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Gli Italo-Scots nell'emigrazione italiana in Gran Bretagna

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali

Gli Italo-Scots nell’emigrazione verso la Gran Bretagna

Relatore Candidato

Chiar.ma Prof.ssa Serenella Pegna Maria Sole Sbrana

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INDICE

INTRODUZIONE ………...……… …..p. 5

CAPITOLO 1

ITALIANI IN GRAN BRETAGNA E SCOZIA FINO AL 1914

1 – Premessa .………... p. 8 2 - Il Medio Evo, l’epoca moderna, il XIX secolo ……….………. p. 9 3 – Le ondate migratorie del XIX secolo: il Risorgimento e i rifugiati politici, i pionieri delle prime, vere emigrazioni di massa e i primi arrivi in Scozia ..……..………..……… p. 14 3.1 – Nuove tipologie di migranti ……….………..……..… p. 14 3.2 – Street performers e la figura del padrone ……….………. p. 17 3.3 – La comunità si ingrandisce e cambia la struttura occupazionale …………... p. 19 4 – Le origini della comunità italiana in Scozia e il rilevante contributo dell’emigrazione barghigiana ………..……….. p. 21 5 – Le opinioni dei britannici sugli italiani, i clichés sugli immigrati e i rapporti tra italiani e Scots………..………. p. 24

5.1 – Stereotipi in Gran Bretagna... ……….………... p. 25 5.2 - ... E in Scozia ………...………... p. 26 6 – La prima legislazione sugli immigrati, gli Aliens Orders e i rapporti bilaterali con l’Italia nel XVIII e XIX secolo ……….………..………..… p. 29 7 – Associazioni e periodici, identità di gruppo e attaccamento al paese di origine ... p. 32 7.1 – Le associazioni ……….………... p. 33 7.2 - La stampa ………..………...… p. 35 8 – Conclusioni ……….……. p. 39

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CAPITOLO 2

ITALIANI IN GRAN BRETAGNA E SCOZIA NEL XX SECOLO

1 – Premessa ………...………. p. 40 2 – La Prima guerra mondiale e il dopoguerra ……….………. p. 40 2.1 - Le associazioni, la stampa e le conseguenze economiche e commerciali per la collettività ………...……….….. p. 41

2.2 – La legislazione dei due paesi ………... p. 43

2.2.1 – La legislazione britannica ………..…………..… p. 43

2.2.2 – La politica emigratoria italiana ………....……….. p. 45 2.3 – Dimensioni e cambiamenti nella struttura della Comunità ………. p. 46 3 – Il periodo tra le due guerre, il Fascismo e il suo ruolo nella vita degli

immigrati ………...… p. 46 3.1 – La comunità italiana negli anni ’20 e ’30 ……… p. 46 3.2 – L’ascesa del Fascismo ………. p. 48 3.3 – L’adesione al Regime ……….. p. 49 4 - La seconda guerra mondiale e l’esperienza dell’internamento ……… p. 54 4.1 – L’internamento ………... p. 55 4.2 – L’affondamento dell’Arandora Star ………... p. 58 5 – Dai trattati di pace alla Comunità europea ………..… p. 62

5.1 – Evoluzione professionale ……….……… p. 63 5.2 – Istituzioni politiche, le associazioni e la stampa ………... p. 65 5.3 – Politica immigratoria e l’ingresso del Regno Unito nell’Unione

Europea ……….……… p. 67 5.4 – Nuove caratteristiche della comunità italiana ………..……… p. 69 6 – Gli ultimi due decenni del XX secolo ………. p. 71 7 – Conclusioni .………. p. 74

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CAPITOLO 3

LE INTERVISTE AI BARGO-SCOTS. BARGA (LU), AGOSTO 2014

1 – Premessa ……….…………....………. p. 75 1.1 – Modalità di contatto …..………...………...….………. p.75 1.2 – Suddivisione preliminare degli intervistati ……….………. p. 76 2 - Le interviste ……….………. p. 77 2.1 – Le donne: I., N. e AD. …………...………..……… p. 77 2.2 – Gli uomini: M., F. e A. ………...………...…...……… p. 86 3 - Commento alle interviste ………....……….……… p. 94

3.1 – Il ruolo giocato dall’apprendimento della lingua e dalle discriminazioni nel processo di integrazione e il confronto tra generazioni ... p. 95 3.2 – Il senso di appartenenza e il significato attribuito alla cittadinanza ……... p. 99 3.3 – Il disinteresse per la politica e per l’associazionismo e i Bargo-Scots divisi sul Referendum ………..….……….… p. 102 4 - Gli Italo-Scots visti dalla Scozia ……….……... p. 106

4.1 - The Italo Scottish Research Cluster e il questionario ‘Who Do You Think You

Are?’ ……….……….. p. 106

4.2 – L’Istituto di Cultura Italiana di Edimburgo ………...….……... p. 109

CONCLUSIONI ………..……….…..……...… p. 112

APPENDICI ……….………... p. 117

BIBLIOGRAFIA E SITI INTERNET ……….………..……. p. 124

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INTRODUZIONE

Ad oggi, in Scozia risiedono circa 100.000 scozzesi di origine italiana1. Ristoranti, insegne e bandiere italiane visibili ovunque per le strade di Glasgow ed Edimburgo, bastano a rendersi conto che la presenza italiana è numerosa e radicata da tempo. Questi continui richiami all’Italia non sono trovate pubblicitarie o soltanto effetto della globalizzazione, ma frutto di un profondo legame che nel corso degli ultimi 150 anni si è creato tra i due paesi, grazie alle migliaia di emigrati che hanno scelto di cercare fortuna e stabilirsi in Scozia.

L’elaborato intende indagare le caratteristiche principali della presenza italiana in Scozia e rendere conto di come essa si sia evoluta a partire dalla metà dell’Ottocento, se si sia conservata nel tempo e come abbia cambiato forma e caratteri, discutere se si possa parlare di una comunità italiana, ricostruire in quale modo, al di là dei dati statistici, essa si sia organizzata nel corso delle varie fasi storiche, valutare se sia possibile individuare delle linee di tendenza generali utili a comprendere l’entità del legame che esiste tra città scozzesi e città italiane oggi.

Si tratta di una serie di domande affrontato da un numero molto limitato di studi e la stessa storia dell’emigrazione italiana in Scozia viene trattata per lo più per accenni all’interno di quella verso la Gran Bretagna. Degli altri testi, alcuni sono dedicati a specifici momenti storici, altri sono racconti autobiografici.

La struttura della tesi è la seguente.

Nel primo capitolo, dopo un breve excursus sul medioevo e l’epoca moderna, si passa ad analizzare il periodo più interessante delle migrazioni di massa, quelle di carattere economico, che hanno inizio nella seconda metà del XIX secolo, e periodo in cui la comunità italiana in Scozia inizia a costituirsi.

Nel secondo capitolo, l’analisi si concentra sul XX secolo, periodo denso di cambiamenti, considerato a partire dalla Grande Guerra sino alla fine del secolo. Le domande che orientano questi due primi capitoli servono a cercare di comprendere quali fattori hanno influenzato la vita degli emigrati.

Anzitutto, ci si è chiesti quali categorie di lavoratori hanno preso parte ai flussi migratori e in quale modo essi hanno progressivamente cambiato mestieri; quali sono le principali città di insediamento; se la comunità che vi si è creata presenta caratteristiche particolari rispetto al resto del paese.

1 Cfr. http://www.ibtimes.com/italians-scotland-closer-look-british-immigration-policy-what-will-uk-do-about-next-wave-immigrants

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In secondo luogo, quanto alla tematica del processo d’integrazione, si è cercato di comprendere quali siano stati gli atteggiamenti di britannici e scozzesi nei confronti degli immigrati italiani, ovvero, quali sono i principali stereotipi e come si sono creati. In terzo luogo, si è tentato di individuare i contesti che hanno portato gli italiani a emigrare, quale ruolo abbiano giocato gli Aliens Orders britannici e i provvedimenti legislativi della politica emigratoria italiana, e quale importanza abbiano avuto le associazioni e le pubblicazioni dei giornali scritti in lingua italiana per la vita della comunità.

