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Nodi critici, orientamenti recenti, problemi aperti

Nel documento "Doctus in arte". Guido Bigarelli da Como (pagine 54-63)

Per concludere questo excursus, si prendono ora in considerazione alcuni interventi recenti che, facendo riferimento al quadro generale elaborato sul tema dalla precedente tradizione critica, si concentrano su alcuni nodi focali, per i quali non si è addivenuti, fino al momento presente, a una composizione convincente tra le diverse ipotesi in campo161.

Un problema ancora lontano dall’essere risolto, come risulterà chiaro a questo punto, è costituito dalle vicende materiali dei rilievi di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia, per i quali non c’è accordo circa l’attribuzione a diverse mani, la datazione, le fasi del cantiere, e nemmeno la provenienza dei pezzi da un unico piuttosto che da due distinti pulpiti; altro punto su cui si continua a dibattere, in rapporto a Pistoia, è il pulpito in San Cristoforo a Barga, opera senza dubbio di ambito bigarelliano, strettamente correlata al pulpito di Pistoia quanto a scelte compositive e iconografiche, per la quale continuano a esprimersi opinioni divergenti circa il rapporto con il pulpito di Pistoia, appunto, in cui si vede, a seconda, un modello o un’opera di derivazione. L’ultimo significativo contributo su Pistoia e Barga è costituito dalla discussione tra Guido Tigler e Gigetta Dalli Regoli, che ha assunto i toni del già ricordato diverbio apparso nel 2001 su Arte cristiana162.

Nell’opinione di Tigler la totalità dei rilievi ora in San Bartolomeo provengono da un unico pulpito163, commissionato a Guido Bigarelli, i cui lavori iniziano nel 1239, come testimoniato dalla prima epigrafe, interrompendosi bruscamente poco dopo a causa di una scomunica in cui l’abbazia incorre, e che ne determina un momentaneo dissesto economico, per essere ripresi e terminati un decennio dopo, nel 1250, data a cui fa riferimento la seconda epigrafe. Quanto all’autografia delle sculture, lo studioso ritiene, anche in questo caso, che la mano di Guido sia ravvisabile in tutti i rilievi, e spiega le

161 Scopo di quest’ultimo paragrafo è fornire un’idea generale dei principali problemi aperti sulla figura di Guido Bigarelli e sui maestri lombardi attivi a Lucca e in Toscana, motivo per cui non si affronta, in questa sede, la discussione punto per punto dei contributi che si vanno a presentare, rimandando, per questo, alle sezioni del presente lavoro dedicate ai singoli contesti.

162 DALLI REGOLI 2001, TIGLER 2001b, Id. 2001c.

163 Tigler cita alcune delle opinioni contrarie espresse dalla critica precedente, tra cui BRUNETTI 1966, BADALASSI 1995, Id. 1999. In questi contributi si individua nella conversione del pulpito a cantoria, avvenuto nel 1591, il momento in cui si opera la fusione di pezzi provenienti da diversi edifici, tra cui si indica dubitativamente il duomo.

evidenti divergenze di stile collegandole a fasi diverse della carriera dell’artista: le prime scene, quelle dell’infanzia, appartengono a un momento in cui Guido è ancora legato alla tradizione del romanico lombardo, specificamente declinato nella sua componente campionese, mentre nelle storie post mortem l’artista dichiara le successive meditazioni sull’antico164. Tigler, infine, è convinto del ruolo di prototipo del pulpito di Pistoia su

quello di Barga, argomento su cui si incardina la risposta della Dalli Regoli, che mettendo a confronto le scene dei due pulpiti vorrebbe dimostrare il contrario165. Nella sua risposta Tigler evidenzia il debito diretto con tavolette bizantine dei rilievi di Pistoia, influenza che appare sotto molti aspetti temperata e occidentalizzata a Barga, ed è una delle ragioni per cui il pulpito di Barga è da credersi successivo a quello di Pistoia e da questo derivi, anche alla luce di una sua possibile datazione al 1256166.

