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Herbert Simon e Allen Newell

Nel documento Intelligenza artificiale: i primi 50 anni (pagine 109-114)

3. La Conferenza di Dartmouth

3.3 Herbert Simon e Allen Newell

La formazione di Simon non sembra giustificare, a prima vista, il suo interesse verso l‟AI. Entrato alla RAND come consulente nell‟estate del 1952 (due anni dopo l‟arrivo di Newell), Simon era già allora un affermato economista, oltre che uno studioso di scienze sociali. Nel 1947 pubblicò il libro Administrative Behavior, il cui scopo era dimostrare come le

organizzazioni potevano essere comprese nei termini dei loro processi decisionali. Si potrebbe dire che il principale ambito di competenza di Simon in quegli anni (la burocrazia) si collocasse all‟esatto opposto rispetto

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allo studio dell‟intelligenza umana. Ma il carattere innovativo del suo lavoro stava proprio nel trovare i punti di contatto tra questi due campi apparentemente antitetici. Simon era affascinato dal processo decisionale delle persone, giungendo a delle conclusioni che si concentravano proprio sul funzionamento della mente umana, in opposizione alle convenzionali teorie economiche del tempo.

In Administrative Behavior vi era una prima esposizione di quella che sarebbe diventata la teoria dell‟uomo amministrativo dotato di razionalità limitata, analizzata nel primo capitolo. Prima di compiere, ad esempio, un investimento, una compagnia era solita considerare tutte le possibili alternative e scegliere quindi quella che avrebbe comportato il maggiore profitto. Ci si aspettava che lo stesso comportamento fosse assunto dal consumatore, al momento dell‟acquisto. Il libro di Simon spiegava come, attraverso la teoria della razionalità limitata (bounded rationality), queste teorie di base non sempre funzionassero nella realtà.

Prima di tutto, nessuno vagliava tutte le possibili alternative prima di una scelta. Analizzare ogni alternativa aveva un costo, nel senso più ampio del termine: di tempo, monetario, ecc. Per questa ragione, un processo

decisionale consisteva in una scelta tra un numero limitato di opzioni, che rispettava la regola “the fewer, the better”. Invece di considerare

attentamente alcune implicazioni di tutte le opzioni (come il profitto associato), il burocrate che è in ognuno sceglieva la prima alternativa

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disponibile che soddisfaceva un set preesistente di criteri accettati.

Le possibili alternative che si presentavano nel processo decisionale erano in realtà estremamente limitate, ma questa debolezza non risiedeva

necessariamente nella mente. Simon scoprì infatti un‟altra debolezza che andava oltre i limiti intellettivi del singolo: sia le persone che le

organizzazioni avevano difficoltà a trovare soluzioni originali per i problemi. Nelle organizzazioni, questa incapacità si manifestava tramite l‟esistenza dei manuali manageriali, o nei libri di regole. Queste

osservazioni portarono Simon a ipotizzare che la mente funzionasse principalmente applicando soluzioni approssimative nella risoluzione dei problemi: idea che sarebbe stata alla base della programmazione euristica. Simon notò anche che i membri di una stessa organizzazione tendono a perseguire scopi minori (subgoals) rispetto a quelli generali. Uno staff incaricato di realizzare uno spot pubblicitario per l‟azienda tenderà, presumibilmente, a realizzare uno spot il più incisivo possibile (scopo minore), indipendentemente dal fatto che ciò andrà o meno a beneficio dei profitti dell‟azienda (scopo maggiore). Solo l‟intervento dei dirigenti poteva riconciliare questi due scopi. In più, le organizzazioni riuscivano a

raggiungere i propri scopi generali solo frammentandoli in una serie di scopi più piccoli, con diversi dipartimenti che lavoravano in maniera

coordinata. La strategia dei goal-subgoal sarebbe diventata uno dei concetti fondamentali dell‟AI.156

In retrospettiva, il passaggio di Simon

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dall‟economia all‟AI sembra quasi naturale.

Simon arrivò alla Conferenza di Dartmouth con il suo collega più giovane, Allen Newell. Laureatosi in fisica a Stanford, Newell ebbe modo di seguire i corsi del matematico George Polya. L‟AI deve a Polya il termine

“euristico”, che egli coniò per descrivere le regole pratiche che si applicano nei ragionamenti di tutti i giorni. Nel 1945, Polya mostrò l‟efficacia di questo metodo nella risoluzione dei problemi nel libro How to Solve it. Dopo essersi laureato a Stanford, Newell trascorse un anno a Princeston per specializzarsi in matematica, non trovandosi altrettanto bene quanto Minsky e McCarthy (vi entrò a far parte contemporaneamente a McCarthy, e mancò Minsky solo di qualche anno). Al contrario di loro, Newell non si riteneva un matematico, e lasciò l‟istituto, preferendo lavorare dove avrebbe avuto problemi concreti da risolvere. Era il 1950, e in quel periodo la RAND offriva ai giovani scienziati con una certa predisposizione alla pragmaticità la possibilità di mettersi alla prova.

Qui Newell fu assegnato a un progetto che prevedeva di studiare le

interazioni uomo-macchina simulando le dinamiche di un centro di difesa antiaerea. Parte dell‟attività consisteva nello stampare delle mappe aeree tramite delle macchine tabulatrici. Durante il suo periodo di consulenza alla RAND, Newell ebbe modo di vedere queste macchine in attività. Oggi potrebbe sembrare una cosa banale, visto che praticamente qualunque personal computer è dotato di un programma di disegno, da Paint fino a

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quelli più sofisticati. Ma nei primi anni Cinquanta, quella vista fu per Newell una rivelazione: i punti e i caratteri che formavano la mappa non erano numeri. Newell li interpretava come simboli, e la macchina era in grado di manipolarli. Naturalmente, passare da questa considerazione al convincersi che i calcolatori potessero simulare il pensiero umano

richiedeva un salto concettuale non indifferente, ma Newell lo fece senza esitazioni. Da quel momento in poi, lui e Simon iniziarono a instaurare delle conversazioni informali sull‟argomento.

L‟adesione totale a queste idee, tuttavia, avvenne nel 1954, quando Selfridge, allora ai Lincoln Lab, visitò la RAND per parlare delle sue ricerche su un dispositivo in grado di riconoscere le forme visive; ricerche che avrebbero poi portato alla creazione del Pandemonium.157 La macchina sarebbe stata in grado di riconoscere le lettere e le figure semplici. Per far ciò, un certo numero di sottoprocessi analizzavano le varie caratteristiche della figura, ottenendo dei valori numerici; questi processi avrebbero poi “votato” per il risultato, elaborando un valore e confrontandolo con un set di regole prestabilito. Dal momento che facevano uso di un gran numero di processi semplici, i quali combinavano dei valori per ottenere un risultato, e soprattutto per la loro capacità di “apprendere”, perfezionando i propri processi, il Pandemonium e i suoi predecessori si rifacevano chiaramente alle reti neurali di McCulloch e Pitts. Ma erano anche dei manipolatori di simboli, dal momento che ogni sottoprocessso usava la logica per analizzare

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e catalogare le caratteristiche della figura. Proprio come le prime

speculazioni di Turing, i programmi di Selfridge occupavano lo spazio di transizione tra il brain modelling e l‟elaborazione simbolica

dell‟informazione.158

Newell avrebbe ripreso da Selfridge l‟idea che un processo complesso avrebbe dovuto essere il risultato dell‟interazione di molti sottoprocessi più semplici; la stessa idea che, come visto, aveva sviluppato anche Simon, sebbene riferita a un ambito diverso.

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