Il terzo capitolo è frutto di un’indagine empirica. Scoperto il legame particolare che unisce Barga e Glasgow e, incuriosita dalla natura dello stesso, mi sono recata in Garfagnana dove ho preso contatti con alcuni Bargo-Scots per intervistarli. Ho preparato un questionario volto a capire cosa significa essere Italo-Scots. Il numero dei partecipanti, sei persone, è limitato e non offre un campione sufficiente a sviluppare o sostenere una teoria. Esso fornisce comunque spunti di riflessione interessanti che ho raggruppato in tre aree tematiche principali:

I) il procedimento di integrazione relativo all’apprendimento della lingua, ad episodi discriminatori, alle differenze tra generazioni;

II) il senso di appartenenza e il significato che gli intervistati attribuiscono alla cittadinanza giuridica;

III) l’evidente disinteresse e distacco dalla politica.

La ricerca condotta in questo capitolo si collega ad altre già svolte nel corso di un tirocinio a Edimburgo tra il marzo e il luglio 2013. Durante quel tirocinio, ho partecipato come volontaria dell’Italo Scottish Research Cluster (ISRC), progetto di post-doc del dipartimento di italianistica dell’Università di Edimburgo, consistente in un archivio on-line dedicato agli italo-scozzesi.

Nel tentativo di dare un personale contributo al cluster, avevo ideato un questionario con l’idea di raccogliere la testimonianza di giovani Italo-Scots, di età compresa tra i 18 e i 35 anni, e porre una serie di domande volte a indagare cosa significa per loro la componente italiana che hanno ereditato dalla famiglia. A tal fine, avevo preparato un questionario, intitolato per l’appunto, ‘Who do You Think You Are? What does it mean being a young Italo-Scot?’.

Specularmente a quanto riscontrato con gli Italo-Scots di Barga, anche in questo caso non è stato possibile andare oltre la formulazione di osservazioni dato l’esiguo numero di soggetti interessati che hanno risposto.

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Ho svolto il tirocinio presso l’Istituto Italiano di Cultura (IIC) di cui ad oggi è direttrice la Dott.ssa Stefania del Bravo. L’Istituto interagisce con la comunità locale attraverso l’organizzazione di corsi di lingua e rassegne letterarie e cinematografiche, e collaborando con enti pubblici, come l’Università, e privati, ad esempio gallerie d’arte, utilizzando la cultura come veicolo di interazione. Nel periodo in cui ho svolto il tirocinio, l’IIC era coinvolto in particolare nell’inserimento e gestione delle compagnie teatrali e dei musicisti italiani che hanno partecipato all’edizione 2013 del Fringe Festival, evento che si tiene durante tutto il mese di agosto e che richiama un pubblico vastissimo, e nell’allestimento della mostra fotografica Second Sight a Stills Gallery, di cui allora era direttrice la fotografa italo-scozzese, con origini molisane, Deirdre MacKenna.

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CAPITOLO 1

ITALIANI IN GRAN BRETAGNA E SCOZIA FINO AL 1914

1 – Premessa

L’emigrazione italiana verso la Gran Bretagna, in modo particolare quella verso la Scozia, è poco conosciuta e poco studiata. Contrariamente a quanto si può pensare, esistono poche fonti specifiche a riguardo. Una delle ragioni è che il numero di emigrati italiani nel Regno Unito non è neppure lontanamente paragonabile a quello diretto, ad esempio, verso gli Stati Uniti,o il Canada, o l’America Latina, sui quali esiste un’ampia letteratura. Si tratta comunque di una storia con tratti peculiari, anche curiosi, che interessano persino le regioni più remote dell’isola e con radici profonde che risalgono ai nostri antenati latini2. La stessa Scozia fu meta dei legionari romani che nel II e III secolo occuparono la zona di Cramond a Edimburgo, il forte Antonine Wall, che divenne la fortificazione più a nord di tutto l’impero3. I paragrafi seguenti affronteranno due gruppi di domande.

Il primo, funzionale a mettere a fuoco il tema-problema dell’indagine, ha ad oggetto i caratteri dei flussi migratori verso l’intera isola nel corso dei secoli, dalla caduta dell’impero romano fino agli inizi del Novecento (§§ 2-3). Lo scopo è tentare di individuare delle linee di tendenza generali, quali differenze esistono tra i flussi migratori che si sono avuti nei diversi periodi storici, se le poche fonti a disposizione consentono di ricostruire come si è formata la comunità italiana in Scozia. Ancora, quali sono state le principali città di insediamento, se la comunità che si è creata presentava caratteristiche particolari rispetto al resto del paese, se hanno preso parte all’emigrazione determinate categorie di lavoratori.

Il secondo gruppo di domande punta l’attenzione sull’emigrazione italiana in Scozia della seconda metà del XIX secolo. Quali fattori, anzitutto (§ 4), hanno caratterizzato la vita degli immigrati italiani e ne hanno condizionato lo stile di vita, quali sono state le tipologie di lavoratori e in quale modo questi ultimi hanno progressivamente cambiato mestieri, passando per la maggior parte a un genere di attività più stabile e socialmente più accettato e accettabile; e poi, qual è stato il contributo specifico degli emigranti provenienti dalla cittadina toscana di Barga, in provincia di Lucca, ancora oggi legata a Glasgow, suo luogo di insediamento scozzese. In secondo luogo (§ 5), osservare quali sono stati gli atteggiamenti di britannici e scozzesi nei confronti degli immigrati italiani, quali sono i principali stereotipi e

2Sponza L.,Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, per la rivista International journal of studies on the people of Italian origin in the world, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli per il Centro Altreitalie, Torino, gennaio-giugno 2005, p. 4.

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come si sono creati. Ancora, considerare quali contesti hanno portato gli italiani a emigrare. Quale ruolo hanno giocato, in terzo luogo (§ 6), i primi Aliens Orders britannici e i provvedimenti legislativi della prima politica emigratoria italiana nel passaggio da emigranti di élite a emigranti di massa. Infine, quale importanza hanno avuto le associazioni e le pubblicazioni dei giornali scritti in lingua italiana per la vita della comunità italiana (§ 7).

2 - Il Medio Evo, l’epoca moderna, il XIX secolo

La dissoluzione dell’impero romano lasciò le popolazioni britanniche preda di invasioni e in un vortice di lotte intestine. Della dominazione di Roma rimase traccia soltanto nelle grandi opere pubbliche (acquedotti, bonifiche, strade, città) e i rapporti con i romani si dileguarono insieme alle ultime legioni che lasciarono l’isola, al punto che la Manica finì per essere attraversata a lungo solo da pochi mercanti. In quegli anni, la cultura subì una sorta di regressione e scomparve anche il cristianesimo, introdotto a fatica nei secoli precedenti. Dopo circa due secoli di contatti sporadici e quasi inesistenti, intorno al 600 d.C. riprendono i flussi migratori dalla nostra penisola nei territori britannici4.

Un primo tipo di flusso migratorio di questo periodo riguarda gli spostamenti di mercanti, artigiani e lavoratori specializzati. Occorre qui sottolineare che per secoli, prima dei grandi spostamenti del XIX secolo, l’emigrazione non è stata un fenomeno dettato esclusivamente da povertà e indigenza, bensì una componente strutturale dell’economia e della società alla quale commercianti, artigiani e lavoratori specializzati davano concretezza a seconda delle possibilità offerte dalle zone della penisola. Così, adeguandosi e trasmettendo per generazioni la propria esperienza, mercanti, artigiani e lavoratori specializzati avevano dato il via a una vera e propria tradizione migratoria che ha caratterizzato l’Italia intera e il resto dell’Europa, nella quale le distanze devono però essere considerate in senso ben diverso da quello odierno. Infatti, se consideriamo che, nell’era che precede la rivoluzione dei trasporti, anche una breve distanza poteva fare assumere carattere permanente a un trasferimento, le differenze tra piccoli e grandi spostamenti si attenuano. Inoltre, i movimenti migratori di mercanti, artigiani e lavoratori specializzati di questo periodo si differenziano da quelli dell’epoca moderna anche rispetto alle dimensioni e al tipo di permanenza. In primo luogo, il numero di persone che finiva per stabilirsi in un’altra zona in seguito a necessità lavorative era talmente esiguo da non poter essere considerato rilevante. In secondo luogo, poteva trattarsi di un’emigrazione temporanea, per lo più legata a lavori stagionali, come vedremo, ad esempio, nel caso dell’emigrazione barghigiana, che contemplava spesso il ritorno e un

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continuo turn-over delle presenze5. Entrambi questi aspetti rendono difficile parlare di tali spostamenti nei territori britannici da parte delle sopracitate categorie di lavoratori, originari delle varie zone della nostra penisola, in termini di flussi migratori intesi in senso moderno e di nascita di comunità di migranti6.

