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Hard, soft e mild Brexit: quale modello per le future relazioni tra l’UE e il Regno Unito?

Il paragrafo precedente ha individuato quattro specifiche difficoltà nell’applicazione della clausola di recesso. È corretto affermare che tali problematiche sono riconducibili, in ultima istanza, al contenuto dell’art. 50: quest’ultimo, infatti, indica come uscire dall’UE ma lascia alle parti il compito di stabilire che tipo di uscita

realizzare in concreto. Sul punto si sono riscontrate divergenze anche all’interno del Regno Unito. In effetti,

durante la campagna referendaria, né i sostenitori del remain né quelli del leave avevano promosso una seria riflessione circa le conseguenze di un’eventuale uscita: il risultato è stato che, all’indomani del referendum, Londra non aveva ancora chiari gli obiettivi in vista dei quali negoziare con l’UE. Gli scenari che si sono aperti sono, sostanzialmente, tre – nel gergo noti come hard Brexit, soft Brexit e mild Brexit.

La hard Brexit (letteralmente, “uscita dura”) rappresenta indubbiamente la soluzione più drastica: il Regno Unito, infatti, recederebbe dall’UE uscendo da tutti i Trattati e da tutte le istituzioni, inclusi il mercato interno e l’unione doganale. In buona sostanza, il mercato interno220 è un mercato unico fondato su quattro libertà –

la libertà di circolazione di merci, servizi, capitali e persone – all’interno del quale i cittadini europei, rispettando le regole comunitarie e sottoponendosi alla giurisdizione della CGUE, possono vivere, lavorare, studiare e fare affari liberamente. Esso è regolato da un insieme di accordi tra gli SM dell’UE, che ne fanno parte accanto a Svizzera, Norvegia, Islanda e Lichtenstein: pur non facendo parte dell’UE, gli ultimi quattro paesi vi hanno infatti aderito ma con modalità peculiari che saranno descritte nel seguito del paragrafo. Del mercato interno, l’unione doganale221 è poi una componente essenziale: infatti, essa si sostanzia nell’assenza

di barriere tariffarie e di buona parte delle barriere non tariffarie e doganali alle frontiere interne dell’UE. Qualora realizzasse una hard Brexit, il Regno Unito perderebbe inevitabilmente tali vantaggi. Rimandando agli ultimi paragrafi l’analisi delle conseguenze economiche di un’uscita dura, è evidente che quest’ultima infliggerebbe un duro colpo all’economia britannica perché le esportazioni britanniche sarebbero gravate da una serie di barriere tariffarie, non tariffarie e doganali da cui attualmente sono scevre. Non sorprende, quindi, che l’uscita dura sia osteggiata dai sostenitori del remain e, soprattutto, dal complesso industriale e finanziario britannico, preoccupato dalle perdite a cui tale strada sembrerebbe condurre. Tuttavia, secondo i leavers più rigidi, tali perdite sarebbero limitate al breve periodo: nel lungo periodo, infatti, sarebbero più che compensate dai guadagni che il Regno Unito, ormai pienamente sovrano, otterrebbe dalla conclusione di accordi commerciali più vantaggiosi e dall’adozione di una regolamentazione migliore222.

Una versione meno “hard” di una hard Brexit potrebbe essere l’adozione del modello Turchia: Ankara, infatti, è pienamente indipendente dall’UE, tranne che nella conduzione della politica commerciale, in cambio dell’accesso libero da dazi doganali sul mercato interno dell’UE per le sue merci. Tale modello, tuttavia, è

220 Eur-Lex. Mercato interno. 221 Eur-Lex. Unione doganale.

53 incompatibile con l’indisponibilità del Regno Unito a rinunciare all’indipendenza della propria politica commerciale.

Rispetto alla hard Brexit, la soft Brexit (letteralmente, “uscita morbida”) sarebbe, invece, una soluzione meno estrema. In questo caso, il Regno Unito uscirebbe dall’UE, ma rimarrebbe in qualche misura all’interno del mercato unico e dell’unione doganale. Non si tratta di uno scenario del tutto inimmaginabile: come si accennava sopra, fanno parte del mercato interno anche quattro Stati (Svizzera, Norvegia, Islanda e Lichtenstein) non membri dell’UE. Non a caso, quando si fa riferimento alla soft Brexit, si evoca spesso il modello Norvegia o il modello Svizzera223. Trattasi di due casi simili che presentano, tuttavia, alcuni profili di diversità.

