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h —L ’incontro con Carrett delgennaio 1970

Nel documento fra qualche giorno ci sarà una serie di (pagine 179-184)

SECONDO ACCESSO AL CASOLARE DI PAESE

I. - E non gliene va bene una

10 h —L ’incontro con Carrett delgennaio 1970

Questo è l’unico episodio, nella ricostruzione di Digilio della vicenda di piazza Fontana, che coinvolga le strutture di intelligence statunitensi. Anche per questo, come anticipato nel capitolo 4, la Corte ha ritenuto assolutamente marginali le sue dichiarazioni sugli apparati americani rispetto alla valutazione della penale responsabilità degli imputati.

E’ vero che l’incontro al casolare di Paese fu determinato dall’interesse dei servizi di sicurezza statunitensi a tenere sotto controllo le forze eversive operanti nel nostro territorio, ma la ragione di quell’interessamento era connesso alla verifica del tipo di armi disponibili da parte dei gruppi eversivi veneti e non alla progettazione di attentati (tantomeno di quello del 1 2 dicembre).

Secondo Digilio, gli agenti statunitensi operanti in Italia non intervennero mai nelle vicende preparatorie degli attentati, operando sempre e solo con l’obiettivo di controllare quel tipo di attività e, si creda o meno a quelle affermazioni, gli elementi di prova acquisiti in questo processo, pur consentendo di prospettare un interessamento dei servizi di intelligence italiani e stranieri nelle vicende eversive di quegli anni, non hanno una consistenza tale da definire specifici ruoli o responsabilità dell’uno o dell’altro servizio di sicurezza, dell’uno o dell’altro agente di quelle strutture. Digilio in più parti della sua deposizione dibattimentale ha prospettato la consapevolezza di David Carrett su quanto stava accadendo in quegli anni nel nostro Paese, ma non ha mai esplicitamente individuato un collegamento tra le azioni terroristiche realizzate dagli ordinovisti e la struttura di intelligence a cui Carrett apparteneva.

In questo quadro probatorio, può affermarsi senza tema di smentita che la ricostruzione delle vicende affrontate negli ultimi due capitoli, potrebbe essere definita prescindendo dall’appartenenza di Digilio ai servizi di sicurezza statunitensi, anche se, come si è rilevato nel capitolo 4, sono emersi nel processo elementi di riscontro che confermano in modo significativo le affermazioni del collaboratore su quell’argomento.

Dopo questa premessa, la ricostruzione dell’episodio di cui si tratta nel paragrafo è particolarmente agevole, anche se, evidentemente, non si indicheranno (perché non sono stati acquisiti) specifici riscontri rispetto all’incontro avvenuto, secondo Digilio, nel gennaio 1970. Ciò non significa che quell’incontro non avvenne. I riscontri specifici di episodi come quello qui esaminato non possono essere limitati all’esistenza di un’analoga affermazione da parte di altro testimone, che, nel caso, non avrebbe potuto essere che David Carrett, ma devono ricostruirsi tramite la valutazione complessiva degli elementi acquisiti in relazione al tema generale riferito dal dichiarante.