Accanto a quello costituito dai commercianti e dai lavoratori specializzati, un secondo tipo di flusso migratorio dalla nostra penisola verso il Regno Unito è legato alla diffusione del Cristianesimo. Fu un gruppo di monaci inviati dalla Santa Sede, a partire dalla fine del IV secolo d.C.,a riprendere l’evangelizzazione delle isole britanniche con impegni sociali e culturali7. Successivamente furono numerosi gli italiani che si insediarono in veste di vescovi e abati in Gran Bretagna ed è in questa epoca che ebbe inizio il contrasto religioso tra sovrani britannici e Vaticano, che si protrasse per secoli fino alla rottura con la Chiesa Cattolica voluta da re Enrico VIII (1491-1547), particolarmente insofferente nei confronti dell’autorità pontificia8.

Al via vai di messi papali, monaci e mercanti, si aggiunsero presto i primi artisti e i primi studiosi provenienti dai territori della penisola italiana, che misero il proprio contributo a servizio delle università scozzesi oltre che a quelle di Oxford e Cambridge, pure se l’influsso culturale maggiore veniva allora dalla più vicina Parigi9.

Nel corso dei secoli, la presenza dei commercianti si intensificò ulteriormente. Tra il 1200 e il 1300, le colonie commerciali italiane di Londra (il primo gruppo si stabilì vicino alla Tower of London) e Southampton assunsero sempre maggiore importanza e, collaborando tra loro, crearono canali di comunicazione attraverso i quali, ebbero inizio migrazioni nel senso più moderno del termine e si svilupparono, in particolar modo tra i secoli XII e XV, rapporti commerciali ed economici con l’Italia.

Il ritrovamento di alcuni documenti del XIV secolo relativi alla confisca dei beni di alcuni commercianti italiani, eseguita per ordine reale dal Cancelliere di Scozia, lascia intendere che essi siano arrivati presto anche nella regione scozzese10.

È un dato più certo, invece, che tra i primi settori in cui gli italiani si inserirono vi furono il commercio del denaro e la tecnica bancaria. Ancora oggi a Londra, nella City, lungo la Lombard Street sono visibili gli stemmi degli istituti bancari italiani di allora. Inoltre, i banchieri italiani venivano chiamati lombards, termine che viene usato ancora oggi con

5 Pizzorusso G., I movimenti migratori in Italia in antico regime in Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. I Partenze, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 3-16.

6Ibidem.

7MarinU., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, p. 11. 8Ivi, p. 12.

9Ivi, p. 13. 10Ibidem.

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riferimento all’attività di banchieri e usurai11. Agli italiani si deve in parte l’introduzione delle assicurazioni marittime, rivelatesi fondamentali per la flotta britannica, e di vocaboli commerciali in uso ancora oggi come bankrupt, banca rotta12.

In questo lontano passato, quindi, dalla penisola italiana si spostavano in Gran Bretagna per lo più mercanti, accademici, uomini di chiesa e artisti, i quali migravano da una parte all’altra dell’Europa per fare affari e frequentare corti, monasteri e università.

In seguito, nel tardo Medioevo, i territori della nostra penisola sono stati caratterizzati da ampi movimenti di popolazione che si spostava dalle campagne alle città e di commercianti e artigiani specializzati che si spostavano anche all’estero per inserirsi nelle piazze d’affari europee più importanti, seguendo le offerte del mercato internazionale del lavoro13. Le caratteristiche principali di questi movimenti erano la temporaneità dell’emigrazione, il legame con il paese di origine e i mestieri tradizionali, caratteristiche che si ritrovano per tutta l’epoca moderna, pur se in contesti diversi14.

Questi movimenti si intensificarono dopo le prime epidemie di peste e le persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze religiose, verso le quali vi era poca tolleranza, soprattutto dopo la Riforma della chiesa che divise l’Europa tra protestanti e cattolici. Per ciò che in epoca moderna concerne l’influenza che la Chiesa ha avuto nella vita degli emigrati, non si hanno molte fonti specifiche soprattutto per quanto riguarda il ruolo svolto dalla Santa Sede e dai maggiori ordini religiosi nell’organizzare l’assistenza e nel mediare tra diocesi di partenza e di arrivo. Piuttosto si hanno informazioni su singoli interventi volti all’assistenza sociale e la politica ufficiale del papato si conosce solo per sommi capi15. Secondo Pizzorusso, ciò sembra essere spiegabile con il fatto che gli storici della chiesa non prediligono le imprese collettive e non si interessano di emigrazione e, viceversa, gli storici delle migrazioni non amano fare riferimento alle fonti vaticane16.Nel passato fu l’impegno controriformistico a portare la chiesa cattolica ad interessarsi e considerare attentamente i fenomeni migratori: essa si adoprò per raggiungere e non far mancare il supporto ai fedeli specialmente quelli emigrati non solo in paesi di altra confessione religiosa, ma anche in

11 Ad esempio The New Shorter Oxford English Dictionary, Vol. 1, Clarendon Press, Oxford, 1993, alla voce lombard riporta la definizione: A bank, a money-changer’s or moneylender’s office; a pawnshop (una banca, un ufficio di cambiavalute o prestiti; un banco dei pegni) 12Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, p. 26.

13 Pizzorusso G., I movimenti migratori in Italia in antico regimein Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. I Partenze, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 3-16.

14Ibidem.

15 Sanfilippo M., Chiesa, ordini religiosi ed emigrazione,in Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. I Partenze, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 127-133.

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domini di fede cattolica, ma di lingua diversa, cercando di garantire assistenza spirituale e sacerdoti che parlassero l’idioma17.

Oltre alle epidemie e carestie, alla fine del XVI secolo tutta la penisola attraversò un periodo di forte declino politico ed economico e in Europa non le rimase che il prestigio in campo culturale. Fu così che accanto ai viaggi dei mercanti e religiosi e agli affari dei banchieri, si intensificarono i soggiorni oltremanica di umanisti e letterati, musicisti e pittori, artisti di vario genere. Grazie all’interesse dei nobili e della corte reale britannica, la cultura italiana divenne di gran moda e investì l’aristocrazia e il mondo intellettuale, da Buckingham Palace a Holyrood Palace18.

Inizia qui, nei salotti dell’aristocrazia britannica, un lungo periodo fortunato per la cultura italiana, una sorta di manìa che andava non solo dalla letteratura alla pittura, dalla musica alla sartoria, ma anche dalla medicina, all’architettura e all’ingegneria civile e militare19. Inoltre, dato lo sviluppo sempre più intenso delle relazioni internazionali con gli altri paesi, alla fine del secolo venne avvertita l’esigenza di approfondire lo studio del diritto continentale, un altro ambito fortemente legato all’Italia. Il diritto romano era considerato, infatti, un valido aiuto al diritto inglese, allora alle prese con le necessità di uno stato moderno, tanto che venne istituita la cattedra di diritto romano a Oxford, resa famosa dal giureconsulto marchigiano Alberico Gentili (1552-1608), considerato uno dei fondatori del diritto internazionale20.

L’epoca elisabettiana fu caratterizzata anche da una notevole fioritura musicale. La regina Mary, cugina di Elisabetta I e nota come the Queen of Scots, amava dilettarsi con il canto e con la musica e a corte si circondò di artisti e maestri italiani21.

