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ITALIANI IN GRAN BRETAGNA E SCOZIA NEL ‘

1 – Premessa

Nel capitolo precedente, si è osservato come l’emigrazione italiana, nel corso dell’Ottocento,passi dall’essere un fenomeno spontaneo, relativo a una piccola parte della popolazione del Regno, ad assumere le proporzioni e il radicamento di un esodo di massa134. Durante la prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, le dimensioni della comunità rimangono stabili ed in essa gli emigrati si sforzano di conservare le tradizioni italiane e di insegnarne il valore ai loro figli (§ 2). Nel periodo del Fascismo la comunità italiana si consolida e prospera (per questo Colpi si riferisce al ventennio tra le guerre chiamandolo golden era), trovando nel movimento un modo per riscattarsi dalla propria condizione di inferiorità, mentre nel secondo conflitto affronta le ripercussioni della dichiarazione di guerra del Duce e l’esperienza dell’internamento, particolarmente violenta per gli Italo-Scots, e le sue conseguenze, compreso il tentativo di de-italianizzarsi pur di dimenticare la vergogna e la paura (§§ 3 e 4).

Durante il secondo dopo guerra si registra una nuova ondata migratoria scandita da ritmi nuovi, ma la vera svolta si registra negli anni ’70. Il primo dato rilevante riguarda l’ingresso del Regno Unito nella Comunità Europea, nel 1973, novità che sembra rendere più semplice e accessibile la vita dei lavoratori italiani in Gran Bretagna; l’altro dato si riferisce alle caratteristiche della nuova comunità italiana, nella quale convivono aspetti di continuità col passato ed elementi del tutto nuovi che si delineano e sviluppano intorno alle nuove generazioni (§ 5). Gli ultimi due decenni del secolo, infine, sono interessanti essenzialmente per le evoluzioni sociali che caratterizzano la composizione della comunità italiana (§ 6).

2 – La Prima guerra mondiale e il dopoguerra

Il periodo del conflitto e dell’immediato dopo guerra è interessante essenzialmente per le forme di partecipazione degli italiani all’estero chiamati a combattere e sostenere la patria, le forme di associazionismo nate per sostenere i combattenti, il ritorno dei soldati, il calo degli ingressi nel paese e le nuove caratteristiche dei flussi emigratori che iniziano a delinearsi.

La prima guerra mondiale portò, come nel resto d’Europa, uno sconvolgimento

nella comunità italiana in Gran Bretagna e ciò anche se i due paesi erano alleati. Quando l’Italia entrò in guerra, nel 1915, la risposta degli italiani all’estero fu apparentemente solidale e patriottica, con grandi manifestazioni di supporto, organizzate sulla scia della memoria delle lotte contro gli austriaci durante il Risorgimento135. Secondo le ricerche condotte da Sori e Colpi, sembra che almeno 8.500 emigrati siano tornati in patria per combattere tra le fila dell’esercito italiano rispondendo al reclutamento avviato dal consolato italiano di Londra136. Inoltre, sembra che dai resoconti possa leggersi tra le righe che la risposta fosse dovuta più al timore delle possibili conseguenze di un rifiuto che a un vero fervore patriottico. Come è stato già sottolineato, il legame con l’Italia sembrava risolversi nella mancanza del proprio paese o città di origine e non nel profondo attaccamento alla nazione. Bisogna aggiungere che il rimpatrio generale venne spinto anche dai paesi di immigrazione afflitti dalle difficoltà economiche e che non furono in grado di assumere nuovamente lavoratori immigrati finché l’industria bellica non entrò nella produzione a pieno regime137.

2.1 - Le associazioni, la stampa e le conseguenze economiche e commerciali per la collettività

La partecipazione degli emigrati alla guerra italiana si concretizzò anche nella formazione di diverse associazioni. Ad esempio, sappiamo che a Glasgow si erano formati un Red Cross Committee, associazione che raccoglieva fondi per lo sforzo bellico da mandare in Italia, e un Propaganda Committee, una sorta di bollettino su quanto accadeva nella penisola. L’azione di questi comitati e della Società di Mutuo Soccorso sembrano contribuire a fortificare il sentimento di comunità e di italianità, come già spiegato, un po’ latente in Scozia, unendo gli Italiani in una causa comune.

