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Guido Bigarelli: mettere a fuoco l’individuo

Nel documento "Doctus in arte". Guido Bigarelli da Como (pagine 30-37)

Pietro Toesca, nel suo Medioevo53, appare ormai perfettamente conscio delle macro- suddivisioni che si erano via via andate creando attorno ai nomi degli artefici lombardi, sulla scorta dei dati epigrafici: a Guidetto spetta la decorazione dei loggiati di San Martino a Lucca (1204)54, a Guido Bigarelli il fonte di Pisa (1246) e il pulpito di Pistoia, con aiuti (1250)55. Assodato ciò, Toesca si addentra nell’indagine dei modelli stilistici e culturali di dei maestri lombardi di Lucca. Di Guidetto sono presi in considerazione separatamente i caratteri nell’architettura e quelli scultorei. I primi si riconoscono, dopo l’intervento in duomo, in San Michele in Foro56. Sotto il profilo scultoreo, Toesca ne descrive il modellato vigoroso e greve che lo smarca recisamente dalla corrente antelamica, portandolo a vedere in Guidetto, come già si era espresso Venturi, non un capofila ma un esponente collaterale della corrente lombarda lucchese, dei cui modi si avverte l’eco in alcuni esempi cittadini (i portali di San Giusto, San Cristoforo, San Giovanni e Reparata, Sant’Andrea e una transenna erratica) e nel pulpito di Brancoli57. Intimamente lombardo,

Guidetto non è tuttavia esente da influenze toscane, almeno nell’adozione di motivi esteriori (l’uso della tarsia)58. In Guido Bigarelli, al contrario, l’autore individua una

filiazione dalla scultura antelamica, mediata, però, sui modi lombardi che dovette possedere un suo probabile maestro59. L’anonima figura di questo artefice, in verità quasi sovrapponibile all’idea che di Guidetto si era fatto Venturi, è l’elemento più superato del discorso del Toesca, che altrimenti non manca di coerenza, in cui sembra di cogliere la volontà di rimandare a tempi più maturi –ma ormai prossimi- la querelle attributiva dei rilievi lucchesi: al suo maestro, “il più poderoso” tra gli scultori del portico di Lucca, il cui 53 TOESCA 1927, pp. 802-804, 842-849.

54 Mentre i pilastri del portico, corrispondenti alla prima fase del cantiere, si devono a scultori diversi, come già rilevato in precedenza, e distanti dallo stile di Guidetto (Ibid., p. 845, nota 47).

55 La certezza ultima nell’ascrivere le due opere a una sola mano è data, secondo quanto ne dice l’autore, dalle cornici ornate a fogliami, che ricorrono analoghe (Ibid., p. 804, nota 27).

56 Ibid., p. 574. Nemmeno per Toesca sarebbe da riferire a Guidetto, invece, il cantiere di Prato (Id. 1933a, p. 250).

57 TOESCA 1927, pp. 842-844. Nell’architrave di San Giovanni e Reparata, però, l’autore osserva i modi dell’altra corrente, quella delle storie di san Martino e san Regolo nei rilievi della cattedrale, che Toesca attribuisce a un unico maestro, di cui di seguito.