Nel XVII secolo vi fu anche una regina italiana, Beatrice di Modena, andata sposa a re Giacomo II per la volontà di Papa Clemente X che mirava a riportare il cattolicesimo in Gran Bretagna. Questo tentativo tuttavia fallì perché l’autoritarismo del monarca fece insorgere i protestanti che, capitanati da Guglielmo d’Orange, spodestarono il sovrano22.

Nonostante questa presenza costante nelle corti, esistono invece poche notizie sulla presenza di una comunità italiana nei territori britannici nei secoli XVI e XVII e vi sono solo alcuni documenti che fanno riferimento a gruppi di lavoratori, in particolare a gruppi di muratori e

17Ibidem.

18 La storica residenza principale dei sovrani scozzesi, oggi residenza ufficiale in Scozia della regina Elisabetta II.

19Marin U., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, pp. 17-19. 20Ibidem. Il suo trattato De iure belli et pacis è considerato la base sulla quale in futuro si fonderanno le teorie del diritto internazionale.

21Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Grate Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, p. 26.

22Marin U., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, pp. 21-22. Il re venne sconfitto nella battaglia di Boyne nel 1690.

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servitori, operai impiegati in una fonderia di armi, un gruppo di vetrai fatti venire da Murano e costruttori di orologi, barometri e specchi nelle fabbriche londinesi23.

Il prestigio culturale italiano continuò anche nel XVIII secolo, periodo in cui l’Inghilterra era frequentata da pittori, architetti, disegnatori e incisori. Da essi trasse ispirazione il neoclassicismo dei fratelli Adam, noti architetti e decoratori scozzesi.

Sull’onda di ciò che era di gran moda, gli aristocratici britannici arrivarono a imporre una sorta di dittatura del gusto, creando ammirazione per tutto ciò che provenisse dall’Italia, finanche all’abbigliamento come testimoniato, ad esempio, dal termine milliner, che originariamente significava milanese e che ha cominciato ad essere usato col significato di modista, riferendosi al venditore di cappelli e altri accessori come quelli originariamente fatti a Milano, rimanendo nell’inglese moderno quasi esclusivamente con questo significato24. È questa l’epoca dei cosiddetti virtuosi, dei dandy, coloro che si ispiravano all’ideale del gentiluomo rinascimentale, colui che possedeva e faceva sfoggio di una vasta cultura artistica e letteraria, che coltivava la passione per la musica, il ballo e la caccia, e per la cui formazione non poteva mancare il Gran Tour, un dispendioso viaggio d’istruzione in Italia25. Riguardo alla presenza di comunità di italiani, anche per il XVIII secolo si hanno solo poche e vaghe notizie sull’esistenza di una colonia stabile nel londinese.

Anche tra il XV e il XVIII secolo, dunque, la migrazione italiana in Gran Bretagna è stata prevalentemente provvisoria, sia nel caso delle categorie di lavoratori e operai, come conseguenza di necessità lavorative,dovute alle migliori possibilità offerte dal mercato internazionale del lavoro e a un legame molto saldo con la terra natia, sia nel caso dei ricchi mercanti e commercianti, che cambiavano costantemente destinazione rifuggendo le congiunture economiche sfavorevoli alle loro attività, senza mai integrarsi e mantenendo sempre una prospettiva internazionale26.

In questo periodo, è più duratura la traccia lasciata in Gran Bretagna da quell’emigrazione italiana di élite che, accanto ai rapporti commerciali, ha sviluppato in particolar modo i canali di scambio culturale tra nobili e individui altamente istruiti, dotati per la maggior parte di possibilità e risorse economiche e che frequentavano il mondo intellettuale e la corte reale, per niente inclini a solidarizzare o confondersi con i nuovi immigrati di bassa o infima estrazione sociale. Proprio questi però, verso la fine del secolo, avrebbero cominciato a raggiungere le isole e poi nel corso del XIX secolo a divenire molto numerosi, dando così una connotazione nuova al termine migrante. In questo periodo, l’ossessione per la cultura e la moda italiane inizia ad affievolirsi per lasciare posto a problematiche di natura diversa.

23Ibidem. 24Ivi, p. 15. 25Ivi, p. 25.

26Pizzorusso G., I movimenti migratori in Italia in antico regimein Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. I Partenze, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 3-16.

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3 – Le ondate migratorie del XIX secolo: il Risorgimento e i rifugiati politici,i pionieri delle prime, vere emigrazioni di massa e i primi arrivi in Scozia

Il XIX secolo è un periodo decisamente più interessante per questo studio, principalmente per tre aspetti: prima di tutto si trovano i primi dati statistici attendibili sia di fonte britannica che italiana; il secondo aspetto è quello legato ai rifugiati politici, che, cercando e trovando sostegno per la causa del Risorgimento italiano, hanno contribuito a diffondere ulteriormente la nostra cultura; infine, per quello che vede aggiungersi alla secolare emigrazione di élite descritta fin’ora, quella popolare. Questo tipo di emigrazione ha portato nel Regno Unito un numero crescente di immigrati che hanno creato comunità permanenti e che, dopo l’iniziale stabilimento a Londra, Manchester, Liverpool e altri centri urbani inglesi e gallesi, si sono spinti, come vedremo più avanti, anche verso la Scozia, fino a raggiungere le città più a nord quali Inverness, Aberdeen, Dundee e addirittura le isole Orcadi e Shetland.

3.1 – Nuove tipologie di migranti

Colpi ha individuato quattro diverse ondate di migranti che hanno raggiunto le isole britanniche in questo periodo storico e che rappresentano quattro distinte categorie di persone: artigiani specializzati, rifugiati politici, poveri e operai non specializzati, venditori ambulanti e artisti itineranti27.

Gli artigiani specializzati furono i primi ad arrivare in Gran Bretagna, intorno al 1790, e la loro migrazione può essere considerata una prosecuzione di quella descritta nel paragrafo precedente. Provenivano dal nord-Italia, per lo più dalla Liguria, dalla Lombardia e dall’Appennino Tosco-Emiliano, e si stabilirono nei centri urbani maggiori a Londra, Liverpool e anche a Edimburgo e Glasgow28.

Ancora si parla di un esiguo numero di persone che si spostavano da un paese all’altro per tutta l’Europa in cerca di mercati per i loro affari ed erano essenzialmente migranti economici, per lo più specializzati nelle decorazioni, nelle illustrazioni, nelle incisioni, nell’incorniciatura e nella lavorazione del vetro, ma anche specialisti di strumenti scientifici e matematici, come barometri, termometri, strumenti chirurgici e apparecchiature ottiche29. La seconda categoria di migranti di questo periodo merita di essere introdotta facendo riferimento agli avvenimenti storici che sconvolsero l’Europa nel primo ‘800, e in particolare alla sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815 e al congresso di Vienna che nello stesso anno riunì tutti i sovrani dei paesi europei per ridefinire l’assetto geografico del continente. Tra i radicali cambiamenti generati in seno al congresso, vi fu un rinnovato vigore

27 Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, pp. 28-31.

28Ibidem. 29Ibidem.

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dell’imperialismo austro-ungarico che mirava ad espandersi anche verso i territori del nord della vicina penisola. Gli italiani si opponevano a queste mire espansionistiche e auspicavano di vedere i territori in questione uniti sotto il Regno del Piemonte. Si sviluppò così un movimento nazionalista che presto produsse un nuovo tipo di migrante: il rifugiato politico30. La causa del Risorgimento italiano mobilitò nel Regno Unito statisti e politici di ogni tendenza, in particolare nel partito liberale e nelle giovani Trades Unions. Centinaia furono i patrioti che, soprattutto dopo i moti del 1820-21, trovarono rifugio in Gran Bretagna, che veniva ritenuta il paese della giustizia e della libertà, nel quale sarebbe stato possibile trovare sostegno per gli ideali di libertà nazionale. Tra i più illustri esuli politici si ricordano, Giuseppe Mazzini, Ugo Foscolo, Gabriele Rossetti, Francesco Crispi, Luigi Settembrini, Carlo Pisacane31. Per molti di essi l’esilio fu solo una breve parentesi: estranei alla comunità italiana, cercarono di inserirsi nel mondo politico e culturale del paese ospitante allo scopo di mobilitare l’opinione pubblica in favore della causa risorgimentale e trovare mezzi di sostentamento. Allora insegnavano l’italiano, che andava ancora molto di moda, partecipavano a pubblicazioni e così contribuivano a diffondere la cultura e la lingua italiana, adoperandosi per la promozione sociale sia per motivi politici che umanitari. Il loro dinamismo portò poi a coinvolgere anche la comunità italiana ed è grazie anche a questa interazione che nascono le prime forme di associazionismo. Ad esempio, lo stesso Giuseppe Mazzini fu molto attivo in queste iniziative, dapprima politicamente, fondando nel 1847 The People’s International League (una specie di ripresa della Giovane Europa) e nel 1851 l’associazione Friends of Italy, ed in seguito, adoperandosi anche per la propaganda sociale fino a fondare nel 1864 la Società per il Progresso degli Operai Italiani a Londra32. Alla

questione delle associazioni e una presentazione delle più importanti, è dedicato uno specifico paragrafo più avanti.

