònig, appoggiandosi alla tradizione di Max Weber, sottolinea, contro Durkheim, che non è una maggiore densità di rapporti sociali, di per sè, a trasformare una società in società più organica (secondo la nostra termino-logia più capace di adattamento complesso). In tal caso, il tipo asiatico di grande città, sopravvissuto per millenni senza una divisione complessa del lavoro, sarebbe inspiegabile. Quel che svolge un ruolo decisivo è la presenza e il peso delle classi medie con funzioni di mediatrici.5

Diversità culturale - diversità psicologica

Charles Morris descrive una simile dualità di modi di organizzazione sociale tradizionali e moderni, mediante il confronto fra i sistemi di valore delle so-cietà occidentale e orientale.6 Come dimostra il Morris, nella società asiatica vi sono gruppi aventi sistemi omogenei di valori, che vivono in relativa segrega-zione gli uni dagli altri, con scarse influenze reciproche e spesso con generi di vita completamente diversi. Tanto l'omogeneità dentro un gruppo, quanto l'eterogeneità fra gruppi, sono minori nel modello occidentale, ove il sistema di personalità cerca di integrare gli elementi eterogenei nella misura possi-bile. Le persone coinvolte in queste alternative si trovano realmente di fronte ad una scelta, o non piuttosto queste alternative sono distribuite fra i gruppi fin da principio, « assegnate » in modo irreversibile? Si può notare questa op-posizione anche in Gusfield, che cerca di dimostrare l'ampia scelta di alter-native disponibili anche nelle società tradizionali — ma gli esempi che porta sono la scelta fra cattolicesimo e protestantesimo, o la scelta di un dato ordine religioso cattolico fra i tanti, o la scelta fra le varie correnti nell'antica sapienza e insegnamenti religiosi indiani.7 È ovvio che in questi casi non sono disponibili per gli individui delle autentiche alternative libere, certo non nel periodo che precede la secolarizzazione moderna. Il Gusfield parla giusta-mente di vari generi di vita istituzionalizzati in vari gruppi della società indiana. Nella società tradizionale un gruppo sociale sostiene sempre un certo genere di vita. Constantina Safilios-Rothschild dimostra che in America il celi-bato è considerato come deviazione individuale alla stessa stregua della omo-sessualità o frigidità, mentre in Grecia nessuno penserebbe a questo.8 Essa ne deduce una maggiore tolleranza, e quindi un grado più alto di modernizza-zione per la società greca, ma secondo noi è implicita soltanto la caratte-ristica « diversità culturale » della società tradizionale greca. Per il fatto che molte persone non possono contrarre matrimonio perché occorrerebbe una dote superiore alle loro risorse, questo diventa un problema sociale chiaramente identificabile, e gli interessati costituiscono un gruppo sociale ben definito. Le unità sociali, e non particolari strutture di personalità, si trovano alla base di speciali modi di vivere. Naturalmente, questo vale anche nelle società più complesse, ma in misura minore che non nelle società più vicine al tipo meccanico di organizzazione sociale.

La « scala di complessità » della società e le sue implicazioni

La segmentazione, mantenendo gli elementi eterogenei incompatibili a sicura distanza l'uno dall'altro, è uno dei modi di risolvere le tensioni. È ovvio che dove esiste eterogeneità, debbano esservi tensioni e conflitti.9

Una domanda interessante è: perché vi sono tanti conflitti acuti nelle società tradizionali, così da indurre il sistema omeostatico a mantenere un modo assai radicale di risolverli, quello della segmentazione meccanica e del-l'isolamento? La risposta è implicita nel concetto di gamma di complessità e di intensità dei ruoli sociali, così come è stata elaborata dagli antropologi sociali moderni che seguono Durkheim, nonché da Talcott Parsons nella sua teoria dei tipi di orientamento di valori.10 L'aspetto decisivo è che nella società « di piccola scala » gli stessi individui si trovano di fronte, per periodi di tempi più lunghi, nell'interazione intensiva di ruoli diversi che non pre-sentano gran varietà. Burton Benedict, seguendo Gluckman, chiama questo caso «la molteplice unità dei rapporti»; nella terminologia di Parsons è il modello particolaristico, fortemente caratterizzato da un contenuto affettivo. Dato che le stesse persone sono impegnate in vari ruoli, ciascuno dei quali ha una funzione diversa, l'accento non cade sull'obiettivo strumentale, bensì sulla persona. Il punto importante è quali persone ci troviamo di fronte, non quale funzione una data persona può svolgere.

