• Non ci sono risultati.

62 anni, nata a Helensbourgh, Italo-Scot di seconda generazione Si trasferisce a Barga con i genitori nel 1971 Cittadinanza: britannica e italiana.

LE INTERVISTE AI BARGO-SCOTS BARGA (LU), AGOSTO

I.: 62 anni, nata a Helensbourgh, Italo-Scot di seconda generazione Si trasferisce a Barga con i genitori nel 1971 Cittadinanza: britannica e italiana.

Mi fa entrare nella sua casa, tiene a sottolineare che è provvisoria, e ci accomodiamo in un salottino. Mi guarda preoccupata, non vuole assolutamente che registri la conversazione (è l’unica), mi fa capire che ci ha ripensato e non è molto contenta di raccontarmi la sua vita privata. Non appena le assicuro che non la sto registrando e che non voglio sapere dettagli personali, ma come la sua famiglia si è spostata tra l’Italia e la Scozia, si rasserena e inizia a raccontarmi la sua storia.

I è nata e cresciuta a Helensbourgh, una cittadina non lontano da Glasgow, figlia di genitori barghigiani che decisero di lasciare l’Italia prima per andare in Irlanda e poi in Scozia, dove aprirono un ristorante. L’emigrazione era una scelta usuale in famiglia: il padre aveva già fatto questo genere di esperienza, infatti, prima del secondo conflitto mondiale aveva seguito i propri genitori che erano andati in cerca di lavoro all’estero. Durante la guerra era stato internato come prigioniero all’Isola dell’Uomo277, The Isle of Man, poiché non aveva voluto

rinunciare alla cittadinanza italiana per prendere quella britannica. Finita la guerra e liberato, questi tornò a Barga dove ritrovò la fidanzata, la sposò e insieme partirono per l’estero e in Scozia nacque I.

277 Ho notato che tutti i miei intervistati traducono letteralmente ogni parola, pertanto Isle of Man diventa Isola dell’Uomo.

Quella di I. è una buona famiglia, la ragazza riceve un’istruzione e studia pianoforte al conservatorio. Sin dall’età di 3 anni, passa ogni estate a Barga soprattutto per volere del padre, estremamente nostalgico e attaccato alla terra di origine. Le abitudini della famiglia, infatti, sono sempre state tutte italiane: a partire dal tipo di cucina fatta in casa, al professare la fede cattolica, alla scelta della madre di parlare esclusivamente italiano con la figlia, la quale, essendo nata in Scozia, possedeva di diritto la cittadinanza britannica.

Nonostante la famiglia abbia mantenuto saldamente il legame con l’Italia e abitudini domestiche mediterranee, la conduzione del ristorante non ne ha mai risentito negativamente, anzi, era benvoluta e rispettata da tutti. La stessa I. che, finito il conservatorio, avrebbe voluto fare carriera come pianista, in seguito a problemi di salute di entrambi i genitori, all’età di 19 anni, iniziò ad occuparsi dell’attività di famiglia e afferma di non aver mai avuto problemi perché italiana, di non essere mai stata considerata un bersaglio facile perché non scozzese. Parlando di questo, I. ricorda che quando andava a scuola forse altri bambini l’hanno presa in giro, ma solo piccole cose ed è comunque durata poco. Neanche quando la sera era sola al ristorante si è sentita in difficoltà, neppure di fronte ai Beach Boys, bande di ragazzi sullo stile delle gangs americane, che eleggevano il proprio capo e facevano atti di vandalismo gratuito come rompere le vetrine dei negozi e rubare gli incassi di diversi esercizi. I. non è stata vittima di queste scorribande perché Helensbourgh è una piccola località e lei era stata compagna di scuola del capo della gang del suo quartiere.

Un’altra dimostrazione di quanto fosse benvoluta la famiglia consiste nel fatto che non si è mai rivelato essere un problema nemmeno la loro fede cattolica e l’episodio più significativo per I. è stata la partecipazione della nanny, scozzese e protestante, alla cerimonia della sua prima comunione. La giovane I. si è sempre sentita del tutto integrata, parlando perfettamente sin da piccola entrambe le lingue. Inoltre lei stessa ritiene che il fatto di trovarsi in un quartiere di persone benestanti e istruite e più open minded, abbia giocato un ruolo determinante affinché si sentissero a proprio agio.