La terza categoria di migranti italiani che ha raggiunto le isole britanniche nel XIX secolo era composta dai poveri e dagli operai non qualificati, che arrivarono in gran numero soprattutto dalle zone dell’Appennino tosco-emiliano tra il 1820 e il 1830 e si stabilirono per lo più a Londra, dando qui origine alla prima British Italian Community33.

Durante questo secolo, le motivazioni che determinarono le migrazioni oltre le Alpi e sempre più verso nord fino ad attraversare la Manica,erano legate principalmente alle difficoltà economiche dovute a un sistema agricolo arcaico. Inizialmente questi migranti, per la maggior parte uomini, erano stagionali: partivano in primavera per lavorare tutta l’estate e tornavano in autunno per passare l’inverno a casa con quanto guadagnato. Poi, gradualmente, questi pionieri iniziarono a fermarsi per periodi sempre più lunghi finché cominciarono a

30Ibidem.

31Marin U., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, p. 28. 32Ivi, pp. 32-48.

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farsi raggiungere dalle mogli e dai familiari e la comunità da loro costituita divenne una realtà permanente. È in questo modo che si concretizza in Gran Bretagna il fenomeno della chain migration34, cui si fa risalire in generale la nascita delle Little Italies, i quartieri italiani, e che spiega l’esistenza di un flusso di persone che legava e lega paesi italiani a precise città britanniche. In Scozia ad esempio, gli immigrati toscani provenivano per la maggior parte da Barga, paese in provincia di Lucca, e i loro discendenti si trovano a Glasgow, mentre i laziali provenivano da Picinisco, provincia di Frosinone, e i loro discendenti si sono stabiliti a Edimburgo35. Ancora, gli immigrati dalla zona di Parma e i loro discendenti si sono stabiliti a Perth, Aberdeen e Dundee, mentre gli immigrati spezzini, provenienti soprattutto dalla Val di Vara, a Port Glasgow e Greenock36.

In questo modo, anche nelle città scozzesi, come già era accaduto a Londra e in altri centri, si formarono le Little Italies, che in questa regione avevano una particolarità in più rispetto a quelle degli altri centri: dopo un’iniziale aggregazione nello stesso quartiere, l’insediamento si allargava ad altre zone della città, soprattutto le aree portuali, allo scopo di aumentare gli affari e così i guadagni. Probabilmente questo, unito a un numero inferiore di arrivi, è uno degli aspetti che hanno contribuito a rendere la comunità italiana in Scozia più dinamica e meglio integrata con la realtà locale rispetto a quelle in Inghilterra e Galles che invece restavano ghettizzate nei loro quartieri (come gli italiani nel quartiere di Soho a Londra). Ad esempio, a Edimburgo, l’aggregazione iniziale era collocata originariamente nella zona centrale di Grassmarket, situata proprio sotto il castello, e poi si era allargata anche a Leith, Portobello e Musselburgh, aree portuali e vicino al mare, connesse alle attività commerciali svolte dagli italiani37.

La quarta e ultima categoria di migranti italiani in Gran Bretagna nel XIX secolo è quella degli artigiani itineranti, come arrotini, figurinai e mosaicisti. Gli arrotini venivano per lo più da Pinzolo e Carisolo e arrivarono a Londra intorno al 1850. Negli stessi anni arrivarono a Londra anche i figurinai, provenienti quasi esclusivamente dalla provincia di Lucca. I mosaicisti, invece, vi arrivarono qualche anno più tardi, quasi tutti dal Friuli. Alcuni tra questi operai decisero di spostarsi più a nord verso Manchester, Liverpool, Dublino, Belfast, Glasgow38.

34 Lett. Catena migratoria, è un concetto sviluppato alla metà degli anni ’60 e definito come un processo grazie al quale i migranti, per le opportunità loro offerte, si dirigono verso nuove città o paesi, incoraggiando in seguito familiari e compaesani a raggiungerli. Cfr. Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, pp. 32-33.

35Ivi, p. 34. 36Ivi, p.79.

37David K., The city of Edinburgh in The Third Statistical Account of Scotland, Collins, Glasgow, 1966, p. 124.

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3.2 – Street performers e la figura del padrone

Inizialmente gli immigrati italiani si inserirono ovunque nella società del paese ospitante come venditori ambulanti di statuine e altri piccoli oggetti e come street artists and musicians, soprattutto organ grinders, suonatori di organetto, Man with Dancing Dolls, marionettisti, e addestratori di animali, per lo più cani e scimmie39. Era talmente numerosa la partecipazione degli italiani a queste attività, che per tutto il XIX secolo sono stati identificati, nell’immaginario comune, come suonatori che mendicano agli angoli delle strade.

Oltre a questi impieghi umili, ve ne erano alcuni illegali e miserabili, giri di sfruttamento, in particolare minorile, gestiti da uomini di malaffare, che divennero tanto praticate da mobilitare l’opinione pubblica e richiedere interventi legislativi sia britannici che italiani. Questi signori venivano chiamati con il termine italiano padroni e il loro business, come si evince anche da articoli pubblicati su quotidiani dell’epoca, costituiva una vera piaga sociale40. I padroni offrivano lavori di natura illecita come sicure fonti di guadagno e prendevano accordi con le famiglie molto povere (accordi che duravano circa trenta mesi) reclutando i figli in cambio di denaro per farne dei delinquenti, sfruttandoli e facendoli vivere in condizioni di assoluta povertà e trattenendo il loro passaporto così che, una volta all’estero, non potessero lasciare il paese senza il permesso del padrone. Tali abusi costituivano una realtà radicata in profondità e furono fonte d’ispirazione non solo per pesanti luoghi comuni, ma anche per romanzi che ben descrivono le condizioni di sfruttamento e gli stenti, come Oliver Twist di Charles Dickens, in cui il personaggio di Fagin è ispirato proprio alla figura del padrone41.

A lungo i giornali, ad esempio il Morning Chroniclee il The Graphic, riportarono quotidianamente articoli su questi casi pietosi raccontando di percosse, abbandoni, fughe, vite di stenti, fanciullezza rubata, non senza accentuato sentimentalismo. Nella prima metà del secolo i vagabondi erano per lo più uomini adulti e fu in seguito alla crisi economica che investì l’Italia dopo l’Unità, che si registrò per le strade un fortissimo aumento di bambini che rubavano ed elemosinavano suonando l’organetto o la zampogna agli angoli delle strade o che facevano lavori eccessivamente pesanti in fabbrica o come spazzacamini42.

39 MarinU., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, pp. 57-68 e Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, pp. 62-80.

40Sponza L.,Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, per la rivista International journal of studies on the people of Italian origin in the world, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli per il Centro Altreitalie, Torino, gennaio-giugno 2005, p. 5.

41Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, p. 34-37.

42Ibidem e Bianchi B., Percorsi dell’emigrazione minorile in Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. II Arrivi, Donzelli Editore, Roma, 2001, p. 356.