Nell’ultima udienza di incidente probatorio306, Digilio ha collocato l’incontro con Carrett il 7 gennaio 1970, quando questi rientrò dalla breve vacanza negli Stati Uniti307. All’ufficiale, Digilio riferì gli incontri che aveva avuto con Maggi e Zorzi nel precedente mese di dicembre, mostrandogli il suo turbamento per quanto era accaduto. Carrett rispose che l’azione era consona alle disposizioni che il comando militare statunitense aveva impartito per la lotta al comuniSmo, per cui la situazione era da loro “controllata”. Digilio ha inquadrato il discorso che gli fece Carrett nel contesto delle indicazioni dallo stesso fornitegli anche prima della strage di piazza Fontana, quando lo aveva rassicurato affermando che gli Stati Uniti erano potenti e avevano sotto controllo la situazione politica italiana, essendo in grado di intervenire per manipolare e guidare l’opinione pubblica. Carrett aveva precisato che alcuni organismi statunitensi erano a ciò specificamente preposti e potevano sconfessare o sostenere tesi politiche attraverso l’uso dei mass-media, ribadendo che l’Italia si trovava in situazione deficitaria per la presenza di una sinistra forte, ma sarebbe stata salvata dagli americani. Infine, aveva ricordato a Digilio che non era suo compito fare domande, ma che doveva solo svolgere il suo ruolo di informatore308. Dopo il 12 dicembre 1969 Carrett soggiunse che la situazione italiana era delicata ma non pericolosa e Digilio ebbe l’impressione che quanto stava accadendo fosse il risultato di una concomitanza di fattori preordinati, studiati, maturati nel tempo (cioè il frutto di una politica del Patto Atlantico in Europa contro la sinistra), che si stavano in quel momento realizzando, ma di cui a Digilio sfuggivano l’origine e la finalità conclusiva. Carrett fece un discorso generale sull’impegno degli americani in Vietnam e in Corea, parlò dei loro morti e feriti per la salvezza dell’Europa, ribadendo che tutto quanto veniva fatto dagli americani era un contributo analogo alla guerra contro l’Est comunista e che in quel momento c’era il problema di salvare l’Italia con eventi che scuotessero l’opinione pubblica. A Digilio sembrò che gli americani avessero in mano “il bandolo della matassa e lo utilizzassero a loro piacimento”309.

Nel corso delle udienze dibattimentali, Digilio ha confermato la ricostruzione dell’incontro con Carrett, riferendo che dopo la strage di piazza Fontana non potè parlare immediatamente con lui perché gli era difficile contattarlo, e lo incontrò il giorno dopo l’Epifania del 1970, spiegandogli quanto aveva appreso. Nell’occasione manifestò le sue preoccupazioni e trepidazioni per quanto era accaduto e Carrett rispose di non preoccuparsi perché gli americani avevano la situazione sotto controllo e sapevano quale direzione avrebbe preso l’Italia310.

306 Digilio, u. 26.3.1998, p. 37 e pp. 40-49.

307 Digilio ha precisato nell’udienza dibattimentale, u. 16.6.2000, p. 59, che l’incontro dell’Epifania era stato programmato in precedenza, dopo l’incontro della settimana dei morti, Carrett disse che si sarebbe preso qualche tempo di vacanza e sarebbe andato a New York, per cui si sarebbero rivisti dopo le vacanze natalizie; consigliò a Digilio di prendersi un periodo di riposo e di non pensare alle questioni politiche.

308 Questo discorso, legato anche al controllo dei servizi di sicurezza italiani da parte degli americani, fu fatto da Carrett prima della strage dei 12 dicembre.

309 Digilio, u. 26.3.1998, pp. 37 e 40-49. Affermazioni confermate all’u. 15.6.2000, p. 34.

310 Digilio, u. 16.6.2000, p. 58.

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La questione che sull’incontro con Carrett ha sollecitato l’interesse delle difese concerne i motivi per cui Digilio non lo avvisò di quanto accaduto tra il 6 e l’8 dicembre 1969, cioè prima che si verificassero gli attentati del 12 dicembre. Già nell’incidente probatorio il collaboratore ha risposto alle domande del P.M. sul punto, riferendo che dopo l’incontro con Zorzi ebbe timore di contattare Carrett in quanto, in base ai loro accordi, non gli era consentito recarsi presso la base FTASE di Verona senza convocazione da parte del suo referente, il quale avrebbe anche potuto decidere di interrompere il rapporto di collaborazione per la violazione di quella norma di sicurezza311. Nel corso del controesame questo argomento è stato a lungo contestato al dichiarante, adducendosi da parte della difesa Zorzi l’assoluta illogicità dell’atteggiamento tenuto dallo stesso.

Digilio ha ribadito innanzitutto che, pur trovandosi in gravi ambasce per quanto appreso da Zorzi, ebbe timore di rivolgersi alla sede FTASE di via Roma perché reputò che Carrett si sarebbe arrabbiato per quella grave violazione312. La difesa Zorzi ha contestato l’illogicità di tale atteggiamento, rilevando che in altra occasione Digilio era entrato nella base FTASE di Verona, per cui niente impediva che lo facesse ancora313, ma il collaboratore ha replicato che era ben diverso entrare nella base insieme a Carrett o da solo314.