Altro aspetto problematico è costituito dal cantiere della cattedrale di Modena, incluso nella trattazione su Guido Bigarelli soltanto di recente, che risulta ancora ampiamente da indagare, non mancando, peraltro, pareri divergenti circa l’autografia delle sculture e la loro datazione. Ferma restando, infatti, l’appartenenza alla maestranza bigarelliana, Guido Tigler dissente rispetto a Laura Cavazzini, che assegnava tutte le sculture modenesi al maestro (il Redentore e i due arcangeli), e individua la mano di Guido Bigarelli solamente nel Redentore, assegnando l’arcangelo sovrastante il timpano di facciata allo scultore che chiama Maestro di san Martino, mentre per quello sul retro il giudizio è ostacolato dalle condizioni conservative167. I due studiosi giungono a conclusioni divergenti anche per quanto riguarda la cronologia dell’intervento, che Cavazzini situa al 1244 circa, mentre Tigler anticipa al 1230168. Ciò non è senza significato ai fini di sondare l’attuale panorama degli studi, non trattandosi, infatti, soltanto dello scarto cronologico, di per sé comunque significativo, ma evidentemente di un’interpretazione ancora nebulosa e non unanime dell’evoluzione del linguaggio dell’artista: apparirà chiaro, infatti, come collocare il Redentore di Modena prima o dopo il cantiere lucchese denunci una concezione antitetica delle tappe che vanno dalla formazione alla maturità di Guido Bigarelli, per il quale, se risulta ormai relativamente assodato il riconoscimento degli elementi linguistici caratterizzanti, si fatica ancora a determinare un coerente percorso di maturazione stilistica.

164 TIGLER 2001b, pp. 88-89, 94-95. 165 Ibid., p. 93; DALLI REGOLI 2001. 166 TIGLER 2001c.

167 Id. 2009c, pp. 934-935.

I problemi di Modena si legano a quelli di Lucca. Per la datazione del cantiere lucchese Laura Cavazzini propone una forbice cronologica che si estende dal 1233 al 1257, ponendo l’intervento di Nicola Pisano in linea di diretta continuità con la conduzione bigarelliana, proprio nel momento in cui questa si interrompe, con la morte di Guido e Guidobono, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Il che, chiaramente, deve aver costituito condizione necessaria alla comparsa di Nicola. Di parere diverso Guido Tigler, che sembra immaginare un cantiere assai più breve169. Posizioni diverse i due studiosi dimostrano anche riguardo all’autografia dei rilievi lucchesi, Tigler proponendo le partizioni di cui si è dato conto, Cavazzini assegnando la totalità delle sculture latu sensu a Guido Bigarelli170:

la studiosa dimostra in questo la volontà di affrontare la questione in termini diversi da quelli in cui è stata impostata a partire dal giudizio di Venturi. L’affermazione della Cavazzini, a prima vista provocatoria, non ha mancato di essere accusata di eccessiva aproblematicità171. Tuttavia, essa si fonda a ben vedere su una diversa considerazione storica dei fatti e dei processi, offrendo in effetti una visuale dalla giusta distanza alla quale porsi per dare avvio ad un nuovo tentativo di dirimere la materia.

Valerio Ascani è l’ultimo in ordine di tempo ad aver preso la parola sulla materia, in un contributo dedicato all’attività dei maestri lombardi nel battistero di Pisa172. La succinta