Ha sempre partecipato volentieri alle feste organizzate dalla comunità italiana e andava ogni volta che poteva alla Casa di Italia a Glasgow, soprattutto nel periodo di Carnevale, quando le feste erano più colorate e divertenti.

Quando però in seguito le condizioni di salute dei genitori iniziarono a peggiorare, insieme presero la decisione di lasciare il ristorante e la Scozia e di tornare a stabilirsi a Barga, nel 1971. Per I. è stato certamente un dispiacere lasciare la Scozia, ma non fu un problema trasferirsi perché a Barga c’erano i parenti con i quali la famiglia era sempre rimasta in contatto, soprattutto telefonico, e amicizie coltivate negli anni da un’estate all’altra e così si sentiva a casa anche in Toscana.

Alla domanda se secondo lei Italiani e Scozzesi si assomigliano, risponde di no, piuttosto vede una certa somiglianza tra i territori toscani e scozzesi, che offrono entrambi luoghi verdi e paesaggi di mare e collina.

Una volta trasferita, I. ha ritrovato al paese una vecchia conoscenza che l’anno successivo sarebbe diventata suo marito, un pisano che sposandola le ha fatto acquisire anche la cittadinanza italiana. Per I. la cittadinanza italiana è qualcosa che è venuto col matrimonio, una facilitazione burocratica, non un’affermazione simbolica della sua italianità: I. è profondamente legata a Barga e non all’Italia, perché è a quel luogo che sono legati i suoi ricordi e le persone della sua famiglia. Nel profondo però sente di appartenere al luogo dov’è nata, la Scozia. Inoltre preferisce il carattere più sfacciato e sfrontato, ma allegro e gioviale degli scozzesi, che quello chiuso e molto riservato dei barghigiani.

I. ha due figli che sono nati in Italia e perciò hanno soltanto la cittadinanza italiana. Con i figli raramente I. ha parlato in inglese, tanto che non i due non hanno raggiunto un livello madrelingua e anche se oggi un po’ se ne rammarica, spiega che trovandosi in Italia le veniva più naturale parlare italiano. Adesso però ha una nipotina alla quale è decisa a insegnare la lingua e con la quale parla in inglese.

La Scozia le manca, dopo 43 anni in Italia e visite sempre più rare al nord, ha nostalgia di un buon fish & chips, perché il pesce così buono e la frittura così delicata, tipica di lassù, non si ritrova, neanche alla sagra che fanno qui (a Barga) tutti gli anni. Quasi si commuove ripensando a una vecchia canzone della quale non ricorda il titolo, che parla del Clyde, il fiume che scorre vicino a Glasgow e che sfocia in mare vicino alla sua città.

Non ha mai avuto particolare interesse per la politica né di un paese né dell’altro. Si dice però d’accordo con il prossimo Referendum per l’indipendenza perché, a detta sua, la Scozia non è mai andata d’accordo con gli inglesi ed è sempre stata sfruttata. Invece può vivere dei suoi prodotti: latte, burro, bestiame, la lana delle Shetland e il Whiskey.

AD.: 55 anni circa, nata a Glasgow, Italo-Scot di terza generazione. Si trasferisce a Barga con il marito nel 1983. Cittadinanza: britannica e italiana.

Ad. è nata a Glasgow, da genitori scozzesi, ma in parte di origine italiana: uno dei suoi nonni, infatti, era barghigiano emigrato in Scozia alla fine dell’Ottocento per fare il minatore.

A prescindere dalle origini dei genitori, conosceva l’Italia ancora prima di incontrare il marito, poiché vi aveva trascorso alcune settimane di vacanza con la famiglia. Durante l’adolescenza ha conosciuto il futuro marito che si trovava in Scozia per una visita ai parenti, poi si sono rincontrati e lui ha deciso di restare. I due, in Scozia, dopo essersi sposati,

avevano aperto un ristorante italiano. Una volta stabilitisi a Barga, decidono di continuare a lavorare nell’ambito della ristorazione e aprono un trattoria, che esiste ancora oggi.

AD., anche se ha origini italiane, ha imparato la lingua quando si è trasferita a Barga, dato che in famiglia si parlava esclusivamente l’inglese. Tutti i suoi parenti sono in Scozia e sono rimasti in stretto contatto sin da quando si è trasferita.