In realtà, questo senso unione non attecchì in profondità. I reduci tornati non nascosero il risentimento per i connazionali immigrati che non avevano risposto al richiamo della patria. Inoltre, per aver combattuto e sofferto, si attribuivano il monopolio del patriottismo e dell’italianità. Nel 1919 fondarono l’Unione Reduci Militari Italiani della Gran Bretagna che nello stesso anno venne assorbita nell’Associazione Nazionale Combattenti con sezioni molto attive a Londra, Manchester e Glasgow. Essa aveva anche un proprio giornale, la Cronaca, il quale, sebbene fosse apparso accompagnato da una dichiarazione di neutralità

135Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, pp. 67-69.

136Ibidem e Sori E., L’emigrazione italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 401.

politica, faceva trasparire chiaramente dai suoi articoli l’avvicinamento a un nazionalismo che guardava con crescente simpatia al Fascismo138.

Per ciò che concerne la stampa, abbiamo già ricordato che le varie testate pubblicate in italiano, sorte nel Regno Unito a cavallo del XX secolo, avevano avuto vita breve. Prima di entrare in guerra la comunità italiana aveva un unico giornale, il Londra-Roma, fondato nel 1888, lo stesso che alla vigilia del conflitto aveva pubblicato i pressanti e ripetuti appelli delle autorità italiane, dei quali il più enfatico apparve il 25 settembre 1915, affinché gli uomini tra i 18 e i 39 anni si presentassero al consolato per arruolarsi139.

In seguito, con la progressiva espansione del Fascismo, l’intensificarsi del fenomeno associativo e il moltiplicarsi delle iniziative scolastiche, nacquero alcuni periodici italiani, alcuni dei quali però ebbero vita breve. Il più noto era, appunto, La Cronaca ed era chiara la crescente tendenza verso il Fascismo; venne ribattezzato prima l’Eco d’Italia nel 1922 e poi Italia Nostra nel 1928 ed in seguito divenne proprio organo del Fascio, pubblicando per un breve periodo anche un supplemento in lingua inglese chiamato The British-Italian Bullettin. Cessò le pubblicazioni nel 1940. Nel ventennio vi furono anche altri periodici come La Patria, praticamente un giornale di propaganda Fascista, e altri due fogli considerati di opposizione, il Commento, fondato nel 1922 e che durò poco più di un anno, e l’Italiano, settimanale fondato nel 1926 che durò fino al 1929. Ancora, vi erano due mensili meno politicizzati, ovvero,La Rivista della Camera di Commercio e la Rivista dei Gelatieri140.

Le conseguenze economiche e commerciali della guerra furono dure per l’intera comunità: a Londra, The Italian Chamber of Commerce aveva dovuto trovare il modo di dare un grande impulso agli imprenditori italiani dato che le importazioni dalla penisola erano bloccate a causa delle ostilità. Anche gli affari della comunità italiana in Scozia ne avevano inevitabilmente risentito. Più di altri avevano sofferto i gelatai, per la scarsa importazione di merci, come lo zucchero, necessarie alla fabbricazione dei loro prodotti. La maggior parte delle attività, in ogni caso, riuscirono a sopravvivere ed entro il 1920 la vita nella colonia tornò alla normalità e a crescere nei due decenni successivi141. Alla fine della guerra, in onore dei caduti furono eretti monumenti alla memoria del loro sacrificio, a Londra, nella basilica di St. Peter, sono riportati i nomi dei 175 soldati italiani, e a Glasgow i 10 caduti sono ricordati nel posto che poco tempo dopo, nel 1935, diventerà la sede di Casa d’Italia, quello che per decenni costituirà il centro sociale e culturale della comunità italiana in Scozia142.

138Sponza L., Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, per la rivista International journal of studies on the people of Italian origin in the world, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli per il Centro Altreitalie, Torino, gennaio-giugno 2005, pp. 12 e 19.

139Ivi, pp.11-12 e 19-20.

140Marin U., Italiani in Gran Bretagna, Centro Studi Emigrazione, Roma, 1975, p.83.

141Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, pp. 67-69.