Infine, Digilio ha riferito, subendo sul punto una contestazione della difesa Zorzi, che raccontò a Carrett l’episodio del Canal Salso solo a grandi linee, senza fare il nome di Zorzi. Su questo punto vi è da rilevare che in udienza Digilio ha negato di aver riferito a Carrett il nome di Zorzi, mentre il 17.5.1997 rese un’indicazione diversa, anche se il 30.3.1995 negò di aver riferito a Carrett che Zorzi aveva collocato la bomba alla BNA.

La valutazione conclusiva della ricostruzione dell’episodio non può prescindere dalle considerazioni esposte nel capitolo 4, dove si è ritenuto che le indicazioni fomite dal collaboratore sull’esistenza di una rete di intelligence statunitense operante nel nord­

est dell’Italia e facente capo alle strutture militari di stanza nel nostro Paese, sono pienamente attendibili. Come rilevato solo Carrett avrebbe potuto confermare l’incontro descritto da Digilio, per cui non è logicamente possibile richiedere sull’argomento una prova diretta, dovendosi valutare da un lato se quella ricostruzione sia priva di incongruenze e dall’altro se siano stati acquisiti elementi di riscontro anche non diretti.

Le contestazioni critiche formulate dalla difesa Zorzi, a parere della Corte, non sono tali da inficiare la logica ricostruzione dell’episodio. Digilio ha affermato di aver visto Carrett nel mese di novembre del 1969 (intorno ai primi giorni) e di aver appreso che sarebbe andato negli USA per trascorrere un periodo di vacanza. Il successivo appuntamento era stato fissato per i primi giorni di gennaio del 1970, per cui, dopo aver incontrato Maggi e Zorzi, non era programmato un incontro a breve

311 D igilio, u. 26.3.1998, p. 42-43.

312 D igilio, u. 22.6.2000, p. 48. Digilio ha soggiunto che avrebbe potuto essere sorpreso da chi controllava l’ingresso della sede e sarebbe stato scoperto com e informatore degli americani.

313 Così la difesa Zorzi, u. 22.6.2000, p. 50.

314 Digilio, u. 22.6.2000, p. 50.

scadenza. A fronte delle contestazioni logiche del P.M. e della difesa sulla ragione per cui Digilio non avvisò Carrett di quanto era accaduto nei giorni precedenti all’8 dicembre, il collaboratore ha risposto che ritenne di non recarsi autonomamente alla sede FTASE di Verona ove aveva l’ufficio il suo referente perché quella condotta avrebbe rappresentato una violazione degli accordi di collaborazione, pregiudicando la sicurezza sua e del rapporto in atto.

Orbene, si può discutere sulla veridicità della risposta fornita da Digilio o, ammesso che sia vera, sulla sua logicità, ma arrivare ad affermare che quell’episodio è falso (così come lo sarebbero tutte le dichiarazioni del collaboratore) perché questi, appresa una notizia così importante, decise di non riferirla immediatamente al proprio referente dei servizi di sicurezza statunitensi, anche a costo di pregiudicare le regole di riservatezza che erano a base di quel rapporto, non è assolutamente condivisibile.