Quando le chiedo se ha avuto difficoltà a imparare la lingua, mi risponde di si, soprattutto durante i primi tempi a causa della pronuncia toscana e della velocità:

L’avevo anche studiato a scuola, ma in queste zone poi parlano veloce e anche se non c’è un dialetto, però ti mettono quella parola, quei modi di dire che non sai. Ho iniziato a capire meglio quando i bimbi sono andati a scuola perché ho studiato la grammatica insieme a loro e ho anche imparato a scrivere meglio. Ad esempio, ero convinta che si dicesse ‘la mondizia’ poi un giorno, per caso, l’ho visto scritto e ho capito che era ‘l’immondizia’.

Alla domanda se si sente integrata e se crede che la presenza di tanti scozzesi a Barga possa averla aiutata a integrarsi, risponde di si:

Trent’anni fa non c’era l’andirivieni di scozzesi che c’è ora, quello è iniziato circa dieci anni fa. All’improvviso capitava che qualcuno si mettesse a parlare in inglese e questo era spesso un sollievo, nel senso che non mi sentivo in un mondo senza possibilità di esprimermi completamente.

Racconta poi che in Scozia frequentava la comunità e l’ambiente italiani e che andava spesso anche alle feste organizzate a Casa d’Italia e specifica:

Non era vietata la presenza di non-italiani però c’era la voglia di preservare un certo tipo di ambiente, tutto italiano e un po’ chiuso.

È lì che ha incontrato il marito. La famiglia di AD. è cattolica quindi non ci sono stati problemi quando ha sposato il fidanzato italiano e cattolico.

Le chiedo se si è mai sentita discriminata in Italia perché scozzese e risponde di no. Poi le domando se il suo cognome da ragazza italiano, è mai stato motivo di discriminazione in Scozia:

Per me personalmente non tanto: solo una volta è capitato, feci un incidente stupido con la macchina contro uno scozzese. Quando mi hanno visto con i capelli e gli occhi scuri non mi hanno fatto entrare nella casa per telefonare ai miei, mentre all’altra persona si, mi dissero proprio ‘tu devi aspettare fuori’. Però è stato solo questo. la generazione della mia mamma invece ha sofferto molto di più perché i due paesi erano nemici. Ma dopo la guerra non abbiamo sofferto tanto: gli italiani in Scozia sono tranquilli, lavorano tanto e si adattano, non danno fastidio. Lo dimostra il fatto che quando vennero a prendere gli uomini di famiglia per imprigionarli, i vicini scozzesi furono i primi a urlare ‘lasciateli stare, sono gente per bene’.

I suoi figli sono nati tutti e tre in Italia, ma hanno cittadinanza anche britannica perché AD. subito li ha registrati al consolato britannico a Firenze. Con il marito ha deciso di parlare inglese con i figli da sempre. Ha incontrato resistenze da parte dei parenti italiani che temevano che i bambini potessero fare confusione, ma loro hanno deciso di insistere e ora i

figli sono grandi e perfettamente bilingue. AD. aggiunge che i tre sentono la componente scozzese ereditata dalla madre, si considerano Italo-Scots a tutti gli effetti. I genitori li hanno sempre portati in Scozia in visita dai parenti ogni anno, anche per un mese, e la madre ha sempre cercato di coinvolgerli nel contesto scozzese. A volte partivano a giugno, quando le scuole in Scozia non sono ancora finite, e li mandavano a scuola per le restanti due o tre settimane di corso, in modo che così potessero fare esercizio. Prendeva loro anche le divise della scuola, in modo che si sentissero perfettamente parte del contesto.

AD. ha il doppio passaporto e ha preso quello italiano grazie al matrimonio. Alla domanda se dopo tanti anni in Italia, si sente più scozzese o italiana, risponde:

Un po’ tutte e due, ma il mio modo di fare e di pensare è decisamente scozzese, non è italiano. In tutto, anche nelle cose banali, per esempio non ho mai comprato un termometro per misurare la febbre perché in Scozia non si usa e qui non è freddo. Però la mentalità italiana si sta avvicinando sempre di più a quella britannica. Io vedo la differenza tra trent’anni fa, quando sono arrivata io, e i giovani di ora, che sono uguali in tutto il mondo: la pensano uguale, si vestono uguale. Forse è grazie a internet e alla possibilità di viaggiare, manca solo la lingua (intende qui la mancanza della conoscenza dei giovani italiani della lingua inglese).