58 Ibid., nota 47 p. 845. 59 Ibid., p. 802.

cantiere si avvia intorno al 123360, il Toesca affida le storie di san Martino e di san Regolo, ma crede di rintracciarne la mano anche nel depauperato ciclo dei Mesi. Come è ovvio pensare, l’autore di questo vasto programma scultoreo dovette servirsi di aiuti, tra i quali certo figurava, nell’opinione di Toesca, il giovane Guido Bigarelli. La mano di quest’ultimo sembrerebbe potersi individuare nel fregio vegetale degli stipiti del portale maggiore, eseguito “in tenuità grande d’intaglio e di effetto”, allo stesso modo degli ornati del fonte di Pisa61. A Guido si riconosce un lungo operato in Toscana –senza tuttavia sostanziarlo con un adeguato catalogo- e seguaci di variegato talento62. Dal suo maestro egli avrebbe derivato il bagaglio tipologico e tecnico, non “il potente senso plastico”: i rilievi di Pistoia e quelli di Lucca sono accomunati soltanto sotto il primo aspetto, ciò che non basta, come si potrebbe essere indotti a fare, ad attribuirli entrambi allo scalpello di Guido Bigarelli, data anche la precedenza temporale di Lucca su Pistoia, il che inverte gli estremi di un possibile processo di maturazione stilistica, portando necessariamente ad escludere una tale ipotesi. Ma lo studioso, a fianco all’appartenenza ai modi lombardi, coglie l’influsso del classicismo greco del portale est del battistero di Pisa tanto in Guido Bigarelli, quanto nel suo anonimo maestro (che ci appare oggi ulteriore motivo di sovrapporre i due profili)63, la cui qualità artistica egli antepone alle stesse maestranze del battistero pisano, decretandone il ruolo di massimo scultore toscano prima di Nicola64. All’ambito del maestro greco (o grecizzante) di Pisa converrebbe accostare anche il gruppo equestre di Lucca, che rimane comunque un caso isolato nella sua straordinaria paracronicità65. In un gruppo di sculture pisane, frammenti di gruppi reggileggìo, Toesca rileva infine lo stile di un diverso scultore, che fonde la semplicità di piani e volumi del rilievo lombardo con stilizzazioni bizantine nei panneggi e nei volti66: costui, il meno abile seguace di Guido Bigarelli autore dell’architrave di San Pier Maggiore di Pistoia e del

60 Il riferimento è all’epigrafe murata all’interno del portico, che ricorda l’avvio del cantiere (Ae 5). 61 TOESCA 1927, p. 804.

62 Nel portale di San Pietro Somaldi Toesca vede un comprimario, anch’egli epigono del maestro anonimo di Lucca, mentre aiuti e seguaci mediocri operano, rispettivamente, a Pistoia e a Barga (pergamo e, soprattutto, ornati dei plutei). Alla “maniera” di Guido sono ricondotti l’arcangelo Michele di Pistoia (giustamente definito “rilievo”), i plutei in San Francesco a Pistoia, alcuni dei capitelli interni del battistero di Pisa (Ibid., p. 804 e pp. 804-805, nota 27). Nel portale di San Pier Maggiore a Pistoia Toesca legge una commistione di ornati guidetteschi e parti figurate bigarelliane, mentre i capitelli di Prato gli sembrano più vicini ai modi di Guido Bigarelli rispetto a quelli di Guidetto, che, si ricordi, l’autore percepisce come esponenti di due linee alternative, in termini simili a quelli con cui si era già espresso Adolfo Venturi (Ibid., p. 844, nota 47). 63 Ibid., p. 805, nota 27.

64 Ibid., p. 848. 65 Ibid., pp. 848-849.

66 Al maestro sarebbero da riferire il San Paolo, che oggi si sa provenire da San Iacopo in Orticaia, e il trimorfo proveniente dall’orto Trivella che, all’epoca in cui scrive Toesca, erano visibili nella raccolta del Camposanto e forse, potevano provenire da uno stesso pulpito (Ibid., pp. 845-846, nota 48. I gruppi in questione si trovano attualmente nel Museo Nazionale di San Matteo di Pisa).

pulpito e della recinzione del duomo di Barga67, e l’autore del pulpito di Santa Maria a Monte chiudono la parabola delle presenze lombarde del Duecento in Toscana68.