La valutazione di quanto accadde tra l’inizio di dicembre del 1969 e gli attentati del giorno 1 2 deve tenere conto delle molteplici considerazioni esposte in ordine al tentativo di Digilio di sottrarsi alle proprie responsabilità, ridimensionando il ruolo assunto neH’attività preparatoria degli attentati. Al termine di questo e nel successivo capitolo si illustreranno le conclusioni cui questa Corte è pervenuta sulla responsabilità di Digilio nei fatti contestatigli, ma si può qui anticipare che questi è stato ritenuto l’esperto in esplosivi che collaborò in modo diretto alla preparazione degli ordigni (o di parte degli ordigni) utilizzati negli attentati del 12 dicembre. Come affermato in un precedente paragrafo, l’incontro con Zorzi al Canal Salso fu un momento decisivo nella fase preparatoria degli attentati, non semplicemente un occasionale consulto, ma l’intervento dell’unica persona, tra i militanti veneti, in grado di verificare la sicurezza del trasporto del materiale esplosivo e, quindi, fu ritenuto dai responsabili dell’organizzazione di quelle azioni, un passaggio indispensabile prima di passare alla fase attuativa delle stesse e cioè la messa a punto dei congegni di innesco su cui per molti mesi Zorzi, Freda, Ventura e Digilio avevano lavorato. Per questo, domandare a Digilio la ragione per cui non rivelò immediatamente a Carrett quanto stava accadendo rappresenta o un peccato di ingenuità (che certamente non può essere addebitato alla difesa Zorzi) ovvero il tentativo di introdurre una contraddizione logica su un profilo delle dichiarazioni del collaboratore nel quale effettivamente esistono ambiti di reticenza determinati dal tentativo di attenuare la propria responsabilità negli attentati del 1 2 dicembre.

Non è escluso che Digilio, se avesse incontrato Carrett prima del 12 dicembre, gli avrebbe riferito quanto appreso, né è escluso che lo stesso dichiarante avesse valutato inopportuno cercare il proprio referente negli uffici di Verona, né è escluso che Carrett fosse genericamente a conoscenza dei progetti delittuosi (come affermato dal collaboratore), ma queste sono solo ipotesi, irrilevanti nella valutazione complessiva dell’episodio e soprattutto della responsabilità penale degli imputati.

Quel che dalla ricostruzione dell’incontro compiuta da Digilio emerge è la consapevolezza che i servizi di sicurezza statunitense avevano del contesto nel quale furono realizzati gli attentati del 1 2 dicembre, quasi che quelle azioni fossero l’attuazione di un progetto eversivo condiviso dagli apparati di intelligence di quel paese straniero. Ma Digilio non è andato oltre, quasi ammettendo la propria

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ignoranza sugli obiettivi dei servizi di sicurezza per cui lavorava, quando, manifestato a Carrett il proprio turbamento, questi gli rispose che non era nei suoi compiti formulare domande e lui si adeguò, considerando che gli sfuggivano l’inizio e la fine di quel progetto.

Sempre nella formulazione di ipotesi, non è escluso che Digilio abbia inteso introdurre elementi finalizzati a delineare la sua inconsapevolezza per quanto accaduto per attenuare la propria responsabilità morale per le condotte tenute, ma anche questa affermazione non può essere riscontrata e rimane la prospettazione di una mera ipotesi.

Non vi è, per contro, alcun dubbio sulla coerenza della ricostruzione di Digilio rispetto al quadro complessivo dallo stesso delineato, come si rileverà nella parte conclusiva del capitolo.

10 i — La cena di fine anno 1969 di Martino Siciliano, Zorzi e Vianello.

La “cena del tacchino” 315 rappresenta indubbiamente un elemento importante nella ricostruzione delle accuse rivolte a Delfo Zorzi, perché, riferendo quell’episodio, Siciliano ha introdotto per la prima volta la confidenza ricevuta dall’imputato del suo diretto coinvolgimento negli attentati del 1 2 dicembre. <•

Ma non è un elemento decisivo, né valutando la complessiva impostazione accusatoria, né, più limitatamente, le dichiarazioni di Siciliano.

11 contributo che quest’ultimo collaboratore ha fornito nel processo è talmente vasto e organico nella descrizione dei rapporti criminali che coinvolsero Maggi, Digilio, Zorzi e Rognoni, che incentrare l’attenzione difensiva sull’attendibilità dell’episodio della fine di dicembre 1969 è stata una scelta che ha fortemente condizionato l’impostazione della difesa Zorzi sulla collaborazione di Siciliano.