Questi sono i termini in cui pensano i membri delle società tradizionali. Se una persona è licenziata per incapacità, la mentalità tradizionale lo inter-preta puramente come segno di ostilità. Non esistono unità funzionali o stru-mentali scelte secondo le capacità e la qualificazione, ma soltanto amici e nemici. In base all'opera classica di Henry Maine, Benedict fa notare che il pensiero giuridico dèlia società tradizionale può in gran parte spiegarsi con tali circostanze: le decisioni dipendono non dall'aver torto o ragione, ma da chi è sostenuto da chi.11

Molte teorie sulla modernizzazione discutono le implicazioni di questo par-ticolare carattere affettivo, che sembra trovarsi alla base delle idee di Everett E. Hagen sull'inizio dello sviluppo economico.12 Dimostrando che i tipi di personalità rigidi, aggressivi e autoritari dominano nelle società tradizionali, egli spiega il fatto che l'attività orientata verso Yachievement è sopraffatta dal suo avversario, l'attività orientata verso il potere, e chiarisce anche in che modo le strutture di potere rigide ebbero origine dalle relazioni interpersonali, nonché il modo in cui divennero rigide e aggressive a causa della carica affet-tiva di queste. Questa ostilità e sospetto, fondati sulla struttura, si possono percepire nella sotto-scala che misura la fiducia negli altri, nelle scale di modernità sia di Joseph A. Kahl,13 sia di Alex Inkeles.14 Lo stesso elemento è espresso dall'osservazione di Douglas E. Ashford, che nelle società tradi-zionali le persone tendono verso il polo affettivo del continuo cognitivo-af-fettivo, e sono caratterizzate da atteggiamenti gretti, rigidi, chiusi mentre nelle società più moderne l'elemento cognitivo è rafforzato e permette modi di reagire più elastici, complessi, ricchi di intuito e capaci di essere appresi.15

Sistema di proliferazione dei ruoli e legge della « varietà necessaria »

I passi successivi del processo di proliferazione dei ruoli, cioè arricchimento dei ruoli e dei modelli di comportamento organizzati, effetto di differen-ziazione, combinazione e innovazione,16 sono più facilmente e più valida-mente spiegabili dalle varie teorie che non i passi iniziali. Anche la teoria della « seconda cibernetica », interpretata come « modello dei processi causali scambievoli che aumentano la deviazione », deve servirsi della categoria del « salto iniziale, incidentale e insignificante »,17 e soltanto più tardi è capace di passare da questo terreno malfermo alla teoria morfogenetica, scientifi-camente più fondata. Il Friedland colloca l'elemento della causalità nella natura stessa della « sfida » : le società in via di modernizzazione reagiscono a tale sfida in maniere attive e di adattamento, cosa che le società che non sono in via di modernizzazione non fanno. Ciò che parrebbe decisivo è la misura in cui è stretta l'adesione all'antico sistema di valori, e inoltre alcuni fattori relativi alle informazioni disponibili.

Il Buckley ha formulato con la massima chiarezza la necessità che esista una disposizione al cambiamento, o addirittura una compulsione all'adatta-mento; è necessario che un sistema capace di adattamento cambi la sua strut-tura particolare per poter conservare la propria continuità e identità.18 La tesi che i ruoli prolifereranno, si moltiplicheranno e si complicheranno, ci riporta ad una struttura dialettica degli effetti. Come osserva A. G. Miller, il com-portamento perfettamente prevedibile di un sistema bene organizzato riserva agli osservatori ben poche sorprese.19

Tuttavia, se la massa dei ruoli proliferasse senza limiti, ciò renderebbe il sistema non regolabile, se i sistemi di controllo non fossero preparati adegua-tamente a ricevere questo aumento. La legge di Ashby sulla « varietà neces-saria » afferma che la varietà del sistema regolatore non può essere minore della varietà di quanto deve essere regolato.20 Una maggiore densità dei ruoli di tipo « attivizzante » viene prodotta dai problemi di adattamento, e ne consegue che il sistema di regolazione debba adeguarsi alla loro presenza. « Assorbimento » e formalizzazione

Si potrebbe sostenere che la legge della varietà necessaria di Ashby sta diret-tamente alla base della teoria della modernizzazione di Eisenstadt, che si deve considerare una delle più importanti. « Il punto focale di questo approccio è che il problema più importante che si presenta a tali società (cioè a quelle in via di modernizzazione) è da un lato la necessità di sviluppare una strut-tura istituzionale capace di assorbire continuamente i vari cambiamenti so-ciali inerenti al processo di modernizzazione, e dall'altro i diversi gradi di capacità di tale sviluppo, reperibili nelle varie società ». Così Eisenstadt

riassume l'essenza delle sue opinioni.21 Ovviamente questo significa che sol-tanto varietà e progresso presenti nell'aspetto regolatore del sistema, sono capaci di conservare una società con una struttura proliferante nuovi ruoli e nuove istituzioni, come « sistema complesso suscettibile di adattamento ».