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L’indignazione generale di fronte a tali maltrattamenti e le pressioni esercitate, portarono nel 1862 a una prima legge britannica, the Vagrant Act, che aveva lo scopo, se non di eliminare, almeno di provare a contenere the disgraceful traffic of children. Non ebbe però effetti decisivi poiché, avendo contenuti troppo vaghi, veniva alla fine esercitata nei confronti di adolescenti (la media era di 15 anni) mentre i bambini continuavano così a rimanere senza protezione43. In effetti le autorità locali erano restie ad intervenire anche perché l’indignazione dell’opinione pubblica alla fine sembrava durare il tempo della lettura degli articoli. In realtà, le stesse autorità italiane si mossero con lentezza e, anche nel loro caso, i primi interventi furono poco incisivi, inoltre, il tema più ricorrente nei dibattiti non era tanto la corruzione dell’infanzia quanto il problema della dignità nazionale scalfita da vergognosi mestieri ambulanti che creavano una cattiva reputazione dell’Italia44.

Comunque, fu il deputato Giuseppe Guerzoni a portare per la prima volta il problema dello sfruttamento minorile all’attenzione del parlamento italiano nel 1868, in seguito ai fatti denunciati prima dalla Società di mutuo soccorso di Parigi su les petites italiens e poi da quella di Londra e di New York45. Venne istituita una commissione di indagine che nel 1873 portò a far approvare una legge volta a punire chiunque assumesse minori di 18 anni in professioni girovaghe, ovvero, solo quelle che implicavano lo stare per la strada; paradossalmente, infatti, il problema non venne esteso ai bambini di 8-9 anni impiegati in massacranti lavori nelle fabbriche e come spazzacamini, che erano considerate professioni oneste46. Da allora il termine girovago distingueva i mestieri leciti e onesti da quelli vili e vagabondi47. Poco tempo dopo, nel 1889, in Gran Bretagna venne promulgato Children’s

Protection Act con il preciso intento di debellare questa piaga sociale48 e grazie ai provvedimenti presi da entrambi i governi, verso fine secolo divenne sempre più difficile impiegare bambini nelle attività illegali e il traffico dei bimbi elemosinanti iniziò effettivamente a diminuire. Quelli che non lavoravano in fabbrica o come spazzacamini, diventarono per lo più garzoni di bottega49.

43Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, pp. 141-161.

44Ibidem e Bianchi B., Percorsi dell’emigrazione minorile in Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. IIArrivi, Donzelli Editore, Roma, 2001, p. 356.

45Ibidem

46 Di Bello G., Nuti V., Soli per il mondo. Bambini e bambine emigranti tra Ottocento e Novecento, Unicolpi, Milano, 2001, pp. 124-5.

47 Bianchi B., Percorsi dell’emigrazione minorile in Bevilacqua P., De Clementi A., Franzina E., Storia dell’emigrazione italiana, Vol. IIArrivi, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 355-372. 48Marin U., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, p. 75.

49Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, pp. 141-161.

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3.3 – La comunità si ingrandisce e cambia la struttura occupazionale

Dopo queste ondate migratorie, nel giro di un decennio venne registrato anche un significativo generale cambiamento nella struttura occupazionale della società. Tra il 1870 e il 1880, infatti, per le strade ebbe inizio una graduale diminuzione della presenza di organ grinders e Man with Dancing Dolls e prese piede un nuovo tipo di attività commerciale in cui gli italiani si rivelarono dotati di senso degli affari: la ristorazione. La maggior parte di essi iniziò presto a distinguersi abbandonando le attività da girovago per mettersi in proprio, vendendo gelati, fish and chips, aprendo ristoranti e caffè. Per quanto la connessione tra italiani, cucina e cibo possa apparire scontata, il merito degli italiani fu quello di individuare e investire in attività ancora poco diffuse che divennero in seguito un normale business50. È così che, gradualmente, in gran numero passarono dalle attività di strada a stabilirsi e aprire botteghe a conduzione familiare, che, come dicevamo, permisero anche di assumere come garzoni di bottega e fattorini molti dei bambini alle dipendenze dei padroni. La loro riuscita, bisogna ammettere, non fu dovuta soltanto alla loro industriosità, ma anche alla convinzione diffusa tra i britannici che selling food was not the staff for an imperial race51.

Come vedremo meglio nel paragrafo successivo, gli immigrati erano considerati inferiori. Il successo, comunque, fu tale da determinare una sorta di monopolio in questo genere di impresa e il fenomeno era particolarmente evidente in Scozia, dove intere famiglie venivano coinvolte in attività di catering, aumentando da 272 nel 1881 a 1.637 nel 190152. Si pensi che solo a Glasgow nel 1911 c’erano 300 gelaterie in cui erano impiegati 900 dei 2.000 italiani lì residenti53.

In sostanza, grazie al successo in questo settore e al fenomeno della chain migration, nei decenni successivi la presenza degli italiani aumentò in tutto il paese in maniera costante tra il 1861 e il 1891, passando da 4.608 a 10.934 unità, e poi in maniera esponenziale passando a 24.383 unità il 1901, fino a raggiungere quota 25.365 nel 1911. Di questi italiani, ben 4.847, ovvero il 15% degli immigrati italiani in tutto il Regno Unito, proveniva dalla Toscana. Negli stessi anni in Scozia si passa da 119 a 1.025 unità, per passare a 4.051 a inizio secolo e 4.594 nel 191154. Come si nota, nella seconda metà dell’Ottocento, in tutto il paese si ha una crescita costante degli ingressi che cala solo nel primo decennio del XX secolo, quando i flussi migratori sono diretti verso l’America. Infatti, il considerevole numero di girovaghi,

50David K., The city of Edinburgh in The Third Statistical Account of Scotland, Collins, Glasgow, 1966, pp.119-126.

51Sponza L., The anti-Italian riots in Panayi P., Racial Violence in Britain in the Nineteenth and Twentieth Centuries, rev. ed., London, New York (NY), Leicester University Press, 1996, p. 140. Lett: Vendere il cibo non è affare da razza imperiale.

52 Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, p. 102.

53Richardson R., Italian Emigration to Scotland, Scottish Geographical Megazine, London, Routledge, 2008, p. 581.

54 Cfr. Table One: British Census 1861-1911 in Terri Colpi, The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, p. 50.

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artigiani e commercianti che, attratti dalla fama della industriosa e opulenta metropoli, raggiunse le isole, iniziò ad ingrandirsi tra il 1840 e il 1850 e da qui in poi crebbe considerevolmente; è dalla fine di questo decennio che iniziano a trovarsi fonti e dati numerici significativi55.

Queste fonti sono piuttosto tardive, del resto il primo censimento britannico dei nati all’estero risale effettivamente al 1851, ma contiene dati relativi alla sola città di Londra, dove risultavano residenti 1.604 italiani56. Dati di fonte italiana si hanno solo a partire dal 1871, anno in cui risulta, dai censimenti effettuati dalle autorità italiane che nei distretti consolari di Londra, Liverpool e Glasgow, risiedevano in Gran Bretagna 4.235 italiani in totale57; secondo altri dati raccolti presso il Ministero degli Affari Esteri, nel periodo 1869-71, erano addirittura circa 11.000.

È presente, e lo sarà anche nei decenni successivi, una differenza fra le fonti italiane rispetto a quelle britanniche, a motivo soprattutto degli oriundi, considerati britannici nel Regno Unito in forza dello ius soli e italiani in forza dello ius sanguinis. Bisogna inoltre tener presente che nell’Ottocento molti, soprattutto i girovaghi, sfuggivano facilmente ai censimenti ed anche è per questo che i numeri riportati dalle fonti italiane e britanniche non combaciano del tutto. Ad esempio, il notevole aumento di immigrati che si registra nel corso della seconda metà del XIX secolo, quando il loro numero risulta più che triplicato, secondo le fonti britanniche è passato da 6.832 nel 1881 a 24.383 nel 1901, mentre quelle italiane registrano qualche unità in più: da 7.189 a 24.35258.

Volendo tralasciare le incongruenze che si riscontrano nelle fonti dei due paesi, si nota che in entrambi i casi c’è una crescita costante degli ingressi fino alla fine secolo, seguita da una flessione nel primo decennio del Novecento, poi da una nuova lieve ripresa negli anni prima della Grande Guerra e infine un nuovo riflusso negli anni della guerra dovuto ai rimpatri causati dall’arruolamento (capitolo 2 § 1).