Passo a chiederle se lei e la famiglia partecipano alle molte iniziative e feste organizzate dalla città per i bargoesteri:

Una volta sì, lo facevamo di più, ma sempre come clienti, mai partecipato all’organizzazione o come ristoratori, mi piace andare alle feste e poi mi piace il pesce e patate. Ma ormai la gente va spesso in Scozia e abbiamo un negozio a Barga che vende prodotti tipici scozzesi. Tante cose ormai si trovano anche qui, quindi mi mancano un pochino meno.

Ha nostalgia della Scozia?

Un po’ sì e poi la vita diventa proprio un ‘se’: se eravamo rimasti lì? Se abbiamo sbagliato? I nostri figlioli ci danno dei pazzi, dovevamo restate là, ma loro lo dicono anche pensando alla grande città.

E com’è stato trasferirsi da una grande città dinamica e piena di attività e possibilità, a un piccolo paese di montagna e a una vita tranquilla?

Non facile, trent’anni fa poi era una vita molto tranquilla. La prima cosa che non capivo e che mi da fastidio ancora oggi, sono gli orari dei negozi: non si può chiudere a mezzogiorno e riaprire alle quattro del pomeriggio. Ed effettivamente è tutto nel piccolo, manca di dire ‘vado a fare una girata in città’, poi qui il massimo in questo senso era scendere a Fornaci di Barga. Non c’è niente ora, figurati prima!

Quale tipo di cucina prediligete a casa?

Un misto delle due, poi essendo lui (il marito) cuoco... (intende dire che cucinano più italiano). Una cosa differente, è che io ho sempre dato i Cornflakes ai miei figlioli per colazione e negli anni ’80 non usavano. Ma non sono mai stati presi in giro, nemmeno per le merende a scuola che erano diverse, le pie. E poi io ero abituata a cenare molto più presto, verso le sei (in Scozia). Tutti poi confondono il the delle cinque con uno spuntino, in realtà è proprio la cena, seguita da un altro spuntino verso le dieci di sera. Invece, in Italia ho preso l’abitudine a mangiare più tardi.

Parlando, AD. sostiene una cosa interessante: tutte le diverse abitudini ed esperienze italiane e scozzesi che caratterizzano la sua famiglia, hanno dato alla stessa qualcosa in più, una sorta di valore aggiunto. Cercando si spiegarsi meglio afferma:

io ho notato che gli Italo-Scots, ma in generale gli Italo-qualcosa, diventano una razza a parte, perché hai il cognome diverso, hai abitudini diverse, tramandate da una generazione all’altra e ti senti diverso. Poi vieni qui (in Italia) e ti rendi conto che non sei nemmeno italiano, perché il tuo modo di pensare e far le cose è totalmente diverso, non sei né mare né terra. E vale per tutti quanti, lo vedo da come parlano e discutono. Non siamo né cento per cento una cosa, né cento per cento l’altra. Non è una cosa negativa, ma è strano. Non so, magari è frustrante non poter dire di essere proprio italiano o scozzese. Però è una cosa in più che hai, due esperienze e culture messe insieme. Si crea un proprio equilibrio e una razza a parte. Ma penso che valga per tutti quelli all’estero. Per i loro figli e nipoti nati là è di certo più facile, sono perfettamente integrati, come è stato per me rispetto a mia madre.

E quindi pensa che nei suoi figli la componente britannica sia poco forte?

Beh si, loro sono andati a scuola qui, direi che son più italiani che scozzesi, ma quando sono con scozzesi, sono nel loro. Poi il carattere aperto degli scozzesi aiuta a fare amicizia.