Questa tesi di Eisenstadt, giusta dal punto di vista della teoria dei sistemi, è ulteriormente sviluppata da altri due studiosi: Friedland, uno degli allievi di Eisenstadt, e Janossy, un economista marxista. Friedland considera atten-tamente l'elasticità e la capacità di assorbimento postulata da Eisenstadt nel sistema stesso di ruoli e istituzioni, ed arriva ad un risultato prossimo alla categoria della « formalizzazione » di Max Weber. È possibile affrontare la massa proliferante dei ruoli soltanto se diritti e doveri sono formulati chia-ramente, sono privi di ambiguità quanto i contratti giuridici.22 Janossy però vede l'aspetto regolatore nel progresso del potere del lavoro, proprio dell'uomo. L'uomo è il regolatore del tasso di crescita

Janossy, in armonia con Eisenstadt, sostiene che « il tasso di progresso in ultima analisi non dipende dall'attività di sviluppo stessa, bensì dal tasso di diffusione del risultato».23 Chiara è la metafora di cui si serve: «Anche se l'orologio viene mantenuto in movimento dalla molla, tuttavia il suo modo di funzionare non dipende dalla forza della molla. Questa può essere caricata ad una tensione eccessiva che renderà più rumoroso l'orologio, ma non lo accele. rerà. Il funzionamento dell'orologio dipende non dolio forza della molla, ma

dal bilancere ».

Egli misura il tasso dello sviluppo economico in base al livello di moder-nizzazione (« il perfezionamento dell'attrezzatura prodotto in anni succes-sivi ») e lo chiama « coefficiente di sviluppo alfa ». Dimostra poi che questo coefficiente alfa in ultima analisi è determinato dal cambiamento qualitativo nel modo concreto di operare, cioè non dal tasso di investimento né dai fondi destinati alla ricerca. Al fine di contribuire all'analisi delle conoscenze così come appaiono nel lavoro effettivo, quali fattori di regolazione finale, egli stabilisce una differenza fra « struttura professionale (o di mestiere) » e « struttura occupazionale ».

La professione o mestiere è quell'attività concreta cui l'uomo si dedica grazie alle sue capacità e conoscenze. La necessaria inerzia della struttura delle forze di produzione è sempre un poco più avanti della struttura di mestiere presente nella forza lavoro; quindi questa, in seguito alla sua grande mancanza di elasticità, continuamente intralcia il progresso della struttura

del luogo di produzione, che continuamente seguita a progredire. Ecco perché la struttura di mestiere è sempre quella che determina il tasso di progresso e l'inclinazione della curva che raffigura la tendenza.

della modernizzazione, perché ricercano il fattore che regola il tasso di ac-crescimento proprio nel centro del sistema complesso suscettibile di adatta-mento, e lo collocano esplicitamente nell'uomo, il fattore soggettivo. Si intende naturalmente non la soggettività della riflessione, ma il fatto che l'attività lavorativa è direttamente legata alla personalità.24

Sollevare il meccanismo di regolazione che assicura la natura auto-sostenen-tesi del cambiamento, fino alla sfera più alta della coscienza, significa che questa « regolazione » sta nelle « mani del'uomo », molto di più che non un mec-canismo reificato. Il sistema complesso suscettibile di adattamento ha in ogni caso una stabilità che gli è meno inerente di quella dei sistemi organizzati ad un livello inferiore: la sua stessa attività deve dare un contributo maggiore alla sua stabilità; questo significa, fin dal principio lo studiare e trarre frutto dalle esperienze, il che si esprime nella presa di posizione cosciente, nel prender deci-sioni che siano soluzioni chiaramente meditate, nelle attività di pianificazione e di controllo. La modernizzazione è quel distinto stadio tardo del cambiamento sociale, in cui il sistema complesso suscettibile di adattamento opera aperta-mente in accordo con il proprio carattere essenziale.25

Ipotesi di m o d e r n i z z a z i o n e derivate dalle t e o r i e di coerenza cognitiva

L'approccio basato sulla coerenza, cioè il gruppo di teorie che fino ad oggi si sono occupate più accentuatamente delle incoerenze interne — cioè relative all'informazione e agli atteggiamenti — e dei cambiamenti interni strutturali della personalità, non sembra a prima vista particolarmente adatto ad un esame della modernizzazione. Dopo tutto, il suo principio direttivo è quello del-l'armonia; un'armonia a cui devono, prima o poi, ritornare gli equilibri co-gnitivi e effettivi che sono stati scossi. L'atteggiamento « classico » della tipo-logia culturale è in opposizione manifesta al modo « romantico » di considerare le cose delle teorie sulla modernizzazione, caratterizzate dall'insistenza sul feed-back positivo della deviazione; vale a dire i modi morfologenetici della « seconda cibernetica », lo spirito irrequieto che seppellisce le strutture più antiche. Questo gruppo di teorie basate sulla coerenza è però oggi tanto comprensivo da aver integrato caratteristici esempi di approcci opposti, come la teoria

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