Il paese scandinavo fa parte dello SEE, partecipa al mercato interno dell’UE e ne applica tutte le regole224:

ciò significa225 che, tra le altre cose, rispetta la libertà di circolazione delle persone, è sottoposto alla

giurisdizione della CGUE e contribuisce al bilancio comunitario. Non avendo, tuttavia, la membership dell’UE, la Norvegia non ha alcuna voce in capitolo sulla formazione di tali regole. La Svizzera, invece, non partecipa allo SEE: il suo accesso al mercato interno, quindi, è regolato da accordi bilaterali con i singoli SM e prevede limitazioni – ad esempio, nel settore dei servizi. Allo stesso tempo, la soggezione di Zurigo alle regole europee e alla giurisdizione della CGUE è pure parziale.

A prescindere dal modello eventualmente applicato, un’uscita morbida ridurrebbe al minimo le perturbazioni economiche derivanti dal recesso. Tale risultato positivo, tuttavia, avrebbe un prezzo: l’accettazione di molte delle regole del mercato unico e la contestuale perdita del potere di discuterle. Non sorprende, quindi, che la soft Brexit sia fortemente criticata dai brexiteers più rigidi; al contrario, i sostenitori del remain, alcuni brexiteers meno estremi e il complesso industriale e finanziario britannico vedono nell’uscita morbida l’ultima speranza per il paese di scongiurare la catastrofe. È evidente, quindi, che divergenze interne hanno reso difficile al Regno Unito presentarsi compatto dinanzi alle istituzioni europee.

In realtà, una soluzione di compromesso – dal punto di vista, è bene specificarlo, britannico – era stata individuata. Meno comune nel lessico mediatico, essa è nota come mild Brexit (letteralmente, “uscita moderata”) e consiste nell’ottenere la completa indipendenza del Regno Unito dall’UE in tutti i settori, mantenendo contemporaneamente il massimo accesso possibile al mercato unico per gli operatori economici britannici. Trattasi, in sostanza, della soluzione proposta da Theresa May al congresso Tory di Birmingham del 2 ottobre 2016, durante il quale l’allora Premier britannica dichiarò che “la dicotomia hard Brexit – soft

Brexit non esiste”. Seguendo tale principio, il 7 luglio 2018, il Governo britannico rese nota una proposta nota

come “Chequers plan”226. In sostanza, il piano proponeva l’istituzione di un’area di libero scambio e di una

nuova partnership doganale tra l’UE e il Regno Unito, che consentissero alle rispettive merci di circolare il

223 Sapir (2016).

224 Tranne che in materia di politica agricola e di pesca in cui, data la rilevanza per l’economia nazionale, mantiene l’indipendenza. 225 Il Post (2016). Il Regno Unito potrebbe restare nel “mercato unico” europeo? 29 giugno 2016.

54 più possibile liberamente, garantendo al tempo stesso al Regno Unito la conduzione di una politica commerciale indipendente e il mantenimento del confine aperto tra le due Irlande. Tale soluzione, nel Regno Unito, era potenzialmente gradita a tutti perché, di fatto, manteneva la promessa evocata durante la campagna referendaria di ottenere “sia la botte piena sia la moglie ubriaca”; due obiettivi che, invece, dal punto di vista comunitario, restano incompatibili.

Al riguardo, la posizione dell’UE è stata chiara sin dall’origine: già alla riunione del Consiglio europeo del 28 giugno 2016, i leader europei affermarono che “[q]ualsiasi accordo che [fosse stato] concluso con il Regno

Unito in quanto paese terzo [avrebbe dovuto] basarsi su una combinazione equilibrata di diritti e obblighi” e

che “[p]er avere accesso al mercato unico, [era] necessario accettare tutte e quattro le libertà”227, inclusa

quella di circolazione. Una posizione che Tusk ribadì ulteriormente, specificando che l’UE non era disponibile a realizzare un mercato unico “à la carte”228. Infatti, una partecipazione ad esso “su base settoriale” –

sottolineano gli orientamenti del 29 aprile 2017 – comprometterebbe “l’integrità del mercato unico”, nonché il principio di reciprocità su cui si fonda l’UE: in breve, per dirla con le parole dei leader europei, “[u]n paese

che non è membro dell’UE e non rispetta i medesimi obblighi di un membro non può avere gli stessi diritti e godere degli stessi vantaggi di un membro. […] Le quattro libertà del mercato unico sono indivisibili e non sono ammissibili scelte di comodo”229.

In definitiva, la posizione delle istituzioni europee è ben riassunta nel discorso tenuto da Tusk alla conferenza del Centro di politica europea230, il 13 ottobre 2016. In quella occasione, il Presidente del Consiglio europeo, ricordando che la decisione del Regno Unito di lasciare l’UE era maturata durante una campagna referendaria ampiamente incentrata sul tema della “ripresa del controllo”, affermò che tale approccio avrebbe avuto “conseguenze definitive”, etichettabili sotto il nome di hard Brexit. Infrangendo le speranze di quanti ancora speravano di poter avere sia la botte piena sia la moglie ubriaca, Tusk dichiarò con fermezza che era “inutile speculare sulla soft Brexit” e che “l’unica vera alternativa a una hard Brexit [era] nessuna Brexit”. Secondo il Presidente del Consiglio europeo, infatti, la volontà politica del Regno Unito costringeva – e costringe tuttora – l’UE a tutelare i suoi interessi rispettando i Trattati: ciò implica che la condizione per l’accesso al mercato unico presuppone l’accettazione delle quattro libertà, senza possibilità di compromessi.