Si badi, quella difesa non ha ammesso che tutte le dichiarazioni di Siciliano erano vere tranne l’episodio qui analizzato, atteso che le contestazioni formulate nel corso del processo hanno riguardato la collaborazione nel suo complesso, ma quell’incontro ha rappresentato la “linea del fronte” difensiva: a tutto concedere, secondo la difesa Zorzi, quell’episodio non solo non aveva ottenuto alcuno specifico riscontro, ma era stato esplicitamente smentito proprio da Giancarlo Vianello, un teste dell’accusa.

Questa impostazione difensiva era, a parere della Corte, l’unica possibile nell’affrontare la collaborazione di Siciliano. Come rilevato nel capitolo 5, la ricostruzione da parte di quel collaboratore di molteplici episodi e rapporti rilevanti nella definizione complessiva del quadro accusatorio a carico di Zorzi, è stata puntualmente riscontrata nel processo da elementi oggettivi di natura documentale, da deposizioni di testimoni del tutto attendibili, da dichiarazioni di altri collaboratori, da ricostruzioni logiche di rapporti associativi nell’ambito dei gruppi ordinovisti.

Siciliano è stato un dichiarante la cui precisione ha consentito di ottenere riscontri specifici rispetto al complesso delle dichiarazioni rese e, tra i molti testi, è stato proprio Vianello a fornire elementi non di semplice riscontro, ma di prova autonoma

315 Così è stato definito con un’espressione sintetica ed efficace l’episodio descritto da Siciliano analizzato in questo paragrafo.

sul ruolo assunto da Zorzi nel gruppo ordinovista mestrino tra la fine del 1968 e il 1969.

L’alternativa a fronte della quale si è trovata la difesa Zorzi ha imposto la scelta attuata, perché o avrebbe dovuto contestare nel suo complesso le dichiarazioni di Vianello e, conseguentemente, affermarne la falsità dello stesso, oltre a quella di Siciliano, Digilio, Vinciguerra e altri ancora, oppure avrebbe potuto ammettere che Vianello è teste attendibile e contestare la veridicità dell’episodio della cena del tacchino proprio sulla base delle dichiarazioni di quest’ultimo.

La prima alternativa sarebbe stata impresa difensiva impossibile, perché Vianello ha sì confermato più di chiunque altro le accuse di Siciliano e Digilio nei confronti di Zorzi, ma non può ignorarsi che la quasi totalità di militanti mestrini di ON hanno fornito tasselli meno importanti ma molto significativi a riscontro del quadro accusatorio, per cui contestare Vattendibilità di Vianello avrebbe significato introdurre la tesi del “complotto” che quei difensori hanno sdegnosamente rifiutato come propria.

Questo significa che la “cena del tacchino” è la “linea del fronte difensivo” e per questo, nonostante non rappresenti l’unico episodio rilevante delle dichiarazioni di Siciliano, imporrà una verifica approfondita delle questioni che involge.

Innanzitutto, deve descriversi la ricostruzione dell’episodio, introducendo, secondo la progressione cronologica delle dichiarazioni, gli elementi via via riferiti da Siciliano sull’episodio.

Una particolare importanza rivestono due indicazioni apparentemente insignificanti, rese dal collaboratore nella prima fase degli interrogatori dell’ottobre 1994.

Nel descrivere Giancarlo Vianello e i suoi rapporti con lui e Zorzi, Siciliano ha, quasi incidentalmente, richiamato il rapporto di amicizia che si era instaurato tra loro, affermando testualmente che “passammo anche a casa sua a Mestre un paio dì Capodanni festeggiandoli anche con inni nazisti di cui avevamo i dischi”316. In quell’interrogatorio Siciliano ha continuato a descrivere i rapporti con Vianello, la sua partecipazione alle azioni ordinoviste (in particolare gli attentati di Trieste e Gorizia), ma di questo si è approfonditamente trattato.

Il giorno successivo, nel descrivere l’incontro di gennaio con Gradali317, Siciliano ha riferito le ragioni per cui si era convinto del coinvolgimento dei militanti ordinovisti di Venezia negli attentati del 12 dicembre:

“Gli elementi che provocarono questa mia crisi erano:

1) l'assoluta somiglianza fra gli ordigni che avevo visto e materialmente deposto a

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