Nello stesso anno di uscita del volume di Toesca, Mario Salmi torna sull’argomento nella sua recensione al volume del Biehl, il quale, pur senza citarne l’autore ne aveva sostanzialmente sposato la tesi, fatta salva l’ipotesi di un alunnato diretto di Guido Bigarelli presso Guidetto69, laddove Salmi vedeva piuttosto nel Maestro di San Martino il rappresentante di una fase intermedia. È ormai fuori di dubbio che lo scultore del fonte di Pisa sia lo stesso del pulpito di Pistoia, tanto che l’affermazione è espressa in un inciso che non necessita di ulteriori motivazioni, mentre già si avverte, in questo nuovo contributo di Salmi, che il dibattito critico si è ora spostato su Lucca, con i problemi attributivi connessi alle sculture del sottoportico, in cui si riconosce da più parti la presenza di Guido Bigarelli. E proprio a Lucca Salmi vede il primo manifestarsi dello scultore, in un intervento che colloca in anni vicini al 1233. Rapportando i rilievi lucchesi (il Salmi riconosce la mano di Guido nella lunetta e nell’architrave del portale maggiore) a quelli di Pistoia, che ritiene espressione di un’artefice nella sua piena maturità, l’autore è in grado di indicare i due capi di una parabola biografica coerente70.

Lo stesso Salmi torna di lì a poco a occuparsi di Guido Bigarelli nel suo volume sulla scultura romanica in Toscana del 1928 e, dati per acquisiti i chiarimenti filologici, ne dà un giudizio stilistico. Nella visione di Salmi in Guido, scultore ancora interamente romanico – e ultimo esponente di questa temperie-71, è la più alta espressione della tendenza, sviluppatasi nel corso del XIII secolo a Lucca, che vede la stretta commistione di “scultura” e “decorazione” (intendendo con il primo termine il rilievo narrativo). In Guido le due componenti convivono, prevalendo ora la prima, a Pisa, ora la seconda, a Pistoia72. Leggendo nella corrente lombarda lucchese una linea evolutiva, Guido possiede un inedito respiro monumentale che fa di lui uno scultore ben superiore a Guidetto. È, tuttavia, come decoratore che Guido Bigarelli lascia quello che è il suo capolavoro di maestria tecnica, il fonte battesimale di Pisa. Parlando del pulpito di Pistoia, opera di impianto unitario nonostante la presenza di più mani, in cui la concezione plastica lombarda, non esente da riferimenti antelamici, si fonde magistralmente con la ripresa di tipologie guglielmesche e

67 Ibid., nota 47 pp. 844-846.

68 Le posizioni di Toesca sono sostanzialmente recepite e sintetizzate, a distanza di qualche anno, da Giulia Sinibaldi, che dà conto anche delle diverse posizioni di Salmi sull’assegnazione dei rilievi lucchesi (SINIBALDI 1935, pp. 54-57).

69 BIEHL 1926, p. 83 e ss. 70 SALMI 1927, p. 273.

71 “Con Guido da Como (...) la pura tradizione romanica finisce” (Id. 1928, p. 113). 72 Ibid., p. 105.

di stilemi bizantineggianti di matrice pisana, si può constatare come il giudizio del Salmi sia meno entusiasta, quantunque positivo73. Per quanto riguarda i rilievi di Lucca, il Salmi vi vede la presenza di quattro differenti maestri, tra cui lo stesso Guido, cui assegna i rilievi del portale maggiore: si tratta di opere da collocarsi prima del pulpito di Pistoia per una maggiore aderenza ai modi lombardi nella rigidezza delle figure74. Notiamo, infine, come Salmi sia aggiornato sui documenti lucchesi resi noti da Supino75, che di lì a poco verranno pubblicati da Pietro Guidi.