2.2 – La legislazione dei due paesi

2.2.1 – La legislazione britannica

La Gran Bretagna optò in quegli anni per delle scelte giuridiche molto restrittive nei confronti degli stranieri, iniziando col già citato British Nationality and Status of Aliens Act del 1914, che era stato emesso allo scopo di tenere vicini gli amici e lontano i nemici. Quello stesso anno venne promulgato l’Aliens Restriction Order cheera stato concepito come una temporanea misura bellica e aveva introdotto il concetto di poteri discrezionali quasi assoluti da esercitarsi mediante decreti legge143. Dunque, grazie agli Orders, il governo dava sostanzialmente carta bianca nel controllo dei movimenti e delle attività degli stranieri, senza bisogno che rifiuti all’ingresso o espulsioni dovessero essere necessariamente motivati. Ciò fu possibile poiché il sistema giudiziario britannico rifiutava di giudicare i poteri discrezionali del governo. Praticamente, coloro che potevano entrare dovevano sottostare a ogni sorta di obbligo loro imposto, come risiedere per forza in un certo luogo e accettare tutte le misure adottate per restringere i loro movimenti.

Allo scoppio della guerra queste restrizioni furono consolidate ulteriormente. Tra le maggiori innovazioni vi fu l’obbligo per tutti gli stranieri di registrarsi alla polizia144. Veniva così introdotta anche un nuovo tipo di burocrazia dedicata a controllare la residenza degli stranieri nel paese, una pratica inusuale nella tradizione britannica che si occupava di immigrati solo quando violavano la King’s Peace145. Ma la fine della guerra, nel 1918, non pose fine alla legislazione bellica. Nel 1919 l’Aliens Restriction (Amendement) Act portava a un ulteriore irrigidimento della politica immigratoria britannica. Non solo estendeva l’ambito di applicazione della legge del 1914, ma rendeva i poteri di esclusione ed espulsione esercitabili in qualsiasi situazione, anche in tempo di pace, oltre che praticamente permanenti, grazie al rinnovo annuale della legge146. Questo decreto concedeva al ministro degli interni il potere di allontanare chiunque fosse considerato indesiderabile per il pubblico interesse. Per tutti gli stranieri ex-nemici, tedeschi in primis, vi erano delle imposizioni ulteriori, quali il divieto di ingresso nel paese per tre anni, l’acquisto di case o terreni e di fare qualsiasi lavoro, compreso quello nelle industrie e sulle navi britanniche, in ambienti dove si correva maggiormente il rischio che uno straniero potesse creare sedizione e promuovere dannose agitazioni, con la sola e unica eccezione che l’interessato non fosse stato già impiegato bona fide nei due anni precedenti la promulgazione della legge147. Era

143 Pagni C., L’immigrazione in Gran Bretagna e la dissoluzione dell’impero, Tesi di Laurea discussa alla facoltà di Scienze Politiche, Università degli studi di Pisa, A.A. 1998/1999, pp. 40-46.

144Ibidem. 145Ibidem.

146Ibidem. Possibile grazie alle annuali Expiring Laws Continuance Acts, particolari leggi che prolungano di un anno la durata della legislazione in scadenza.

chiaro l’intento di volersi proteggere dai tedeschi e dagli agitatori stranieri in un momento in cui le agitazioni operaie stavano raggiungendo in tutta Europa proporzioni allarmanti. Sulla base di questo decreto, venne emesso l’Aliens Order del 1920 che a differenza del precedente, stabiliva che gli stranieri potevano essere ammessi, ma solo a certe condizioni: si passava, infatti, da clausole di rifiuto degli indesiderabili a un controllo in termini positivi, ovvero, di accettazione dei desiderabili. Il primo requisito perché uno straniero potesse entrare nel Regno Unito, era presentarsi già in possesso di un Work Permit concesso dal relativo ministero e solo per quelle mansioni per cui mancava manodopera britannica o straniera già residente. Quindi la Gran Bretagna, per far fronte alla disoccupazione del dopoguerra e alle rivendicazioni sociali e sindacali, rivide e intensificò le misure di controllo introdotte con gli Aliens Act del 1905, 1914 e 1919 adottando il sistema che, per la prima volta, ammetteva solo coloro che esibivano il Work-permit rilasciato dal Ministero del Lavoro britannico. Il decreto, inoltre, permetteva ai lavoratori di portare con sé moglie e figli, sempre che fossero in grado di mantenerli, e, a certe condizioni, anche altri parenti, ma esclusivamente se ragioni di compassione ne giustificavano l’ammissione148.

Entrambi i decreti, presentati per sommi capi, sono molto restrittivi e se ciò poteva essere giustificabile durante il conflitto, lo fu molto meno a guerra finita149. La motivazione risiede probabilmente nel fatto che, anche se erano cessate le ostilità, non lo erano la percezione e la sensazione di pericolo per altre ragioni, ovvero, le rivendicazioni sindacali, l’odio razziale e le agitazioni sociali che scuotevano il paese. Allora era convinzione diffusa il doversi difendere da una gigantesca e non bene definita cospirazione rossa che instillava la paura di non essere in grado di fronteggiare la disintegrazione sociale e internazionale150.