analisi di Ascani si propone di sunteggiare la scansione e i protagonisti delle campagne scultoree che hanno interessato l’edificio, dalle maestranze dei portali fino al fonte di Guido Bigarelli, passando per la decorazione dei sostegni interni, che l’autore suppone scandita in due distinti momenti, il primo, guidettesco, conclusosi entro il 1210, il secondo, avviatosi attorno all’inizio del secondo quarto del Duecento, con la partecipazione dei Bigarelli (Lanfranco, Guido, Guidobono). Per il contesto pisano Ascani mette sul tavolo significativi elementi di riflessione, esempio ne sia la trattazione riservata al portale nord, eseguito, nell’opinione dell’autore, alla fine del primo decennio del Duecento, da uno scultore guidettesco, ma a questi superiore, in grado di operare un’efficace sintesi tra i modi lombardi e le influenze costantinopolitane, di cui sente la fortissima influenza. Allo stesso maestro Ascani propone di accreditare il gruppo lucchese della Carità di san Martino. Venendo al fonte battesimale, l’autore ne coglie i caratteri di maturità, rilevando d’altra parte le lacune nella conoscenza della storia materiale dell’opera, e avanzando l’ipotesi di restauri successivi che potrebbero aver alterato l’ordine originario delle lastre, 169 CAVAZZINI 2008, p. 625; Id. 2010, p. 482;TIGLER 2009c, p. 906.

170 CAVAZZINI 2010, p. 482. 171 TIGLER 2009c, p. 924.

dei quali non è stata ad oggi ritrovata documentazione. Di seguito, vengono menzionati di passaggio l’altare e il recinto presbiteriale, che dovettero essere completati contestualmente al fonte, e per i quali, si dice, manca un’analisi globale che tenga conto dei successivi restauri. Sotto molti aspetti, dunque, l’analisi di Valerio Ascani si poneva come una proposta di lavoro, rimasta, fino a ieri, in attesa di sviluppi. In concomitanza con le fasi di chiusura del mio lavoro, ha visto la luce una monografia dello stesso studioso sui “maestri di Arogno”, nella quale sono prese in considerazione, trasversalmente, le diverse generazioni di artisti ticinesi operanti tra la Toscana e il Trentino nei secoli XII e XIII: Guidetto, Adamo da Arogno, i Bigarelli. Il lavoro di Ascani costituisce l’ultimo atto degli studi sulla materia, e riunisce in un’unica trattazione gli esponenti di una corrente artistica e culturale il cui fattore di coesione si individua precipuamente nella comune origine geografica. Per quanto riguarda ciò che qui interessa più strettamente, la figura di Guido Bigarelli, esso non introduce sostanziali elementi di novità rispetto alle posizioni su cui è attestata la critica recente, compreso lo stesso autore, con i suoi precedenti contributi sul tema, con l’eccezione di una notevole aggiunta al suo catalogo, l’architrave del portale centrale di San Galgano, che tuttavia si deve rifiutare, come vedremo, così come ampiamente da riconsiderare appare la proposta cronologica173. Soprattutto, poi, ancora una volta, la figura dello scultore è affrontata entro la cornice dei nessi di ‘rete familiare’ e di continuità intergenerazionale, impostazione evidente fin dalla scelta dei titoli: mentre Guidetto e Adamo da Arogno sono gli ‘intestatari’ dei relativi capitoli, il percorso di Guido è relegato entro il capitolo “I Bigarelli in Toscana e altrove”, attorniato dalle figure del padre, dello zio e dell’onnipresente cugino. Uno studio che prenda in considerazione la personalità di Guido Bigarelli conducendola finalmente al di fuori di tali vincoli, riconoscendone l’autonomia del linguaggio, il raggio dei riferimenti culturali e il peso sulla scena del Duecento italiano, deve ancora vedere la luce.

173 ASCANI 2019. I tempi della pubblicazione del volume non mi hanno purtroppo permesso di affrontarne la discussione in dettaglio, motivo per cui lo studio sarà preso in considerazione specificamente per ciò che concerne San Galgano (inserito nella presente trattazione entro il contesto di San Pier Somaldi a Lucca), mentre non lo si troverà citato di volta in volta tra i riferimenti bibliografici relativi agli altri cantieri della scultura bigarelliana. Il che, tuttavia, non sembra eccessivamente pregiudizievole, poiché, come detto, l’autore non apporta sostanziali cambi di prospettiva rispetto a quanto espresso nei suoi precedenti contributi.

PARTE SECONDA Profilo d’artista

Nel documento "Doctus in arte". Guido Bigarelli da Como (pagine 54-63)

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