Del resto, per l’UE, non cedere nel braccio di ferro con il Regno Unito è questione di sopravvivenza: perdere questo confronto significherebbe, infatti, mostrare al mondo e, soprattutto, agli altri SM che la sfida lanciata dal Regno Unito, cioè la possibilità di riappropriarsi della sovranità senza danneggiare irrimediabilmente l’economia nazionale, è una sfida che ogni altro SM può vincere con facilità. Per entrambe le parti, insomma, c’è in gioco la difesa della propria credibilità politica. Un elemento, questo, che il Regno Unito non è stato in

227 Dichiarazione al termine della riunione informale a 27 – Bruxelles, 29 giugno 2016.

228 Tusk (2016). Osservazioni del presidente Donald Tusk a seguito della riunione informale dei 27 capi di Stato o di governo

dell'UE. 29 giugno 2016.

229 Trattasi del cd. principio del “no cherry picking”.

55 grado di cogliere né prima né dopo il referendum: infatti, prima del referendum, l’abilità dei negoziatori britannici fu spacciata come l’unica incognita che avrebbe separato l’uscita del paese da un futuro indipendente e radioso; dopo il referendum, i brexiteers, convinti che il paese avesse un potere negoziale ben superiore rispetto a quello che aveva in realtà231, hanno continuato a sostenere che si dovesse imporre un ultimatum all’UE perché concedesse un accordo che assecondasse le esigenze britanniche. Da parte loro, i sostenitori del

remain hanno continuato a insistere su un’ampia partecipazione al mercato unico e all’unione doganale sempre

più impraticabile232.

Quale modello è dunque ipotizzabile per le future relazioni tra UE e Regno Unito? Esclusa, per le ragioni sopra indicate, l’applicabilità del modello Turchia, Norvegia e Svizzera, Barnier, il 15 dicembre 2017, ha indicato come possibili modelli di riferimento gli accordi conclusi dall’UE con il Canada o con la Corea del Sud233. Con il Canada, l’UE ha concluso un accordo economico e commerciale globale (CETA) volto a

semplificare l’accesso ai rispettivi mercati per merci, servizi e investimenti: a tale scopo, abolisce la maggior parte delle barriere tariffarie, promuove la cooperazione in materia di barriere tecniche al commercio, snellisce le procedure doganali, rimuove gli ostacoli agli investimenti esteri, liberalizza i trasferimenti di capitale e garantisce accesso equo e uguale ai rispettivi mercati dei servizi, anche finanziari234. Con la Corea del Sud, invece, l’UE ha concluso un ALS volto a liberalizzare progressivamente gli scambi di merci e servizi tra le parti: a tale scopo, esso prevede la progressiva eliminazione delle barriere tariffarie per circa il 98% delle merci scambiate dalle parti, la cooperazione in vista di un’armonizzazione delle barriere non tariffarie, una parziale apertura dei settori dei servizi, anche finanziari, un’ulteriore liberalizzazione degli appalti pubblici e l’impegno al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale235.

Tuttavia, come rileva236 puntualmente Antonio Tanca, ex funzionario del Consiglio dell’UE, il principale interrogativo sta nel capire fino a che punto “si potrà estendere la portata di quest[i] modell[i] in modo da coprire il più possibile settori come i servizi finanziari, che sono cruciali per l’economia britannica”. Per Londra, negoziare il migliore accordo possibile sulle future relazioni con Bruxelles è di vitale importanza: solo così, infatti, il Regno Unito può sperare di compensare almeno in parte i problemi economici derivanti dalla sua uscita dall’UE. All’analisi delle implicazioni economiche della Brexit è dedicato, pertanto, il resto del capitolo.

231 Tanca (2018), p. 349. 232 Ivi, p. 348.

233 European Commission Task Force for the Preparation and Conduct of the Negotiations with the United Kingdom under Article 50 TEU (2017). Slide presented by Michel Barnier, European Commission Chief Negotiator, to the Heads of State and Government

at the European Council (Article 50) on 15 December 2017. 19 December 2017.

234 Eur-Lex. Accordo economico e commerciale tra il Canada e l’Unione europea. 235 Eur-Lex. Accordo di libero scambio tra l'UE e la Repubblica di Corea. 236 Tanca (2018), p. 346.

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