La flessione che si registra nel primo ‘900 si può spiegare con la messa in atto del primo sistema di controllo, introdotto con il primo Aliens Act nel 1905, che pose fine alla politica liberistica britannica (capitolo 1 § 5). Tale flessione, come si vedrà nel paragrafo successivo, non si registra invece in Scozia.

Un’altra cosa da dire è che studi condotti sui censimenti decennali britannici tra il 1851 eil 1921, mostrano che la quasi totalità degli italiani residenti allora in Gran Bretagna proveniva dall’Italia settentrionale o centrale, soprattutto dalla Liguria, dalla Lombardia e dall’Appennino Tosco-Emiliano. Anche tra il 1871 e 1891, il numero dei meridionali non

55MarinU., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, pp. 51-57. 56Ibidem.

57Ibidem.

58 Cfn. Table One: British Census 1861-1911 in Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, p. 50 e Tabella III: Censimento decennale britannico1851-1911in Marin U., p. 165.

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raggiunge il 7% della popolazione italiana. Questo aumentò verso la fine del secolo nell’ambito dell’emigrazione di massa. Tale differenza tra nord e sud della penisola è dovuta principalmente a questioni legate, per i meridionali, alle maggiori distanze da percorrere e alla maggiore distanza da casa e ai conseguenti maggiori costi da sostenere59.

Nel periodo 1861-1914 nelle contee scozzesi, si riscontra un andamento crescente di presenze sia nelle città di maggior attrazione (gli italiani a Glasgow passano da 40 a 1398 unità, a Edimburgo da 38 a 482), sia in centri minori, come Aberdeen, dove gli italiani passano da 4 a 155 unità e Inverness, da 1 a 2260. Vedremo poco più avanti, quanto sia stato effettivamente numeroso il contingente toscano e in particolare quello barghigiano.

Riassumendo, dunque, è con la fine delle guerre napoleoniche che ad artisti, intellettuali e rifugiati politici che frequentavano il mondo agiato, si aggiunge il flusso consistente e crescente dei primi migranti di origine umile (poveri, lavoratori non specializzati, analfabeti, mendicanti). I vagabondi iniziano a trasformarsi in operai e a impiegarsi in attività più remunerative, durature e socialmente accettate e accettabili come fattorini, barbieri, ma soprattutto come cuochi, camerieri e rivenditori alimentari, specializzandosi fino a creare una sorta di monopolio nel settore, grazie anche alle inesistenti resistenze sindacali, che non si interessavano del fenomeno perché esso non creava competitività con i lavoratori locali61. In questo momento storico, inoltre,i migranti iniziano a rendere i propri spostamenti sempre più definitivi. Così, sono riusciti a inserirsi in attività stabili e remunerative e hanno creato di conseguenza vere e numerose comunità, che inoltre hanno dato concretezza all’idea dello spostamento per sfuggire alla povertà.

4 – Le origini della comunità italiana in Scozia e il rilevante contributo dell’emigrazione barghigiana

Come accennato nel paragrafo precedente, è nella seconda metà del XIX secolo che si trovano finalmente i primi dati, sebbene pochi e disordinati, relativi all’emigrazione italiana nell’antica Caledonia. Intorno al 1850, la metà degli immigranti italiani nel Regno Unito si trovava a Londra. Essendo per lo più artisti di strada e venditori ambulanti, quindi interessati a trovare un pubblico ampio, la grande città sembrava una scelta obbligata. Per molti, però, la capitale costituì soltanto una sorta di prima tappa, perché poi si spostarono e stabilirono in

59Ibidem.

60Decennal Census of Scotland (1861-1911) in Franchi N., La Via della Scozia. L’emigrazione barghigiana e lucchese a Glasgow tra ‘800 e ‘900, Quaderni della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana (5), 2012, pp. 189-190.

61 Sponza L., Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, per la rivista International journal of studies on the people of Italian origin in the world, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli per il Centro Altreitalie, Torino, gennaio-giugno 2005, p. 9.

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altri centri, come Manchester e Liverpool, arrivando fino in Scozia. L’iniziale numero esiguo di questi migranti crebbe rapidamente nei decenni successivi: verso il 1881 in tutta la Scozia vi erano poco più di un migliaio di italiani e Glasgow ed Edimburgo contavano all’incirca lo stesso numero di immigrati, corrispondente più o meno alla metà degli italiani presenti in tutta l’area scozzese.

Successivamente, di pari passo con l’incremento degli arrivi in Gran Bretagna, anche in questa zona la presenza degli italiani crebbe considerevolmente, fino a raggiungere il suo picco massimo nel 1913, superando le 4.600 unità62. Di queste la maggior parte aveva appunto origini toscane, in particolare del comune di Barga, in provincia di Lucca.

Considerata l’importanza dell’emigrazione barghigiana nell’area, è utile soffermarsi brevemente sulla storia di questa zona per inquadrare meglio l’emigrazione in Scozia in questa fase storica.

Barga è una località che si trova tra gli Appennini e le Alpi Apuane e al confine con i territori di Lucca, Massa e Modena. La sua vantaggiosa posizione geografica aveva reso possibile sin dal 1300 uno sviluppo del tutto singolare. Anche se non era molto ricca di risorse agricole, era un punto di snodo importante nel traffico e nello scambio di merci, non solo legale, ma anche di contrabbando, e costituiva una sorta di porto franco che il governo del Granducato di Toscana esonerava persino dal pagamento di svariate tasse63. Questa situazione si interruppe dopo il 1861, perché, con l’Unità d’Italia Barga perse il suo ruolo di avamposto e, quando la crisi dei commerci riportò il paese a un’economia prevalentemente agricola, essa, in mancanza di moderne vie di comunicazione, non riuscì a inserirsi nel processo generale di modernizzazione né a sviluppare nuove attività industriali. Così, la sua economia, si trasformò in un’economia di sussistenza che originò povertà e miseria e dette inizio al fenomeno migratorio64.

Le migrazioni non costituivano una novità per questa zona. Al contrario, hanno fatto sempre parte della tradizione della sua popolazione, anche se si trattava di migrazioni temporanee. In montagna, infatti, era consuetudine, alle soglie dell’inverno, quando il lavoro iniziava a scarseggiare, emigrare temporaneamente in luoghi dal clima meno rigido e, in attesa della primavera, svolgere attività di genere artigianale. È il caso della già citata attività dei figurinai, che non solo avevano imparato a spostarsi e a cambiare posto alle prime avvisaglie di stagnazione del mercato, ma erano anche in grado di adattare ogni volta la propria merce alle richieste e ai gusti locali65. Questa flessibilità si rivelò decisamente utile: la trasferta

62 Cfr. Table Two: Annuario statistico della Emigrazione Italiana, Roma 1926, Ivi, p. 48. 63 Tosi T., L’emigrazione dal Comune di Barga dagli inizi ai giorni nostri, in AA.VV., Gli italiani negli Stati Uniti, Firenze, 1972, pp. 481-492.

64Franchi N., La Via della Scozia. L’emigrazione barghigiana e lucchese a Glasgow tra ‘800 e ‘900, Quaderni della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana (5), 2012, pp. 24-29.

65Ibidem. Le figurine erano statuette di gesso realizzate con stampi artigianali che cambiavano a seconda delle tradizioni religiose o dei gusti locali.

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invernale e l’abitudine a girovagare abituavano alla lontananza dalla propria terra e costituivano una sorta di graduale passaggio al successivo trasferimento definitivo, fornendo la capacità di adattarsi a qualsiasi situazione socio-economica66.

Come detto all’inizio del paragrafo, non vi sono fonti del tutto attendibili e dati sistematici relativi al numero dei migranti poiché molti documenti sono andati perduti. Risulta evidente, in ogni caso, che tra Toscana e Regno Unito esisteva un ben definito canale migratorio e che la provincia di Lucca forniva addirittura l’80% del contingente toscano. Questo almeno fino alla fine del secolo, quando si registra un’inversione di tendenza dovuta a un aumento degli spostamenti verso altri paesi.