Questi apporta un decisivo contributo documentario allo studio delle maestranze di lapicidi comaschi a Lucca. Al suo lavoro spetta il merito di aver definito con maggiore chiarezza identità, limiti biografici e rapporti di parentela degli artefici lucchesi, con particolare riguardo alle figure di Guido Bigarelli, Guidobono Bigarelli e Lombardo di Guido (quest’ultimo messo a fuoco per la prima volta). La maggior parte della cospicua messe documentaria raccolta dall’autore è semplicemente regestata, mentre degli atti più significativi è presentata la trascrizione. I testi non sono accompagnati da commento, l’autore si limita a brevi annotazioni, sempre attinenti al campo dell’analisi semantica (ad esempio, sono segnalate varianti nella dizione e nella declinazione dei nomi propri), esprimendo il proposito di offrire agli studiosi uno strumento di conoscenza obiettivo e libero da giudizi personali. Soltanto in due casi l’autore esprime la sua opinione al di là della stretta esegesi testuale. Nel “Guido lombardo” di due atti del 1248 e 1252 è identificato Guido Bigarelli76: di ciò si può essere certi nonostante l’omissione del cognome, come precisa Guidi, evidentemente in disaccordo su questo punto con Bacci, esortando a tenere conto della variabilità delle formule notarili, anche all’interno dei rogiti di uno stesso notaio 77 . L’autore sembra tuttavia prescrivere una certa cautela nell’identificare in tutti i casi di Guido Bigarelli con Guido da Como78. Per Lombardo,

invece, Guidi propone l’identificazione con il maestro anonimo nel quale il Toesca vedeva l’artefice della maggior parte delle sculture del sottoportico, pur ammettendo che l’ipotesi

73 “(...) egli ci appare, sebbene accademico e superficiale, come il più comprensivo e sintetico maestro del tardo tempo romanico nella regione pisano-lucchese.” (Ibid., pp. 110, 120, nota 44).

74 Ibid., p. 112-113.

75 La menzione di alcuni dei documenti pubblicati dal Guidi fu anticipata da Igino Benvenuto Supino nel suo articolo sulle origini biografiche di Nicola Pisano, di cui il testamento di Guidobono Bigarelli concorre a chiarificare le date dell’attività lucchese e i rapporti con i maestri attivi alla decorazione scultorea del duomo (SUPINO 1916, p. 11)

76 Ad 97, Ad 123.

77 GUIDI 1929, p. 219, note 1, 2, p. 220, nota 1.

78 “[...] Guidetto, Guido Bigarelli e Guido da Como (sia da identificarsi, o no questo terzo col secondo) [...]” (Ibid., p. 211, nota 1).

sia indimostrabile sulla base di riscontri oggettivi79. In questo caso Guidi, il cui discorso è conseguente ma manca di un’opinione critica nella sfera dello stile, inconsapevolmente sostanzia di un’ossatura documentaria una creazione storiografica che dovrà rivelarsi fuorviante.

Di Guido Bigarelli traccia un profilo sintetico ma avveduto anche Massimo Guidi nel suo Dizionario degli artisti ticinesi80, inquadrandolo entro l’orizzonte di quel filone della scultura padana che si dice antelamica, ma individuandone la componente classicista (di “compostezza classica” si parla per il fonte di Pisa) e l’abilità decorativa, che prevale decisamente sull’energia creativa.

George Crichton torna a parlare di Guido Bigarelli essenzialmente nei termini di un abilissimo decoratore, riprendendo in parte concetti di Mario Salmi. Nell’unica opera narrativa che l’autore prende in considerazione come certa, il pulpito di Pistoia, egli si dimostra un allievo del maestro di san Regolo, l’artefice più dotato della maestranza che esegue i rilievi del sottoportico di Lucca, di cui Guido è in grado di imitare l’equilibrato impianto compositivo delle scene a gruppi contrapposti, ma non la finezza del modellato e l’abilità di indagine espressiva e psicologica delle figure. Il maggior merito di Guido Bigarelli sta invece nell’aver condotto alle massime realizzazioni la corrente decorativa che sfrutta l’impiego combinato di tarsia e rilievo: se a Lucca Guidetto, suo predecessore in questo tipo di decorazione, aveva impaginato nelle tarsie della facciata temi che possono considerarsi un’evoluzione dei bestiari che gli scultori lombardi dispiegavano sulle cattedrali romaniche nel secolo precedente, Guido, nei plutei del fonte di Pisa, unifica le varie declinazioni che di questa tipologia si erano avute in Toscana per oltre un secolo giungendo ad una sintesi che armonizza la delicatezza degli intagli di matrice orientale con il fogliame robusto e naturalistico del romanico europeo, apparecchiando con virtuosistica

variatio dei motivi il cespite fogliaceo centrale, sfoggiando un savoir faire da intagliatore

di avorio nello squisito dettaglio delle testine e armonizzando l’elemento residuale dell’intarsio fitomorfo e geometrico all’interno di composizioni in cui, ormai, il rilievo assume una parte preponderante81.