Per questo a guerra finita, non venne fatto neanche un tentativo per tornare alla legislazione del 1905 che aveva delineato le prime forme di controllo, ma anche qualche diritto per gli stranieri, come quello di potersi appellare alle autorità contro una decisione di espulsione. Questa legislazione, approvata in fretta e in tempo di guerra, durerà per più di mezzo secolo: il diritto di appello riapparirà, anche se solo parzialmente, con l’Immigration Appeals Act nel 1969. L’Order del 1920 sarà modificato con l’Aliens Order del 1953 e definitivamente abrogato dall’Immigration Act solo nel 1971151.

Questa legislazione restrittiva, unita ai conflitti e alle loro conseguenze e poco dopo anche alla Grande Depressione del ’29, spiega in parte il calo di immigrazione nel Regno Unito. Le cose cambieranno radicalmente con la fine della seconda guerra mondiale.

148Ibidem.

149 Juss S.S., Immigration, Nationality and Ctiyzenship, Mansell, 1993, p. 62.

150 Morris J., Heaven’s Command. An Imperial Progress, Penguin Books, Harmondsworth, 1978, p. 204.

151 Pagni C., L’immigrazione in Gran Bretagna e la dissoluzione dell’impero, Tesi di Laurea discussa alla facoltà di Scienze Politiche, Università degli studi di Pisa, A.A. 1998/1999, pp. 40-46.

2.2.2 – La politica emigratoria italiana

Alla selettiva politica britannica di allora corrisponde una politica emigratoria italiana di carattere selettivo e restrittivo, praticata proprio per difesa contro il protezionismo e la selezione altrui. Nel primo dopoguerra, il governo italiano, oltre ai trattati bilaterali, intraprese la strada delle convenzioni multilaterali, sviluppando le esperienze maturate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo. Classi dirigenti e sindacati vedevano infatti nella legislazione sociale internazionale uno strumento per assicurare una tutela efficace ai milioni di emigrati italiani in tutto il mondo152. L’Italia si impegnò molto a tal fine nella Commissione per la legislazione internazionale del lavoro, istituita dalla conferenza della Pace di Parigi per dar vita all’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). I nostri delegati si batterono molto affinché la nascente organizzazione avesse effettivi poteri deliberativi e ponesse tra i suoi fini la tutela degli emigranti; insistettero inoltre perché il Trattato di Pace contenesse una Carta del Lavoro con un programma di legislazione sociale da realizzare a mezzo di convenzioni internazionali. In particolare, proponevano una serie di convenzioni mirate a: parificare i lavoratori stranieri ai nativi; esentare gli emigrati da tasse connesse al loro status; autorizzare ai paesi di partenza a inviare degli ispettori che verificassero le condizioni di vita e lavoro dei propri emigrati; istituire assicurazioni obbligatorie di malattia, infortuni, invalidità, vecchiaia. Inoltre, la nuova organizzazione doveva occuparsi di gestire e pianificare i flussi migratori153.

Le proposte italiane erano molto innovative, e nascevano dall’esperienza accumulata fino ad allora per tutelare la propria emigrazione. Paradossalmente, il fatto di essere così moderne, condannò le proposte italiane alla bocciatura, soprattutto per la forte opposizione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. L’Italia non aveva ingenuamente considerato che era impensabile sperare che le maggiori potenze industriali accettassero di farsi imporre la legislazione sociale da un organismo internazionale, specie se essa era contraria ai loro interessi e, ancora meno, si poteva pensare di poter generalizzare le condizioni in materia di emigrazione o che i vari paesi rinunziassero a gestire per conto proprio il mercato di lavoro interno154.Nonostante la delusione, l’Italia portò avanti i suoi intenti e promosse l’organizzazione di due conferenze internazionali sull’ emigrazione con il duplice obiettivo di mettere a fuoco l’intera problematica connessa all’emigrazione, sia in rapporto alla situazione economica internazionale che agli standard di tutela degli emigrati e di favorire così una regolamentazione internazionale del fenomeno. Entrambe le conferenze si tennero a Roma. La prima ebbe luogo nel 1921 e fu volta a creare una sorta di cartello dei paesi di emigrazione, perché insieme meglio riuscissero a premere su quelli di immigrazione. Essa,

152 Tosi L., La tutela internazionale dell’emigrazione in Bevilacqua P., De clementi A., Franzina E., Storia dell'emigrazione italiana, Vol. II Arrivi, Donzelli Editore, Roma, 2001, pp. 446-449.