Come sottolinea Franchi, anche spostando l’indagine sul versante scozzese, si incontrano molte difficoltà nel reperimento dei dati certi sull’emigrazione italiana e barghigiana. Per esempio, comparando i dati rilevabili dai censimenti di Glasgow con quelli del consolato italiano, si riscontrano molte incongruenze. Nonostante le incertezze, il notevole incremento di più di 3.000 unità tra il 1861 e il 1911 è attestato proprio da questi censimenti67. Sono fondamentalmente due i fatti che alimentarono il fenomeno della catena migratoria. Il primo è da ricondurre alla rapida espansione nel settore della ristorazione che portò con sé anche un aumento della presenza femminile nella comunità. Finché i mariti, i fratelli o i padri erano stati precari artisti di strada, non aveva molto senso raggiungerli. Una volta consolidata la loro posizione, attraverso la ristorazione, invece, molte donne partirono e si stabilirono lavorando per lo più come domestiche e sguattere nelle attività di famiglia portando nuovo e positivo dinamismo. Il primo censimento a segnare una considerevole presenza delle donne in Scozia, è quello del 1891 con il 27,8%68.

Il secondo fatto è invece connesso alla contemporanea e consistente emigrazione di Scots verso Stati Uniti e Canada (ben 35.000 nel 1913)69. Tale emigrazione lasciò un vuoto che venne colmato dagli immigrati e tra loro molti italiani.

Ricapitolando, nelle pagine precedenti sono state presentate le dinamiche che hanno fatto sì che tra la seconda metà dell’800 e l’inizio del ‘900 un crescente numero di migranti italiani si sia stabilito in Gran Bretagna. Il picco massimo di presenze prima della Grande Guerra è stato raggiunto nel 1913. Già nel censimento del 1911, nella sintesi relativa agli stranieri, però, era possibile riscontrare che la comunità italiana era in generale la più numerosa dopo quella polacca e russa70. Inoltre, a cavallo dei due secoli si riscontra un aumento della

66Ibidem. 67Ivi, p. 33.

68Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, pp. 59-62.

69 Richardson R., Italian Emigration to Scotland, Scottish Geographical Megazine, London, Routledge, 2008, p. 584.

70Census of Scotland, 1911: Report on the twelfth decennial Censun of Scotland, London, 1913, pp. IX-X.

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componente femminile, presenza che contribuì certamente a rendere la comunità più stabile e a dare un aspetto più definitivo all’insediamento71.

Per quanto riguarda in particolare la Scozia, è la provincia di Lucca, grazie al fenomeno della catena migratoria, a dare un notevole contributo alla presenza degli immigrati e a rendere permanente la comunità italiana la cui parte più consistente si stabilisce a Glasgow. La prima fonte veramente attendibile sulla presenza dei barghigiani in Scozia, sebbene tardiva, è rappresentata dagli Schedari del 1933 del Regio Consolato Italiano in Glasgow. Questi erano finalizzati al reperimento di quanti più dati possibile relativi agli italiani qui residenti, che permetteva una loro schedatura dettagliata, tipico del periodo fascista72. Invece le statistiche britanniche del 1936 rivelano che 1.500 italiani vivevano a Edimburgo, 3.000 a Glasgow, 600 in Dundee e 250 ad Aberdeen, per un totale di circa sei-settemila unità73.

I paragrafi seguenti saranno dedicati a completare il quadro introduttivo sulla migrazione italiana in Gran Bretagna e Scozia. In primo luogo saranno discussi stereotipi e opinioni sugli immigrati italiani, diffusi sia in tutto il paese che in Scozia. In secondo luogo, ci soffermeremo sulla politica migratoria britannica e, in particolare, sulla prima legislazione restrittiva relativa agli immigrati, sui primi Aliens Orders e sulla prima politica emigratoria italiana. Infine, sarà considerato il tema delle forme di associazionismo e dei rapporti e i legami nostalgici con la città o il paese di origine.

5 – Le opinioni dei britannici sugli italiani, i clichés sugli immigrati e i rapporti tra italiani e Scots

Quella raccontata fino ad ora può sembrare una storia costellata solo da successi e da riconoscimenti alle qualità e al contributo fornito dagli immigrati italiani alla società e alla cultura britannica. Nel caso di molti personaggi che nei secoli hanno frequentato la corte reale e ambienti altolocati e di ricchi mercanti e uomini d’affari, ciò è certamente vero. Vanno considerati, però, anche gli aspetti di intolleranza, abituali nei confronti degli stranieri e di chi è visto e percepito come diverso, che si sono sviluppati nel corso dell’Ottocento e che si sono inaspriti tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento in seguito alle grandi

71 Franchi N., La Via della Scozia. L’emigrazione barghigiana e lucchese a Glasgow tra ‘800 e ‘900, Quaderni della Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana (5), 2012, p. 34.

72Ibidem, p. 41.

73 David K., The city of Edinburgh in The Third Statistical Account of Scotland, Collins, Glasgow, 1966, pp.119-126.

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emigrazioni di massa. Raggiunto il nuovo paese, infatti, i più si sono ritrovati a fare i conti con una realtà dura, spesso violenta, caratterizzata da rifiuto e pesanti pregiudizi.

5.1 – Stereotipi in Gran Bretagna...

Studiosi come Franzina e Sponza concordano nel sostenere che gli emigranti italiani, ovunque andassero, fosse un paese europeo o uno dei più lontani paesi del Commonwealth, trovavano ambienti già resi ostili da una vasta letteratura che per decenni aveva calcato sempre sugli stessi luoghi comuni: sporcizia, accattonaggio, violenza74. Sponza, in particolare, osserva come l’opinione pubblica britannica fosse infatti profondamente divisa tra l’idea di Italia, paese della bellezza e della cultura, e degli Italiani, un popolo ingegnoso, ma corrotto75.

Queste convinzioni scaturivano dai racconti dei mercanti, dai diari dei Grand Tour e dalle fonti iconografiche e letterarie fornite dai viaggiatori, attraverso le quali l’Italia appariva come un insieme di stati ricchi con splendide città, ma separati e gelosi gli uni degli altri. L’Italia intesa come paese era soltanto un’illusione ed erano le città dei suoi stati ad attirare le attenzioni dei viaggiatori stranieri. Questa distinzione tra idea e reali impressioni si rifletteva anche sulle opinioni riguardanti il popolo, andando a suo discapito.

Gli stereotipi maggiormente diffusi in Gran Bretagna, infatti, erano quelli di Italians Beggars, letteralmente accattoni, sly e devoted to the wrong religion76. Questo ultimo luogo

comune è da rimandare al potere temporale del papa: la Chiesa Cattolica era considerata origine di superstizione e ignoranza, fondata sul timor dei, una forma di governo che la maggior parte dei britannici riteneva esemplificativa della decadenza politica, economica e morale che affliggeva un paese diviso e debole77.

In linea generale, sembra fossero queste le impressioni e le immagini che i membri delle British upper classes, di ritorno dai loro viaggi, riportavano sulla penisola. Queste impressioni divenivano dicerie e poi distorte convinzioni che si espandevano cristallizzandosi in proverbi e modi di dire sugli immigrati italiani decisamente poco lusinghieri78.

In effetti, nella comunità italiana, soprattutto nel corso del XIX secolo, le condizioni igieniche, di miseria, povertà e sovraffollamento (causato dalla necessità per i lavoratori di

74Stella G.A., Franzina E., Brutta gente. Il razzismo anti-italiano in Bevilacqua P., De clementi A., Franzina E., Storia dell'emigrazione italiana. Vol. II Arrivi, Donzelli Editore, 2001 pp. 283-311.

75 Sponza L., Italian Immigrants in Nineteenth-Century Britain: Realities and Images, Leicester University Press, Avon, 1988, pp. 119-128.

76Ibidem. Lett: Furbi e devoti alla religione sbagliata. 77Ivi, pp. 119-128.

78 De Seta C., L’Italia nello specchio del Grand Tour, Storia d’Italia-Annali 5, Torino, 1982, pp. 127-263.

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