Significativo, e sulla stessa linea, il giudizio che dello scultore offre Luigi Coletti. Nelle parole dell’autore si delinea con chiarezza la scissione, tipica della critica di questo periodo, nel considerare i due aspetti principali dell’arte di Guido Bigarelli: mentre se ne

79 Ibid., pp. 211-212. 80 Id. 1932, pp. 44-45.

apprezzano le qualità di decoratore, si riscontrano gravi carenze nella sua attività di scultore di figura. Vale la pena riportare per esteso il brano:

“(...) Guido da Como, virtuoso nel marmo, il quale tanto eccelle nell’arte del marmoraro come insuperabile disegnatore e ‘celatore’ di squisite fantasie ornamentali, come inventore inesauribile di combinazioni calligrafiche nelle formelle del fonte battesimale pisano (...) altrettanto appare freddo, compassato, scarso di contenuto umano, nelle storie del pulpito di S. Bartolomeo in Pantano di Pistoia. Basti vedere con che povertà di invenzione è svolto qua e là il motivo delle figure di seconda fila rappresentate in punta di piedi, che spuntano dietro, fra quelle di prima fila, come tanti birilli. Un classicismo dunque, quello di Guido, ormai completamente accademizzato, ultima stanca manifestazione della lunga tradizione di Guglielmo”82

Alla luce di quanto espresso si è portati a riflettere retrospettivamente sulla separazione delle identità tra il Guido Bigarelli di Pisa e il Guido da Como di Pistoia, che aveva trovato seguito nella critica tardo-ottocentesca: forse dietro di essa si celava già allora non soltanto la dimostrazione di miope fedeltà filologica alle due diverse menzioni, bensì, implicitamente, un diverso giudizio stilistico e di valore. Interessante, per quanto riguarda ancora Coletti, notare come Guido Bigarelli si inserisca senza indugi –e senza ulteriori riferimenti a una diversa tradizione culturale- nella scia della scultura romanica toscana di matrice guglielmesca.

Di parere opposto Geza De Francovich, a cui l’idea di parametrare il classicismo di Guido da Como sull’arte di Guglielmo, espressa da Coletti pochi anni prima, appare “del tutto arbitraria”83. Ma il valore del suo giudizio non sta tanto nel deprimere la componente

guglielmesca del linguaggio di Guido, a cui si dovrà comunque riconoscere un peso, quanto nel sottrarre Guido Bigarelli, da un lato, all’etichetta di un accademismo neoellenizzante tanto consumato quanto fiacco che era andata consolidandosi presso la critica precedente, dall’altro a quella di interprete della corrente antelamica, a cui lo avevano assimilato un poco sbrigativamente Toesca e Salmi. De Francovich indica invece con efficacia paralleli e modelli di “quel modo un po’ lezioso di tirare a lustro il marmo cereo”84 che accomuna Guido allo scultore della Presentazione al Tempio di Ferrara,

guardando a una precisa corrente della scultura campionese (senza per questo, si badi, fare di Guido un maestro campionese tout court) che si dipana nel corso della prima metà del

82 COLETTI 1946, p. 14.

83 DE FRANCOVICH 1952,I,nota 291 p. 109. 84 Ibid., pp. 104.

Duecento tra Modena, Milano, Mantova e Bologna: tutti episodi in cui alla robustezza padana si accompagna una vena di composto e pausato classicismo, proprio come accade nella scultura bigarelliana85

Nel documento "Doctus in arte". Guido Bigarelli da Como (pagine 30-37)

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