Tenendo presente che il suo termine di paragone nello stile e ritmo di vita è città-paese, le chiedo se, a suo parere, italiani e scozzesi si assomigliano:

Non lo so... Ora le cose sono cambiate, si assomigliano tutti sempre di più, poi la gente viaggia di più. In trent’anni che sono qui però ho visto un miglioramento: la gente è più aperta e anche più educata, nel senso che mantengono di più gli impegni presi e sono più puntuali. Vedevo la chiusura mentale del paese piccolo, io venivo dalla grande città. E non so com’è la differenza tra città e città. Forse gli italiani sono più riservati, ma è difficile rispondere, io non ho mai vissuto in città in Italia, non so com’è, conosco la gente di qui.

Passo a domandarle se segue la politica di entrambi i paesi e cosa pensa del Referendum scozzese per l’indipendenza. Dice di non seguire molto la politica e per quanto riguarda l’Italia specifica:

Un’altra cosa dell’Italia che mi da noia, è una politica che non riesce a darsi una svolta. Da quando sono venuta io sono sempre i soliti che hanno le poltrone là, non cambia mai nulla!

E per quanto riguarda il Referendum in Scozia:

Secondo me sarà no, anche la maggior parte degli scozzesi che vengono qui, dicono ‘non si può esser soli, come si fa a star soli?’ e poi è un costo non indifferente perché bisognerà cambiare tutto: soldi, targhe, di tutto di più. Bisogna vedere se il patriottismo vince, se il cuore vince sulla testa. Ma da quel che ho sentito penso che non passerà. E specialmente i più giovani non credo che si rendano conto e capiscano le conseguenze, pensano a Braveheart278. Io

278 Il film che racconta la storia romanzata di William Wallace (1270-1305), il condottiero scozzese che guidò i suoi connazionali nelle lotte per liberare la scozia dall’occupazione inglese. È considerato eroe nazionale.

voterei sicuramente ‘no’, ma è difficile decidere perché ormai sono trent’anni che sono qui, non faccio parte della vita giorno per giorno là. Quando ero là votavo sempre, ora no.

Alla luce di quanto sostenuto, consiglierebbe o consiglia ai suoi figli di lasciare l’Italia o andare proprio in Scozia?

Si, loro vorrebbero andare, magari non in Scozia, ma comunque vorrebbero partire ed è giusto che facciano le loro esperienze dove vogliono per cercare lavoro e un futuro.

Se le dico Italia a cosa pensa? E se le dico Scozia?

Italia: snobismo, c’è tanto snobismo. Scozia: tranquillità e controllo. Un posto dove le cose funzionano. In Italia mi perdo nella burocrazia, le cose non finiscono mai, nessuno sa mai niente. È una lotta quotidiana su qualsiasi cosa.

Pensa che lei e suo marito tornerete in Scozia?

Non lo so, i figli ormai sono indipendenti. Noi vedremo, ma alla fine non mi dispiace star qui, ormai.

N.: 65 anni circa, nata a Girvain, scozzese. Si traferisce a Barga con il marito nel 1971. Cittadinanza: britannica e italiana.

N. è nata a Girvain, una località di mare vicino a Prestwick, nell’Ayrschire. Le chiedo se aveva qualche legame con l’Italia, prima di incontrare il marito:

Si, c’erano tante botteghe di italiani, ne avevano aperte molte dopo la guerra, e io lavoravo in una gelateria artigianale gestita da italiani, i Cocuzza.

Mi spiega di aver sempre lavorato in contesti internazionali, ovvero, con datori di lavoro, colleghi oppure con clienti di altre nazionalità e tra questi anche italiani. Nel 1965, a una festa, conosce il marito, un barghigiano di origini palermitane, che era emigrato in Scozia e aveva trovato lavoro come aiuto-cuoco in un ristorante italiano di Glasgow molto rinomato.

C’erano tanti stranieri, io e le mie colleghe abbiamo sposato tutte uno straniero: chi un francese, chi un pakistano, io un italiano, ci aspettavano fuori dall’ufficio.Ci siamo sposati contro tutto e tutti: io sono protestante metodista, lui non solo non era scozzese, ma era cattolico. È successo un casino che non ti dico nella mia famiglia, non volevano assolutamente. Pensa che mio zio era nella RAF e aveva bombardato Palermo durante la guerra! Ma ci siamo sposati lo stesso e oggi vengono tutti in vacanza da noi.

Quindi siete rimasti in ottimi rapporti e vi sentite spesso?

Si, sono sempre qui, mio fratello ha comprato pure la casa! Quando viene uno,

Documenti correlati