153Ibidem. 154Ibidem.

però, riuscì solo a dar vita a un Comitato permanente poco produttivo. La seconda conferenza si tenne nel 1924. Vi parteciparono anche paesi di immigrazione, per un totale di 59 partecipanti, che affrontarono tutta la problematica relativa al fenomeno migratorio. Anche questa però si risolse in una conferenza tecnica e infine nessuna decisione venne presa circa le politiche migratorie sulla libertà di circolazione né sull’attenuazione della politica restrizionista, tema tanto caro all’Italia. La politica emigratoria Fascista si collocava in questo contesto155.

2.3 – Dimensioni e cambiamenti nella struttura della comunità

Quanto alle dimensioni della comunità, nel ventennio tra le due guerre, si registra un evidente calo di ingressi nel Regno Unito. Esso non fu dovuto solo alla grande assunzione in Italia di manodopera nell’industria bellica durante la guerra, ma anche all’impiego nella ricostruzione. Nonostante l’arresto dei flussi di partenza,dal picco di 600.000 unità negli anni immediatamente precedenti la guerra, si registra una diminuzione graduale, fino ad arrivare a meno di 50.000 alla fine degli anni ’30156, si registrarono comunque nuovi ingressi nella comunità italiana in Gran Bretagna. Questi produssero anche alcuni visibili mutamenti strutturali. I principali riguardarono soprattutto la presenza femminile. Molti tra i reclutati erano giovani, non avevano famiglia ed erano nati nel Regno Unito o si erano stabiliti nel nuovo paese da molti anni, pertanto, finita la guerra, ne avevano approfittato per recarsi in visita nei paesi di origine da parenti e amici e in gran numero erano tornati nel Regno Unito sposati con una compaesana, andando così ad ampliare, anche se di poco, la comunità. La più ampia presenza femminile era una delle caratteristiche del nuovo flusso emigratorio italiano, non solo per quanto riguardava la ricomposizione delle famiglie, ma anche relativamente all’emigrazione del lavoro: le donne, infatti, entravano attivamente a far parte degli affari dei mariti e dei familiari157.

3 – Il periodo tra le due guerre, il Fascismo e il suo ruolo nella vita degli immigrati 3.1 – La comunità italiana negli anni ’20 e ’30

Il ventennio tra le due guerre fu un periodo di consolidamento per la comunità italiana. in questa fase, la vecchia emigrazione si sistemò davvero e consolidò i propri affari, pure

155Ibidem.

156Colpi T., The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Mainstream Publishing Company, 1991, pp. 71-72.

157Sori E., L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, il Mulino, Bologna, 1979, pp. 402-3.

durante gli anni della Grande depressione e anche nelle città più piccole nelle zone più remote del Galles e della Scozia, riuscendo non solo a sopravvivere, ma a prosperare, con un totale di 24,008 presenze su tutto il territorio158. In Scozia il contingente italiano rimase costante, intorno al 20% del totale degli immigrati italiani in tutto il paese, e in queste due decadi raggiunse le sue dimensione più significative registrando un aumento del 4% tra il 1911 e 1931, con un totale di 5.261 unità, corrispondente al 21% del totale159. In realtà la comunità aveva senz’altro dimensioni maggiori. I censimenti britannici, infatti, includono soltanto i nati in Italia. Se consideriamo i nati in Gran Bretagna di seconda e terza generazione, si può assumere che la comunità italiana si aggirasse tra le 30.000 e 35.000 unità. Sori nelle sue ricerche riporta che, nel 1927, vi fossero circa 30 mila italiani residenti in Gran Bretagna di cui circa 8.000 nati in territorio britannico160. Di questi, 14.800 risiedevano a Londra e costituivano la comunità di maggiori dimensioni, corrispondente al 50% del totale; la seconda comunità per dimensioni era quella di Glasgow con 6.092 italiani, corrispondente al 20%161. Durante gli anni ’30 si è registrato un lieve incremento degli immigrati italiani sulle isole britanniche e il passaggio in Scozia a un totale di 7.500 unità, di cui 4.000 a Glasgow, 1.500 a Edimburgo, 1.000 a Dundee e 1.000 ad Aberdeen. Come detto

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